domenica 1 settembre 2013

L'apocalisse di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel

Cari lettori,

è già da tempo che al cinema, nei racconti, nelle serie televisive nei fumetti e nei videogiochi – insomma, nei mezzi che attualmente costituiscono l'espressione della cultura popolare – si possono trovare racconti di un futuro più o meno apocalittico. Nel mondo dei videogiochi c'è un termine specifico per i titoli di questo argomento: survival horror, o orrore del sopravvissuto. La cosa più comune è che la disgrazia mondiale sopraggiunga sotto forma di zombi dell'apocalisse (un'infezione trasforma la maggior parte della popolazione in mostruosi antropofagi e i sopravvissuti lottano contro di loro) oppure una catastrofe di portata mondiale (meteoriti, vulcani, esplosioni radioattive ed ogni tipo di fenomeno, a volte compresa una – tipicamente repentina, il che la rende poco realista – scarsità mondiale di petrolio). In tutti i casi la catastrofe presuppone la fine della nostra civiltà e l'inizio di una nuova epoca di scarsità, necessità e grandi pericoli.

Questo tipo di fantasia ha una lunga tradizione nel mondo occidentale. Non per caso una catastrofe che può mettere in ginocchio la civiltà di solito viene chiamata Apocalisse, in riferimento all'ultimo libro del Nuovo Testamento. Le rivelazioni che l'Apostolo San Giovanni e i suoi accoliti lasciarono riflesse in quel libro si riferivano alla desiderata caduta di Roma (la bestia dalle sette teste emersa dal mare, per far cadere la quale, sicuramente, ci vollero diversi secoli) ma sono serviti per secoli come base di tante profezie millenarie. Se si guarda la storia dell'Europa si può vedere che con una certa frequenza i paesi hanno attraversato dure crisi di identità, di messa in discussione profonda del proprio modello di civiltà e proprio in quei momenti l'idea di vivere in una civiltà decadente che sarà purificata dalle fiamme dell'Apocalisse è diventata ricorrente.

L'attrattiva principale della narrativa apocalittica è che offre una via d'uscita ad una civiltà che è giunta ad un punto morto, ad un'impossibilità di continuare per la stessa strada da cui veniva. Siamo tutti in grado di vedere cose che non funzionano intorno a noi, in ciò che percepiamo come “società”, nel nostro paese, nel nostro stato. Solo quando si accumulano troppe cose negative comincia a sembrare desiderabile distruggere tutto e iniziare da zero, cercando di non tornare a commettere gli stessi errori del passato, eliminando tutto ciò che è stato fatto male. Il che, con un certo cinismo, implica anche eliminare milioni di persone che già sono, nella nostra percezione, “male educate”. Per qualche curioso motivo, quelli che credono, fino a desiderarlo, nell'arrivo dell'Apocalisse pensano, che loro saranno fra quelli che sopravviveranno, nonostante ci si aspetti che la carneficina sia estrema ed estesa.

Tuttavia, la narrativa apocalittica si adatta poco alla realtà delle transizioni, comprese quelle dei collassi delle civiltà. Generalmente il collasso di una civiltà impiega molti decenni, anche vari secoli, e la riduzione è abbastanza graduale per la percezione umana, anche se storicamente rappresenta solo alcune generazioni. Proprio perché ogni generazione è una vita completa ed i nuovi venuti danno per scontato che ciò che i grandi chiamano “il nuovo ordine delle cose” sia la normalità. Abbiamo già commentato che la psiche umana ha la tendenza a modellare la propria memoria in forma di stati (visione statica) e non di processi (visione dinamica), così che normalmente vediamo lo stato A e poi lo stato B senza comprendere che c'è stata tutta una successione continua che ci ha portato, ed era prevedibile che ci portasse, da A a B. Quindi, salvo in casi di declino improvviso di alcune risorse fondamentali (cosa che potrebbe accadere durante il tramonto del petrolio già in corso, ma che non è prevedibile che accada nella generalità dei casi), non è l'Apocalisse ciò che potrebbe aspettarci nel futuro, ma uno scenario di degrado continuo del tipo de La Grande Esclusione. Colui che richiama l'Apocalisse sta dicendo che preferisce uno scenario di sangue e fuoco dove potrebbe lottare per una vita più austera ma libera, forse perché intuisce che la cosa più probabile è che senza grandi clamori possa semplicemente diventare uno schiavo.

A margine delle persone che aspettano e desiderano l'Apocalisse come momento personale di redenzione, in generale la società, e in particolare le persone con una migliore posizione sociale in essa, rifiutano in toto una tale narrativa e persino l'uso dell'aggettivo “apocalittico” è considerato dispregiativo, usato per disprezzare chi è ritenuto fuori di senno per il fatto di affermare o credere che una tale cosa possa accadere. La cosa a volte giunge al limite del fanatismo quando qualcuno segnala una difficoltà o un problema e viene tacciato di essere un veggente o un “apocalittico”. Questa è, di fatto, la situazione in cui tante persone che tentano di promuovere la presa di coscienza riguardo alla crisi energetica si sono trovate in miriadi di occasioni. Io stesso mi sono trovato a confronto con gente che, dopo aver proposto la propria soluzione tecnologica al “problema” e dopo aver sentito le mie obbiezioni ad essa, invece di capire che la chiave sta nel ripensare il problema, continua a cercare una crescita infinita in un pianeta finito e mi dice sprezzante: “Lei ha una visione apocalittica”. Senza arrivare a questo, in una discussione non così radicale, molta gente ride – e forse tu, caro lettore, lo farai – quando le dico che io non sono un pessimista.

Che io non sia un pessimista dovrebbe risultare evidente semplicemente vedendo che impiego una quantità significativa del mio tempo libero a fare divulgazione sul problema della crisi energetica (credo sia necessario qui un riconoscimento ed una celebrazione del lavoro di Antonio, di Ugo e di altri –  forse anche del mio e quello di alcuni di voi lettori... ndt.). Se io pensassi che non c'è niente da fare, che senso avrebbe dedicare tanto tempo ad una causa persa? E' proprio perché credo che si possa e si debba fare qualcosa che spiego queste cose. Ovviamente non ho tutte le soluzioni per tutti i problemi; cerco solo di creare consapevolezza, visto che non potremo mettere la conoscenza e la capacità di questa società nella giusta direzione per costruirci un futuro se prima non siamo coscienti del problema che abbiamo. E nonostante gli anni che abbiamo perso già nel tentativo di cambiare una rotta di collisione, continueremo a provarci sempre, perché noi, coloro che si dedicano a questo, crediamo che le cose si possano ancora cambiare in meglio.

Chi è in realtà il vero pessimista? Colui che crede che non si possa cambiare nulla. Il suo comportamento è simile a quello dell'autista del nostro autobus che segue prosegue per la sua strada e all'improvviso vede che il ponte per il quale doveva passare è crollato, ma nonostante questo persiste nel proseguire per la stessa strada. Noi gli diciamo che può svoltare, che può girare a sinistra o a destra per continuare su un'altra strada, o che perlomeno freni, ma lui dice che ha fatto la stessa strada migliaia di volte, che gli ingegneri stradali sono persone molto abili e che se vien fuori un qualche problema lo risolveranno in tempo, che alla fine dei conti siamo solo degli ignoranti e dei catastrofisti... e continua imperturbabile sulla stessa strada, quella che lo porterà nel burrone, e noi con lui. Proprio queste persone che dicono che “nulla cambierà”, che “la crescita economica non è negoziabile” (frase che letteralmente un economista che aveva avuto delle responsabilità importanti nello Stato spagnolo mi ha detto in una riunione qualche mese fa), sono le persone che con più probabilità accusano coloro che avvisano del problema di essere “catastrofisti” ed “apocalittici”. Forse inconsciamente, le loro accuse cercano di nascondere il loro senso di colpa, che in realtà sono loro i catastrofisti. E sono loro stessi, il giorno in cui comprenderanno che il loro beneamato programma di progresso e la loro visione di crescita infinita fanno acqua da tutte le parti, coloro che probabilmente aspetteranno e desidereranno con fervore devoto l'Apocalisse che li redima.

Non ci aspetta l'Apocalisse più avanti; piuttosto un amaro declino ed una miseria crescente, se non sappiamo gestire questa situazione. Ma possiamo gestire correttamente questa situazione difficile. Sì, possiamo. Possiamo trasformare questa crisi storica in un'opportunità storica, quella di ripensare il sistema economico e trasformarlo in qualcosa di più umano e più giusto. Si può passare dall'idea all'azione. Facciamolo.

E se mi dite che non si può far nulla, allora forse dovreste guardarrvi dentro e rendervi conto di chi sia in realtà il pessimista, il catastrofista, l'apocalittico.

Saluti.
AMT