sabato 17 aprile 2021

Il problema delle "due culture" è una questione di essenza, di interpretazione, oppure di altro...

 

 

Post di Fabio Vomiero

Sono passati molti anni oramai dalla pubblicazione del famoso saggio di Charles P. Snow sulle due culture (1963) in cui l'autore, fisico di formazione, denunciava in modo franco e quasi provocatorio l'evidente spaccatura intellettuale che si era venuta a creare all'epoca tra gli umanisti e gli scienziati, ma da allora, la riflessione filosofica sul ruolo della scienza e delle discipline umanistiche nell'ambito del panorama socio-culturale contemporaneo non si è ancora minimamente risolta.

Le scienze sperimentali e le discipline umanistiche, infatti, sono certamente due attività molto diverse tra di loro e per questo non vanno forzate necessariamente a stare dentro lo stesso contenitore, tuttavia è anche vero che a volte i confini appaiono così sottili e artificiosi da essere probabilmente più indefiniti e mobili di quanto comunemente si creda.

Ma andiamo con ordine, perchè come spesso accade nel caso dei dibattiti e delle discussioni, il primo problema è sempre quello di intendersi sull'uso dei termini e dei significati. Che cosa si intende, infatti, per cultura scientifica e cultura umanistica, ed è veramente un problema di cultura, o piuttosto di diverse modalità cognitive di approccio alla conoscenza. E poi, siamo proprio sicuri che queste "due culture" rappresentino veramente due mondi completamente diversi e tra di loro incommensurabili? Inoltre la questione è davvero effettivamente riducibile a quell'estrema semplificazione volgare che vuole la scienza occuparsi soltanto dell'oggettivo e del vero e le discipline umanistiche invece unicamente del soggettivo e della bellezza, o il tema è in realtà un po' più complesso...

Innanzitutto cominciamo con il dire che l'origine di questa dicotomia intellettuale è piuttosto recente e collocabile grossomodo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Soltanto poco tempo prima, infatti, molti di quelli che oggi non esitiamo a definire come dei grandi scienziati classici, come per esempio Galilei, Keplero e Newton, si occupavano anche di discipline umanistiche (per esempio di filologia), oltre che a possedere spesso una solida vocazione religiosa. Era una cosa del tutto normale, tanto che Galilei fu persino definito dal Leopardi come uno dei più «limpidi padri della lingua italiana».

In Italia, però, una separazione concettuale piuttosto netta tra le due culture prese origine intorno agli inizi del Novecento quando alcuni autori, tra i quali Benedetto Croce e Giovanni Gentile (che fu ministro dell'istruzione, vedi riforma Gentile), riuscirono ad imporre persino ai programmi scolastici un modello culturale orientato alla netta supremazia della cultura umanistica su quella scientifica, cavalcando posizioni ideologiche dubbie e difficilmente dimostrabili (neoidealismo).

Più o meno nello stesso periodo, il filosofo tedesco Wilhelm Windelband propose una sorta di classificazione delle scienze basata sulla metodologia di studio, che venne poi ripresa e approfondita recentemente dallo psicologo americano Jerome Kagan in un interessante saggio del 2009, nel quale le scienze vengono suddivise in tre categorie: le scienze naturali, le scienze umanistiche e le scienze sociali.

Mentre le scienze naturali (fisica, chimica, biologia) utilizzano un approccio cosiddetto "nomotetico", caratterizzato cioè dalla ricerca di principi e di pattern (leggi), quelle umanistiche, che si occupano invece dello studio della cultura umana nel corso della storia, utilizzano invece un approccio "idiografico", che guarda invece alla specificità e alla particolarità, caratteristiche tipiche della creatività umana. Le scienze sociali, infine, come per esempio la sociologia, l'antropologia e l'economia si servono invece, a seconda dei casi, di entrambi i metodi.

Ma sebbene questa visione abbia influenzato sensibilmente la filosofia, in particolare quella delle scienze umanistiche e ancora oggi la ritroviamo spesso come elemento di superficiale spartiacque tra le due culture, le cose non sono affatto così semplici e nette.

Una nota certamente interessante di questa classificazione è però l'utilizzo del termine "scienza" non soltanto per definire le scienze naturali sperimentali, ma anche quando ci si riferisce alle discipline umanistiche, il che ha perfettamente senso quando, invece di guardare alla sfera umanistica considerando soltanto la bellezza e la soggettività delle sue opere letterarie e artistiche, si voglia veramente cogliere e comprendere anche la complessità metodologica e procedurale di fondo di altre sue espressioni. Si pensi per esempio allo studio del linguaggio (linguistica) o alla grammatica, alla filologia, alla storiografia, alla musicologia, alla teoria dell'arte, alla logica. Tutte discipline che, inevitabilmente, non possono che essere guidate anche da una forte vocazione di tipo scientifico. Anche in questi campi della conoscenza, infatti, così come nelle scienze naturali, gli studiosi sono spesso alla ricerca sia di principi metodologici che di pattern empirici da formalizzare poi in strutture logiche, procedurali o matematiche. Si pensi ancora alla critica e alla ricostruzione delle fonti in storiografia e in filologia, oppure alla tridimensionalità o alla prospettiva nella teoria dell'arte o ancora al tentativo di stabilire la validità o meno di una linea di ragionamento per quanto riguarda la logica.

D'altro canto, invece, nel campo delle scienze naturali, le nuove consapevolezze epistemologiche acquisite principalmente in seguito alla relatività, alla teoria quantistica e alla teoria della complessità, hanno nel frattempo infranto quel plurisecolare sogno della fisica classica riduzionista di poter spiegare perfettamente, e di riuscire a prevedere nel dettaglio ogni fenomeno naturale, ponendo così di fatto una seria limitazione al mito positivista della calcolabilità ultima del mondo da parte della scienza.

La moderne scienze della vita ci hanno insegnato per esempio che, diversamente dalla visione per certi versi ingenua di stampo fisicalista, una "legge fisica" descrive soltanto classi di eventi e non i singoli eventi, e che quindi la legge fisica e la causa non escludono il caso, la fluttuazione, il "qui e ora" del singolo evento che invece può essere determinato e vincolato in larga parte anche dalle particolari e mutevoli condizioni al contorno.

Vi è pertanto la diffusa sensazione che oramai, per diversi motivi, i tempi siano tornati buoni per l'inaugurazione di una nuova epoca in cui le scienze naturali e le scienze umanistiche possano finalmente tornare a dialogare e a capirsi, con lo scopo dichiarato e condiviso di ampliare reciprocamente i propri tessuti teorici, metodologici e sperimentali.

D'altra parte, i risultati che si stanno conseguendo oggi nei programmi di ricerca più complessi e ambiziosi, come per esempio nel campo delle neuroscienze, della paleoantropologia evoluzionistica, della climatologia storica, o della sociobiologia, suggeriscono come l'approccio più fecondo e produttivo sia in realtà proprio quello pluri- e inter-disciplinare.

Pare allora che il problema vero non riguardi affatto la teoria della conoscenza e nemmeno l'incommensurabilità tra le discipline, ma sia piuttosto da ricercarsi nell'impostazione intellettuale dell'agente attore ed interprete di tutto questo e cioè del singolo scienziato (alcuni) e del singolo umanista (molti di più), i quali, complici anche un ambiente culturale formativo oramai inadeguato e una radicata predisposizione cognitiva alle lotte partitiche, si ostinano a rinvigorire un inutile conflitto tra posizioni scientiste da una parte e ascientifiche o addirittura antiscientifiche dall'altra, ostacolando di fatto il progresso sia delle scienze naturali che delle discipline umanistiche.