sabato 1 agosto 2020

Siamo virus o cellule cancerogene?


Di Bruno Sebastiani

In una intervista pubblicata su Le Monde il 20 maggio scorso, Philippe Descola, antropologo francese allievo di Claude Lévi-Strauss e insegnante al Collège de France, ha dichiarato «Nous sommes devenus des virus pour la planète» (qui la traduzione in italiano dell’intervista).
Questa affermazione ricorda da vicino il monologo dell’agente Smith dinanzi a Morpheus nel film Matrix: “[…] ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate […] C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus.
Mentre il discorso dell’agente Smith rientra nel copione di un film di fantascienza, le argomentazioni di Philippe Descola poggiano su serie basi scientifiche.
Evidentemente la consapevolezza della nocività della nostra specie per la biosfera comincia a farsi strada anche in qualche ambiente accademico e ciò è motivo di soddisfazione per me che da anni vado costruendo la teoria secondo cui l’essere umano è “il cancro del pianeta” (il “Cancrismo”).
Sia una definizione (uomo = virus) sia l’altra (uomo = cellula tumorale) rappresentano delle metafore che hanno lo scopo di scuotere la coscienza di tutti i candidi “progressisti” che continuano a predicare la crescita del prodotto interno lordo, della produzione, dei consumi ecc.
Ma, senza scendere troppo nei dettagli della mia teoria piuttosto che in quelli di altre, vorrei soffermarmi sul motivo per cui a mio avviso è più corretto paragonare i nostri simili a cellule maligne di un organismo vivente, anziché a virus.
Il motivo è tecnico e illustrarlo può essere utile per comprendere le basi della mia teoria e il reale significato del cosiddetto “progresso” di cui tanto ci vantiamo.
Mentre i virus sono entità a sé stanti con caratteristiche di parassiti e vengono ospitati all'interno delle unità di base degli organismi viventi, le cellule cancerogene sono cellule ex sane all’interno delle quali si sono verificate, casualmente o a seguito di contatto prolungato con sostanze pericolose (fumo, amianto, inquinamenti di vario genere, ecc.) gravi alterazioni del patrimonio genetico.
Il processo che innesca la malattia è definito “carcinogenesi” e i suoi effetti infausti si possono riassumere in quattro principali manifestazioni:
  • crescita rapida e incontrollata delle cellule malate
  •  invasione e distruzione dei tessuti sani adiacenti
  •  de-differenziazione tra i vari tipi di cellule
  •  migrazione in altri siti del corpo (metastasi)
Queste condizioni che contraddistinguono le varie fasi della malattia si attagliano perfettamente a quanto realizzato da Homo sapiens ai danni della biosfera e questo è il motivo per cui ho preferito paragonare la nostra nocività a quella del tumore maligno, anziché a quella dei virus.
In un articolo che scrissi tempo addietro scesi più nei dettagli di questa analogia.
Ma il motivo che più di ogni altro mi ha indotto a paragonare il nostro processo evolutivo a quello della carcinogenesi (e poi al decorso della malattia tumorale) risiede nell’evidente parallelismo tra la genesi dei tumori e il nostro percorso di “ominazione”.
I primi, secondo la teoria più accreditata, sarebbero originati dalla mutazione del materiale genetico di cellule normali, le quali, a causa dell’alterazione subìta, rigettano l'equilibrio tra proliferazione e morte cellulare programmata (apoptosi), dando inizio a una divisione cellulare incontrollata e alla formazione del tumore.
Qui il discorso si fa tecnico. Senza scendere troppo nei dettagli, mi limiterò a dire che anche a un certo punto della nostra evoluzione intervennero delle modifiche nel nostro patrimonio genetico e ciò consentì l’aumento della massa cerebrale e con esso lo sviluppo dell’intelligenza, ovvero della facoltà di contravvenire agli istinti / leggi di natura e di creare la realtà “artificiale”.
Da qui la proliferazione indiscriminata della nostra specie, la distruzione delle cellule circonvicine, la de-differenziazione di quelle malate e la metastatizzazione in ogni angolo del pianeta.
Nel sito https://ilcancrodelpianeta.wordpress.com/ ho riportato alcuni studi scientifici pubblicati da vari biologi sulle alterazioni genetiche responsabili dell’abnorme aumento della nostra massa encefalica.
Poiché questi studi sono piuttosto ostici per i non addetti ai lavori, ho riportato anche un paio di articoli che descrivono quanto accaduto con linguaggio più accessibile.
Il primo, pubblicato sul Corriere della Sera del 26 febbraio 2015, è di Edoardo Boncinelli, insigne scienziato che ha la rara capacità di esporre anche gli argomenti più complessi in modo facilmente comprensibile.
Il secondo, uscito il 21 agosto 2018 su Wired è di Viola Rita, una delle più promettenti giovani giornaliste scientifiche italiane. Quest’ultimo articolo ha anche il merito di dichiarare già nel titolo che “Il cervello dell’uomo è così grande a causa di un “errore” genetico”.
Infine, sempre a sostegno della tesi che il nostro processo di crescita cerebrale è addebitabile a una o più alterazioni di alcuni geni, mi corre l’obbligo di citare il testo di Pietro Buffa “I geni manipolati di Adamo”.
Pur non condividendo la tesi di fondo del libro (e cioè che saremmo stati geneticamente modificati da alcuni esseri alieni non meglio precisati …), nel capitolo 5, titolato “Dentro il genoma”, vi è il paragrafo “I geni dell’ominazione” che spiega per filo e per segno come poterono verificarsi le alterazioni di cui stiamo parlando.
Alcuni particolari geni […] rimasti immutati durante l’evoluzione dei vertebrati, hanno invece subìto nell’uomo sostanziali cambiamenti […]”
Segue il dettaglio di questi geni (HAR1, HARE5, ARHGAPIIB) e una interessante digressione su come i geni possano mutare, ovvero subire alterazioni.
Le mutazioni spontanee sono eventi del tutto casuali perché sono il risultato di una complessa catena di cause ed effetti che, di fatto, è impossibile ricostruire secondo un modello deterministico. Si tratta di errori di copiatura inseriti durante la replicazione del DNA e dovuti, secondo recenti indagini, a “tremiti quantistici” che normalmente interessano le basi nucleotidiche. Per alcuni microsecondi una base può risultare instabile rispetto alle altre, un tempo brevissimo ma sufficiente perché l’apparato di replicazione del DNA la scambi per un’altra, commettendo un errore di trascrizione”.
Pietro Buffa è un biologo molecolare e il suo linguaggio, seppur adattato a una platea di lettori non specialisti, è abbastanza tecnico (la letteratura scientifica più approfondita sull’argomento è indicata in nota: Isaac J. Kimsey e altri, Visualizing transient Watson–Crick-like mispairs in DNA andRNA duplexes, pubblicato su Nature l’ 11 marzo 2015)
Per quello che interessa a noi è sufficiente aver compreso come in natura, tra i miliardi e miliardi di geni esistenti, sussiste la possibilità di errori casuali, e tali errori possono condurre alle modifiche più varie.
L’evoluzione si occupa poi di mantenere quelle vantaggiose e di respingere le svantaggiose. Ma ciò che è vantaggioso per una specie è svantaggioso per un’altra (salvo casi particolari). La natura, madre imparziale, agisce per l’equilibrio complessivo della biosfera e tende a controbilanciare le spinte eccessivamente espansionistiche, da qualunque parte provengano. Sennonché i tempi di reazione della natura sono ben diversi da quelli dell’uomo, e noi oggi ci troviamo nel bel mezzo di un colossale squilibrio acquisito a nostro vantaggio, in virtù di quelle mutazioni genetiche avvenute nel nostro cervello e stiamo soltanto cominciando a intravvedere i tragici esiti dello sbilanciamento provocato.
La similitudine con ciò che accade nel corpo dell’ammalato di cancro mi pare evidente.
L’organismo del malato soffre, ma chi è in grado di dire se le cellule tumorali soffrano anch’esse o se, invece, cantino vittoria per le quantità sempre maggiori di terreno conquistato?