di Jacopo Simonetta
In un precedente post ho preso spunto da un “pesce d’Aprile” pubblicato su Nature per parlare del ritorno dei draghi, non certo in quanto animali, bensì in quanto simbolo delle forze indomabili della
Natura.
Circa un mese dopo, mi sono capitati sottocchio ben tre articoli, stavolta serissimi, sull'origine e la diffusione del mito del Drago. L’autore, Julien d’Huy, uno studioso di mitologia ed archeologia africana, ha utilizzato i metodi della tassonomia statistica per costruire un’ipotesi circa l’origine e la diffusione globale del mito del Drago sulla base delle citazioni letterarie antiche e delle tradizioni dei diversi popoli. I risultati sembrano confermati dagli scarsi dati archeologici e linguistici disponibili.
Secondo l’autore, il mito avrebbe origini paleolitiche, nella forma di un serpente gigantesco capace di volare, dotato di corna e, forse, anche di capelli umani. In origine, si sarebbe trattato di uno spirito/divinità legata alle acque, in particolare alle sorgenti, e capace di scatenate tempeste. Nella ricostruzione del d’Huy, il mito avrebbe avuto origine in Africa settentrionale e si sarebbe diffuso dapprima verso est e poi in praticamente tutto il mondo, seguendo le varie ondate del popolamento umano, alla fine dell’ultimo periodo glaciale.
Naturalmente sono possibili anche altre ipotesi, ma se così effettivamente fosse, il Drago risulterebbe essere uno degli archetipi più antichi e profondi della nostra mente. Addirittura potrebbe essere nato insieme con la capacità di pensiero simbolico. Vale a dire che potrebbe essere nato con la nostra stessa specie, circa 50.000 anni or sono, e da allora nostro compagno nel bene e nel male. Un ipotesi estremamente affascinante, soprattutto alla luce dell’evoluzione che questo archetipo ha subito, particolarmente nella cultura occidentale oggi dominante a livello globale. Da sempre simbolo di forze incontrollabili, il Drago è stato infatti gradualmente demonizzato, fino a diventare simbolo stesso del Diavolo, sconfitto ed ucciso da un eroe oppure da una Vergine, a seconda delle versioni. Con il trionfo dell’illuminismo e del positivismo, i draghi sono stati accantonati nella polverosa soffitta della mitologia desueta, dove solo archeologi e scrittori stravaganti vanno a frugare, mentre i nuovi miti della Macchina, della Velocità e del Progresso davano forma e senso alla civiltà industriale. In modo definitivo, si sarebbe detto fino a pochi anni or sono e forse è davvero così, ma forse no.
Oramai da oltre un decennio, infatti, il Drago sta tornando di prepotenza nell'iconografia e nella cultura popolare attraverso immagini, giochi e narrativa, anche se spesso di mediocrissima lega. Potrebbe rivelarsi una semplice moda fra le tante, ma se invece si dimostrerà un fenomeno duraturo e radicato, potrebbe essere un indicatore del massimo interesse per antropologi e sociologi.
Oggi, infatti accanto all'immagine classica del Drago nemico e distruttore, se ne trovano altre dove il Drago viene mostrato come una forza incontrollabile, ma non necessariamente ostile. Anzi è spesso alleato dell’eroe od è esso stesso l’eroe, assurgendo perfino a simbolo di speranza. Un cambio di significato in un archetipo di tale antichità significherebbe che qualcosa di molto profondo sta cambiando nel nostro inconscio collettivo.
Certo, ipotizzare che ci troviamo all'alba di una cambio radicale nei paradigmi mentali dell’umanità sarebbe a dir poco esagerato. Ma nulla ci impedisce di pensare che ci potremmo trovare di fronte ad un “germe” della mitologia che darà sostanza e significato alle civiltà che, presumibilmente, si svilupperanno nei secoli seguenti il collasso della civiltà attuale. Se, infatti, possiamo trovare poco conforto in scienze come la Fisica, l’Ecologia o la Dinamica dei sistemi,
possiamo trovarne nell'archeologia.
Per costruire una società complessa ed una civiltà sono necessari fondamentalmente quattro soli ingredienti: suolo, acqua, biodiversità e mitologia. Coloro che oggi si occupano di resilienza danno molta importanza soprattutto ai primi due, ma anche del terzo alcuni tengono conto. Del quarto ingrediente per ora non credo che si occupi nessuno o quasi. Tuttavia, senza che neppure ce ne accorgiamo, è proprio su questo che forse stiamo facendo dei progressi interessanti.