Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR
Cari lettori,
il rapporto annuale per eccellenza nel mondo dell'energia, il World Energy Outlook (WEO), pubblicato ogni anno dalla IEA in questo periodo, è stato appena presentato a Parigi lo scorso 10 novembre. Si tratta, come sempre, di un rapporto voluminoso (718 pagine, quest'anno) in cui l'agenzia commissionata dall'OCSE perché consigli i governi degli stati membri in materia di politica energetica ci dà i dettagli di quali sono gli scenari di futuro sull'evoluzione dell'energia e dell'economia nei prossimi decenni. Date le caratteristiche del rapporto (numerosissime statistiche, previsioni non contestualizzate storicamente, poca tracciabilità della veridicità o non veridicità delle edizione passate, testo ampolloso e molto esteso, eccesso di focalizzazione su alcuni dettagli poco importanti e scarso accento su altri più rilevanti, uso deliberato di un linguaggio di basso profilo e molteplicità di scenari per eludere responsabilità in caso di previsioni molto sbagliate) portano al risultato che rimestare fra i dati e le previsioni della IEA per i prossimi anni comporti sempre una certa fatica. Tuttavia, dato che si tratta di un documento centrale nelle discussioni sul cambiamento politico e che i dati inventariati contenuti nel rapporto (le sue previsioni sul futuro sono altra cosa) sono di fatto di buona qualità, si rende necessario prendersi un certo tempo e leggere il rapporto, salvando alcune conclusioni che si annidano nel rapporto stesso che a volte sono importanti e che la IEA comunica in modo aperto ma non pubblicizzato. Come negli anni precedenti, esporrò nelle prossime righe una revisione preliminare degli aspetti più salienti che ho trovato ad una lettura rapida del WEO 2015, lasciando a post successivi lo sviluppo di qualche aspetto che credo valga la pensa di evidenziare.
Come sempre, la IEA distingue vari scenari. Ci sono i tre fondamentali: Politiche Attuali (Current Policies), Nuove Politiche (New Policies) e 450 ppm. Lo scenario della Politiche Attuali descrive come ci si aspetta che evolvano le cose se continuiamo con le attuali tendenze, lo scenario Nuove Politiche è l'evoluzione attesa se si implementano le politiche annunciate dagli Stati e 450 ppm è come evolverebbero le cose se il mondo si impegnasse a fare uno sforzo per evitare che la concentrazione di CO2 nell'atmosfera giunga ad essere di 450 parti per milione. Le Politiche Attuali quindi corrispondono al BAU, mentre le Nuove Politiche corrispondono a ciò che viene considerato lo scenario più probabile ed è pertanto lo scenario di riferimento. 450 ppm sta lì per mostrare cosa si potrebbe fare se volessimo, ma ovviamente nessuno crede che verrà implementato nemmeno lontanamente. A questi scenari si aggiungono diversi sotto-scenari, in concreto quelli che fanno riferimento all'evoluzione prevista del prezzo del petrolio (vedere più in basso).
Secondo la sintesi del rapporto, le questioni più rilevanti sono la forte caduta dei prezzi del petrolio, gli impegni che le nazioni stanno prendendo in tutto il mondo per ridurre le emissioni di CO2, la transizione della Cina ad un'economia ad un'economia meno intensiva in quanto a carbonio e l'ascesa energetica dell'India. Rispetto ai prezzi del petrolio ci viene detto che dovrebbero salire nei prossimi anni, ma che se non lo fanno possiamo avere problemi di incertezza dell'offerta. Andiamo, non hanno nessuna idea di quello che succederà, il che è logico, perché non capiscono nemmeno quello che sta succedendo ora. Nella sintesi ci dicono anche che aumenterà il consumo di gas naturale, mentre si pensa che il carbone avrà “tempi turbolenti di fronte a sé”. Nella sintesi non manca una certa dose di tecno-ottimismo, fede nelle rinnovabili e di lode all'efficienza. E termina con un appello a sforzarsi di più per evitare un riscaldamento del pianeta di più di 2°C (la prima volta che la IEA ha fatto questo un famoso quotidiano spagnolo ha titolato : “La IEA si converte al credo rinnovabile”).
Una delle parole più ripetute in questo WEO: peak (picco, massimo di produzione o di domanda di qualcosa), La cosa interessante non è che questa parola viene ripetuta molto di più che in altri WEO, ma nel contesto in cui viene citata. Sempre riferendosi allo scenario di riferimento (Nuove Politiche), si parla del fatto che la UE sia giunta al proprio picco della domanda di gas ed anche che l'OCSE nel suo insieme giungerà al proprio massimo della domanda di energia verso il 2020 (senza considerare che senza energia non c'è crescita). Si dice anche che i paesi produttori di petrolio non OPEC giungeranno al loro picco prima del 2020 (un modo amabile di dire che ci si trovano già e che sfumano dicendo “a causa del disinvestimento in esplorazione e sviluppo”, come se si potesse scollegare dalla dinamica propria dal peak oil). La parola “peak” viene utilizzata anche molto in abbinamento alla parola “Cina”; per esempio, ci viene detto che la domanda cinese di carbone giungerà al suo massimo verso il 2020, che la produzione industriale cinese sta giungendo già al suo massimo (per concentrarsi a partire da ora sui servizi, secondo la IEA, contro tutte le evidenze di recessione nel paese asiatico) e che la sua popolazione lo farà verso il 2030, per essere superata allora da quella dell'India come paese più popolato del mondo. Rispetto agli Stati Uniti, il WEO riconosce che la produzione di gas di scisto (questo meraviglioso El Dorado che ci veniva promesso cinque anni fa) giungerà al suo picco nel 2020 e, in quanto al petrolio di scisto, non escludono che giunga al proprio massimo nello stesso periodo (ipotizzando, pertanto, che lo specchietto per le allodole del fracking giunga alla sua fine). C'è anche una frase provocatoria circa la possibilità che la generazione fotovoltaica sia giunta al suo massimo in Europa (pagine 359) che analizzeremo più tardi. Ma la frase più distruttiva che ho trovato riferita a massimi di domanda o produzione si trova a pagina 56, quando si afferma che “la domanda globale congiunta di petrolio e carbone giungerà al suo massimo nel 2020 per poi entrare in un chiaro declino, mentre l'uso del gas naturale lo compenserà solo fino al 2030”. Tenendo conto della grande dipendenza cinese dal carbone e di tutto il mondo rispetto al petrolio e che si sta parlando di un periodo veramente breve senza si siano realmente prodotti progressi sostanziali per la sostituzione di entrambe le materie prime, ci porta a pensare che questo sia il modo più digeribile che ha la IEA per dirci che non è il picco petrolio, ma del picco dei combustibili fossili ad essere sulla nostra testa (in accordo con quello che veniva indicato già l'anno scorso). Come se questo non fosse troppo allarmante, la IEA ci piazza a pagina 57 una bella tavola, la 2.1, che nonostante rifletta il declino del carbone e del petrolio, sottolinea chiaramente una ripresa difficile da giustificare verso il 2040. E' che l'accettazione dei limiti è ancora un tema difficile per la IEA...
La definizione degli scenari è quella abituale, si considera che il mondo nel suo insieme continuerà a crescere a ritmi di più del 3% all'anno, anche se con una certa tendenza al rallentamento (dal 3,8% del 2030 al 3,1% del 2040). La OCSE crescerà meno del resto del mondo, al di sotto del 2% alla fine del periodo (il che ha interpretazioni interessanti in termini di creazione di lavoro, compreso da una prospettiva economica classica). Il WEO fa una curiosa disquisizione riguardo al fatto che le economie si stanno decarbonizzando, ogni volta si osserva che in tutto il mondo l'intensità energetica (kw·h di energia consumata per ogni dollaro di PIL prodotto) sta migliorando, Come varie volte abbiamo commentato in questo blog, questa approssimazione equivale a prendere fischi per fiaschi e fare di necessità virtù, visto che in epoche di crisi come questa le prime attività economiche ad essere abbandonate sono quelle meno redditizie, le quali di solito sono quelle coi costi energetici maggiori e di altro tipo, per cui l'intensità energetica migliora relativamente, è sicuro, ma ma a discapito della distruzione di attività ed impiego, il che non sembra una notizia tanto buona se viene posta in questo modo. La definizione degli scenari finisce con le classiche lodi ai progressi tecnologici che concedono il futuro, anche se qui l'immaginazione sembra essersi esaurita visto che praticamente si menzionano gli stessi progressi “in arrivo” degli ultimi decenni.
Passiamo all'analisi dello scenario centrale della IEA. Richiamano l'attenzione il riconoscimento della stagnazione del consumo delle due fonti principali di energia del mondo (petrolio e carbone), anche quando si volesse mascherare qualcosa di finto e cercato. Leggendo il rapporto apprendiamo che la IEA prevede che il consumo di petrolio negli Stati Uniti e nella UE diminuisca, per entrambi, di circa 4 milioni di barili al giorno (Mb/g), il che rappresenta qualcosa di più del 20% del consumo attuale nel caso dei primi e intorno al 30% nel caso della seconda. Perché si verifichi una tale diminuzione senza che abbia luogo una debacle economica si ipotizza che soprattutto il gas naturale, ma anche le rinnovabili, li sostituiranno parzialmente (peccato che il picco del gas, anche se un po' più lontano di quelli probabilmente già passati di petrolio e carbone, non lo sia poi tanto: probabilmente nel 2020). In ogni caso, in realtà la IEA si sta avvicinando, senza saperlo, alle posizioni dei difensori dell'economia di stato stazionario, come mostra il seguente grafico sull'evoluzione della domanda di energia prevista per alcuni paesi e regioni in funzione dell'evoluzione prevista del loro PIL (più che altro desiderata):
Come vedete, il pronostico della IEA è che tanto la UE quanto gli Stati Uniti riducano, anche se in modo graduale, il loro consumo di energia nei prossimi decenni (nel caso degli Stati Uniti il consumo di energia primaria si manterrebbe praticamente costante, mentre nel caso dell'Europa scenderebbe dai 1.760 Mtoe nel 2013 ai 1554 Mtoe nel 2040, una diminuzione del 12%). Per essere politicamente corretto, fanno ciò mentre si muovono graziosamente verso la destra dell'asse del PIL, cioè, consumano meno energia ma producono più PIL. Purtroppo, un tale fenomeno (una forte diminuzione negli anni del consumo energetico accompagnata da un vigoroso aumento del PIL) non si è mai vista su questo pianeta, pertanto è un'ipotesi straordinaria che la IEA dovrebbe giustificare. La questione è semplice: anche i modelli più ritoccati dalla IEA dicono che non c'è energia disponibile sufficiente perché il consumo di energia aumenti in tutto il mondo, per cui è stato introdotto una variabile spettacolare di miglioramento dell'intensità energetica attraverso il progresso tecnologico inarrestabile per presentare dei dati politicamente digeribili. La realtà è che il futuro che viene dipinto per l'occidente (compreso il Giappone, per il quale la diminuzione del consumo di energia primaria prevista è del 10%) non è affatto lusinghiero e lo sarà ancora meno quando più paesi produttori cadranno nel fallimento petrolifero.
Anche se non è niente di nuovo, la IEA identifica chiaramente che la produzione di petrolio nei paesi non OPEC è giunta al suo peak oil, pertanto prevede un moderato declino (e quindi poco credibile) per i prossimi anni (vedete la figura più in basso). Nel caso dell'OPEC, prevede un aumento sostanziale che compenserebbe con aumenti la diminuzione dei non OPEC; da questo grafico la cosa da evidenziare è che considerano che l'Arabia Saudita si manterrà praticamente costante e se ci fate caso vedrete che questo aumento poggia, ancora una volta, sul fatto che alla fine venga mantenuta la sempre disattesa promessa dell'Iraq (e ciò nonostante che nel testo si riconosca che la presenza del ISIS sul terreno sia un grave problema). Naturalmente la IEA ipotizza che se la produzione non aumenta più è per i problemi di investimento, cosa che potrebbe essere anche peggiore se, appunto, non si fanno gli investimenti necessari.
Quindi non è strano che in altre parti del rapporto si insista tanto sul fatto che bisogna ridurre le sovvenzioni ai combustibili fossili, “che alleggeriscono il loro costo”. Dando uno sguardo alla tavola 2.3 di pagina 99, dove vengono indicate alcune recenti riduzioni dei sussidi al consumo di combustibili fossili, vediamo che la maggioranza delle riforme corrispondono a paesi produttori di petrolio. Ciò rende chiaro a cosa si riferisce la IEA con l'eliminazione dei sussidi dei combustibili fossili: si pretende che nei paesi produttori si paghi coi prezzi internazionali, di modo che noi, i paesi consumatori, possiamo optare anche di comprare il petrolio che ora viene consumato internamente a quei paesi. Un esercizio di cinismo, si potrebbe dire.
Del resto del capitolo sul petrolio, evidenzio la tavola 3.5 di pagina 134, che mi servirà per la nuova edizione de “Il tramonto del petrolio” (il cui confronto con l'edizione del 2014 promette di essere molto interessante). Evidenzio anche il grafico seguente sull'investimento in investigazione e sviluppo a seconda del tipo di società, che credo rifletta bene la debacle del settore che si intuiva già nel post “L'illogica finanziaria".
Cari lettori,
il rapporto annuale per eccellenza nel mondo dell'energia, il World Energy Outlook (WEO), pubblicato ogni anno dalla IEA in questo periodo, è stato appena presentato a Parigi lo scorso 10 novembre. Si tratta, come sempre, di un rapporto voluminoso (718 pagine, quest'anno) in cui l'agenzia commissionata dall'OCSE perché consigli i governi degli stati membri in materia di politica energetica ci dà i dettagli di quali sono gli scenari di futuro sull'evoluzione dell'energia e dell'economia nei prossimi decenni. Date le caratteristiche del rapporto (numerosissime statistiche, previsioni non contestualizzate storicamente, poca tracciabilità della veridicità o non veridicità delle edizione passate, testo ampolloso e molto esteso, eccesso di focalizzazione su alcuni dettagli poco importanti e scarso accento su altri più rilevanti, uso deliberato di un linguaggio di basso profilo e molteplicità di scenari per eludere responsabilità in caso di previsioni molto sbagliate) portano al risultato che rimestare fra i dati e le previsioni della IEA per i prossimi anni comporti sempre una certa fatica. Tuttavia, dato che si tratta di un documento centrale nelle discussioni sul cambiamento politico e che i dati inventariati contenuti nel rapporto (le sue previsioni sul futuro sono altra cosa) sono di fatto di buona qualità, si rende necessario prendersi un certo tempo e leggere il rapporto, salvando alcune conclusioni che si annidano nel rapporto stesso che a volte sono importanti e che la IEA comunica in modo aperto ma non pubblicizzato. Come negli anni precedenti, esporrò nelle prossime righe una revisione preliminare degli aspetti più salienti che ho trovato ad una lettura rapida del WEO 2015, lasciando a post successivi lo sviluppo di qualche aspetto che credo valga la pensa di evidenziare.
Come sempre, la IEA distingue vari scenari. Ci sono i tre fondamentali: Politiche Attuali (Current Policies), Nuove Politiche (New Policies) e 450 ppm. Lo scenario della Politiche Attuali descrive come ci si aspetta che evolvano le cose se continuiamo con le attuali tendenze, lo scenario Nuove Politiche è l'evoluzione attesa se si implementano le politiche annunciate dagli Stati e 450 ppm è come evolverebbero le cose se il mondo si impegnasse a fare uno sforzo per evitare che la concentrazione di CO2 nell'atmosfera giunga ad essere di 450 parti per milione. Le Politiche Attuali quindi corrispondono al BAU, mentre le Nuove Politiche corrispondono a ciò che viene considerato lo scenario più probabile ed è pertanto lo scenario di riferimento. 450 ppm sta lì per mostrare cosa si potrebbe fare se volessimo, ma ovviamente nessuno crede che verrà implementato nemmeno lontanamente. A questi scenari si aggiungono diversi sotto-scenari, in concreto quelli che fanno riferimento all'evoluzione prevista del prezzo del petrolio (vedere più in basso).
Secondo la sintesi del rapporto, le questioni più rilevanti sono la forte caduta dei prezzi del petrolio, gli impegni che le nazioni stanno prendendo in tutto il mondo per ridurre le emissioni di CO2, la transizione della Cina ad un'economia ad un'economia meno intensiva in quanto a carbonio e l'ascesa energetica dell'India. Rispetto ai prezzi del petrolio ci viene detto che dovrebbero salire nei prossimi anni, ma che se non lo fanno possiamo avere problemi di incertezza dell'offerta. Andiamo, non hanno nessuna idea di quello che succederà, il che è logico, perché non capiscono nemmeno quello che sta succedendo ora. Nella sintesi ci dicono anche che aumenterà il consumo di gas naturale, mentre si pensa che il carbone avrà “tempi turbolenti di fronte a sé”. Nella sintesi non manca una certa dose di tecno-ottimismo, fede nelle rinnovabili e di lode all'efficienza. E termina con un appello a sforzarsi di più per evitare un riscaldamento del pianeta di più di 2°C (la prima volta che la IEA ha fatto questo un famoso quotidiano spagnolo ha titolato : “La IEA si converte al credo rinnovabile”).
Una delle parole più ripetute in questo WEO: peak (picco, massimo di produzione o di domanda di qualcosa), La cosa interessante non è che questa parola viene ripetuta molto di più che in altri WEO, ma nel contesto in cui viene citata. Sempre riferendosi allo scenario di riferimento (Nuove Politiche), si parla del fatto che la UE sia giunta al proprio picco della domanda di gas ed anche che l'OCSE nel suo insieme giungerà al proprio massimo della domanda di energia verso il 2020 (senza considerare che senza energia non c'è crescita). Si dice anche che i paesi produttori di petrolio non OPEC giungeranno al loro picco prima del 2020 (un modo amabile di dire che ci si trovano già e che sfumano dicendo “a causa del disinvestimento in esplorazione e sviluppo”, come se si potesse scollegare dalla dinamica propria dal peak oil). La parola “peak” viene utilizzata anche molto in abbinamento alla parola “Cina”; per esempio, ci viene detto che la domanda cinese di carbone giungerà al suo massimo verso il 2020, che la produzione industriale cinese sta giungendo già al suo massimo (per concentrarsi a partire da ora sui servizi, secondo la IEA, contro tutte le evidenze di recessione nel paese asiatico) e che la sua popolazione lo farà verso il 2030, per essere superata allora da quella dell'India come paese più popolato del mondo. Rispetto agli Stati Uniti, il WEO riconosce che la produzione di gas di scisto (questo meraviglioso El Dorado che ci veniva promesso cinque anni fa) giungerà al suo picco nel 2020 e, in quanto al petrolio di scisto, non escludono che giunga al proprio massimo nello stesso periodo (ipotizzando, pertanto, che lo specchietto per le allodole del fracking giunga alla sua fine). C'è anche una frase provocatoria circa la possibilità che la generazione fotovoltaica sia giunta al suo massimo in Europa (pagine 359) che analizzeremo più tardi. Ma la frase più distruttiva che ho trovato riferita a massimi di domanda o produzione si trova a pagina 56, quando si afferma che “la domanda globale congiunta di petrolio e carbone giungerà al suo massimo nel 2020 per poi entrare in un chiaro declino, mentre l'uso del gas naturale lo compenserà solo fino al 2030”. Tenendo conto della grande dipendenza cinese dal carbone e di tutto il mondo rispetto al petrolio e che si sta parlando di un periodo veramente breve senza si siano realmente prodotti progressi sostanziali per la sostituzione di entrambe le materie prime, ci porta a pensare che questo sia il modo più digeribile che ha la IEA per dirci che non è il picco petrolio, ma del picco dei combustibili fossili ad essere sulla nostra testa (in accordo con quello che veniva indicato già l'anno scorso). Come se questo non fosse troppo allarmante, la IEA ci piazza a pagina 57 una bella tavola, la 2.1, che nonostante rifletta il declino del carbone e del petrolio, sottolinea chiaramente una ripresa difficile da giustificare verso il 2040. E' che l'accettazione dei limiti è ancora un tema difficile per la IEA...
La definizione degli scenari è quella abituale, si considera che il mondo nel suo insieme continuerà a crescere a ritmi di più del 3% all'anno, anche se con una certa tendenza al rallentamento (dal 3,8% del 2030 al 3,1% del 2040). La OCSE crescerà meno del resto del mondo, al di sotto del 2% alla fine del periodo (il che ha interpretazioni interessanti in termini di creazione di lavoro, compreso da una prospettiva economica classica). Il WEO fa una curiosa disquisizione riguardo al fatto che le economie si stanno decarbonizzando, ogni volta si osserva che in tutto il mondo l'intensità energetica (kw·h di energia consumata per ogni dollaro di PIL prodotto) sta migliorando, Come varie volte abbiamo commentato in questo blog, questa approssimazione equivale a prendere fischi per fiaschi e fare di necessità virtù, visto che in epoche di crisi come questa le prime attività economiche ad essere abbandonate sono quelle meno redditizie, le quali di solito sono quelle coi costi energetici maggiori e di altro tipo, per cui l'intensità energetica migliora relativamente, è sicuro, ma ma a discapito della distruzione di attività ed impiego, il che non sembra una notizia tanto buona se viene posta in questo modo. La definizione degli scenari finisce con le classiche lodi ai progressi tecnologici che concedono il futuro, anche se qui l'immaginazione sembra essersi esaurita visto che praticamente si menzionano gli stessi progressi “in arrivo” degli ultimi decenni.
Passiamo all'analisi dello scenario centrale della IEA. Richiamano l'attenzione il riconoscimento della stagnazione del consumo delle due fonti principali di energia del mondo (petrolio e carbone), anche quando si volesse mascherare qualcosa di finto e cercato. Leggendo il rapporto apprendiamo che la IEA prevede che il consumo di petrolio negli Stati Uniti e nella UE diminuisca, per entrambi, di circa 4 milioni di barili al giorno (Mb/g), il che rappresenta qualcosa di più del 20% del consumo attuale nel caso dei primi e intorno al 30% nel caso della seconda. Perché si verifichi una tale diminuzione senza che abbia luogo una debacle economica si ipotizza che soprattutto il gas naturale, ma anche le rinnovabili, li sostituiranno parzialmente (peccato che il picco del gas, anche se un po' più lontano di quelli probabilmente già passati di petrolio e carbone, non lo sia poi tanto: probabilmente nel 2020). In ogni caso, in realtà la IEA si sta avvicinando, senza saperlo, alle posizioni dei difensori dell'economia di stato stazionario, come mostra il seguente grafico sull'evoluzione della domanda di energia prevista per alcuni paesi e regioni in funzione dell'evoluzione prevista del loro PIL (più che altro desiderata):
Come vedete, il pronostico della IEA è che tanto la UE quanto gli Stati Uniti riducano, anche se in modo graduale, il loro consumo di energia nei prossimi decenni (nel caso degli Stati Uniti il consumo di energia primaria si manterrebbe praticamente costante, mentre nel caso dell'Europa scenderebbe dai 1.760 Mtoe nel 2013 ai 1554 Mtoe nel 2040, una diminuzione del 12%). Per essere politicamente corretto, fanno ciò mentre si muovono graziosamente verso la destra dell'asse del PIL, cioè, consumano meno energia ma producono più PIL. Purtroppo, un tale fenomeno (una forte diminuzione negli anni del consumo energetico accompagnata da un vigoroso aumento del PIL) non si è mai vista su questo pianeta, pertanto è un'ipotesi straordinaria che la IEA dovrebbe giustificare. La questione è semplice: anche i modelli più ritoccati dalla IEA dicono che non c'è energia disponibile sufficiente perché il consumo di energia aumenti in tutto il mondo, per cui è stato introdotto una variabile spettacolare di miglioramento dell'intensità energetica attraverso il progresso tecnologico inarrestabile per presentare dei dati politicamente digeribili. La realtà è che il futuro che viene dipinto per l'occidente (compreso il Giappone, per il quale la diminuzione del consumo di energia primaria prevista è del 10%) non è affatto lusinghiero e lo sarà ancora meno quando più paesi produttori cadranno nel fallimento petrolifero.
Anche se non è niente di nuovo, la IEA identifica chiaramente che la produzione di petrolio nei paesi non OPEC è giunta al suo peak oil, pertanto prevede un moderato declino (e quindi poco credibile) per i prossimi anni (vedete la figura più in basso). Nel caso dell'OPEC, prevede un aumento sostanziale che compenserebbe con aumenti la diminuzione dei non OPEC; da questo grafico la cosa da evidenziare è che considerano che l'Arabia Saudita si manterrà praticamente costante e se ci fate caso vedrete che questo aumento poggia, ancora una volta, sul fatto che alla fine venga mantenuta la sempre disattesa promessa dell'Iraq (e ciò nonostante che nel testo si riconosca che la presenza del ISIS sul terreno sia un grave problema). Naturalmente la IEA ipotizza che se la produzione non aumenta più è per i problemi di investimento, cosa che potrebbe essere anche peggiore se, appunto, non si fanno gli investimenti necessari.
Quindi non è strano che in altre parti del rapporto si insista tanto sul fatto che bisogna ridurre le sovvenzioni ai combustibili fossili, “che alleggeriscono il loro costo”. Dando uno sguardo alla tavola 2.3 di pagina 99, dove vengono indicate alcune recenti riduzioni dei sussidi al consumo di combustibili fossili, vediamo che la maggioranza delle riforme corrispondono a paesi produttori di petrolio. Ciò rende chiaro a cosa si riferisce la IEA con l'eliminazione dei sussidi dei combustibili fossili: si pretende che nei paesi produttori si paghi coi prezzi internazionali, di modo che noi, i paesi consumatori, possiamo optare anche di comprare il petrolio che ora viene consumato internamente a quei paesi. Un esercizio di cinismo, si potrebbe dire.
Del resto del capitolo sul petrolio, evidenzio la tavola 3.5 di pagina 134, che mi servirà per la nuova edizione de “Il tramonto del petrolio” (il cui confronto con l'edizione del 2014 promette di essere molto interessante). Evidenzio anche il grafico seguente sull'investimento in investigazione e sviluppo a seconda del tipo di società, che credo rifletta bene la debacle del settore che si intuiva già nel post “L'illogica finanziaria".
In questo WEO c'è tutto un capitolo dedicato all'analisi di quello che succederebbe se i prezzi del petrolio in particolare, ma anche delle materie prime in generale, si mantenessero bassi. Per la IEA, l'evoluzione del prezzo del petrolio risponde a fattori intrinseci: c'è un eccesso di offerta o un deficit di domanda, ma nella visione della IEA ciò non dipende per niente dall'energia stessa, ma si tratta di un fatto isolato e, se volete, fortuito di compratori e venditori. Per la IEA, l'unica cosa che può accadere è che siamo di fronte ad un tipico ciclo di mercato o meglio che si stanno producendo cambiamenti strutturali profondi, frutto del desiderio della società di ridurre le emissioni di CO2 ed essere più efficienti, che si stanno materializzando grazie alla tecnologia sopraggiunta convenientemente per facilitarlo. Ovviamente, non considera la possibilità che quello che sta succedendo è che l'energia è sempre meno disponibile e che è impossibile trovare un prezzo che convenga sia ai compratori che ai venditori (il che origina la spirale di distruzione dell'offerta – distruzione della domanda tante volte commentata su questo blog), pertanto una grande volatilità dei prezzi. Insomma, non capisce quali processi stanno avendo luogo, quindi si sentono incapaci di prevedere quale sarà il corso futuro del prezzo del petrolio. Per questo hanno deciso di aprire uno scenario alternativo a quello di riferimento, denominato “Prezzi bassi”. Perlomeno nella IEA sono in grado di identificare correttamente che i prezzi bassi pregiudicano l'investimento in esplorazione e sviluppo di nuovi giacimenti (dal 2014 al 2015 l'investimento è diminuito di un 20%) e di fatto nella loro sintesi indicano che ci possono essere rischi di sicurezza energetica importanti se la situazione non si corregge, visto che al mancare dell'investimento si mette in pericolo la fornitura futura. Vale la pene di fare un inciso qui per evidenziare la scarsa qualità dell'informazione giornalistica in Spagna: i quotidiani spagnoli hanno sottaciuto questa situazione, quella del rischio di fornitura di petrolio futuro, quando questa viene menzionata anche nel titolo della sintesi consegnata alla stampa; i quotidiani spagnoli parlano solo del fatto che il barile di petrolio potrebbe valere 80 dollari nel 2040, senza tenere conto che ciò è riferito in concreto ad un sotto-scenario (vedete la figura qui in basso: di fatto, nello scenario di riferimento il barile costerebbe più di 130 dollari nel 2040) e non essendo questo il messaggio più evidenziato dalla stessa IEA.
Il resto del capitolo sullo scenario dei prezzi bassi non vale troppo la pena di essere letto: la IEA crede che in quel caso tutto il mondo adatterebbe i suoi costi (compresi gli Stati, che dovrebbero conformarsi al fatto di chiedere meno imposte), un'analisi della rapidità con cui possono rispondere i paesi produttori alla necessità di immettere più petrolio nel mercato (un proposito contorto per evitare di parlare della classica, ed ora praticamente inesistente, capacità produttiva inutilizzata) ed una serie di disquisizioni sul costo produttivo del tight oil e sul suo ruolo come “flessibilizzatore del mercato”, che a me sono sembrate abbastanza inconsistenti, ma che servono alla IEA per salvare la faccia, tenendo conto di quanto la IEA abbia lodato questo petrolio nei sui precedenti WEO. Per riassumere una lunga discussione, la IEA considera che in media il tight oil è redditizio a partire dai 60 dollari al barile (lontano dai 90-100 che considera Art Berman, per esempio).
Il capitolo successivo è dedicato al gas naturale, nonostante non sia la seconda fonte di energia del mondo ma la terza. La ragione è che il gas naturale ha ancora la capacità di incrementare la propria produzione, contrariamente a quello che sta succedendo al petrolio ed al carbone, anche se già nella sintesi del capitolo ci viene detto che la sua produzione aumenta a ritmi più moderati (probabile sintomo del fatto che il picco del gas non è tanto lontano come piacerebbe loro). Richiama l'attenzione l'assenza, in tutto il capitolo, di una discussione specifica di come i prezzi bassi delle materie prime possono finire per condizionare la produzione di gas naturale. Per la IEA, il futuro del gas è brillante e lo attende una forte e continua ascesa del suo consumo fino al 2040 (dev'essere così se si deve compensare la stagnazione secolare – o meglio la discesa, ma questo non lo possono riconoscere – di petrolio e carbone). Il capitolo discute le tendenze delle diverse regioni, con alcune annotazioni interessanti (che in Russia il gas naturale rappresenta già il 55% di tutta l'energia primaria consumata, o che in Europa non si attende che i livelli di consumo tornino ai valori del 2007, principalmente per la diminuzione della domanda di elettricità). Ci sono affermazioni abbastanza audaci, come per esempio che l'offerta di gas naturale della Russia non è limitata da questioni di produzione (quando tutto indica che è arrivata al suo picco del gas) ma perché i suoi mercati sono saturati e la domanda (soprattutto interna e della UE) non aumenta. Questa visione è abbastanza scioccante, tenendo conto che, come indicavamo prima, la IEA si aspetta una discesa energetica in Europa, ma con un aumento del PIL. Non sembra contemplare che nel caso in cui l'Europa non raggiunga questi meravigliosi miglioramenti di efficienza dovrà cercare una qualche energia di cui rifornirsi e il carbone e i petrolio non hanno corso. Dall'altra parte, avendo la Russia una immensa frontiera con la Cina, che ha un grande interesse a decarbonizzarsi ed ha già firmato forti accordi commerciali per accedere al gas russo e che eventualmente l'India potrebbe avere interesse ad aggiungersi a questo mercato, si direbbe che o gli analisti della IEA hanno una visione molto tendenziosa del mercato russo o è perfettamente consapevole del fatto che la produzione di gas russo ha raggiunto il vertice, ma non deve cercare scuse per giustificarlo. La figura 5.5 conferma questa impressione, nella quale si ricorre al vecchio trucco di usare percentuali di partecipazione alla produzione (in questo caso, delle diverse regioni russe) per cercare di camuffare il fatto che la regione attualmente più importante (la Siberia occidentale) è in declino.
Evidenzio, per ultimo, che si enfatizza il ruolo potenziale dell'Iran nel mercato del gas nei prossimi decenni, rafforzando anche il messaggio nello stesso senso espresso nel capitolo sul petrolio.
Non contento di dedicare un capitolo al gas naturale, il WEO 2015 ci offre un altro capitolo completo sulle prospettive del gas non convenzionale, che si presenta sotto la domanda: “Rivoluzione globale o fenomeno nordamericano?” Come abbiamo già discusso tempo fa il petrolio sfruttabile col fracking è solo marginalmente redditizio e con un rendimento decrescente nel tempo, mentre lo sfruttamento del gas i rocce non porose mediante fracking è sempre rovinoso ed è giustificato solo dall'abuso della condizione di valuta di riserva di cui gode il dollaro, la quale permette agli Stati Uniti di importare energia incorporata (energia grigia, ndt) nei materiali elaborati comprati all'estero, esportando nello stesso processo l'inflazione che causa le misure di espansione quantitativa. Insistere, come fa la IEA, sul fatto che è necessario migliorare i quadri normativi della maggior parte dei paesi per favorire l'arrivo di una nuova era d'oro del gas (come la chiamano da tre anni) sa più di autoinganno che di realtà. Dal momento che è effettivamente consapevole del fatto che i prezzi bassi del gas naturale condizionano, e anche in che modo, quella che chiamano “rivoluzione energetica americana”, la IEA dedica loro un'analisi, che si basa sull'assunto che continueranno a diminuire i costi e a migliorare la efficienza delle estrazioni, assumendo che alla fine si troveranno più “sweet spots” o localizzazione particolarmente favorevoli (quando in realtà queste si stanno esaurendo negli Stati Uniti e quello che rimane è sensibilmente peggiore a ciò che è stato già estratto). Segue un'analisi del potenziale della Cina (in cui li esortano ad estrarre le loro immense risorse), per poi rivisitare le sette “regole d'oro” per l'estrazione del gas naturale. C'è anche posto per la discussione delle preoccupazioni ambientali e del rischio di terremoti, ma come al solito si confida che la tecnologia risolverà tutto.
Il capitolo dedicato al carbone ha un'epigrafe abbastanza rivelatrice: “C'è mica un'altra Cina da quelle parti?”. La figura sull'evoluzione prevista per il consumo di carbone secondo gli scenari ci porta a quella che abbiamo già visto in passato per il caso delle Nuove Politiche. Qui, tuttavia, non ci viene spiegata l'origine di questo carbone, che nel caso delle Politiche Attuali implicherebbe l'apertura di un sacco di nuove miniere non identificate.
Risulta significativa la discesa brutale del consumo di energia proveniente dal carbone in tutta l'OCSE: da 1470 Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtoe) nel 2013 a 878 Mtoe nel 2040. Dato che Stati Uniti ed Australia, due dei paesi con le maggiori riserve, si trovano nell'OCSE e che la produzione dell'OCSE nel 2040 sarebbe non molto maggiore del consumo interno (1042 Mtoe), questa diminuzione presume una brusca diminuzione del consumo di carbone in Europa, come risulta chiaro nella figura 7.5 (vedete al di sotto di queste righe). Questo scenario ha un certo senso, perché anche se in Europa c'è ancora carbone, ed in condizioni di scarsità di petrolio è sicuro che si ricorrerà a questa materia prima, è anche vero che il carbone che rimane è di qualità peggiore (abbonda la lignite)e che quindi l'energia estraibile da esso non è tanta come quella delle antraciti o dei carboni minerali. Emerge anche la stagnazione della domanda della Cina (di nuovo, confondendo problemi di contrazione dell'offerta come se fossero di domanda) e la forte ascesa dell'India.
Dall'altra parte, la discussione sul prezzo futuro del carbone è abbastanza inane, visto che lo si contempla come se fosse piuttosto scollegato dal prezzo del petrolio e dell'energia in generale. Per esempio, nella discussione di pagina 288 veniamo informati del fatto che una diminuzione del prezzo del petrolio del 30% si ripercuote solo in una riduzione dei costi di gestione delle miniere di carbone fra il 2 e il 10%. Lasciando da parte che forbice della variazione dei costi della stessa è abbastanza ampia e che la risposta di questi costi ai cambiamenti del prezzo del petrolio saranno sicuramente poco lineari, soprattutto per i prezzi del petrolio alti, la piroetta retorica della IEA occulta il fatto che, nell'estrazione del carbone, una parte molto considerevole del costo del carbone è associato al suo trasporto e non solo ai costi di gestione delle miniere. Bisogna dire, inoltre, che la valutazione che fa della sensibilità dei costi di gestione del carbone al prezzo del petrolio la ottiene confrontando la situazione del primo trimestre del 2014 (con prezzi del petrolio a 100 dollari al barile) con quella dell'ultimo trimestre del 2014 (con prezzi a meno di 50 dollari a barile di petrolio), il che è abbastanza assurdo, dato che non si tratta di una situazione stazionaria, gli acquisti di petrolio si fanno a tre mesi, vista la propagazione dei cambiamenti del prezzo del petrolio per tutta la catena produttiva impiega mesi, ecc.
Risulta interessante anche la figura 7.11, nella quale ci viene mostrato che la produzione di carbone negli Stati Uniti (paese che ha un quarto delle riserve mondiali) è in declino, secondo il punto di vista della IEA a causa di una diminuzione della domanda.
Il resto del capitolo non aggiunge molto alle questioni qui discusse. C'è una parte in cui ci viene spiegato quanto sono abbondanti le riserve di carbone (come se fosse quella la variabile realmente importante e non la produzione), una discussione sul ruolo dei diversi produttori e poco altro.
I riferimenti all'energia nucleare sono numerosi anche se molto brevi in tutto questo WEO 2015. Tuttavia la discussione circa l'uranio nel WEO 2015 è di una brevità scandalosa. E certo che la discussione di questa risorsa non è mai stata molto dettagliata, ma questo WEO supera tutti i limiti di ragionevolezza: a parte una discussione sulle riserve dell'India nel capitolo dedicato a questo paese, il solo riferimento all'uranio si concentra in un breve paragrafo della pagina 80, che traduco per intero qui di seguito:
“Le risorse identificate di uranio sono più che sufficienti a coprire le necessità del mondo fino al 2040. Si stima che siano sufficienti a coprire le richieste globali per più di 120 anni ai ritmi di consumo del 2012 (NEA/IAEA, 2014)”.
Questa nota brevissima contrasta con l'informazione che ci dava il WEO dello scorso anno, nel quale si riconosceva che ci potevano essere problemi di fornitura già nel 2025 e questo ipotizzando che i nuovi progetti delle miniere entrassero in funzione in tempo. La chiave si trova, come sempre, nel fatto che alludendo alle risorse si elude di parlare di quello che conta realmente, che è la produzione, continuando con il vecchio errore economicista secondo cui qualsiasi risorse può essere stratta economicamente al ritmo che più ci aggrada. Questa omissione enorme riguardo all'uranio, e in generale il tono basso che viene dato nel rapporto all'energia nucleare, fa pensare che l'attuale crisi delle materie prime sta condizionando anche l'uranio, il che implica che le miniere previste ritarderanno, pertanto probabilmente i problemi di scarsità sopraggiungeranno prima del previsto, cioè prima del 2025. Restate sintonizzati, poiché con l'uranio che abbiamo già tre materie prime energetiche (petrolio, carbone ed uranio) che sono entrate in fase di declino o sono sul punto di farlo.
Il WEO dedica anche un capitolo intero alla generazione elettrica. Ci è chiaro che è attesa una crescita della capacità installata del 71% da qui al 2040 (da 6.170 Gw a 10.570 Gw) e che la maggior parte di questa crescita proverrà dalle rinnovabili. Nella sintesi si gioca molto coi cambiamenti di percentuali (ci viene detto che il carbone passerà dall'essere il 41% della generazione di oggi al 30% nel 2040) e non è che arrivando alla tavola 8.2 che ci possiamo fare un'idea più chiara di ciò di cui si sta parlando.
Li ci rendiamo conto che se anche le rinnovabili non idroelettriche crescono con molta forza (un aumento di quasi 6.000 Tw·h annuali), in realtà il consumo di tutto il resto cresce a sua volta molto: 2.200 Tw·h annuali per il carbone, 4.000 per il gas naturale, 2.200 per il nucleare e 2.500 per l'energia idroelettrica. Il che è curioso, poiché implica un aumento considerevole del consumo di carbone (considerevole in volume, tenendo conto del fatto che ci resta il carbone di qualità peggiore), di uranio (molto dubbio) ed un incremento di energia idroelettrica, il che deve essere qualificato come molto ottimista. E quando si considera che le centrali hanno un tempo di vita utile e che quindi per coprire gli obbiettivi della IEA si dovranno aggiungere molte altre centrali delle tecnologie più sfruttate, e che pertanto bisogna sostituire più centrali nei prossimi 25 anni, è qui che scopriamo che in realtà ciò che si installerà di più sono le centrali termiche a gas naturale:
Un altro aspetto interessante di questo capitolo si riferisce alla discussione degli investimenti che si dovrebbero realizzare, naturalmente gigantesche, soprattutto per quanto si riferisce alle tecnologie rinnovabili (il che rende chiaro che hanno costi iniziali maggiori delle centrali a gas, per esempio). Curiosamente, quando si analizzano i costi di gestione vediamo che, di nuovo, sono più elevati nel caso delle rinnovabili, visto che sebbene non richiedano l'uso di combustibile, hanno alcuni costi finanziari molto elevati (cose che evidenzia che la loro redditività è abbastanza inferiore a quella che credono alcuni).
Il resto del capitolo corrisponde ad una (lunga) discussione sui miglioramenti di efficienza che, secondo la IEA, verranno intrapresi principalmente per quanto riguarda la generazione elettrica basata sul carbone, che spiegherebbero il fatto che si possa aumentare la generazione elettrica senza aumentare tanto le emissioni di CO2. Questa parte mi sembra più un'espressione di un desiderio che la realtà, pertanto non la vedo di grande interesse.
E veniamo infine al capitolo dedicato alle rinnovabili. La sintesi fa una lode alle rinnovabili, introducendo quando le conviene l'idroelettrico (per esempio, nell'evidenziare la percentuale attualmente generata dalle fonti rinnovabili o parlando della sua redditività) ed escludendola dall'equazione quando le rimane comodo (per esempio, quando parla di percentuali di espansione futura). Tutti questi trucchi retorici fanno pensare che siamo di fronte al trucco finale, la pietra angolare necessaria perché il WEO ottenga la quadratura del cerchio: far fronte al picco congiunto del carbone e del petrolio (e sicuramente dell'uranio), ottenere la riduzione delle emissioni di CO2 e finalmente garantire la crescita economica. La prima parte del capitolo si dedica a darci le previsioni di crescita delle diverse tecnologie. Qui c'è da evidenziare che una tecnologia rinnovabile evidenziata è la “bioenergia”, il che fondamentalmente fa riferimento alla combustione di biomassa per la generazione elettrica in una centrale termica.
Nel paragrafo riferito all'energia fotovoltaica ci troviamo di fronte a cattive notizie per gli entusiasti di questo sistema di generazione nel Vecchio Continente: secondo la IEA, in Europa il numero annuale di nuove installazioni diminuirà durante i prossimi decenni, seguendo la tendenza degli ultimi anni (vedere la figura sotto a queste righe). Ciò non significa che la quantità di installazioni diminuisca, ma che è il ritmo di crescita a rallentare, confermando una intuizione espressa qualche mese fa da Carlos de Castro. Secondo la IEA ciò è dovuto a cattive politiche (in tutti i paesi europei, compresa esplicitamente la Germania) dalle quali si spera di trarre le “buone lezioni” atte ad evitare di commettere gli stessi errori.
Pertanto è nell'eolico dove la IEA spera che si facciano le puntate più forti nell'ambito di quello che chiamano “le nuove rinnovabili”. Naturalmente, non ci si addentra a considerare che potrebbero esserci limiti alla quantità massima di energia che si può estrarre dai venti.
Nel resto del capitolo si discute una serie di questioni riguardo a chi sono i principali costruttori di pannelli fotovoltaici, di biocombustibili, di quanto CO2 si evita di emettere grazie alle rinnovabili, eccetera. Particolarmente interessante risulta l'analisi sulla competitività attuale e futura delle rinnovabili, dove si evince in modo piuttosto chiaro il tecno-ottimismo della IEA.
Il capitolo seguente è dedicato alla discussione sull'efficienza nell'uso dell'energia. E' completamente assente qualsiasi allusione a Jevons. L'unica cosa interessante di questo capitolo è che si discute anche della cosiddetta “efficienza materiale”, cioè nell'uso dei materiali.
Il resto del rapporto è dedicato all'analisi delle prospettive dell'India, con alcuni dati interessanti.
A mo di conclusione, potremmo dire che questo è il WEO del riconoscimento degli zenit, visto che sorprendentemente la IEA riconosce che ci troviamo già al massimo produttivo congiunto di petrolio e carbone, anche se lo maschera da zenit della domanda. Particolarmente grave è la sua previsione che il consumo di tutta l'energia primaria in Europa si ridurrà ancora di un 12% aggiuntivo da qui al 2040, simile alla riduzione prevista per il Giappone, mentre gli Stati Uniti non aumenteranno il loro consumo di energia. Una cosa del genere succederà, dicono, mentre nello stesso tempo il PIL aumenterà, contraddicendo tutta l'esperienza di decenni sulla relazione fra la produzione economica e l'energia.
Per i lettori incompetenti (ed anche per alcuni definiti “esperti”) conviene fare un chiarimento. Di solito si insiste sul fatto che i paesi occidentali sono riusciti a migliorare la propria intensità energetica, cioè a produrre di più per unità di energia consumata. Lasciando da parte il modo in cui è stato ottenuto questo (fondamentalmente trasferendo ad altri paesi, per esempio in Cina, la produzione dei beni che richiedono il maggior consumo di energia e che sono più inquinanti, poi importando il prodotto finito per il nostro consumo qui, pertanto in realtà aumentando in questo modo la spesa energetica per prodotto) è importante evidenziare che la relazione fra PIL e consumo di energia è sempre crescente: i paesi più “efficienti” (col trucco dell'offshoring che ho appena spiegato) producono più PIL per ogni unità di energia consumata, ma se vogliono far crescere il loro PIL devono analogamente continuare ad aumentare il consumo di energia. Non si è mai vista una relazione negativa fra consumo di energia e PIL, cosa che sarebbe fisicamente assurda (anche se per periodi molto brevi in mezzo ad una grave recessione potrebbe dare questa impressione). Di fatto, non si è nemmeno mai vista una relazione nulla (in cui il PIL cresca senza aumentare il consumo di energia). In definitiva, ciò che propone la IEA è una cosa che non si basa sulla conoscenza empirica ma su una fede infondata nel progresso tecnologico, capace di ottenere questa dematerializzazione dell'economia, quando si sa che è esattamente il contrario.
La realtà è che i dati della IEA ci dicono che attraverseremo inevitabilmente un declino energetico continuo nei prossimi decenni, perlomeno nell'OCSE, ma ci sono i segnali che questo finirà per estendersi al resto del mondo (per esempio, alla Cina). E' questo che indicano realmente i loro dati. La supposizione che in questo contesto il PIL crescerà è completamente sua e non riesce giustificarla nelle 718 pagine del rapporto. La realtà è che la IEA ci sta parlando di declino e di decrescita, ma non lo vogliono ancora accettare.
Saluti.
AMT
P.S.: L'accelerazione del momento storico, frutto del nostro inevitabile declino, segna l'agenda coi terribili attentati di oggi a Parigi. I miei pensieri sono con gli amici ed i ricordi che ho lasciato in quella bella città. Spero che il colto ed avanzato popolo francese non si faccia trascinare da nessuna follia dei demagoghi. Aujourd'hui, plus que jamais, je suis parisien.