Da"Qualenergia.it". Il governo Renzi cerca di abbassare i costi dell'energia, ma se la prende con il bersaglio sbagliato: le rinnovabili ci fanno risparmiare!
Il mistero del risparmio generato dalle rinnovabili che non arriva in bolletta
Eolico e fotovoltaico sono sul banco degli
imputati per il peso che hanno sugli oneri di sistema. Ma stanno anche
facendo scendere consistentemente il prezzo dell'elettricità in Borsa.
Questo calo però non si riflette in bolletta: la componente energia (PE)
è superiore al PUN di circa 20 €/MWh. Abbiamo cercato di capire dove si
perde questo risparmio, perché e chi ne beneficia.
Secondo un calcolo della società di
consulenza eLeMeNS, per ogni punto percentuale aggiuntivo di eolico e
fotovoltaico nel mix elettrico, dato che questi producono a costi
marginali nulli, il prezzo dell'energia in Borsa si abbassa di 1 €/MWh. Senza sole e vento nel 2013 avremmo avuto un PUN (prezzo unico nazionale) di 7,2 €/MWh più alto. Le rinnovabili, assieme ad altri fattori come il calo della domanda, come ben documentato da vari studi (qui l'ultimo, del CNR), stanno facendo calare il prezzo dell'elettricità sul mercato
del giorno prima. Peccato che, nonostante il sostanzioso decremento del
prezzo sul mercato spot sia in corso da tempo, le nostre bollette
restino invariate. Dove si perde questo risparmio potenziale?
La
colpa non è solo degli oneri di sistema, da tempo sul banco degli
imputati, né degli altri costi necessari a mantenere il sistema
elettrico. La componente A3, infatti, con la fine degli incentivi al FV
ha praticamente arrestato la sua crescita e i costi di dispacciamento,
nonostante siano cresciuti nell'ultimo trimestre, hanno subito un calo
netto rispetto all'estate scorsa. E' proprio la componente energia, la PE, che non sta riflettendo il calo dei prezzi di Borsa.
Il grafico sotto (cortesia di Dario di Santo di Fire, che su queste pagine aveva già denunciato
il fenomeno) spiega meglio di mille parole: la fascia gialla è la
differenza tra PUN e PE e come si vede si allarga dal 2009 in poi.
L'ultimo aggiornamento delle tariffe registra una PE in vigore dal 1°
luglio a oltre 69 €/MWh, circa 22 euro in più rispetto al PUN
medio dell'ultimo mese, sui 47 €/MWh. Dove finiscono quei circa 20 € a
MWh che potremmo risparmiare, godendo così di uno dei benefici prodotti
da eolico e fotovoltaico?
Una parte di questo scollamento può essere spiegata dal fatto che PUN e PE sono sostanzialmente diversi:
a differenza del PUN, la PE è maggiorata delle perdite di rete, circa
il 10%; incorpora il profilo di consumo del cliente domestico,
concentrato nella fascia diurna quando i prezzi sono più alti, e,
ancora, la PE contiene un meccanismo di recupero degli scostamenti del
trimestre precedente, spalmati sui due trimestri successivi. Queste differenze, però, ovviamente, ci sono sempre state, mentre, come vediamo dal grafico, la forbice tra i due valori ha cominciato a manifestarsi in maniera così consistente solo negli ultimi anni e precisamente dal 2009 in poi. Dunque la domanda resta: dove finiscono quei soldi?
La risposta viene da un'altra differenza tra PUN e PE:
il primo è una media dei prezzi sul mercato spot del giorno prima
(MGP), la PE invece riflette il mix di acquisto dell'Acquirente Unico
(AU), il “grossista pubblico” che compra l'energia per conto dei clienti
del mercato tutelato. L'AU compra circa il 40% dell'energia sul mercato
spot e il resto sul mercato a termine: e proprio qui sta il motivo della 'voragine' che ultimamente si è aperta tra PUN e PE.
Una
spiegazione confermata anche dall'ultimo comunicato AEEGSI
sull'aggiornamento tariffe in cui si legge che "il sensibile calo
(-7,1%) della materia prima all’ingrosso – che rappresenta circa il 50%
della bolletta - è stato in parte compensato dalle coperture
assicurative contro il rischio di rialzo dei prezzi dei contratti di
approvvigionamento dell’Acquirente Unico."
Come confermano a QualEnergia.it gli stessi rappresentanti dell'AU, infatti, negli ultimi tempi i contratti conclusi dall'Acquirente sui mercati a termine si stanno regolarmente rivelando 'lunghi'.
Ciò vuol dire che comprando l'energia in grande anticipo questa viene a
costare di più. Ad esempio, nel 2013 si è acquistata energia per il
2014 a 10 (per usare numeri a caso), mentre il valore del mercato spot
nel 2014 è poi sceso a 7. “Nel 2009 (anno in cui è aumentato il divario,
ndr) i contratti sembravano buoni, ma evidentemente si sono verificate
dinamiche non previste”, ci spiegano dall'AU.
Ovviamente in tutto ciò c'è qualcuno che ci guadagna; cioè chi vende a termine, che intasca la differenza, mentre ci rimettono i consumatori.
Danneggiati non sono solo gli utenti del mercato tutelato, riforniti
dall'AU, ma anche quelli del mercato libero. Le offerte del mercato
libero, infatti, si adagiano in genere sul benchmark dei prezzi
fatti dall'AU, rimanendo solitamente più alte.
Da dati dell'Autorità
(riferiti al 2011) in media sul mercato libero i consumatori pagano
l'energia il 12,8% più cara che nel regime di maggior tutela.
Insomma, come minimo c'è un'inefficienza del mercato a
lungo termine e/o del modo in cui l'AU fa gli acquisti. “Il mercato a
termine sta mostrando di non essere in grado di prevedere l'evoluzione
del PUN. O a pensar male, fa finta di non essere in grado di prevederla tale evoluzione. Ma questo lo dovrebbe eventualmente chiarire l'Antitrust”,
ci spiega una fonte interna all'AU che non vuole essere citata. Che sia
il caso di chiedere al Garante per la Concorrenza? Dall'AGCM
ufficialmente non si pronunciano, ma ammettono che c'è “un'inefficienza
nei mercati a termine”, chiarendo che un'eventuale segnalazione dovrebbe
arrivare dall'AU.
Possibile che un soggetto così importante come l'AU non riesca a farsi valere sui prezzi a termine? "Sì, anzi, proprio perché compra tanto è svantaggiato",
ci spiega Dario Di Santo di Fire (come altri analisti sentiti). “Non è
in una posizione di forza quando compra sul mercato a termine - continua
Di Santo - perché dovendo comprare volumi molto grandi perde potere
contrattuale: ha bisogno dell'energia di quasi tutti i fornitori”.
Le cose andrebbero meglio se l'AU facesse gli acquisti in maniera diversa?
In effetti non è scritto da nessuna parte quanto debba comperare sul
mercato spot e quanto su quello a termine. Comprare sui mercati a
termine però, ci fanno notare dall'Acquirente, è una sorta di assicurazione
che garantisce i consumatori da eventuali rialzi dei prezzi futuri.
“Quando il PUN risalirà la forbice si invertirà e la componente PE sarà
inferiore al PUN”, ci rispondono.
Come evolverà il PUN però
è difficile da prevedere e l'eventualità che salga non è affatto più
probabile rispetto a quella che scenda ancora. Da una parte abbiamo
fattori che dovrebbero far proseguire il calo, cioè la penetrazione
delle rinnovabili (in Italia comunque nettamente in frenata), la
situazione di overcapacity (con la domanda che anche
nel più ottimistico degli scenari di Terna non tornerà ai livelli di 5
anni fa prima di ulteriori 5 anni) e l'introduzione del capacity payment
(che remunerando a parte gli impianti più costosi dovrebbe prevenire
aumenti). Dall'altra c'è la grossa incognita del prezzo del gas che ha un notevole impatto sulla formazione dei prezzi.
Ma nel frattempo, finché abbiamo un PUN di oltre 20 euro più basso di quanto paghiamo la materia prima in bolletta (PE), come potremmo recuperare quel risparmio perduto?
L'AU, ci spiegano, non potrebbe nemmeno vendere l'energia a termine per
riacquistarla sul mercato spot a un prezzo minore, perché questo
sarebbe un comportamento speculativo e “l'obiettivo dell'AU non è ottenere il minor prezzo possibile e dunque attirare clienti, ma garantire una fornitura efficiente
a chi non è ancora passato al mercato libero”. Anche dal punto di vista
del rischio, per minimizzarlo, si fa un così ampio ricorso ai mercati a
termine, ci spiegano: l'AU deve essere molto più cautelativo rispetto
agli operatori del mercato libero.
E
qui sorge una domanda: abbiamo capito perché l'Acquirente ha un
approccio prudente e non cerca il prezzo più basso possibile, ma perché nemmeno gli operatori del mercato libero, che potrebbero farlo, si assumono questi rischi e cercano di portare in bolletta i risparmi
che si potrebbero ottenere dal prezzo di Borsa attuale? Sul mercato
libero, come detto, l'energia si paga in media di più e le offerte
sembrano quasi assumere come floor price il prezzo dell'AU. Fonti interne all'AU ci parlano di un atteggiamento “implicitamente collusivo” da parte degli operatori del mercato libero.
Insomma, la strategia dell'AU, basata in gran parte su acquisti a termine, attutisce gli effetti
in bolletta delle dinamiche del mercato elettrico, nel bene e nel male.
Nella situazione attuale di PUN basso questo fa sì che, per garantire i
consumatori da possibili aumenti futuri, i risparmi dati dalla rinnovabili vengano intascati da altri soggetti, anziché andare a finire in bolletta.
Ci
sarà un modo per evitare che questo accada pur continuando a garantire
la tutela dei consumatori dal rischio? Quando si parla di caro-energia,
anziché accanirsi sempre sul peso delle rinnovabili sulla componente A3,
sarebbe il caso di affrontare anche questa questione.
04 luglio 2014