di Jacopo Simonetta
Molte volte, oramai, l’economia capitalista è stata data per spacciata, ed ogni volta i fatti hanno dimostrato il contrario; potrebbe questa volta essere diversa? Di fatto, i “G8”, i “G20”, i “G tutti”, gli eurogruppi, i summit ed i vertici di ogni tipo e qualità si succedono da anni con un ritmo quasi frenetico; i “piani di salvataggio” si accavallano ai “decreti sviluppo” ed ai “Piani di aiuto”, riuscendo tuttalpiù a rimandare un “peggio” che resta tanto vago, quanto inquietante. Intanto “la ripresa della crescita” continua a venir data per certa, ma il suo arrivo continua ad essere annunciato per l’anno venturo, da 6 anni oramai. Oppure è legata a virtuosismi contabili.
A questo punto, che ci sia una “crisi di fiducia” pare il minimo, mentre rivolte e tafferugli dilagano in molte parti del pianeta. Preso atto di ciò, la domanda è: Come mai, di fatto, tutti i governi e le istituzioni finanziarie del pianeta sembrano impotenti a fermare quello che Tremonti (oramai 5 anni fa) definì “una specie di videogame dove ad ogni passo sbuca fuori un nuovo mostro più brutto del precedente”? Eppure tutti i massimi esperti del mondo sembrano d’accordo. Quasi unanimi, ci dicono che occorre “ridurre il debito e rilanciare la crescita economica”. Il primo punto per evitare, nell’immediato, che l’intera economia globale vada in briciole come un castello di carte. Il secondo perché, sui tempi medi e lunghi, la crescita è l’unica medicina in grado di riportare il debito sotto controllo e, contemporaneamente, riportare le vacche grasse, almeno nei paesi più importanti. Me se sono tutti d’accordo, perché non funziona?
Una risposta argomentata occuperebbe un grosso volume, ma un’idea di larga massima potremmo forse farcela semplicemente spostando l’attenzione dall’oggi a quello che è avvenuto nel corso degli scorsi 70 anni circa. Proviamo a riportare su di un grafico tre variabili semplicissime e ben conosciute: il PIL USA, l’indice Dow Jons ed il debito federale USA. L’andamento negli altri paesi occidentali è stato molto simile, mentre quelli degli altri paesi sono largamente dipendenti da quelli occidentali, cosicché possiamo, in prima e grossolana approssimazione, considerare che i dati americani siano indicatori significativi per l’economia globale e globalizzata. Almeno fino ad oggi.
Già a colpo d’occhio, possiamo distinguere 4 periodi:
1- Dal 1950 circa al 1973 – Il PIL (verde) e la borsa (tratteggiato) salgono con relativa costanza, molto più rapidamente del debito (rosso), che sale pochissimo. L’economia reale cresce più rapidamente della borsa.
2 - Dal 1973 ai primi anni ’80 – PIL e borse hanno fluttuazioni non molto ampie, ma per un periodo prolungato, mentre la crescita del debito accelera sensibilmente.
3- Dai primi ’80 al 2000 – L’economia riparte, ma la borsa, molto, molto più rapidamente dell’economia reale, mentre il debito comincia a lievitare in modo allarmante.
4 -Dal 2000 ad oggi – Il PIL continua a crescere, ma rallenta sensibilmente, mentre le borse cominciano a fluttuare travolte da un’incalzare di crisi di panico e di euforia, mentre il debito, dopo un attimo di stasi, va completamente fuori controllo.
Questa, almeno, è la versione ufficiale dei fatti, già notevolmente allarmante per il nostro futuro. Si da però il caso che il governo USA (al pari di tutti gli altri) abbia progressivamente modificato i metodi di calcolo dell’inflazione. Se si rifanno i calcoli fino ad oggi, utilizzando i parametri precedenti il 1980, si ottiene una curva molto diversa, e molto più vicina all'esperienza personale di noi comuni cittadini (fonte John Williams,”Shadow Government Statistics”).
Se i calcoli sono corretti: Dal dopoguerra ai primi ’70, dal punto di vista economico, tutto è andato sostanzialmente bene (per noi). Poi c’è stato un decennio circa di problemi finché, nei primi anni ’80, una serie di provvedimenti (deregulation della finanza, svuotamento delle norme ambientali, globalizzazione del commercio e, soprattutto, esplosione del debito a tutti i livelli pubblici e privati) hanno effettivamente rilanciato la crescita di PIL e, soprattutto, delle borse, in parallelo col debito (NB. Il grafico riporta solo il debito federale. Parallelamente ad esso crescevano i debiti di enti locali, aziende, banche e famiglie). Questa rincorsa è andata avanti per circa 10 anni per poi stemperarsi in un altro decennio circa di stagnazione economica, associata però ad un’ulteriore crescita del debito (molto rallentato fra il ’95 ed il 2000) e, fenomeno importantissimo, alla crescita senza precedenti della speculazione borsistica che ha drenato la maggior parte degli investimenti. Con lo scoppio della bolla della “new economy” (a cavallo del 2.000) il giocattolo si è definitivamente rotto. Nel vano tentativo di evitare una recessione globale, i governi hanno risposto aumentando le dosi di “deregulation” e di debito, con risultati però molto limitati o addirittura controproducenti sull’economia reale, mentre la finanza entrava nel più completo delirio, stirata fra la propria tendenza intrinseca alla crescita esponenziale e lo scontro con la dura realtà di un’economia reale in recessione.
Una prima domanda legittima sarebbe quindi questa: Se 40 anni di “doping” della crescita a botte di debito non hanno potuto evitare la recessione, possiamo pensare di ridurre questo debito senza accelerare la recessione già in atto? Evidentemente no, e la Grecia lo dimostra. E difatti, la tragedia della Grecia sta portando molti economisti e governi a spingere anziché sul tasto del “risanamento”, su quello della “crescita” che poi (fidatevi!) risolverà tutti i problemi. Vedi ultimo summit mondiale dei grandi dottori dell'economia mondiale. Ipotesi seducente, ma è realistica? I grafici sopra riportati sono già decisamente sconfortanti, ma il quadro si fa ancor più fosco (e realistico) se confrontiamo i dati già visti con altri, di natura non più solo economica e finanziaria, tornando ancora una volta al 1972, quando fu pubblicato il leggendario “Limits to growth”. Lasciando ai lettori la cura di studiarsi Word3, possiamo qui dire che, purtroppo, 40 anni di verifiche su dati reali hanno confermato che l’affidabilità di questo modello è estremamente elevata (G. Turner A comparison of the limits to growth with thirty years of reality 2008). By G. Turner in Mark Strauss, Smithsonian magazine, April 2012)
Dunque proviamo a confrontare i soliti dati (PIL, DowJons e debito federale nella versione SDS) con le curve tracciate dallo scenario “business as usual” di Word3. Ed ecco che, certamente non per caso, le turbolenze degli anni ’70 sono avvenute mentre la curva delle risorse incrociava quella della popolazione (significa che è stata superata la capacità di carico del Pianeta), mentre le ben più importanti turbolenze degli ultimi 10 anni si sono verificate in concomitanza con il raggiungimento del picco storico delle curve di produzione agricola ed industriale. Un picco cui fatalmente deve seguire un declino, già iniziato in alcuni paesi ed incipiente in altri, più o meno rapido e profondo a seconda di tante cose. Ancora più significativo, certamente non per caso, la curva del PIL (corretto) segue in modo impressionante la curva delle risorse (la scala delle curve è diversa, ma quello che conta qui è la forma).
Ecco quindi la risposta: Ci saranno magari dei rimbalzi, più finanziari che economici, ma quello che stiamo vivendo sono le prime avvisaglie di una recessione che non potrà che peggiorare per tutti i prossimi 100 anni. Anzi, per il modo occidentale, la recessione è iniziata nel 2.000 (circa) e non ha poi fatto che peggiorare. Altri paesi, partiti dopo, hanno avuto tassi di crescita positiva fino ai giorni nostri, ma oramai si stanno adeguando all’andamento generale. Conclusioni analoghe si raggiungono studiando la situazione da altri punti di vista, anche molto diversi (andamento demografico, disponibilità di risorse insostituibili, degrado dei suoli, evoluzione socio-economica e politica, cultura dominante, ecc.). Purtroppo, quando dati di natura diversa, elaborati con metodi indipendenti, giungono a conclusioni simili, c’è poca speranza di sbagliare. A questo punto la risposta che di solito ricevo è di questo tipo: “Ma se fosse così vorrebbe dire che è finito tutto; che non si può far più nulla!”
Una reazione davvero strana perché, semmai, ciò che finisce è l’economia di mercato: una parentesi molto breve nella storia dell’umanità; una catastrofe devastante e puntiforme nella storia della biosfera. Ci sono state grandi civiltà prima, perché non dovrebbero essercene altre dopo? Certamente prive delle tecnologie che ci sono care, ma nondimeno grandi civiltà; perché no? E per chi è disposto ad archiviare l’ipotesi di mantenere in futuro un tenore di vita lontanamente simile a quello del recente passato, il daffare non manca; c’è molto più lavoro da fare su di una nave che affonda, rispetto ad una che procede spedita sulla sua rotta. La difficoltà è piuttosto che ci si addentra in un terreno storico totalmente inesplorato. Nel giro di 10-20 anni al massimo anche le tracce che possono darci analisi come questa perderanno di significato. Lo avevano detto chiaro Meadows e soci: il loro modello è affidabile solo finché il sistema permane globalizzato: dal momento in cui comincerà a disgregarsi in sotto-sistemi, il destino di ognuno di questi potrà evolvere anche in modo molto diverso.
Articolo interessantissimo ma da masticare e digerire con calma.
RispondiEliminaMi permetto di farti notare un errore di scrittura: scrivi più volte Dow Jons, ma è Dow Jones.
Saluti,
Mauro.
Chiedo scusa a tutti, l'ortografia non era il mio forte nemmeno a scuola.
EliminaEra l'unico errore, non preoccuparti :)
EliminaBenvenuto Jacopo, bella partenza.
RispondiEliminaDimentichiamo sempre nell'equazione che abbiamo le bombe atomiche. I romani, gli Aztechi, i Ming, non avevano armi di sterminio totale globale per combattere le loro ultime convulse guerre di agonia.
RispondiEliminaQuesta volta è diverso, diverso per davvero.
Vero, Phitio, ma in questo la crisi energetica ci aiuta da diversi punti di vista. Primo, credo che dietro gli accordi per il parziale smantellamento degli arsenali nucleari USA-Russia ci sia anche il bisogno di recuperare combustibile per le centrali. Secondo, Mantenere operative le armi nucleari ha dei costi energetici costanti che sarà sempre più difficile soddisfare, altra ragione per ridimensionare gli arsenali. Terzo, Ricordo che avevo fatto un conticino col "bracciometro" per la guerra in IRAQ (una roba regionale) e mi era venuto fuori qualcosa di vicino all' 1% del consumo energetico USA. Probabilmente i miei conti erano sbagliati, ma di sicuro la guerra moderna ha dei costi energetici iperbolici. Se riusciamo a stare tranquilli ancora per una decina d'anni è possibile che poi non sarà più possibile scatenare olocausti bellici del tipo di quelli oggi ancora possibili.
EliminaInfine, la globalizzazione ha tantissimi difetti, ma anche qualche vantaggio: il livello di interdipendenza di tutti da tutti è talmente elevato da impedirci di combattere. Almeno per ora. Penso che se gli europei non avessero un disperato bisogno del gas russo ed i russi un disperato bisogno dei soldi europei, la crisi ucraina sarebbe andata molto, ma molto peggio.
Naturalmente sarà sempre possibile farsi molto male, ma forse non così tanto.
C'e' il piccolo dettaglio che gli arsenali attuali possono distruggere completamente la terra almeno 100 volte. Alle potenze in declino basta tenere un 2% di quello che avevano accumulato dissennatamente negli anni della guarra fredda per poter comunque annichilare tutto. Lo smaltimento delle armi nucleri non riguarda certo tutto lo stock. Le armi intercontinentali costeranno si, ma verranno mantenute anche con la popolazione alla fame, in nome della sicurezza nazionale, ovviamente. Sara' interessante capire che succedera' se gli USA si disintegreranno, a chi andra' in mano i vari pezzi e pezzetti di arsenale dislocato sul territorio. Se i governanti fossero saggi, provederebbero fin da subito a eliminare totalmente ogni testata a lunga gittata proprio in vista della loro futura inevitabile incapacita' di gestire quelle armi micidiali. Sarebbe il buon senso di chi, in previsione di dover affrontare la propria demenza senile, si sbarazzasse per sicurezza di tutti i fucili che ha in casa per evitare di ammazzare i familiari in caso di attacco di mente. E' questa consapevolezza che dovrebbe farsi strada: il declino e' dritto di fronte a noi, e dobbiamo fare i conti con le nostre future incapacita', ora che possiamo.
EliminaGli arsenali nucleari sono una spada di damocle sul futuro della specie umana. E temo faranno parte del ventaglio di opzioni disponibili nelle guerre per le risorse. Purtroppo.
RispondiEliminaComunque già oggi la centrale di Fukushima ci sta dando un'idea dell'incompatibilità tra futuro della specie umana e opzione nucleare. Effetti sull'emisfero settentrionale del pianeta tutti da verificare e provare per noi stessi e i nostri discendenti.
Immaginare nuove future civiltà più rispettose dell'ambiente, in un mondo recuperato in gran parte dalla Natura e molto meno affollato da esseri umani è affascinante, ma è solo semplice ginnastica mentale.
Bel post comunque. Per quelli come noi una conferma, per altri che si affacciano per la prima volta sul mondo dei limiti delle risorse, da digerire con calma riflessione... per non finire nel panico.
RispondiEliminaPurtroppo per tutti, anche per i sazi e i satolli oltre che per i disgraziati, il PIL è solo più ormai come l'unità di misura della luminosità d'una lampadina, il lumen, ma applicata ad uno schermo o un display, per stabilire la qualità e natura d'una immagine o d'un filmato.
RispondiEliminaPurtroppo ancora, se anche si volesse misurare la distanza dal Paradiso di ogni esistenza umana qui nel Purgatorio terrestre, la misura sarebbe di una difficoltà infernale.
Quindi, non ci resta che vagare in questo limbo nebbioso illuminandolo con la fioca e tremula luce del PIL, senza dimenticarci che alla luce del Sole tutto apparirebbe variopinto e contrastato.
E se rischiarato da quella della Luna, sicuramente più incantevole.
Marco Sclarandis
Verissimo, ma il maledettissimo PIL è l'unico dato universalmente e facilmente accessibile. Quindi non se ne può fare a meno. Sarebbe bene aggiungere ogni volta una digressione sul significato reale dell'indice ecc., ma renderebbe gli articoli illeggibili.
Eliminasalve, volevo far notare che - a parte l'interessante articolo - il carattere utilizzato per i post nel nuovo sito è molto meno leggibile, appesantisce la vista e la lettura.
RispondiEliminaA mio avviso era nettamente meglio il carattere di "effetto cassandra".
Mah.... onestamente non mi sembra male. Cosa ne pensano i lettori?
EliminaIo leggo senza problemi. Il carattere direi che va bene.
EliminaComunque ho fatto qualche cambiamento. Che ne dite, adesso?
EliminaComplimenti, post interessantissimo
RispondiEliminaArticolo drammaticamente convincente.
RispondiElimina" Ci sono state grandi civiltà prima, perché non dovrebbero essercene altre dopo? Certamente prive delle tecnologie che ci sono care, ma nondimeno grandi civiltà;"
RispondiEliminaGrandi se facevi parte del 10 o meno % della popolazione che viveva del lavoro schiavistico o semischiavistico degli altri.
Spero che il futuro riservi qualcosa di meglio ai miei figli....
commercio viene dal latino "cum merce". L'economia di mercato è sempre esistita e sempre esisterà, finchè sullaTerra ci sarà più di un solo essere umano. Terminerà semmai l'economia basata sullo spreco consumistico, ma per la maggior parte di noi sarà troppo tardi. Com'era bello, quando da bambino la casa era vuota e spaziosa, invece ora è un magazzino di cose per lo più inutili comprate da mia moglie. E ho capito a che serviva la parità tra i sessi, altro che uguaglianza nel nome dell'amore reciproco.
RispondiEliminaNon mi piacciono le "grandi civiltà" : si avvalgono sempre della tecnica del "dominio".
RispondiEliminaPreferisco di gran lunga le "tribù" : non vi è il "dominio", ma la "condivisione", e il rispetto per la Natura.
Se la civiltà occidentale/dominatrice/consumistica è una grande civiltà, lo è nel male : abbiamo rovinato gran parte del pianeta e stiamo per annullare quasi tutta la Vita (compresi gli esseri umani) sulla Terra.
Fra le tribù non vi è "economia di mercato", ma "condivisione e dono".
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Tahca Ushte (Cervo Zoppo), Mineconju-Lakota Sioux, America Settentrionale (1903-1976) ha detto :
"Prima dell'arrivo dei nostri fratelli bianchi, e del loro tentativo di trasformarci in uomini civilizzati, noi indiani non avevamo prigioni.
.
E di conseguenza non avevamo nemmeno delinquenti: senza prigioni non possono esserci delinquenti.
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Non avevamo serrature o chiavi: quindi non c'erano ladri.
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Se qualcuno diventava così povero da non avere un cavallo, una tenda o una coperta,
gli venivano dati in dono.
.
Desideravamo possedere cose solo per poterle donare.
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Non conoscevamo nessun tipo di denaro, così non usavamo la ricchezza come parametro per calcolare il valore di una persona.
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Non avevamo leggi scritte, né avvocati, né politici, così non ci potevamo imbrogliare l'uno con l'altro.
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Prima dell'arrivo dei bianchi eravamo proprio conciati male e non riesco a capire come potevamo cavarcela senza tutte quelle cose fondamentali che, come ci dicono, sono alla base di una società civile".
http://www.servadghi.it/cervozop.htm
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Gianni Tiziano
Carissimo Gianni Tiziano, scaffali e scaffali stipati in enormi magazzini colmi di testimonianze pergamenacee e cartacee, sono lì a ricordarci che da tempi immemorabili ci siamo sempre dati botte da orbi. La tua fede nella tribù, anche se sincera credo che sia malriposta.
RispondiEliminaCiononostante, e proprio la convivenza di sette miliardi di ex cavernicoli in un cortile dalle stesse dimensioni dello stesso sterminato pianeta quale doveva apparire a quegli antenati, dimostra come siamo capaci di fare ottimo viso a pessimo gioco, a patto che il gioco non si protragga troppo a lungo.
Concisa sublime e inveterata è la massima: "Do ut des". Do perchè tu dia.
Su questa massima si fonda l'attuale pacifica convivenza degli scalmanati umani.
Ma anche fragilissima, come tutti possiamo constatare a partire da un tinello su su attraverso un condominio fino al famigerato Palazzo di Vetro.
Comunque, accoppiata all'altra massima: "Memento mori" Ricordati che devi morire, può essere irrobustita e di molto.
A scapito della concisione. Ma come tutti sappiamo, in questo mondo i pasti non sono mai gratis, al massimo a credito.
Marco Sclarandis
Buongiorno Marco.
RispondiEliminaCome avrai capito, amo un tipo di pensiero che chiamo “tribale”.
Sono 12 anni che mi stà entrando in testa, senza sforzo, naturalmente.
Perché è naturale.
Quello che è espresso nel pensiero di Cervo Zoppo, poche righe sopra, fa parte della forma mentis “tribale”.
Ciò che è scritto sui libri di storia è PARZIALE, riporta SOLO la nascita della "civiltà occidentale" e il suo sviluppo (diecimila anni).
I libri di storia NON portano correttamente a conoscenza il tipo di società nella quale TUTTI gli esseri umani erano organizzati fino a diecimila anni fa, cioè per 2.000.000 (duemilioni ! di anni).
Fino a poche centinaia di anni fa LA MAGGIOR PARTE degli esseri umani era organizzata in “tribù”.
La nostra “cultura occidentale” ha massacrato con la violenza le “tribù”, che erano “pacifiche”.
La civiltà di tipo occidentale (nata in Mesopotamia e sviluppatasi in Europa) ha progressivamente distrutto (nel corso di soli diecimila anni) le società tribali che costituivano la maggioranza della gente, ed erano “pacifiche”.
Ancora esistono società tribali (in Amazzonia, in Africa, in Asia).
Sono estremamente intimorite dalla nostra aggressività, quelle che possono si nascondono per sopravvivere, le altre stanno soffrendo tantissimo a causa nostra.
Quando Cristoforo Colombo sbarcò in America, solo 522 (cinquecentoventidue) anni fa, gran parte di quel continente era organizzato in società tipo “tribù”, “pacifiche”.
Vi erano alcune civiltà (Maya, Aztechi, Inca), ma erano la minoranza, e non erano così aggressive come la nostra “civiltà occidentale”.
Perchè dico che le tribù erano e sono (quelle ancora esistenti) PACIFICHE ?
Perchè SOLO avevano delle scaramucce con le tribù confinanti per difendere il proprio diritto ad esistere su quel pezzo di Terra.
NON erano guerre, e molte volte si risolvevano unicamente con dimostrazioni di valore e coraggio, senza morti.
Se osservi la natura, vedrai che questo fanno anche gli animali.
Gli animali difendono il loro territorio, ma non fanno guerre !
La stessa cosa è per gli esseri umani associati in “tribù”.
Ciao.
Tiziano Gianni