Riflessioni di Eleonora Vecchi su due libri recenti "Picco per Capre" di Jacopo Simonetta e Luca Pardi e "Umani, Troppi Umani" di Natan Feltrin
(Fotografia di Debitum Naturae https://www.facebook.com/debitumnaturaeofficial/)
Di Eleonora Vecchi
“...una serie di forti carestie nel corso della prima metà di questo secolo è uno scenario possibile, magari probabile, ma non sicuro… alternative diverse richiederebbero di fare cose che non abbiamo mai fatto nella Storia, come ridurre volontariamente il nostro numero ed i nostri consumi.”
È emblematico come a distanza di poche settimane siano stati pubblicati due libri sulle questioni più urgenti e scottanti degli ultimi anni. Temi condannati da decenni ad aggirarsi solo tra gli specialisti e che, tacciati di pessimismo dai proseliti della tecnologia quale deus ex machina, raramente trovano riverbero nella discussione pubblica.
Picco per capre – Capire, cercando di cavarsela, la triplice crisi: economica, energetica ed ecologica di Jacopo Simonetta e Luca Pardi è un simpatico ed efficace libro che si pone il difficile compito di raggiungere, al di la di ogni pessimismo antropologico, l’attenzione di ogni lettore e di aiutarlo a comprendere cosa significhi l’essere andati oltre ogni ragionevole limite.
Altro demone economico che, muto, ricorre sempre più nei pensieri di molti, è il topic della sovrappopolazione.
La problematicità e l’importanza del tema demografico è proporzionale allo sforzo ovunque messo in atto per ignorarlo o addirittura, negarlo. La popolazione mondiale si trova ai massimi storici, quasi a quota 8 miliardi. Per chiunque abbia un’infarinatura d’ecologia, questa prosperità è tutt'altro che florida. Un’onesta e “non politically correct” riflessione a riguardo si può trovare nel libro, appena pubblicato, Umani, troppi umani – Sfide etico-ecologiche della crescita demografica di Natan Feltrin, dedicato ai dilemmi etici ed ecologici che un tale surplus demografico ci pone a fronteggiare.
La lettura di Picco per capre è come un veloce ed intenso viaggio su snodate montagne russe alla fine del quale un bel mal di stomaco è fisiologicamente inevitabile. Ogni capitolo sospinge su navette tematiche che, superando la fumiginosa nebbia data da modelli di azione anacronistici, dati fraudolenti e trucchi economici, mostrano il lucido quadro dello stato di criticità in cui l’era del no-limits ci ha condotto.
Gli ottimisti di sorta rimarranno sicuramente delusi dal lucido panorama che ve ne si dispiega e nessuna istanza politico-economica attualmente in auge ne rimarrà salva. Quando si ha a che fare con la crisi economica ed ecologica contemporanea una buona lettura si riconosce dal suo essere estremamente indigesta.
Per chiunque voglia dirsi realista, tali letture sono assolutamente necessarie.
Il messaggio è inequivocabile: la china che stiamo seguendo è quella di una fanta-economia che danza al ritmo della crescita illimitata resa possibile dalle innovazioni energetico e industriali. La musica sulla quale tale economia edifica il suo mondo di passi è però profondamente dissonante rispetto alla realtà fisica e sociale. Difatti, se la prima si rifà ad una prospettiva teleologica di progresso, quest'ultima ci rammenta che il sistema finanziario basato su soldi “virtuali” ha in realtà la sua controparte nell'effettiva possibilità di estrarre dall'ambiente quelle risorse necessarie a coprire la nozione di “crescita economica”. L’impatto antropico è aumentato di 140 volte in 100 anni. In un pianeta di risorse finite, la logica dell'infinito appropriarsi del mondo non è chiaramente più sostenibile e, capitolo per capitolo, se ne dispiega la drammaticità attraverso il concetto di “picco”.
Dopo ogni cima si nasconde inesorabilmente un dirupo.
In questo caso in bilico vi è la nostra civiltà, compresi tutti quei vizi a noi cari, dalle due televisioni per casa, allo shopping, al muoversi in macchina per andare a lavoro, ai voli low cost…
“La vita di tutti noi dipende dal petrolio. Non esiste un’alternativa al petrolio. Volenti o nolenti, ci dovremo arrangiare con molto meno energia di adesso.”
Non c’è innovazione tecnologica che regga!
Siamo in pieno picco del petrolio e quello minerali rari è già stato oltrepassato. La situazione dell'acqua potabile è critica, probabilmente peggiore di quanto i dati più diffusi sono soliti rappresentare. A comprovare l’emergenza di questa crisi vi sono le guerre per l’acqua potabile, oramai fiorite come un prato a primavera, silenziose come la stagione priva di insetti della Carson.
Senza spingerci a considerare la possibilità, per nulla fantascientifica, dell'estinzione di Homo sapiens, lo scenario che si prospetta è quello di un mondo pervaso dalla miseria e da guerre sempre più frequenti allo scopo di impossessarsi delle ultime risorse. Chi non si trova ad occupare un ruolo forte nel gioco finanziario, o chi vive in ambienti ecologicamente fragili – come India, Africa o Sud America – sta pagando ormai da anni lo scotto di trovarsi alle basi della financial cascade.
Infatti il panorama globale, la cui linfa risiede nelle pratiche di commercio capital-liberista, non lascia più respiro a possibili economie della sussistenza ma sovente conduce a situazioni di miseria estrema. Aggiungiamo inoltre come le innovazioni tecnologiche adottabili per addolcire la via della transizione in molte nazioni non si scelgono oppure vengono valorizzate in modo simbolico. È comprensibile, giacché le scelte da farsi andranno contro gli interessi delle grandi imprese (quelle petrolifere e del carbone, dei trasporti, delle armi, dell'edilizia, dell'alimentazione, per dirne alcune) ed è “grazie a una quantità anomala di denaro che costoro sono in grado di condizionare sempre di più il potere politico”. Ma la politica non dovrebbe farsi serva dell'attuale gioco economico, bensì proporre modelli di vita altri.
Come sarà quindi la civiltà dopo il baratro?
Scordatevi di avere a vostra disposizione un esercito di telefonini ed altri apparecchi high tech o, se proprio non poteterinunciarvi, cominciate ad informarvi sui moduli da compilare per la sterilizzazione!
Siamo infatti in presenza di uno tra i picchi più silenziosi, quello di cui nessuno vuole prendersi l’onere di affrontare seriamente. Stiamo parlando dell'esorbitante numero di esseri umani che popolano il pianeta Terra: “..le cellule cancerose proliferano finché non uccidono l’organismo. La popolazione e la crescita economica si comportano allo stesso modo. Ci sono solo due modi per ridurre la crescita dell'umanità: ridurre il tasso delle nascite o aumentare quello delle morti. Quale preferisci?”
Vi invito a considerare nuovamente la nozione di “picco”: un momento di massima prosperità, dopo il quale l’andamento esponenzialmente decrescente non trova un gentile ed arbitrario arresto. Applicata alla popolazione, stento a credere che ciò non provochi un brivido di nervosismo in chiunque riesca a figurarsi possibili scenari.
Per affrontare realisticamente questa crisi è necessario in prima istanza “includere le problematiche umane in un più ampio quadro eco-referente”, cioè reinserire l’umanità tra il collettivo dei viventi. “Con Malthus l’umanità ha realizzato l’esistenza di un limite alla riproduzione per il benessere delle società, con Darwin l’uomo ha compreso pienamente che nella lotta per le risorse non è diverso da nessun’altra creatura vivente”. Alla situazione attuale è necessario avviare un piano di controllo demografico. Tacciare il birth control come mezzo per un’eugenetica sessista e razzista è fazioso poiché a conti fatti, la donna è intesa come strumento procreativo “passivo” della società. Se vi doveste chiedere perché vi sia tale premura nell'assicurarsi una percentuale di natalità positiva, oltre ai motivi fortemente nazionalisti, è utile ricordarsi come le coppie con nascituri sono coloro che più di tutti carburano la macchina dei consumi.
Economia ed ecologia sono saldamente intrecciati.
Accanto al nostro stile di vita consumistico, altrettanto drammatico è il dominio terrestre della biomassa umana che, considerando anche le specie animali da lui domesticate, costituisce il 97-98% del numero dei vertebrati su Gaia. Abbiamo fondato la riuscita della nostra nicchia ecologica sulla desertificazione di ogni diversità biotica, dando inizio alla più grande estinzione di massa dopo quella del Permiano (250 milioni di anni fa)!
“Ogni essere umano non è una monade ontologicamente isolata, ma un essere-nel-mondo e, di conseguenza, un con-essere nell'incredibile varietà correlata della vita.” Il legame che intessiamo però non è esclusivamente intra-umano, ma coinvolge l’interezza della biosfera.
Ogni epoca è chiamata a scegliere chi fare proprie vittime. Questo tipo di umanità vale davvero il prezzo di infinite esistenze? Non credo vi possano essere giustificanti.
Se la crescita demografica è il nodo essenziale da scingere per evitare un’ecatombe immotivata di vite, presenti e future, umane e non, essere childfree è un oggi obbligo morale.
Questa affermazione porta con sé molteplici problematiche etiche, soprattutto se consideriamo l’attuale boom demografico di Africa, America Latina ed Asia, il cui tasso di natalità tocca in alcuni casi il 3-4%. Bisogna evitare qui ogni ricaduta di carattere razzista, infatti “quando si pensa all'eccesso di crescita demografica sono sempre gli altri ad essere in troppi” . Intervenire fornendo la possibilità di piani famigliari significa dare a paesi estremamente fragili la possibilità di scegliere il futuro da percorrere. “Che senso c’è nell'impedire alla gente di morire di malaria, solo per condannarla a morire più lentamente di fame?”
Cercare di stabilire un optimum demografico è tuttavia nebuloso e non tiene conto degli infinite contingenze dell’esistere. Permette inoltre di aggirare i problemi etici, separando morale e sostenibilità.
Il motto non deve essere “ci è concesso tutto sotto una certa soglia”, come la nozione di planetary boundaries può suggerire a molti. Ciò che deve essere ancora delle nostre azioni è un’ “etica della responsabilità”. Feltrin ben mette in chiaro, il cambiamento deve essere in prima istanza etico: “abitare quel sinechismo tra fatti e valori senza mai avere la pretesa di risolvere i secondi nei primi”.
In questa cornice è necessario interrogarsi su cosa si intenda come stile di vita dignitoso e a quale sfondo di valori faccia riferimento. L’affermazione di Reagan, poi riproposta da Bush: “Il tenore di vita degli americani non è negoziabile”, è eticamente insostenibile. Se la popolazione mondiale vivesse allo stesso ritmo degli U.S.A. si necessiterebbe infatti dell’equivalente di 4.8 pianeti Terra. Le rinunce che sono richieste al nostro stile di vita sono meri “sacrifici” o è un creare un modo sano di co-esistere nel rispetto delle altre alterità viventi?
Il cambiamento strutturale da compiersi è un imperativo morale e chiunque scelga di procrastinare ora sarà complice della più dura crisi che verrà.
Il comunicato di questi due testi è limpido. Il cambiamento non è evitabile, a noi è concesso solamente di scegliere in quale modo farlo avvenire. Attraverso una transizione faticosa ma controllata, oppure attraverso il tracollo forzato. “Maggiore sarà il ritardo, più violenta sarà la catastrofe che ristabilirà l’equilibrio. Fra le altre cose, nascono così i terremoti e le rivoluzioni, non è una cosa da prendere alla leggera.”
RIFERIMENTI: