Di Bruno Sebastiani
In una intervista
pubblicata su Le
Monde il 20 maggio scorso, Philippe Descola, antropologo francese allievo
di Claude Lévi-Strauss e insegnante al Collège de France, ha dichiarato «Nous
sommes devenus des virus pour la planète» (qui la traduzione in italiano dell’intervista).
Questa affermazione
ricorda da vicino il monologo dell’agente Smith dinanzi a Morpheus nel film
Matrix: “[…] ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i
mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con
l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e
vi moltiplicate […] C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta
lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus.”
Mentre il discorso dell’agente
Smith rientra nel copione di un film di fantascienza, le argomentazioni di
Philippe Descola poggiano su serie basi scientifiche.
Evidentemente la consapevolezza
della nocività della nostra specie per la biosfera comincia a farsi strada
anche in qualche ambiente accademico e ciò è motivo di soddisfazione per me che
da anni vado costruendo la teoria secondo cui l’essere umano è “il cancro del
pianeta” (il “Cancrismo”).
Sia una definizione (uomo =
virus) sia l’altra (uomo = cellula tumorale) rappresentano delle metafore che
hanno lo scopo di scuotere la coscienza di tutti i candidi “progressisti” che
continuano a predicare la crescita del prodotto interno lordo, della produzione,
dei consumi ecc.
Ma, senza scendere troppo nei
dettagli della mia teoria piuttosto che in quelli di altre, vorrei soffermarmi
sul motivo per cui a mio avviso è più corretto paragonare i nostri simili a
cellule maligne di un organismo vivente, anziché a virus.
Il motivo è tecnico e
illustrarlo può essere utile per comprendere le basi della mia teoria e il
reale significato del cosiddetto “progresso” di cui tanto ci vantiamo.
Mentre i virus sono entità
a sé stanti con caratteristiche di parassiti e vengono ospitati all'interno
delle unità di base degli organismi viventi, le cellule cancerogene sono cellule
ex sane all’interno delle quali si sono verificate, casualmente o a seguito di
contatto prolungato con sostanze pericolose (fumo, amianto, inquinamenti di
vario genere, ecc.) gravi alterazioni del patrimonio genetico.
Il processo che innesca la
malattia è definito “carcinogenesi” e i suoi effetti infausti si possono
riassumere in quattro principali manifestazioni:
-
crescita
rapida e incontrollata delle cellule malate
- invasione
e distruzione dei tessuti sani adiacenti
- de-differenziazione
tra i vari tipi di cellule
- migrazione
in altri siti del corpo (metastasi)
Queste condizioni che
contraddistinguono le varie fasi della malattia si attagliano perfettamente a
quanto realizzato da Homo sapiens ai danni della biosfera e questo è il
motivo per cui ho preferito paragonare la nostra nocività a quella del tumore
maligno, anziché a quella dei virus.
In un articolo che scrissi tempo addietro scesi più nei dettagli di questa analogia.
Ma il motivo che più di
ogni altro mi ha indotto a paragonare il nostro processo evolutivo a quello
della carcinogenesi (e poi al decorso della malattia tumorale) risiede nell’evidente
parallelismo tra la genesi dei tumori e il nostro percorso di “ominazione”.
I primi, secondo la teoria
più accreditata, sarebbero originati dalla mutazione del materiale genetico di
cellule normali, le quali, a causa dell’alterazione subìta, rigettano l'equilibrio
tra proliferazione e morte cellulare programmata (apoptosi), dando inizio a una
divisione cellulare incontrollata e alla formazione del tumore.
Qui il discorso si fa
tecnico. Senza scendere troppo nei dettagli, mi limiterò a dire che anche a un
certo punto della nostra evoluzione intervennero delle modifiche nel nostro
patrimonio genetico e ciò consentì l’aumento della massa cerebrale e con esso
lo sviluppo dell’intelligenza, ovvero della facoltà di contravvenire agli
istinti / leggi di natura e di creare la realtà “artificiale”.
Da qui la proliferazione
indiscriminata della nostra specie, la distruzione delle cellule circonvicine,
la de-differenziazione di quelle malate e la metastatizzazione in ogni angolo
del pianeta.
Nel sito https://ilcancrodelpianeta.wordpress.com/
ho riportato alcuni studi scientifici pubblicati da vari biologi sulle alterazioni
genetiche responsabili dell’abnorme aumento della nostra massa encefalica.
Poiché questi studi sono piuttosto
ostici per i non addetti ai lavori, ho riportato anche un paio di articoli che
descrivono quanto accaduto con linguaggio più accessibile.
Il primo, pubblicato sul Corriere della Sera del 26 febbraio 2015, è di Edoardo Boncinelli, insigne
scienziato che ha la rara capacità di esporre anche gli argomenti più complessi
in modo facilmente comprensibile.
Il secondo, uscito il 21 agosto 2018 su Wired è di Viola Rita, una delle più promettenti giovani
giornaliste scientifiche italiane. Quest’ultimo articolo ha anche il merito di dichiarare
già nel titolo che “Il cervello dell’uomo è così grande a causa di un
“errore” genetico”.
Infine, sempre a sostegno
della tesi che il nostro processo di crescita cerebrale è addebitabile a una o
più alterazioni di alcuni geni, mi corre l’obbligo di citare il testo di Pietro
Buffa “I geni manipolati di Adamo”.
Pur non condividendo la
tesi di fondo del libro (e cioè che saremmo stati geneticamente modificati da alcuni
esseri alieni non meglio precisati …), nel capitolo 5, titolato “Dentro il
genoma”, vi è il paragrafo “I geni dell’ominazione” che spiega per
filo e per segno come poterono verificarsi le alterazioni di cui stiamo
parlando.
“Alcuni particolari
geni […] rimasti immutati durante l’evoluzione dei vertebrati, hanno
invece subìto nell’uomo sostanziali cambiamenti […]”
Segue il dettaglio di questi
geni (HAR1, HARE5, ARHGAPIIB) e una interessante digressione su come i geni
possano mutare, ovvero subire alterazioni.
“Le mutazioni spontanee
sono eventi del tutto casuali perché sono il risultato di una complessa catena
di cause ed effetti che, di fatto, è impossibile ricostruire secondo un modello
deterministico. Si tratta di errori di copiatura inseriti durante la replicazione
del DNA e dovuti, secondo recenti indagini, a “tremiti quantistici” che
normalmente interessano le basi nucleotidiche. Per alcuni microsecondi una base
può risultare instabile rispetto alle altre, un tempo brevissimo ma sufficiente
perché l’apparato di replicazione del DNA la scambi per un’altra, commettendo
un errore di trascrizione”.
Pietro Buffa è un biologo
molecolare e il suo linguaggio, seppur adattato a una platea di lettori non
specialisti, è abbastanza tecnico (la letteratura scientifica più approfondita sull’argomento
è indicata in nota: Isaac J. Kimsey e altri, Visualizing transient Watson–Crick-like mispairs in DNA andRNA duplexes, pubblicato su Nature l’ 11 marzo 2015)
Per quello che interessa a
noi è sufficiente aver compreso come in natura, tra i miliardi e miliardi di
geni esistenti, sussiste la possibilità di errori casuali, e tali errori
possono condurre alle modifiche più varie.
L’evoluzione si occupa poi
di mantenere quelle vantaggiose e di respingere le svantaggiose. Ma ciò che è
vantaggioso per una specie è svantaggioso per un’altra (salvo casi particolari).
La natura, madre imparziale, agisce per l’equilibrio complessivo della biosfera
e tende a controbilanciare le spinte eccessivamente espansionistiche, da
qualunque parte provengano. Sennonché i tempi di reazione della natura sono ben
diversi da quelli dell’uomo, e noi oggi ci troviamo nel bel mezzo di un
colossale squilibrio acquisito a nostro vantaggio, in virtù di quelle mutazioni
genetiche avvenute nel nostro cervello e stiamo soltanto cominciando a
intravvedere i tragici esiti dello sbilanciamento provocato.
La similitudine con ciò
che accade nel corpo dell’ammalato di cancro mi pare evidente.
L’organismo del malato soffre,
ma chi è in grado di dire se le cellule tumorali soffrano anch’esse o se,
invece, cantino vittoria per le quantità sempre maggiori di terreno
conquistato?