lunedì 26 febbraio 2018

Perché il colibrì è l'animale più pericoloso che esista


Se ve la cavate bene col francese, guardatevi questo clip che racconta non solo la storia del colibrì virtuoso, ma di come vada a finire - si conclude dicendo, "se ragioni con un cervello da colibrì, finisce che ti fregano". (Grazie a Igor Giussani per la segnalazione).


Avete mai sentito raccontare la storia del colibrì e dell'incendio? Va così: c'è un gigantesco incendio che divampa nella foresta. Tutti gli animali scappano salvo un colibrì che si dirige verso le fiamme con po' d'acqua nel becco. Il leone lo vede e lo ferma, chiedendogli, "ma cosa pensi di fare con quella goccia d'acqua?" E il colibrì risponde, "io faccio la mia parte".

Se avete studiato filosofia al liceo, questa storia vi potrebbe far venire in mente che il colibrì è un seguace di Immanuel Kant. Ma, a parte la filosofia di Kant, la morale della storia è spesso interpretata in chiave ecologista. Ovvero tutti dovrebbero impegnarsi nelle buone pratiche per l'ambiente: spegnere la luce prima di uscire di casa, chiudere il rubinetto mentre uno si lava i denti, fare docce brevi per risparmiare acqua, andare in bicicletta invece che in macchina, differenziare i rifiuti con attenzione, eccetera. Sono piccole cose, esattamente come la goccia d'acqua che il colibrì porta nel becco contro l'incendio. Ma, se tutti si impegnano, otterremo qualcosa.

A mio parere, tuttavia, questa storia è una bella bufalata, per non dir di peggio. Più che ammirevole, il colibrì mi sembra un animale molto pericoloso. Ora provo a spiegarvi perché.

Tutto è cominciato qualche settimana fa, quando mi sono trovato a camminare immerso in una nuvola di fumo per la strada, dalle mie parti. Qualcuno aveva pensato che era il momento buono per bruciare una bella catasta di sfalci del suo giardino, generando una gran fumata grigiastra che si era diffusa in mezzo alle case. Sicuramente non una cosa salutare per quelli che abitavano lì vicino.

Ma è legale bruciare roba con grandi fumate nel mezzo di una zona urbana? Tornato a casa, mi sono fatto una piccola ricerca sul Web. Ho trovato che, secondo la legge, si può, ma solo in piccole quantità e con delle restrizioni abbastanza precise. (vedi i link in fondo a questo post).

La legge mi è parsa carente perché non tiene conto delle condizioni di densità urbana e delle condizioni atmosferiche, ma non entriamo in questo argomento. Appurato come stava la faccenda, mi è parso il caso di fare un piccolo post su Facebook in un sito dedicato al comune dove abito. Nel post facevo notare i limiti di legge alle quantità che si potevano bruciare e commentavo come nessuno si preoccupava di verificare che la legge fosse rispettata. Non era niente di più che un invito alla moderazione rivolto in particolare a quelli che affumicavano i loro vicini di casa.

L'avessi mai fatto! Mi sono arrivati improperi e accidenti, financo minacce di querela. La cosa curiosa è che mi sono arrivati in nome dell'ecologia. Bruciare gli sfalci, mi hanno detto, è cosa naturale, l'odore che fanno è buono, i vecchi contadini lo facevano ed è giusto che lo si faccia anche oggi. Così, loro sono veri ecologisti e possono bruciare quello che gli pare, quando gli pare. Invece, io non ho nessun titolo per rompere i cosiddetti con le mie considerazioni "legalistiche." Uno mi ha detto addirittura, "se fai questi discorsi, devi essere proprio una persona infelice!" (giuro, mi ha detto così).

Diciamo che sono rimasto abbastanza stupito di ritrovarmi davanti a un coro di persone tutte d'accordo a esprimere pubblicamente la loro opinione che "a noi, della legge non ce ne frega niente." Questo in un comune toscano vicino a Firenze non particolarmente noto per infiltrazioni mafiose e cose del genere.

Ma non credo che quelli che mi hanno maltrattato verbalmente fossero dei criminali incalliti. Piuttosto, persone che hanno un atteggiamento basato sull'idea che "io faccio la mia parte" (come dice il colibrì della storia). In altre parole, persone che ritengono che il loro impegno nelle buone pratiche ambientali li metta in una condizione di superiorità morale nei riguardi di chi non si impegna altrettanto. Di conseguenza, ritengono di potersi permettere di ignorare certe leggi, per esempio affumicando il loro prossimo bruciando sfalci nel giardino.

Questo atteggiamento lo potremmo chiamare la "colibrizzazione della responsabilità." ovvero che il fatto di essere virtuoso in una cosa ti da il diritto di essere peccatore in un'altra. (Mi sa che sia un problemuccio anche dell'imperativo categorico di Kant, ma non sono un filosofo per cui mi limito a parlare di colibrì).

Una volta entrato in questo ordine di idee, ho trovato che non sono il primo a pensare queste cose. Fra gli altri, lo ha fatto Jean Baptiste Comby nel suo libro "La question climatique. Genèse et dépolitisation d’un problème public" (Raisons d’agir, 2015). Lui non usa il termine "colibrizzazione," ma dice sostanzialmente quello che sto dicendo io. La questione climatica, e in generale ecologica, è stata "depoliticizzata", ovvero trasferita integralmente al dominio privato delle buone pratiche individuali. Quello che succede è che i membri delle classi medio-alte si fanno una piccola innocenza personale prendendosi cura di qualche dettaglio quando, invece, sono quelli che fanno più danni all'ecosistema. Una morale da piccoli borghesi che Cyprien Tasset giustamente chiama "fariseismo verde."

Insomma, a mio modesto parere il colibrì della storia è un bello stronzo: vola sulla foresta, butta la sua gocciolina d'acqua, poi se ne va, contento di aver fatto il suo dovere. E tutti gli animali che non volano muoiono arrostiti.

Cosa che potrebbe capitare anche a noi se continuiamo così.


(h/t Nicolas Casaux)


Per quelli di voi che masticano il francese, ecco un pezzo della recensione del libro di Comby scritta da Cyprien Tasset a http://journals.openedition.org/sociologie/2934#ftn8 grassetto mio. (ah... notate anche che in francese il termine "bobos" indica i "bourgeois-Boheme" - membri della classe medio-alta che si fanno belli col fatto di sentirsi ecologisti.)

Le cinquième chapitre traite du « paradoxe social selon lequel les prescriptions de l’écocitoyenneté bénéficient symboliquement à ceux [qui] sont, en pratique, les moins respectueux de l’atmosphère et des écosystèmes » (p. 16). En effet, les données existantes sur la répartition sociale des émissions de gaz à effet de serre montrent que « plus les ressources matérielles augmentent, plus la propension à détériorer la planète s’accroît » (p. 185). Le capital culturel, qui incline à « se montrer bienveillant à l’égard de l’écologie » et permet d’en tirer des profits symboliques, allant le plus souvent de pair avec le capital économique, il est « sans véritable effet » positif en termes de limitation des émissions (p. 186). Jean-Baptiste Comby a le mérite de poser ce paradoxe sans recourir, comme d’autres sociologues s’y autorisent parfois7, à la catégorie idéologiquement surchargée de « bobos8 ». Cependant, la démonstration qu’il mène en articulant les données existantes sur la répartition sociale des émissions de CO2 (voir tableau p. 178) avec des entretiens collectifs menés dans divers milieux sociaux sur la perception du problème climatique aboutit à mettre en scène un pharisaïsme vert des classes cultivées9, qui n’échappe pas à la surdétermination morale.

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Cosa dice la legge a proposito dell'abbruciamento dei rifiuti

Articolo recentissimo sul sito dell'ARPAT sulla questione dell'abbruciamento dei rifiuti



con tutti i link alla sentenza della corte di Cassazione di Dicembre


 e a un commento approfondito sulla stessa http://www.dirittoambiente.net/file/news_3614.pdf 

L'articolo da rispettare dice: "Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f) 1, effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti." Mentre l'articolo 185 comma 1 definisce attità tipo zone verdi, parchi, eccetera. 

Quindi, bruciare è possibile, ma solo 1) al di sotto delle quantità indicate, 2) nel luogo di produzione e 3) per scopo di ottenimento di concimanti e ammendanti. In sostanza, si possono bruciare residui di giardini in piccole quantità, ma con molta attenzione e spetta a chi brucia dimostrare che quello che ha bruciato non superava i limiti. Altrimenti si va nel penale.