lunedì 28 aprile 2014

L’UNICITÀ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Correzioni ed integrazioni.

           Alle date 18/04/2014, 19/04/2014, 20/04/2014 e 21/04/2014 sono uscite su questo blog le quattro puntate di un lungo post che ho scritto a proposito delle peculiarità della nostra specie e di come queste abbiano contribuito a determinarne il Fato.   Mi rallegro del fatto che hanno stimolato una discussione animata e corretta su di un argomento tanto vasto e complesso; occasione per me per imparare alcune cose che non sapevo.    Con qualche giorno di ritardo dovuto ad altri impegni, vorrei qui tornare su due punti che alcuni commenti circostanziati hanno criticato come basati su dati inesatti.   Poiché la verifica mi ha dato l’occasione per approfondire alcuni elementi della discussione, propongo qui sia le correzioni del caso, sia qualche considerazione ulteriore.

Il primo punto riguarda la seguente affermazione: “Stime ragionevoli valutano in una media globale di 40 joule di energia fossile consumata per mangiare un joule di cibo”.
Non sono stato in grado di ritrovare la citazione originale di cui avevo preso una nota incompleta mesi fa.   Ho quindi fatto una breve ricerca per verificare se l’ordine di grandezza è plausibile.    L’argomento è molto poco chiaro perché i metodi di calcolo cambiano a seconda degli autori, così come i dati di base su cui sono formate le stime.   Non sono quindi in condizione di fornire una stima veramente affidabile, ma posso citare alcuni dati che mi sono parsi particolarmente interessanti:
Limitatamente alla filiera alimentare statunitense, notoriamente la più energivora del mondo, Michael Bomford  (sul sito del PostCarbon Institut )   stima in 10 quadrilioni di btu all'anno il consumo di energia fossile necessario per nutrire 300 milioni di persone; salvo errore di conversione, significa circa 22.500 Kcal/persona/giorno, ossia circa 10 volte il consumo metabolico.   Un valore dovuto in gran parte all'elevata percentuale di cibi congelati ed inscatolati, oltre che all'uso massiccio di bibite nella dieta americana.
Le medie mondiali sono sicuramente inferiori, sebbene occorra ricordare che la "rivoluzione verde",  l’inurbamento ed il commercio globale del cibo (in particolare dei cereali) abbiano elevato considerevolmente i consumi energetici relativi al cibo anche nei “developing countries”.
Per fare un confronto usando dati attinenti alla mia esperienza professionale diretta, posso dire che la coltivazione di un ettaro di grano nella campagna toscana richiede circa 70 kg di gasolio, pari a circa 742.335 Kcal, per dare (se va tutto bene) 45 q di granella, approssimativamente equivalenti a 1.575.000 Kcal.   Dunque il raccolto è circa il doppio del consumo, ma non ho considerato i concimi (circa 65 kg di nitrati, 80 kg di fosfati e 80 Kg di potassio) per il cui calcolo energetico mi rimetto ai chimici.    Se i rapporti tra le diverse fasi della filiera (produzione, trasporto, lavorazione ed impacchettamento, vendita, conservazione e cottura) in Italia fossero simili a quelli che Bomford riporta per gli USA, si troverebbe che il grano “made in Italy” giunge in tavola con circa 5 unità di energia fossile per ogni unità di energia fotosintetica.    Ovviamente, altri cibi hanno rapporti molto più svantaggiosi, in particolare le verdure coltivate in serra (magari riscaldata) ed ancor più la carne da allevamenti intensivi; per non parlare dei congelati, inscatolati, ecc.    Su questa base penso che, in Italia, si possa ritenere realistico un rapporto tra energia fossile e fotosintetica mediamente compreso fra 8:1 e 10:1.
 In conclusione, il rapporto di 40:1 dato nel post probabilmente si riferiva a casi limite e non a medie globali, un errore di cui mi scuso con i lettori.
Un dato strutturalmente diverso, ma ancor più preoccupante è il Sustainability Index (
M.T. Brown and S. Ulgiati 1997) ricavato dal rapporto fra la quantità di energia dissipata nel processo produttivo e quella contenuta nel cibo: un rapporto che, nei paesi sviluppati, è passato da 1 nel 1910, a 10 nel 1970, ad oltre 100 oggi (dati ENEA).    Al solito, nel resto del mondo c’è da aspettarsi un rapporto migliore, ma in progressivo peggioramento: dove per l'aumento del reddito medio e dove, viceversa, per il peggioramento delle condizioni di vita con il conseguente incremento degli aiuti alimentari internazionali.
    Rimane comunque valido il fatto che il petrolio è l’alimento principale dell’umanità contemporanea, il che ci riporta al primo post della serie ed al fatto che dovremo cambiare molto rapidamente la nostra dieta, sempre che ciò risulti possibile.

Il secondo dato contestato è il numero di persone denutrite oggi nel mondo.   Nel post affermo: ”Parallelamente,la quantità di persone denutrite è andata diminuendo dal 1960 fino al 1995,per poi circatriplicare nei 20 anni successivi.(fig. 4)”.   Si è trattato di un lapsus: l’aumento in cifra assoluta è stato infatti del 30% circa e non del triplo.

Per approfondire la questione, riporto qui per intero la figura (fonte European Environment Agency su dati FAO)  che nel post ho riprodotto in parte. Premesso che questo genere di dati è intrinsecamente approssimativo e che come tale deve quindi essere considerato, in numero assoluto si passa da circa 870 milioni nel periodo 1969-1971, a circa 820 nel periodo 1995-1997, per poi risalire a circa 1020 nel 2009.   Essendo che nel frattempo la popolazione è cresciuta considerevolmente, la curva del dato percentuale è diversa, con un minimo nel 2004-2006 (attorno al 15%), che risale al  20% circa nel 2009; molto meno del quasi 35% che avevamo nel 1969-1971.

Ho verificato il dato con quello pubblicato dal Worldwatch Institute nel rapporto 2013 dello State of the World, trovandolo in linea con quello da me utilizzato (probabilmente i dati di base sono gli stessi): 878 milioni nel 1969, minimo nel 1995 con 825 milioni, 1020 milioni nel 2009 e 1030 nel 2011.   Il dato reale è sicuramente peggiore in quanto queste stime si riferiscono ai soli “developing countries” e non considerano dunque i crescenti livelli di denutrizione in Europa, USA, ecc., ma comunque il numero delle persone denutrite, per fortuna, non è triplicato.

Mi scuso di tale grossolana svista che, a mio avviso, non inficia tuttavia l’analisi delle prospettive.   Per l’argomento in discussione non mi sembra infatti che sia tanto importante la cifra in se, quanto il fatto che abbiamo avuto un lungo periodo di miglioramento, seguito da un’inversione di tendenza oramai consolidata.  



Certamente sul problema della denutrizione pesano moltissimo anche altri fattori come gli iniqui meccanismi di mercato, gli sprechi e le speculazioni, ma non è mio scopo analizzare qui il peso relativo dei vari fattori in gioco, quanto porre in evidenza il fatto che le possibilità produttive dell’agricoltura stanno raggiungendo il loro limite estremo e non riescono più a tenere il passo con la crescita demografica che ha rallentato in termini percentuali, ma che è invece al suo massimo storico in termini assoluti.   E proprio per riportare l’attenzione su questo particolare aspetto del problema, aggiungo qui tre grafici (dati FAO) che evidenziano molto bene l’impatto della legge dei “ritorni decrescenti” sull'agricoltura contemporanea.

AI “ritorni decrescenti” si devono poi aggiungere le perdite dovute al mutamento climatico, un argomento su cui non mi dilungo essendo già stato trattato recentemente da diversi articoli su questo stesso blog, ad esempio questo, questo, e quest’altro.

Il pericolo di un’ondata di carestie è quindi uno degli elementi che contribuiscono a formare la “tempesta perfetta” che si addensa sulle nostre teste e viene preso molto sul serio dagli organismi competenti; specialmente in considerazione della progressiva riduzione delle disponibilità di petrolio e dell’inevitabile peggioramento del clima.   Da diverse parti vengono avanzate proposte interessanti per superare o posticipare tale crisi, ma la loro analisi esula dai limiti della presente integrazione. 

In conclusione, anche se non è piacevole essere colti in fallo, vorrei congratularmi per l’accortezza dei lettori di questo blog, cosa che costituisce un importante patrimonio ed un’ottima garanzia per la sua qualità.

Jacopo Simonetta