lunedì 1 febbraio 2016

Laudato si, un commento tardivo.

di Jacopo Simonetta

L’enciclica "Laudato sì" ha sollevato notevole interesse ed una ridda di commenti pro e contro.    Io penso di accodarmi tardivamente per due motivi.    Il primo che la lettura ha richiesto tempo e fatica, malgrado abbia studiato solo il riassunto ufficiale in sole 63 pagine.  Diciamo che il testo non è propriamente scorrevole.   Il secondo motivo è che mi ci vuole tempo per riflettere.

Un primo punto che credo non sia stato sufficientemente considerato da molti commentatori è che le encicliche sono testi complessi che devono assolvere a numerose funzioni contemporaneamente.  Sono documenti politici funzionali sia alla politica internazionale del Vaticano, sia alla sua politica interna.   Ma sono anche documenti destinati ai sacerdoti di ogni ordine e grado per indirizzarne l’azione pastorale.    Infine sono destinati ai fedeli con il duplice scopo di  indirizzarne l’azione e la spiritualità, ma anche con quello di aggiornare via via le posizioni della Chiesa al divenire del mondo e della cultura.

Relativamente alla politica internazionale, penso che  lo scopo principale dell’enciclica fosse quello di influenzare i lavori della COP 21, creando delle difficoltà a quelli che hanno fatto naufragare le 20 conferenze precedenti: americani e cinesi in primis.

Relativamente  alla politica interna, secondo me, l’enciclica va invece  vista nel quadro assai complesso dello scontro in seno alla Chiesa fra un ala più conservatrice ed una più “terzomondista”.    Soprattutto, mi pare evidente un tentativo di mediazione fra la tradizione della curia romana ed il movimento “Teologia della Liberazione”   profondamente radicato in gran parte dell’unico continente compattamente cattolico e diffuso fra i Gesuiti sudamericani.

Per quanto attiene, invece alla funzione pastorale del documento, direi che contiene esattamente quel che poteva contenere.   Richiama ad una maggiore attenzione e cura verso il creato, ribadendo il ruolo unico e sovrano dell’uomo, unico fra le creature ad avere un’anima partecipe della natura divina.    Anzi, è proprio da questo primato dell’uomo che deriva la sua responsabilità di accorto gestore della creazione.

Questa parte del documento richiama la necessità di un dialogo costruttivo fra tutte le religioni, ma contemporaneamente stigmatizza ogni possibile deriva animista, panteista o comunque paganeggiante nel rapporto fra uomo e  creato.   Non per nulla, Terra è scritto con la maiuscola una sola volta, all'inizio, nella citazione del Cantico delle Creature da cui l’enciclica trae il nome.    In tutto i resto del documento è scritta con la minuscola malgrado si tratti del nome proprio del nostro Pianeta e non penso che sia per sbadataggine.

Insomma si raccomanda un rapporto mistico con la natura (con la minuscola) in quanto opera e dono di Dio, ma facendo bene attenzione e non confonderla con la Natura (con la maiuscola)!  Il dialogo interreligioso va bene, ma ci sono evidentemente dei limiti.

Parimenti sarebbe stato sorprendente se il testo non avesse colto l’occasione per ribadire una serie di punti chiave per la chiesa: dall'aborto al matrimonio omosessuale e numerosi altri punti particolarmente importanti per chi scrive.  Primo fra tutti il fatto che, come specificato al punto 50 e ribadito più volte altrove, la sovrappopolazione è solo una fantasia malata di alcuni.   Il numero di umani sul pianeta, si afferma, non ha niente a che fare con la crisi ecologica a livello globale.   Viceversa, si spiega, la sovrappopolazione esiste eccome a livello di singoli paesi, in particolare asiatici ed africani, ma non è questa una responsabilità loro, bensì dell’umanità intera.    Un punto di importanza politica fondamentale perché serve a sostenere che la migrazione di massa da un paese e da un continente all'altro è un diritto umano che deve essere garantito.

Si può essere d’accordo o meno con tutto questo, ma non si può certo pretendere che il capo spirituale dei cattolici scriva qualcosa rinnegando 2.000 anni di dottrina.   Tanto per cominciare, perché è lecito presumere che il Papa sia sinceramente cattolico.

Sul piano ecologico, il testo mostra un indubbio pregio, rappresentato dal ripetuto richiamo non solo al clima, ma anche all'importanza fondamentale della biodiversità e della sua conservazione.   A parer mio i termini sono ancora deboli, in rapporto a quanto sta accadendo, ma sono comunque più forti di quelli che si trovano nella maggioranza dei documenti politici.

In generale, vengono affermate cose perfettamente in linea con le conoscenze scientifiche e si fanno raccomandazioni di grandissimo buon senso.    Ma ci sono due aspetti strutturali all'intero documento che lo rendono profondamente incoerente.

Il primo è già stato citato ed ampiamente commentato da altri: la pretesa assenza di una componente demografica nella crisi globale.  

I secondo è l’asse portante dell’intero documento e viene ribadito in quasi tutti i 246 punti in cui è articolato. Cioè, il fatto che chi abusa della natura (minuscola) abusa contestualmente dei poveri e viceversa.     Insomma si stabilisce un’identità assoluta fra gli interessi degli ecosistemi e quelli dei poveri.   Per l'appunto in linea con le posizioni di buona parte del clero sudamericano, anche quando non aderisce del tutto alla “Teologia della Liberazione”.    Ne consegue che i ricchi ed i potenti hanno la responsabilità di garantire contemporaneamente lo sviluppo economico dei poveri e la conservazione del Pianeta.    Due cose che, si sostiene,  non solo sono compatibili, ma addirittura sono sinergiche, essendo lo sviluppo dei popoli il miglior sistema per garantire la conservazione della Biosfera.

Una posizione che forse è sincera da parte del Papa, ma che contrasta diametralmente con quanto oggi sappiamo del nostro Pianeta.    Il miglioramento delle condizioni di vita delle persone è infatti la principale forzante che spinge sia l’incremento della popolazione, sia quello dei consumi pro-capite.   A molti questa cosa darà fastidio, ma la formula empirica

Impatto = (Popolazione x PIL/capita x tecnologia)

pur essendo molto indicativa, è concettualmente corretta.    

Se ne deduce che, teoricamente, un aumento del numero e del tenore di vita dei poveri potrebbe  essere compensato da una drastica riduzione nei consumi dei ricchi.   Ma come si era reso conto Malthus già due secoli or sono, ciò sarebbe utile esclusivamente a condizione che la popolazione si stabilizzasse (ai suoi tempi, oggi dovrebbe necessariamente diminuire).    Con numeri dell’ordine di quelli attuali, probabilmente c’è  la possibilità di nutrire tutti, ma certamente non quella di, contemporaneamente, salvaguardare il clima e la biodiversità.

 In altre parole, l’attuale smisurata iniquità distributiva, che non ha alcun precedente storico, è effettivamente una calamità, oltre che un assurdo.    Ma l’equità distributiva si dovrebbe cercare non nel diritto dei poveri ad avere una vita migliore, bensì nel dovere dei ricchi ad averne una molto peggiore.    E non è questo che viene detto in un testo che raccomanda la parsimonia, ma in cui la parola “sviluppo” ricorre quasi due volte per pagina.

Tutto questo, devo dire era sostanzialmente quello che pensavo di trovare e che ho trovato nel documento.    Più interessante a mio avviso è quello che non c’è.  In un recentissimo libro, “Insostenibile”  di Igor Giussani,  l’autore centra un aspetto fondamentale del fallimento del movimento ambientalista nel suo insieme.   Il fatto cioè di non essere stato capace di costruire una narrativa alternativa abbastanza potente da competere con la popolarità della mitologia progressista, concrezionata nell'inconscio dell’umanità intera da decenni, quando non da secoli, di propaganda.
In assenza di una mitologia alternativa altrettanto potente, come pretendere che le persone accettino di buon grado i sacrifici necessari per salvare i propri discendenti ed il Pianeta?    E chi meglio di uno dei principali capi spirituali del mondo avrebbe potuto colmare questa lacuna?    Tanto più che, in questo, il Pontefice avrebbe avuto un vantaggio considerevole.   Che io sappia, il cuore della mistica cristiana è infatti il tema del peccato e della redenzione.   Questo sarebbe il principale insegnamento di Cristo che, secondo la Chiesa, ha immolato sé stesso sulla Croce per riuscire a farcelo capire.   Ma di tutto ciò nell'enciclica non c’è la benché minima traccia.

Eppure sappiamo bene che passeremo i prossimi cento anni a pagare gli errori che abbiamo commesso nei due secoli precedenti.   Ed in buona misura è proprio il rifiuto di questa semplice verità che impedisce ai governi ed alle persone di pensare in termini costruttivi.   Non possiamo trovare niente di utile finché continueremo a cercare una cosa impossibile, cioè un modo per salvare uno stile di vita agiato (chi lo ha) o di conquistarlo (chi non lo ha).   Dove per agiato si intende mangiare a sazietà tutti i giorni ed avere un tetto sicuro sulla testa.    Certo a qualcuno capiterà, forse a molti, ma non a tutti.    La Natura (maiuscola) non fa sconti a nessuno ed i debiti aperti con la Biosfera saranno necessariamente pagati con gli interessi.

Ora, cosa di meglio della mistica del peccato, della penitenza e della redenzione potrebbe aiutare i cristiani ad accettare questa realtà?    Un passaggio fondamentale, credo, perché consentirebbe alle persone di cambiare punto di vista, farsi una ragione delle proprie calamità ed elaborare risposte costruttive, entro i limiti del possibile.   Ma soprattutto potrebbe aiutare chi viene travolto dagli eventi a non essere travolto anche dalla Disperazione e dall'Ira (maiuscole, sono due dei 7 Peccati Capitali!)

Certo, qualcuno griderà all’ “Oppio dei popoli”, ma se così anche fosse, chi soffre davvero non disprezza gli analgesici.