mercoledì 12 dicembre 2018

Le Monadi Sovrumane


(Immagine di Colin Hay). Nel 1971, Robert Silverberg pubblico un romanzo dal titolo "The World Inside", tradotto in Italiano come "Monade 116" (Fanucci 1974). La storia descrive un mondo futuro dove decine di miliardi di esseri umani vivono in immense città verticali, (le "monadi"). In cambio del diritto di riprodursi senza limiti, hanno ceduto tutti gli altri diritti umani che una volta avevano, allo stesso tempo avendo sterminato tutti gli altri esseri viventi del pianeta. Una storia che risponde in un modo inquietante alla domanda che viene spesso posta: "quante persone può nutrire la terra?" alla quale dovremmo rispondere, "a che prezzo?" Qui di seguito, Bruno Sebastiani esamina l'impatto degli edifici multipiano sull'occupazione umana di spazio sul pianeta




E SE TUTTI GLI EDIFICI DELLA TERRA FOSSERO MONOPIANO?

di Bruno Sebastiani


L’uomo è l’unico tra gli animali cosiddetti superiori a costruire abitazioni su più piani.

Lo fa perché è in grado di farlo (il suo cervello super evoluto gli consente di fare questo e ben altro).

Lo fa perché è conveniente farlo (un solo basamento e un solo tetto per più nuclei abitativi).

Lo fa perché consente ad un numero elevato di persone di abitare entro il perimetro delle città in cui si svolgono gran parte delle attività lavorative, amministrative, culturali ecc.

Ma, inconsapevolmente, lo fa anche per un altro motivo, che, passo dopo passo, andiamo ora ad indagare.

Nei miei libri mi sono soffermato a lungo sulla nocività della nostra specie per la biosfera. Ho paragonato gli esseri umani alle cellule tumorali: ci riproduciamo con lo stesso ritmo frenetico ed invadiamo e distruggiamo in modo analogo i tessuti sani limitrofi.

Questa attività patologica però non è addebitabile, a mio avviso, ad alcun “istinto malvagio” della razza umana: semplicemente è l’inevitabile conseguenza della super evoluzione cerebrale già ricordata.

Anzi, l’uomo è anche in buona fede quando spinge sull’acceleratore del progresso: ritiene di rendere un servigio alla propria specie, di sviluppare tecnologie utili a migliorare la qualità della vita dei propri simili. E tra queste tecnologie vi è anche la propensione a costruire abitazioni su più livelli.

Questa tecnica costruttiva secondo Lewis Mumford prende avvio a fine Medioevo.

«Nello schema medievale, la città si estendeva orizzontalmente e le fortificazioni erano verticali. Nell’ordine barocco la città, confinata entro le fortificazioni, poteva svilupparsi solo verticalmente con caseggiati a più piani …» (L. Mumford, La Città nella Soria, Milano, Tascabili Bompiani IX ediz., 1996, p. 453)

Ma, pur accettando come attendibile questa ipotesi, vi è da dire che la crescita verticale delle abitazioni umane è proseguita, ed anzi si è incrementata, anche quando le città non furono più racchiuse entro fortificazioni e presero ad estendersi nuovamente anche in senso orizzontale.

Sempre Mumford così spiega queste due direzioni espansive:

«Con l’invenzione della diligenza, della ferrovia e infine del tram, si ebbero per la prima volta nella storia mezzi di trasporto di massa. La distanza che era possibile percorrere a piedi cessò di costituire un limite all’estensione della città, il cui ritmo di crescita aumentò vorticosamente …» (ibidem, p. 535)

«Questo discorso sull’ampliamento in superficie della città commerciale dall’Ottocento in avanti vale anche per la sua espansione verticale favorita dall’invenzione dell’ascensore. Quest’ultima in un primo tempo fu limitata alle maggiori città del Nuovo Mondo. Ma gli errori radicali che vennero a suo tempo commessi nell’ideazione dei grattacieli si sono ora diffusi a tutto l’universo… Tutti gli sbagli commessi nelle città americane si stanno così ripetendo su scala altrettanto orrenda in Europa e in Asia … il grattacielo divenne un simbolo di “modernità”.» (ibidem, p. 536)

Da notare che l’americano Mumford scriveva innanzitutto per i suoi compatrioti e lo faceva nel 1961. Oggi, a 58 anni di distanza, quanti argomenti in più avrebbe potuto addurre a sostegno delle sue tesi! Uno di questi è l’oggetto del presente articolo, ma prima di sviscerarlo soffermiamoci un attimo su quel simbolo di superbia e di presunzione che è il grattacielo.

Nel mio blog (https://ilcancrodelpianeta.wordpress.com/) vi è una pagina dal titolo “Torri di Babele” dove passo in rassegna le 20 più alte torri del mondo, in ordine crescente fino ad arrivare alla “Burj Khalifa” di Dubai, alta oltre 800 metri e attualmente il più alto edificio del pianeta (in attesa che sia completato il grattacielo che supererà per la prima volta il chilometro di altezza, attualmente in costruzione a Jeddah - Arabia Saudita).

Perché dedicare una pagina di un blog alla descrizione e alle foto degli edifici più alti del mondo? Perché essi raffigurano egregiamente lo smisurato desiderio di onnipotenza dell’essere umano che già aveva attratto l’attenzione e la condanna del narratore biblico nell’episodio della Torre di Babele, descritto in Genesi, 11,1-9.

E la gran parte di queste “Torri di Babele” moderne sorge oramai in Asia, ben 16 tra le prime 20, esattamente come aveva predetto Mumford quasi sessant’anni fa.

Ma, attenzione, questa tendenza a costruire edifici sempre più alti, di cui la realizzazione dei grattacieli è solo la punta dell’iceberg, nasconde un segreto inconfessabile che l’uomo contemporaneo non ha il coraggio di manifestare neppure a se stesso!

Proviamo a disvelarlo per la prima volta e vediamo se la sua conoscenza potrà servire allo scopo che mi prefiggo, e cioè rendere edotto Homo sapiens della sua natura tumorale nei confronti della biosfera.

Cominciamo col chiederci: quanta parte del globo è ricoperta dalle colate di asfalto e cemento su cui poggiano le nostre città e con le quali impediamo a Madre Terra di respirare e alla vegetazione di crescere?

Calcolo oltremodo difficile. Secondo alcuni la superficie occupata dalle città sarebbe limitata all’1 – 3 % del pianeta (fonte Focus.it “L’impronta delle città sul pianeta”), nonostante che in esse risieda ben oltre il 50 % della popolazione mondiale.

La stima è vecchia e certamente inesatta per difetto.

In Italia l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) pubblica annualmente un rapporto su “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. L’edizione 2018, reperibile in rete, indica che nel nostro Paese la stima della cosiddetta “superficie artificiale” (quella ricoperta da asfalto, catrame, cemento ecc.) si attesta nel 2017 al 7,75 % dell’intero territorio nazionale (esclusi i corpi idrici), pari a poco più di 23.000 km quadrati.

Il medesimo rapporto precisa come siano difficoltosi i confronti internazionali in quanto il consumo del suolo non è monitorato in maniera omogenea, ma informa che in Europa Eurostat ha promosso la rilevazione “LUCAS” (Land Use and Cover Area frame Survey), secondo la quale nel 2015 la “superficie artificialmente ricoperta” a livello europeo sarebbe intorno al 4,2 % di quella totale (in quell’anno l’Italia era al 6,9 %).

Ma il vero superamento delle difficoltà di confronto tra i vari Paesi è già in atto a cura dell’Agenzia Spaziale Tedesca (DLR), la quale, utilizzando 180.000 immagini radar di due suoi satelliti, ha dato vita al progetto Global Urban Footprint, ha cioè mappato l’intero pianeta suddividendo la superficie terrestre in tre tipi di copertura: insediamenti (in nero), superficie terrestre (in bianco) e acqua (in grigio). Il tutto con una precisione stupefacente ovvero una risoluzione spaziale di 12 metri per cella di griglia.

La mappa è di libera consultazione e risulta estremamente suggestiva, come si può vedere dall’immagine qui riportata, relativa al nord Italia.











Non è possibile a occhio valutare con esattezza la percentuale di suolo effettivamente “urbanizzata” e, salvo errori, l’Agenzia Spaziale Tedesca non ha fornito cifre al riguardo.

Ma è sufficiente ciò che l’immagine mostra per condurre a termine il nostro ragionamento.

Pensiamo infatti quanti punti neri vi sarebbero sulla piantina se le nostre costruzioni, anziché svilupparsi in altezza, fossero tutte monopiano.

Dovremmo moltiplicare le percentuali di copertura del suolo per quante unità? Io credo almeno per 5, ma forse per 6, 7 o anche più: teniamo presente che anche le attuali costruzioni cosiddette monopiano in realtà hanno un seminterrato e un sottotetto, costituendo così a tutti gli effetti degli edifici a tre piani.

E dunque il 7,75 % di copertura del suolo italiano diventerebbe il 38,75 % o il 46,5 % o il 54,25 % o ancora di più?

Più della metà del territorio nazionale sarebbe cementificato! E noi oltretutto sappiamo che non è solo la cementificazione la causa di alterazione irreversibile del suolo: ad essa si aggiungono significativamente agricoltura e allevamenti intensivi, inquinamento, smaltimento rifiuti incontrollato ecc. ecc.

In altre parole, il collasso che per il momento siamo ancora riusciti a rinviare sarebbe già avvenuto da tempo.

E dunque, a conclusione del ragionamento, possiamo affermare che la propensione a edificare costruzioni su più piani, seppure inconsapevolmente e fortuitamente, è il sistema che l’essere umano ha escogitato per potersi riprodurre più di quanto la disponibilità di suolo del pianeta gli avrebbe consentito.

La nuova tendenza del villaggio globale a crescere in altezza con grattacieli sempre più alti persegue anch’essa il medesimo fine?

È probabile, ma pur con tutti questi espedienti i limiti della sostenibilità prima o poi verranno raggiunti, ed allora il redde rationem non potrà che essere triste e doloroso.