domenica 22 giugno 2014

Estinzione della specie umana?

di Jacopo Simonetta

      L’apocalisse è un tema sempre di moda, molto spesso a sproposito.   A cominciare dall'ondata di “millenarismo” dell’anno 1.000 dc. che, anziché preludere ad una catastrofe epocale, preluse a due secoli di rigoglio economico ed alla fase culminante di quella civiltà feudale cui ancora oggi dobbiamo buona parte dei nostri monumenti, paesaggi ed archetipi.   La catastrofe poi ci fu davvero, ma 350 anni più tardi.
Dilettante!

Coloro che deridono l’attuale ritorno alla ribalta di questo tema non mancano quindi di argomenti, ma ciò non elimina quella sgradevole sensazione da “game over” che porta sempre più gente ad ipotizzare addirittura l‘estinzione dell’umanità.

Un argomento che vale quindi la pena di approfondire un poco. Fra gli autori che si sono occupati seriamente del tema, è d’obbligo citare J. Diamond che nel suo best-seller “Collasso” analizza le probabili cause di estinzione di vari gruppi umani.   In conclusione del suo libro, Diamond elenca i 5 fattori che, secondo lui,  sono potenzialmente capaci di provocare il collasso e la sparizione anche di popolazioni numerose e di civiltà complesse.

Ricordiamoli:

1 – Drastica modifica dell’habitat, in particolare deforestazione;
2 – Cambiamento del clima;
3 – Eccessiva dipendenza dal commercio estero;
4 – Nemici esterni potenti.
5 – Politica disfunzionale, in particolare con classi dirigenti incapaci di capire cosa sta accadendo e reagire in modo tempestivo ed efficace.

Sicuramente entrano in gioco anche altri fattori, ma il fatto che l’umanità nel suo insieme ed in praticamente tutte le sue articolazioni nazionali sia soggetta a tutti e cinque questi fattori contemporaneamente è obbiettivamente preoccupante. Il collasso delle civiltà del passato non ha portato all'estinzione della specie, ma se questi fenomeni si dovessero abbattere tutti insieme sopra di noi a livello planetario, si potrebbe pensare anche a un risultato del genere.

Possiamo dedurne che davvero la nostra è una specie a rischio?   Per l’appunto i processi di estinzione sono fra quelli che in questi ultimi decenni abbiamo avuto modo di studiare meglio, cosicché la letteratura sull'argomento è oramai vastissima; in queste pagine farò riferimento soprattutto al lavoro di sintesi di M.E. Gilpin , M.E. Soulé e A. Beeby.

In estrema sintesi, possiamo dire che i processi di estinzione derivano dall'interazione di una serie di retroazioni, detti “extinction vortex”, evidenti soprattutto per gli animali ed in particolare per i mammiferi e gli uccelli.   Con altri tipi di organismi (ad esempio con piante e batteri) le cose possono andare anche diversamente, ma qui non ci interessa visto che noi siamo certamente mammiferi.

I trevorticifatali sono i seguenti:

Vortice genetico: Al ridursi della popolazione, si possono presentare crescenti fenomeni di “depressione da consanguineità” (Imbreeding depression), i quali si traducono in una minore vitalità della popolazione (riduzione della natalità, aumento della mortalità giovanile, ecc.) che, a loro volta, riducono la consistenza della popolazione.   Non sempre l’uniformità genetica comporta effetti negativi, ma almeno negli animali comporta quasi sempre una ridotta capacità di adattamento.   Attenzione che esiste anche l’”outbreeding depression”, non meno pericolosa, perlomeno in alcuni casi ben documentati come, ad esempio, la lepre e la starna.


Vortice Ambientale:  Diminuendo la popolazione, gli effetti di incidenti quali maltempo, predazione, malattie, ecc. diventano proporzionalmente maggiori.   Inoltre, se le condizioni ambientali diventano instabili, cambiano i tassi di natalità e di mortalità, il che può riflettersi in fluttuazioni improvvise della popolazione che si può trovare repentinamente molto al di sopra o molto al di sotto rispetto alla capacità di carico che, a sua volta cambia rapidamente, impedendo o limitando la capacità di adattamento.   Tutto ciò si risolve in una ulteriore decrescita della popolazione ed in una sua maggiore instabilità

Vortice demografico:  Al diminuire della popolazione, si riducono le probabilità di incontro fertile fra i sessi e la struttura della popolazione si altera, con una prevalenza di soggetti anziani, meno vitali e meno adattabili dei giovani.



Il peso relativo di queste tre componenti e le retroazioni incrociate fra i diversi vortici cambiano da caso a caso, ma comunque per innescare uno o più vortici sono necessarie due cose:   la prima è che la popolazione diminuisca sensibilmente, la seconda (frequente, ma non universale) è che l’area in cui la specie si trova si riduca notevolmente, oppure che venga frammentata in tante piccole zone isolate fra loro.

Una cosa del genere può dunque accadere ad una specie longeva che è attualmente in fase di rapida crescita?   Ad una specie il cui areale corrisponde praticamente all'intero pianeta e che ha dimostrato una capacità e rapidità di adattamento straordinarie?   La risposta è semplice: No.

Eppure…   Siamo davvero sicuri?

Come al solito, fare delle vere previsioni è impossibile perché troppi sono i fattori in gioco e la maggior parte di questi troppo poco conosciuti, oppure intrinsecamente imprevedibili.   Chiederci se succederà è quindi futile, ma possiamo invece chiederci se potrebbe succedere.   Ed in questo caso la prima domanda che dobbiamo porci è la seguente:   E’ possibile che la consistenza della popolazione umana diminuisca molto rapidamente, fino a ridurre i nostri discendenti a piccoli gruppi isolati fra loro ed immersi in un habitat ostile?
Riprendiamo il 5 fattori di Diamond e vediamo meglio come potrebbero giocare in un contesto storico caratterizzato dagli effetti cumulativi dei limiti alla crescita.

1 – Drastica modifica dell’habitat.   L’uomo ha sempre modificato fortemente il suo habitat, ma nei due secoli di rivoluzione industriale gli ambienti terrestri ed acquatici sono stati sconvolti quasi ovunque in una misura senza precedenti al fine di aumentarne la capacità di carico in termini umani.   Foreste, praterie e paludi sono state convertite in campi coltivati (l’atmosfera, i mari e gli oceani in discariche), creando ecosistemi economicamente molto produttivi, ma estremamente instabili che si reggono esclusivamente sul continuo apporto di energia fossile sotto forma di prodotti chimici, macchine e carburanti.   Venendo progressivamente a mancare questi, molti ecosistemi agricoli possono cambiare molto rapidamente, evolvendo verso formazioni secondarie sub-desertiche pressoché inabitabili; oppure verso arbusteti e macchie anche questi ben poco ospitali.   Naturalmente l’enorme mano d’opera gratuita che probabilmente sarà messa a disposizione dal dilagare della disoccupazione potrebbe contrastare tali fenomeni, ma non dovunque.   Il risultato dipenderà infatti non solo dalla quantità di braccia disponibili, ma anche dalla presenza di teste capaci di guidare costruttivamente quelle braccia.   Inoltre, un limite invalicabile alla disponibilità di mano d’opera sarà la disponibilità di cibo, acqua, riparo, difesa, ecc.

E la disponibilità di acqua rischia di essere molto più limitante di quella di cibo.   E’ vero che l’abbandono degli acquedotti riporterebbe acqua nei fiumi, ma in vastissime regioni del pianeta le sorgenti ed i pozzi superficiali sono stati prosciugati e non è affatto certo che l’acqua vi ritorni, o vi torni ad essere potabile, in tempi che abbiano un senso dal punto di vista umano.

2 – Cambiamento del clima.   Rappresenta certamente una delle maggiori incognite sul nostro futuro.   Accantonando l’idea utopica che i governi e le imprese limitino davvero le emissioni clima-alteranti, rimane la concreta possibilità che lo faccia la crisi economica globale.   Ma potrebbe essere troppo tardi perché oramai abbiamo già attivato una serie di retroazioni che vanno dal collasso di grandi ghiacciai artici, alla riduzione dell’albedo alle alte latitudini, alla liberazione di metano dai fondali marini e dal permafrost, all’esalazione di anidride carbonica dalla biosfera e dai suoli.   Magari non sarà sufficiente per portare alla “sindrome di Venere”, ma di sicuro sarà sufficiente a ridurre in maniera drastica sia la produzione agricola, sia l’acqua in molte regioni, sia la biodiversità ovunque.

3 – Eccessiva dipendenza dal commercio.   Oramai quasi tutto quel che viene prodotto viene esportato ed importato, cibo compreso, ed è questa una delle strategia che ha permesso alla nostra specie di pullulare sul pianeta.   Man mano che il commercio si ridurrà per la carenza quali-quantitativa di energia o per le crisi politiche e militari, la disponibilità di beni di prima necessità potrebbe diminuire in modo assolutamente drammatico più rapidamente di quanto non possa riorganizzarsi una produzione su scala più locale.   Inoltre, gli impianti industriali hanno una limitata elasticità e sono costretti a produrre all'incirca sempre i medesimi quantitativi.   Una contrazione del mercato potrebbe quindi portarne molti alla chiusura, provocando un brusco passaggio dall'eccesso alla carenza per molti  beni di consumo.

4 – Nemici esterni potenti.   Dopo la pausa degli anni ’90, tutti i principali paesi del mondo hanno ripreso ad incrementare i loro apparati militari, con l’unica eccezione dell’Europa.   Difficilmente questi paesi sostengono un simile sforzo per nulla.   Ciò non è sufficiente per pronosticare una prossima guerra mondiale o qualcosa del genere, ma di sicuro il rischio di conflitti importanti è molto elevato e gli europei si stanno attrezzando per perderla, chiunque la vincesse.   Vi è anche la possibilità che una guerra nucleare di vasta portata cancelli le città e riduca a poca cosa il resto del pianeta, ma ritengo che sia molto meno probabile.

5 – Politica disfunzionale.   Questo è il fattore chiave che rende impossibile reagire agli altri 4.   Sui livelli di gravità e vastità cui siamo giunti in questo campo non credo che sia utile dilungarsi.

Dunque i “Big five” di Diamond possono, complessivamente, provocare una riduzione consistente della popolazione umana, perlomeno su vaste regioni.   Ma l’analisi storica non è sufficiente in quanto, necessariamente, trascura alcuni elementi che, storicamente, non sono stati importanti.   Ma  lo sono adesso o potrebbero diventarlo in futuro.

6 – Collasso della biodiversità.    Oggi siamo nel pieno di un’estinzione di massa che non ha precedenti storici (preistorici invece si).   Non possiamo sapere fino a che punto procederà, ma già oggi sta alterando il funzionamento degli ecosistemi, ma soprattutto ne pregiudica le potenzialità di recupero anche dopo che la pressione umana fosse diminuita.   La biodiversità è infatti l’insieme delle carte con cui la vita gioca la sua partita contro la morte.   Togliere biodiversità ad un ecosistema è come togliere organi e tessuti ad un organismo; anche nel caso in cui questo sopravvive, rimane comunque menomato per sempre.   Finché si perdono specie e generi, almeno teoricamente ci può essere un recupero, sia pure in tempi nell'ordine delle migliaia o dei milioni di anni.   Viceversa, quando si estingue un taxon superiore (ordine, classe o phylum), è certo che niente di simile tornerà mai più ad esistere.   Nei tempi lunghi, l’estinzione di massa ed il riscaldamento climatico rappresentano sicuramente i due pericoli maggiori per la nostra discendenza.

7 – Grave carenza di energia fossile.   E’ vero che l’uomo è straordinariamente adattabile, ma è anche vero che nel corso degli ultimi 200 anni si è specializzato nello sfruttamento dei combustibili fossili, soprattutto del petrolio.   Sostanzialmente, l’agricoltura moderna è un complicato sistema per trasformare petrolio e gas in cose più o meno gradevoli da mangiare.   Ed ogni minimo dettaglio della nostra vita dipende da questi materiali che non sono affatto in procinto di esaurirsi, ma che già da qualche anno hanno cominciato a decadere per qualità e disponibilità.   Le caratteristiche geologiche, chimiche e geografiche dei giacimenti rendono ineluttabile un graduale declino, mentre crisi economiche e/o militari possono provocare delle forti contrazioni dell’offerta, magari temporanee, ma repentine.    Inoltre, praticamente tutti i giacimenti attualmente sfruttati o sfruttabili lo sono solo a condizione di disporre di finanziamenti e tecnologie che solo l’attuale economia globale è in grado di mettere a disposizione.   Il disgregarsi del sistema globale in sistemi regionali porrebbe fuori portata molte delle riserve accertate.
In altre parole, i combustibili fossili ci hanno permesso una crescita incredibilmente superiore alla capacità di carico del pianeta, ma si è trattato di un fatto temporaneo.

8 – Pandemia.   Nella storia ci sono state alcune pandemie fra cui la famigerata “peste nera”, ma raramente hanno portato all'estinzione di gruppi umani consistenti.   Attualmente, il rischio di una pandemia globale è preso molto sul serio dalle autorità nazionali ed internazionali, ma non credo che sia molto probabile.   Finché il sistema economico globale continuerà a funzionare, infatti, ci saranno probabilmente i mezzi per contrastarla, come è stato fatto finora.   Quando il sistema globale sarà collassato, i mezzi sanitari disponibili diminuiranno molto, ma anche i traffici internazionali e, dunque, le probabilità di contagio.   Piuttosto, l’incremento di molti tipi di inquinamento, il peggioramento del clima e dell’alimentazione, il ridimensionamento dei servizi di assistenza ai poveri ed agli ammalati provocheranno certamente una diminuzione dell’aspettativa di vita.   Quali effetti, invece, tutto questo avrà sulla natalità è impossibile da prevedere.   In ogni caso, si avranno situazioni molto diverse da zona a zona.

E dunque?   La mia personale opinione è che l’ipotesi più probabile è un declino relativamente rapido, ma graduale della popolazione globale, ma solo localmente questo processo potrebbe raggiungere la soglia necessaria per avviare dei vortici d’estinzione.   Tuttavia, nel corso dei 2-3 secoli a venire, gli affetti combinati del cambiamento climatico, del collasso della biodiversità e di alcune forme di inquinamento potrebbero anche ridurre la popolazione umana a gruppi abbastanza sparuti e distanti da poter avviare un processo di estinzione completa della nostra specie.

Si obbietterà che nel remoto passato la nostra specie è stata costituita da gruppi sparuti e pressoché isolati di persone per decine di migliaia di anni.   E non solo non si è estinta, ben al contrario è cresciuta fino a dominare il mondo.   Ciò è sicuramente vero, ma i nostri discendenti abiteranno un mondo infinitamente meno ospitale di quello in cui hanno vissuto i nostri antenati.   Come ha scritto Bill McKibben, il dolce pianeta su cui la nostra specie si è evoluta non esiste più; ora viviamo su di un pianeta molto diverso, nettamente più caldo ed arido, povero di cibo e di acqua, squassato dalle tempeste e contaminato da veleni di ogni tipo.   Possiamo farlo grazie ad una tecnologia ed a fonti energetiche che in gran parte ci abbandoneranno; cosa ci accadrà poi non è dato sapere.