Di Jacopo Simonetta

Il film Rapa Nui ed i libri di Jared Diamond hanno reso celebre la triste storia dell’Isola di Pasqua, spesso citata come un modello di quello che potrebbe accadere, su di una diversa scala temporale, all'intero pianeta Terra.
Certo, la possibilità di verificare su casi reali le dinamiche evolutive dei sistemi socio-economico-ambientali è vitale per capire cosa sta succedendo oggi nel mondo.
In fondo, sistemi piccoli e grandi sono soggetti alle medesime leggi fisiche ed ecologiche, ma occorre prudenza nell'estrapolazione dei risultati. Sistemi più grandi sono, infatti, anche più complessi e dispongono di maggiori riserve, per cui non si comportano mai esattamente come i sistemi relativamente più semplici che possiamo studiare in dettaglio. Una parte importante dell’evoluzione dei sistemi dipende dal loro livello di complessità, ancor più che dalla loro natura.
Tuttavia, la disponibilità di “casi di studio” relativamente semplici rimane una delle maggiori risorse per capire dinamiche specifiche ed è per questo che vorrei qui proporre un altro esempio, assai meno famoso, eppure ancor più istruttivo di quello dell’Isola di Pasqua. Si tratta infatti di una storia contemporanea che riguarda uno stato riconosciuto ed organizzato come gli altri: con bandiera, governo, parlamento, banca centrale e tutto il resto, compreso un seggio all’ONU. Però in scala: la superficie dello stato è di circa 21 Kmq e la popolazione circa 14.000 persone. Stiamo parlando dell’isola di Nauru. Una storia che trovo particolarmente interessante perché emblematica di molte dinamiche economiche, sociali ed ecologiche correlate con l’industria mineraria in tutte le parti dal mondo.
Scoperta nel 1798 dagli inglesi, fu battezzata nientemeno che “Pleasant Island”. All'epoca c’erano forse un migliaio di persone, organizzate in dodici clan che riconoscevano l’autorità di un unico capo. Le attività principali erano coltivare una terra particolarmente fertile e pescare sulla barriera corallina, che circonda interamente l’isola. Nel corso del secolo seguente, Nauru passò rapidamente di mano fra varie potenze coloniali che non sapevano che farsene, ma non senza conseguenze. La disponibilità di armi moderne, avute in scambio dai navigatori che vi facevano scalo, fu infatti all'origine della guerra civile che, nel 1870, spazzò via buona parte della popolazione.
Nel 1900 le cose cambiarono. Il geologo Albert Ellis scoprì che l’isola era ricchissima di fosfati, un minerale strategico sia per l’agricoltura che per l’industria chimica. Certo, l’escavazione ed il trasporto erano molto problematici, ma lo sfruttamento minerario dell’isola comunque iniziò e proseguì sempre, anche durante l’occupazione giapponese. L’isola fu quindi coinvolta nella seconda guerra mondiale, cui sopravvissero meno di 1000 isolani.
Terminate le ostilità, Nauru divenne un protettorato dell’Australia che, forte dei mezzi tecnici e delle fonti energetiche postbelliche, riorganizzò in modo assai più efficiente lo sfruttamento economico dei fosfati.
Nel 1968 scadeva il mandato dell’ONU e l’isola divenne uno stato indipendente, formalmente riconosciuto, malgrado le minuscole dimensioni. E la prima cosa che fece il nuovo governo fu di contrarre un grosso prestito internazionale per comprare i diritti di sfruttamento dalle compagnie minerarie australiane, neozelandesi ed inglesi che li detenevano.
In effetti, questo passaggio avvenne proprio in concomitanza con il picco di estrazione, ma noncuranti di ciò i nauruani non esitarono a contrarre dei debiti per potenziare la loro industria estrattiva e rilanciare la produzione. Per una quindicina d’anni funzionò e questo isolotto divenne il secondo paese più ricco del mondo, ai punti con l’Arabia Saudita. Per fare un solo esempio, una popolazione di poche migliaia di persone si permise il lusso, fra l’altro, di una compagnia aerea nazionale con ben sei Boeing 737 che portavano gli isolani a fare shopping in giro per il Pacifico, dalle Hawaii a Melbourne, da Hong Kong a S. Francisco.
Altre centinaia di milioni di dollari furono investite all'estero, dove il governo mise insieme un enorme patrimonio; ivi compreso un intero grattacielo, in centro ad Honolulu, per sistemarvi gli uffici che gestivano questa immensa ricchezza.
Ma alla fine degli anni ’80 la produzione tracollò e nel 2005 l’ultima miniera venne abbandonata. E con la crisi delle miniere emerse anche il bubbone delle innumerevoli truffe che gli amministratori e la gente di Nauru si erano fatti rifilare negli anni della grande sbornia collettiva.
Incapaci di mantenere il tenore di vita e gli impegni finanziari assunti, i nauruani cominciarono ad arrampicarsi sugli specchi, finendo invischiati fra mafia russa, debiti, tribunali e sanzioni internazionali. Il patrimonio mobiliare ed immobiliare, i diritti minerari, gli aerei e perfino i diritti di pesca sulle acque territoriali, tutto o quasi è finito nel buco.
Oggi Nauru è uno dei paesi più poveri del mondo e sopravvive sostanzialmente di elemosina internazionale. Le sue entrate principali derivano dalla vendita del loro voto all’ONU e dalla gestione, per conto dell’Australia, di un campo di concentramento per stranieri indesiderati.
Ma non è questa la parte più triste ed istruttiva della storia.
I giacimenti di fosfato di Nauru erano formati da depositi intrappolati fra pinnacoli di roccia calcarea molto dura, coperti da una sessantina di centimetri di suolo straordinariamente fertile. Il clima era tipicamente tropicale-umido.
Lo sfruttamento minerario ha comportato la completa asportazione della vegetazione e del suolo,
quindi lo scavo dei sedimenti ricchi in fosfati, grattando tra i pinnacoli calcarei.
Nei decenni, questo ha trasformato l’intera isola in una plaga impraticabile.
Ma non basta: la vegetazione attuale di Nauru è composta principalmente da una rada sterpaglia che è riuscita ad insediarsi negli anfratti tra le rocce delle miniere chiuse da più tempo. In quelle abbandonate più di recente non c’è praticamente niente. Di conseguenza, il sole surriscalda la superficie dell’isola, creando una colonna d’aria calda che allontana le piogge. Oggi, un isolotto tropicale in mezzo all'oceano, soffre di siccità cronica e l’acqua dolce proviene da un dissalatore che funziona nella misura in cui altri paesi hanno la condiscendenza di recapitare, via nave, carburante e pezzi di ricambio.
I diritti sulla pesca oceanica sono stati venduti ad altri per pagare parte dei debiti, e comunque i nauruani non sarebbero in grado di farla. Rimangono le acque costiere la cui fauna è stata oramai ridotta ai minimi termini dalla pesca eccessiva e dall'acidificazione del mare che sta danneggiando questa, come le altre barriere coralline. Il tentativo di lanciare i turismo in un posto così triste è ovviamente fallito.
Rimane abitabile solo una piccola zona intorno ad un laghetto ed una fascia di un paio di centinaia di metri lungo la costa. Una fascia quasi completamente edificata, che l’innalzamento del livello oceanico finirà con l’inghiottire almeno in buona parte.
Nel frattempo, dall'indipendenza ad oggi, la popolazione è raddoppiata. Per circa il 30% è costituita da immigrati che vennero per lavorare nelle miniere; per poi restare qui, non avendo i mezzi per tornare in patria.
Ma questa storia non è ancora finita. Malgrado lo stato di salute precario ed i servizi sanitari in rapida diminuzione, la popolazione continua a crescere vigorosamente, grazie all'elevata natalità. Il cibo viene quasi tutto importato ed è abbondante, anche se di pessima qualità. Una combinazione che ha dato alla gente di Nauru il dubbio primato di popolazione con la massima incidenza di obesità e di diabete del mondo.
Ma il governo non demorde e, proprio in questo momento, sta tentando di rilanciare l’estrazione dei fosfati. Si, perché il fosfato non è finito. Come normalmente succede, quelli che sono esauriti sono i giacimenti migliori; quelli che davano un buon rendimento con poco lavoro. Ma sedimenti più poveri e più profondi ci sono ancora e per sfruttarli sono stati fatti accordi con delle compagnie minerarie internazionali. Naturalmente ciò spazzerà via anche la rada sterpaglia che è ricresciuta in alcune zone e abbasserà ulteriormente l’isola, rispetto ad un oceano sempre più minaccioso. In compenso, è possibile che ci siano dei proventi, specialmente in vista del prossimo picco dei fosfati sahariani e dei deliranti progetti di sviluppo agricolo dell’Australia settentrionale. Ma anche se gli affari andassero bene per qualche tempo, saranno le compagnie a trarne profitto, non certo per gli isolani che hanno ceduto i diritti e non hanno ancora finito di pagare i debiti.
Se ora allarghiamo lo sguardo alle principali aree estrattive del Pianeta, troviamo che la storia di Nauru è una parabola di validità quasi universale. E’ vero che all'interno di paesi di taglia normale o grande le dinamiche molto più complesse comportano conseguenze meno rapide e devastanti, ma se scendiamo al livello locale, troviamo che la somiglianza è molto forte. In Canada, Cina, Stati uniti e molti altri paesi ancora, intere regioni stanno diventando dei veri inferni di voragini e cumuli di detrito, spesso irreparabilmente contaminate da sostanze tossiche e/o radioattive.
Anche nel nostro piccolo italiano troviamo, in scala, dinamiche analoghe. Personalmente, conosco bene l’industria lapidea apuana che sta arricchendo alcune decine di persone, con il sostegno incondizionato delle amministrazioni ed il disinteresse della maggior parte delle persone. Ma quando avranno finito, la gente si accorgerà che l’eredità lasciatagli saranno finanze ed infrastrutture pubbliche irreparabilmente dissestate, uno stato di calamità idrogeologica semi-permanente ed un immenso buco.
Ciò che apparentemente nessuno che conti qualcosa è in grado di capire è che l’industria è oggi un “gioco” a somma negativa in cui chi ha le manifatture vince, a spese di chi ha le miniere e le discariche. Ci sono ragioni termodinamiche e sistemiche precise perché non possa essere che così. Varie volte ne è stato trattato su questo stesso blog e da autori importanti, ma non sembra che, collettivamente, siamo in grado di fermarci.
Nel frattempo, la storia di Nauru procede. Non è ancora finita, ma lo sarà presumibilmente tra breve. Quali opzioni rimangono possibili per questo popolo che, come tanti altri, ha saputo trasformare la propria fortuna in una maledizione?

Il film Rapa Nui ed i libri di Jared Diamond hanno reso celebre la triste storia dell’Isola di Pasqua, spesso citata come un modello di quello che potrebbe accadere, su di una diversa scala temporale, all'intero pianeta Terra.
Certo, la possibilità di verificare su casi reali le dinamiche evolutive dei sistemi socio-economico-ambientali è vitale per capire cosa sta succedendo oggi nel mondo.
In fondo, sistemi piccoli e grandi sono soggetti alle medesime leggi fisiche ed ecologiche, ma occorre prudenza nell'estrapolazione dei risultati. Sistemi più grandi sono, infatti, anche più complessi e dispongono di maggiori riserve, per cui non si comportano mai esattamente come i sistemi relativamente più semplici che possiamo studiare in dettaglio. Una parte importante dell’evoluzione dei sistemi dipende dal loro livello di complessità, ancor più che dalla loro natura.
Tuttavia, la disponibilità di “casi di studio” relativamente semplici rimane una delle maggiori risorse per capire dinamiche specifiche ed è per questo che vorrei qui proporre un altro esempio, assai meno famoso, eppure ancor più istruttivo di quello dell’Isola di Pasqua. Si tratta infatti di una storia contemporanea che riguarda uno stato riconosciuto ed organizzato come gli altri: con bandiera, governo, parlamento, banca centrale e tutto il resto, compreso un seggio all’ONU. Però in scala: la superficie dello stato è di circa 21 Kmq e la popolazione circa 14.000 persone. Stiamo parlando dell’isola di Nauru. Una storia che trovo particolarmente interessante perché emblematica di molte dinamiche economiche, sociali ed ecologiche correlate con l’industria mineraria in tutte le parti dal mondo.
Scoperta nel 1798 dagli inglesi, fu battezzata nientemeno che “Pleasant Island”. All'epoca c’erano forse un migliaio di persone, organizzate in dodici clan che riconoscevano l’autorità di un unico capo. Le attività principali erano coltivare una terra particolarmente fertile e pescare sulla barriera corallina, che circonda interamente l’isola. Nel corso del secolo seguente, Nauru passò rapidamente di mano fra varie potenze coloniali che non sapevano che farsene, ma non senza conseguenze. La disponibilità di armi moderne, avute in scambio dai navigatori che vi facevano scalo, fu infatti all'origine della guerra civile che, nel 1870, spazzò via buona parte della popolazione.
Nel 1900 le cose cambiarono. Il geologo Albert Ellis scoprì che l’isola era ricchissima di fosfati, un minerale strategico sia per l’agricoltura che per l’industria chimica. Certo, l’escavazione ed il trasporto erano molto problematici, ma lo sfruttamento minerario dell’isola comunque iniziò e proseguì sempre, anche durante l’occupazione giapponese. L’isola fu quindi coinvolta nella seconda guerra mondiale, cui sopravvissero meno di 1000 isolani.
Terminate le ostilità, Nauru divenne un protettorato dell’Australia che, forte dei mezzi tecnici e delle fonti energetiche postbelliche, riorganizzò in modo assai più efficiente lo sfruttamento economico dei fosfati.
Nel 1968 scadeva il mandato dell’ONU e l’isola divenne uno stato indipendente, formalmente riconosciuto, malgrado le minuscole dimensioni. E la prima cosa che fece il nuovo governo fu di contrarre un grosso prestito internazionale per comprare i diritti di sfruttamento dalle compagnie minerarie australiane, neozelandesi ed inglesi che li detenevano.
In effetti, questo passaggio avvenne proprio in concomitanza con il picco di estrazione, ma noncuranti di ciò i nauruani non esitarono a contrarre dei debiti per potenziare la loro industria estrattiva e rilanciare la produzione. Per una quindicina d’anni funzionò e questo isolotto divenne il secondo paese più ricco del mondo, ai punti con l’Arabia Saudita. Per fare un solo esempio, una popolazione di poche migliaia di persone si permise il lusso, fra l’altro, di una compagnia aerea nazionale con ben sei Boeing 737 che portavano gli isolani a fare shopping in giro per il Pacifico, dalle Hawaii a Melbourne, da Hong Kong a S. Francisco.
Altre centinaia di milioni di dollari furono investite all'estero, dove il governo mise insieme un enorme patrimonio; ivi compreso un intero grattacielo, in centro ad Honolulu, per sistemarvi gli uffici che gestivano questa immensa ricchezza.
Ma alla fine degli anni ’80 la produzione tracollò e nel 2005 l’ultima miniera venne abbandonata. E con la crisi delle miniere emerse anche il bubbone delle innumerevoli truffe che gli amministratori e la gente di Nauru si erano fatti rifilare negli anni della grande sbornia collettiva.
Incapaci di mantenere il tenore di vita e gli impegni finanziari assunti, i nauruani cominciarono ad arrampicarsi sugli specchi, finendo invischiati fra mafia russa, debiti, tribunali e sanzioni internazionali. Il patrimonio mobiliare ed immobiliare, i diritti minerari, gli aerei e perfino i diritti di pesca sulle acque territoriali, tutto o quasi è finito nel buco.
Oggi Nauru è uno dei paesi più poveri del mondo e sopravvive sostanzialmente di elemosina internazionale. Le sue entrate principali derivano dalla vendita del loro voto all’ONU e dalla gestione, per conto dell’Australia, di un campo di concentramento per stranieri indesiderati.
Ma non è questa la parte più triste ed istruttiva della storia.

Lo sfruttamento minerario ha comportato la completa asportazione della vegetazione e del suolo,
quindi lo scavo dei sedimenti ricchi in fosfati, grattando tra i pinnacoli calcarei.
Nei decenni, questo ha trasformato l’intera isola in una plaga impraticabile.
Ma non basta: la vegetazione attuale di Nauru è composta principalmente da una rada sterpaglia che è riuscita ad insediarsi negli anfratti tra le rocce delle miniere chiuse da più tempo. In quelle abbandonate più di recente non c’è praticamente niente. Di conseguenza, il sole surriscalda la superficie dell’isola, creando una colonna d’aria calda che allontana le piogge. Oggi, un isolotto tropicale in mezzo all'oceano, soffre di siccità cronica e l’acqua dolce proviene da un dissalatore che funziona nella misura in cui altri paesi hanno la condiscendenza di recapitare, via nave, carburante e pezzi di ricambio.
I diritti sulla pesca oceanica sono stati venduti ad altri per pagare parte dei debiti, e comunque i nauruani non sarebbero in grado di farla. Rimangono le acque costiere la cui fauna è stata oramai ridotta ai minimi termini dalla pesca eccessiva e dall'acidificazione del mare che sta danneggiando questa, come le altre barriere coralline. Il tentativo di lanciare i turismo in un posto così triste è ovviamente fallito.
Rimane abitabile solo una piccola zona intorno ad un laghetto ed una fascia di un paio di centinaia di metri lungo la costa. Una fascia quasi completamente edificata, che l’innalzamento del livello oceanico finirà con l’inghiottire almeno in buona parte.
Nel frattempo, dall'indipendenza ad oggi, la popolazione è raddoppiata. Per circa il 30% è costituita da immigrati che vennero per lavorare nelle miniere; per poi restare qui, non avendo i mezzi per tornare in patria.
Ma questa storia non è ancora finita. Malgrado lo stato di salute precario ed i servizi sanitari in rapida diminuzione, la popolazione continua a crescere vigorosamente, grazie all'elevata natalità. Il cibo viene quasi tutto importato ed è abbondante, anche se di pessima qualità. Una combinazione che ha dato alla gente di Nauru il dubbio primato di popolazione con la massima incidenza di obesità e di diabete del mondo.
Ma il governo non demorde e, proprio in questo momento, sta tentando di rilanciare l’estrazione dei fosfati. Si, perché il fosfato non è finito. Come normalmente succede, quelli che sono esauriti sono i giacimenti migliori; quelli che davano un buon rendimento con poco lavoro. Ma sedimenti più poveri e più profondi ci sono ancora e per sfruttarli sono stati fatti accordi con delle compagnie minerarie internazionali. Naturalmente ciò spazzerà via anche la rada sterpaglia che è ricresciuta in alcune zone e abbasserà ulteriormente l’isola, rispetto ad un oceano sempre più minaccioso. In compenso, è possibile che ci siano dei proventi, specialmente in vista del prossimo picco dei fosfati sahariani e dei deliranti progetti di sviluppo agricolo dell’Australia settentrionale. Ma anche se gli affari andassero bene per qualche tempo, saranno le compagnie a trarne profitto, non certo per gli isolani che hanno ceduto i diritti e non hanno ancora finito di pagare i debiti.
Se ora allarghiamo lo sguardo alle principali aree estrattive del Pianeta, troviamo che la storia di Nauru è una parabola di validità quasi universale. E’ vero che all'interno di paesi di taglia normale o grande le dinamiche molto più complesse comportano conseguenze meno rapide e devastanti, ma se scendiamo al livello locale, troviamo che la somiglianza è molto forte. In Canada, Cina, Stati uniti e molti altri paesi ancora, intere regioni stanno diventando dei veri inferni di voragini e cumuli di detrito, spesso irreparabilmente contaminate da sostanze tossiche e/o radioattive.
Anche nel nostro piccolo italiano troviamo, in scala, dinamiche analoghe. Personalmente, conosco bene l’industria lapidea apuana che sta arricchendo alcune decine di persone, con il sostegno incondizionato delle amministrazioni ed il disinteresse della maggior parte delle persone. Ma quando avranno finito, la gente si accorgerà che l’eredità lasciatagli saranno finanze ed infrastrutture pubbliche irreparabilmente dissestate, uno stato di calamità idrogeologica semi-permanente ed un immenso buco.
Ciò che apparentemente nessuno che conti qualcosa è in grado di capire è che l’industria è oggi un “gioco” a somma negativa in cui chi ha le manifatture vince, a spese di chi ha le miniere e le discariche. Ci sono ragioni termodinamiche e sistemiche precise perché non possa essere che così. Varie volte ne è stato trattato su questo stesso blog e da autori importanti, ma non sembra che, collettivamente, siamo in grado di fermarci.
Nel frattempo, la storia di Nauru procede. Non è ancora finita, ma lo sarà presumibilmente tra breve. Quali opzioni rimangono possibili per questo popolo che, come tanti altri, ha saputo trasformare la propria fortuna in una maledizione?
Ci saranno i tromboni anche a Nauru che organizzano convegni su come rilanciare la crescita.
RispondiEliminaPoi le nauruo Boldrine Vendole Bergoglie che ti catechizzano sull'accogliere senza se e senza ma.
Se la pensi diversamente, porti qualche dato e o indichi le distese di pinnacoli calcarei e la sterpaglia sei un oscurantista un fascioleghista una bestia disumana.
Suggerisco di andare a vedere Nauru su Google maps. E' veramente impressionante
RispondiEliminaEcco il collegamento alla vista "satellite".
EliminaUna sorta di conurbazione litoranea con dentro il niente.
EliminaNon ho trovato nessun calcolo sull'impronta ecologica di Nauru, sulla sua biocapacità e sul bilancio che ovviamente non può che essere un colossale deficit.
UnUomo.InCammino 21 aprile 2015 14:02.
EliminaGrazie per il link "effettivo".
Per favore mi puoi dire come fai a inserire dei link di questo tipo nei commenti, link che non sono semplici stringhe di caratteri ma che indirizzano direttamente alla pagina ?
Gianni Tiziano
Si, piacerebbe saperlo anche a me (come si inseriscono i link). Quando guardo queste isolette sperdute in mezzo al mare, mi chiedo quante persone sarebbero in grado di viverci con le risorse del posto (e senza scambi commerciali). E la sensazione è che siano molto, molto poche.
Eliminax Madre Terra:
Eliminax Massimiliano Rupalti:
Se mi mandate una mail (mio indirizzo nel mio profilo) vi risponderò in dettaglio su come inserire un collegamento in un commento.
Qui è fuori luogo e tecnicamente difficile per "impendenza" HTML.
Per me la cosa più sconvolgente, ed istruttiva, è che dopo tutto questo, quello che hanno pensato è di fare altri debiti per riprendere l'escavazione. Non hanno più nemmeno un barca od un aereo per scappare e ci sono 4000 chilometri di oceano per arrivare ad un'altra isola. Ma loro si preoccupano di "rilanciare la crescita". Meditate gente, meditate (R. Arbore).
RispondiEliminaSi, è sconvolgente.
EliminaCredo che per loro è la cosa più semplice da fare, per sopravvivere.
Ma che li condanna a dover espatriare, un giorno, però domani, non oggi.
E' così che gran parte del mondo si sta comportando, oggi.
Sopravvivere oggi, domani si vedrà, qualcun altro vedrà.
GT
Non sarei così sicuro che potranno ancora espatriare domani. E di sicuro nessuno espatrierà dal pianeta, anche se, comunque, un sistema così tanto più grande e complesso manterrà sempre situazioni molto diversificate da una zona all'altra.
EliminaProssimamente, l'estrazione dei minerali nelle miniere, produrrà solo pochissima occupazione.
RispondiEliminaHanno realizzato i caterpillar che si guidano da soli e caricano e scaricano tutto da soli.
https://www.youtube.com/watch?v=MY6ZyASJbzs
Per chi si lamentava del lavoro duro, pagato male, con decine di migliaia di persone in condizioni insalubri; adesso sarà accontentato!
Potrà restarsene a casa, in quanto non avrà più un lavoro!
Perché far fare questi lavori degradanti agli uomini, quando lo possono fare le macchine!?
------
Chi pensa che nel prossimo futuro i salari saranno sempre più bassi, perché dobbiamo fare concorrenza alla Cina, non ha capito bene la situazione com'è!
Sono stato contattato da una multinazionale che si occupa dell'industria di 4a generazione!
Essa comprende l'internet delle cose, che progettano di utilizzarla per creare delle industrie al 100% automatizzate. Non nel prossimo futuro, ma hanno già i prodotti disponibili!
Operai?...
categoria obsoleta!
"Operai?...
Eliminacategoria obsoleta!"
Assolutamente. Infatti il problema principale del *lavoro* del XXI secolo non è quello di far lavorare più persone, ma di REDISTRIBUIRE più equamente il plusvalore prodotto dalla generazione di ricchezza automatizzata mediante "basic incomes" generali a carico dell'1% di ricchi parassiti (con buona pace della cara Ayn Rand... ;-) che detengono il controllo dell'80% della ricchezza planetaria. Ovviamente dato per scontato (come ipotesi... di lavoro! ;-) che ci siano e ci saranno ancora abbastanza energia/risorse disponibili per arrivare all'automazione di massa dei cicli produttivi (cosa su cui ho anch'io i miei dubbi, ma nessuna certezza dogmantica).
Alesandro, sono perfettamente daccordo. Mi permetto di linkare un articolo interessante in materia:
Eliminahttp://i.imgur.com/SFcqIGM.jpg
http://i.imgur.com/Ga2mNTA.jpg
http://i.imgur.com/3zIZOaL.jpg
http://i.imgur.com/Qm58iPL.jpg
http://i.imgur.com/FqP28sw.jpg
http://i.imgur.com/XQ7H3n3.jpg
http://i.imgur.com/8IWkyI1.jpg
http://i.imgur.com/9AQfKJZ.jpg
Ma siamo così sicuri di sapere come andrà a finire?
Eliminahttp://www.manufacturing.net/blogs/2014/04/toyota-to-replace-robots-with%E2%80%A6-humans
Se non c'e' gente che percepisce un reddito con cui pagare i prodotti, non ci sono vendite di prodotti, a prezzi che coprano la spesa.
EliminaPe quanto riguarda la meccaznizzazione tecnologica spinta, poi, dovreste leggervi il post sell'Arcidruido di quest settimana, a proposito dei "sistemi di esternalizzazione". Per me e' stato illuminante. Dopotutto ne abbiamo parlato anche qui e di recente, sulle esternalita'.
Stefano Conese 22 aprile 2015 17:34
EliminaInteressantissimo articolo, grazie per averlo postato.
I computers e la robotizzazione stanno creando disoccupazione e spostamento di ricchezza dalla massa dei tanti alla elite dei pochi.
Forse in futuro provocheranno un epocale cambiamento di sistema sociale.
Penso che i computers, sia che fossero comandati da esseri umani pazzi sia che fossero sfuggiti al nostro controllo, potrebbero causare enormi disastri.
Si pensi al lancio di missili con testate nucleari, ad esempio.
Molti anni fa si diceva che sono cretini di acciaio.
Penso anche che potrebbero rendere possibile un controllo globale su tutti gli esseri umani, da parte di una elite, si pensi all'impianto di microchip.
INTERNET è un uso particolare dei computers : spero che permetterà una presa di coscienza di tanti di noi sui misfatti che causiamo (in campo ambientale e in campo sociale) e di conseguenza un cambio di paradigma enorme nel modo di vivere degli esseri umani. Il tempo per cambiare è poco, forse è già scaduto.
Gianni Tiziano
Storia tristissima, questa dell'isola di Nauru.
RispondiEliminaSpiegata magistralmente da Jacopo.
Nauru è un'isola della Micronesia nell'Oceano Pacifico, e il nome che le diedero gli inglesi, “Pleasant Island”, significava “Isola Piacevole”, cosa che non si può più dire oggi, purtroppo, essendo stato praticamente distrutto il suo lato piacevole.
A macchia di leopardo stiamo distruggendo il suolo terrestre.
Siamo distruttori.
Gianni Tiziano
Salve a tutti,
RispondiEliminaVorrei chiedervi se qualcuno è riuscito a trovare i dati relativi alla produzione di fosfati a Nauru dal 1950 al 2010. Quelli che sono riportati nel grafico. Io ci ho provato ma non sono riuscita a trovarli. Sul sito dell'USGS ci sono i dati sulla produzione mondiale o americana. I siti che m suggerisce Google non mi hanno portato a nulla. Forse non ho cercato bene... ahime! Ringrazio fin d'ora chi mi vorrà aiutare!
Roberta Smirigli
robertasmirigli [Παπάκι] gmail.com
No. Anche io ho trovato solo il grafico. Ho spulciato anche i siti ufficiali del governo, ma tabelle di dati non ne ho trovate. L'unica cosa che dicono è che contano di riprendere l'escavazione e di continuarla per altri 30 anni. Ci sarà ancora gente in grado di muovere delle navi per andarsi a prendere del fosfato di scarsa qualità fra 10 o 20 anni? Forse, e poi? Auguri.
EliminaHo trovato i dati che cercavi. Sono andato sul sito dell'USGS e ho consultato l'archivio delle pubblicazioni annuali (Minerals yearbook). Ci sono i dati a partire dal 1928. Bisogna solo guardarsi i rapporti uno ad uno...
EliminaSe non trovi il percorso scrivimi pure e te lo descrivo più in dettaglio.
Sandro Benedetti
sandro_benedetti1 [:-)] virgilio.it