Da “The Guardian”. Traduzione di MR
La mercificazione delle nostre vite sta creando una società povera di tempo che danneggia la nostra felicità e il nostro pianeta e alla fine danneggerà anche la nostra economia
Quali sono i mattoni di una politica post crescita? E come possiamo arrivarci da qui? Una parte cruciale della risposta è che ci serve una profonda riformulazione delle domande centrali della politica. In primo luogo, dovremmo parlare di meno di economia come macchina per produrre più beni (molti dei quali risultano essere dei 'mali'). Dovremmo parlare di più dello scopo di un'economia: soddisfare bisogni, creare una società migliore e migliorare la nostra qualità di vita. Una volta fatto questo, vediamo che la crescita continua può essere controproducente, così come impossibile in un sistema finito come il pianeta in cui viviamo.
Il paradosso della felicità
La crescita non funziona. Secondo l'Ufficio Nazionale di Statistica. Il PIL è cresciuto di un fattore di 5 dal 1955, ma non siamo 5 volte più contenti. Infatti, gli economisti David Blanchflower e Andrew Oswald hanno mostrato che in un periodo di prosperità senza precedenti dai primi anni 70 ai tardi anni 90, i livelli rilevati di felicità sono scesi negli Stati Uniti e sono stati stabili nel Regno Unito. Questo mette a fuoco i problemi che sono realmente importanti, come l'uguaglianza. Come hanno mostrato Richard Wilkinson e Kate Pickett, i livelli di uguaglianza sono indicatori molto migliori della salute di una società della ricchezza media o complessiva. Virtualmente su tutti gli indicatori - salute mentale, gravidanze adolescenziali, abuso di droghe, benessere dei bambini, grandi popolazioni carcerarie, senso della comunità, sostenibilità ambientale – le società più eque fanno meglio. Ciò vale per il meglio così come per il peggio. Riconoscere questo ci aiuterebbe a costruire un senso di sazietà, di sufficienza, e a generare una fine alla cultura materialistica del più. Da questo punto di vista, una vita migliore è una vita costruita su un vero rispetto per la natura. Il concetto degli indios dell'America Latina del buen vivir è un buon punto di partenza.
La danza macabra fra crescita e disuguaglianza
La chiave di questa riformulazione trasformativa è l'idea della condivisione. Storicamente, crescita e disuguaglianza sono state partner in una danza macabra di legittimazione reciproca. La disuguaglianza è vista come necessaria alla crescita (se le persone sono uguali, perché qualcuno dovrebbe scomodarsi ad andare avanti?) e la crescita viene usata per far tacere le voci che chiedono più uguaglianza facendo la promessa di una torta ancora più grande, da cui alcune briciole sicuramente troveranno la strada per arrivare alle bocche dei meno fortunati. Dobbiamo farla finita con questa assurdità del “effetto sgocciolamento" una volta per tutte. Nel mondo riformulato, il buon senso diventerà “senso del bene comune”. Il concetto dei beni comuni si trova oltre i limiti della crescita. La ricerca di nuove frontiere infinite da trasformare in risorse e beni, la ricerca di profitto speculativo, la ricerca di accumulo – tutto può essere ritrasformato da un ritorno alla vita sui e fra i beni comuni. I beni comuni sono la nuova cornice che potrebbe tornare a ravvivare il pubblico e il sociale. La sfera pubblica è dove i membri di una società imparano cosa sia una risorsa comune e come averne cura. E' dove le persone sviluppano abitudini con contrattuali. Imparano come affrontare i free rider senza cadere nella trappola di credere che la sola soluzione sia la “incentivazione” privatizzata – che peggiora soltanto il problema. Iniziative di finanza privata, contratti individuali di apprendistato, vendita di case popolari, bilanci delle biblioteche in diminuzione, tutto punta dal pubblico al privato, che è proprio la direzione sbagliata.
Verso una politica post crescita
Dovremmo anche scavare molto di più nella politica della vita personale e sociale – cosa può fare il mondo politico per migliorare le relazioni familiari, far crescere le comunità e l'amicizia e anche per affrontare la libertà e i valori personali? E' qui che l'agenda dei valori di Tom Cromptone e dei suoi colleghi della Causa Comune (pdf) è assolutamente giusta. E' anche dove dovremmo parlare ancora una volta di alcune delle idee che sono emerse dal femminismo degli anni 70 e 80: l'agenda “il personale è politico”. Prendiamoci più tempo libero dal lavoro, più soddisfazione nel suo svolgimento e incoraggiamo questi spazi in cui i valori personali e sociali si intersecano. Poi possiamo infine muoverci verso una società del tempo libero in cui la distinzione fra occupazione e lavoro sia stata spezzata. I verdi dovrebbero diffidare dal mettere tutte le loro uova nel paniere col nome “posti di lavoro”; l'occupazione dev'essere ripartita, gran parte di noi deve lavorare di meno e in ambienti meno alienanti. Poi possiamo cominciare a vivere di più, in modi che non hanno bisogno di essere mercificati o progettati per essere comprati da gente a corto di tempo incapace di coltivare il proprio cibo o di condividere una vita collettiva. Poi, e solo poi, vivremo in un mondo post crescita di buon senso in cui abbiamo più spazio per la nostra terra verde e piacevole, per pensare, camminare ed esserci.
La mercificazione delle nostre vite sta creando una società povera di tempo che danneggia la nostra felicità e il nostro pianeta e alla fine danneggerà anche la nostra economia
‘Storicamente, la crescita e la disuguaglianza sono state partner di una danza macabra di reciproca legittimazione'. Foto: Jorge Royan/Alamy
Quali sono i mattoni di una politica post crescita? E come possiamo arrivarci da qui? Una parte cruciale della risposta è che ci serve una profonda riformulazione delle domande centrali della politica. In primo luogo, dovremmo parlare di meno di economia come macchina per produrre più beni (molti dei quali risultano essere dei 'mali'). Dovremmo parlare di più dello scopo di un'economia: soddisfare bisogni, creare una società migliore e migliorare la nostra qualità di vita. Una volta fatto questo, vediamo che la crescita continua può essere controproducente, così come impossibile in un sistema finito come il pianeta in cui viviamo.
Il paradosso della felicità
La crescita non funziona. Secondo l'Ufficio Nazionale di Statistica. Il PIL è cresciuto di un fattore di 5 dal 1955, ma non siamo 5 volte più contenti. Infatti, gli economisti David Blanchflower e Andrew Oswald hanno mostrato che in un periodo di prosperità senza precedenti dai primi anni 70 ai tardi anni 90, i livelli rilevati di felicità sono scesi negli Stati Uniti e sono stati stabili nel Regno Unito. Questo mette a fuoco i problemi che sono realmente importanti, come l'uguaglianza. Come hanno mostrato Richard Wilkinson e Kate Pickett, i livelli di uguaglianza sono indicatori molto migliori della salute di una società della ricchezza media o complessiva. Virtualmente su tutti gli indicatori - salute mentale, gravidanze adolescenziali, abuso di droghe, benessere dei bambini, grandi popolazioni carcerarie, senso della comunità, sostenibilità ambientale – le società più eque fanno meglio. Ciò vale per il meglio così come per il peggio. Riconoscere questo ci aiuterebbe a costruire un senso di sazietà, di sufficienza, e a generare una fine alla cultura materialistica del più. Da questo punto di vista, una vita migliore è una vita costruita su un vero rispetto per la natura. Il concetto degli indios dell'America Latina del buen vivir è un buon punto di partenza.
La danza macabra fra crescita e disuguaglianza
La chiave di questa riformulazione trasformativa è l'idea della condivisione. Storicamente, crescita e disuguaglianza sono state partner in una danza macabra di legittimazione reciproca. La disuguaglianza è vista come necessaria alla crescita (se le persone sono uguali, perché qualcuno dovrebbe scomodarsi ad andare avanti?) e la crescita viene usata per far tacere le voci che chiedono più uguaglianza facendo la promessa di una torta ancora più grande, da cui alcune briciole sicuramente troveranno la strada per arrivare alle bocche dei meno fortunati. Dobbiamo farla finita con questa assurdità del “effetto sgocciolamento" una volta per tutte. Nel mondo riformulato, il buon senso diventerà “senso del bene comune”. Il concetto dei beni comuni si trova oltre i limiti della crescita. La ricerca di nuove frontiere infinite da trasformare in risorse e beni, la ricerca di profitto speculativo, la ricerca di accumulo – tutto può essere ritrasformato da un ritorno alla vita sui e fra i beni comuni. I beni comuni sono la nuova cornice che potrebbe tornare a ravvivare il pubblico e il sociale. La sfera pubblica è dove i membri di una società imparano cosa sia una risorsa comune e come averne cura. E' dove le persone sviluppano abitudini con contrattuali. Imparano come affrontare i free rider senza cadere nella trappola di credere che la sola soluzione sia la “incentivazione” privatizzata – che peggiora soltanto il problema. Iniziative di finanza privata, contratti individuali di apprendistato, vendita di case popolari, bilanci delle biblioteche in diminuzione, tutto punta dal pubblico al privato, che è proprio la direzione sbagliata.
Verso una politica post crescita
Dovremmo anche scavare molto di più nella politica della vita personale e sociale – cosa può fare il mondo politico per migliorare le relazioni familiari, far crescere le comunità e l'amicizia e anche per affrontare la libertà e i valori personali? E' qui che l'agenda dei valori di Tom Cromptone e dei suoi colleghi della Causa Comune (pdf) è assolutamente giusta. E' anche dove dovremmo parlare ancora una volta di alcune delle idee che sono emerse dal femminismo degli anni 70 e 80: l'agenda “il personale è politico”. Prendiamoci più tempo libero dal lavoro, più soddisfazione nel suo svolgimento e incoraggiamo questi spazi in cui i valori personali e sociali si intersecano. Poi possiamo infine muoverci verso una società del tempo libero in cui la distinzione fra occupazione e lavoro sia stata spezzata. I verdi dovrebbero diffidare dal mettere tutte le loro uova nel paniere col nome “posti di lavoro”; l'occupazione dev'essere ripartita, gran parte di noi deve lavorare di meno e in ambienti meno alienanti. Poi possiamo cominciare a vivere di più, in modi che non hanno bisogno di essere mercificati o progettati per essere comprati da gente a corto di tempo incapace di coltivare il proprio cibo o di condividere una vita collettiva. Poi, e solo poi, vivremo in un mondo post crescita di buon senso in cui abbiamo più spazio per la nostra terra verde e piacevole, per pensare, camminare ed esserci.