Qui sopra: risposte alla domanda se il riscaldamento globale sia in corso nell'ultimo sondaggio eseguito dalla Mason University. La gente è stata confusa non poco dall'offensiva dei negazionisti che è cominciata con il "Climategate" l'anno scorso ma c'è un'inversione di tendenza che fa ben sperare per il futuro.
Sembra che la grande offensiva dei negazionisti climatici stia perdendo forza. I sondaggi indicano una netta inversione di tendenza dopo il momento di smarrimento che era seguito al "climategate". Negli Stati Uniti, che è un po' il banco di prova di tutto quello che succede al mondo, ci sono più persone oggi che credono che il riscaldamento globale esista e che sia causato dall'uomo di quante non ce ne fossero sei mesi fa. E' vero che questi sondaggi sono un po' stagionali, influenzati dal caldo e dal freddo, ma ancora non abbiamo avuto ondate di calore negli Stati Uniti, per cui non è questa la ragione dell'inversione.
Non siamo ancora ritornati ai valori di un paio di anni fa, ma questa inversione nella tendenza è particolarmente importante se pensiamo che l'operazione mediatica del climategate era partita con grande supporto finanziario e - per un certo periodo - era parsa quasi inarrestabile. Si correva veramente il rischio di vedere la scienza del clima seppellita da una valanga di bugie; più o meno come era successo negli anni '80 ai "Limiti dello Sviluppo". Invece, la scienza sta riprendendo fiato e vigore.
Ci sono vari motivi che hanno portato a quello che sembra essere l'inizio del fallimento dell'offensiva dei mercanti del dubbio. Il primo - e forse quello fondamentale - è l'estrema debolezza della posizione dei negazionisti. Se si sono ridotti a cercare di contrastare l'evidenza dei dati sperimentali sulla base di qualche messaggio scritto dieci anni fa, beh, vuol dire proprio che non hanno altri argomenti.
Non siamo ancora ritornati ai valori di un paio di anni fa, ma questa inversione nella tendenza è particolarmente importante se pensiamo che l'operazione mediatica del climategate era partita con grande supporto finanziario e - per un certo periodo - era parsa quasi inarrestabile. Si correva veramente il rischio di vedere la scienza del clima seppellita da una valanga di bugie; più o meno come era successo negli anni '80 ai "Limiti dello Sviluppo". Invece, la scienza sta riprendendo fiato e vigore.
Ci sono vari motivi che hanno portato a quello che sembra essere l'inizio del fallimento dell'offensiva dei mercanti del dubbio. Il primo - e forse quello fondamentale - è l'estrema debolezza della posizione dei negazionisti. Se si sono ridotti a cercare di contrastare l'evidenza dei dati sperimentali sulla base di qualche messaggio scritto dieci anni fa, beh, vuol dire proprio che non hanno altri argomenti.
In più, abbiamo visto anche una certa reazione da parte degli scienziati. Certo, gli scienziati sono spesso dei pessimi comunicatori e - soprattutto - non sono preparati allo scontro sui media. Però, c'è un limite a tutto e molti scienziati, trascinati a forza nell'arena mediatica, hanno finito per mostrare i denti e rispondere a tono. Ne hanno ancora da imparare, ma sembra che molti abbiano capito che stare zitti e subire non è la strategia migliore.
Insomma, stiamo facendo meglio di quanto non si potesse pensare pochi mesi fa, anche se possiamo e dobbiamo fare di più e di meglio. In fondo, alla base dell'azione dei mercanti del dubbio c'è soltanto una banda di mentitori patologici la cui sola virtù è una certa capacità di manipolare quella cosa che si chiama "opinione pubblica". Possiamo batterli, soprattutto se pensiamo che abbiamo la verità dalla nostra parte. Non è un vantaggio da poco.
Ma la verità non vince da sola - ci vuole anche un po' di strategia. In fondo vi passo un testo di Juan Cole, un esperto di comunicazioni che pubblica una serie di considerazioni su come condurre il dibattito sul clima. Dalla lettura di Cole, ho tratto alcune raccomandazioni che vi passo qui di seguito.
1. Quello sul clima non è un "dibattito" è una lotta contro dei professionisti della disinformazione pagati dalle lobby dei fossili. Per cui, non vi aspettate che questi giochino secondo le regole - sono dei bugiardi professionisti. Dice Cole "E' un lavoro da macellaio"
2. Aspettatevi attacchi personali. Dato che i vostri avversari non hanno argomenti scientifici, faranno ricorso a bugie sul vostro conto cercando di mettervi in cattiva luce.
3. Non è una lotta ad armi pari: questi hanno molti soldi forniti dalle lobby e i soldi si tirano dietro i politici e la grande stampa. Dovete combattere con intelligenza, sfruttando bene i mezzi che avete. Anche se non potete pubblicare sui grandi quotidiani o apparire in TV, un messaggio ben costruito su un blog può sempre raggiungere chi lo può capire
4. Non cadete nella trappola di mettervi a tu per tu con un negazionista climatico. I media vivono di controversia e i negazionisti vivono spargendo dubbi. Se vi mettete a dibattere in pubblico, farete un favore a negazionisti e giornalisti, ma non lo farete al pubblico e a voi stessi. Ricordatevi la vecchia massima "non metterti a discutere con un imbecille, chi ti sta intorno potrebbe non capire la differenza" Dice Cole. "Qualsiasi trasmissione che mette a confronto un negazionista climatico e un climatologo è automaticamente una vittoria per il negazionista, dato che si da spazio e legittimazione a una posizione falsa".
5. Insistete, insistete, insistete. Nella confusione mediatica, il messaggio deve essere ripetuto. Solo così finisce prima o poi per passare. Questa è una tattica che i negazionisti conoscono benissimo e sfruttano al massimo per diffondere bugie. Se diffondete verità, funziona ancora meglio
6. Fatevi il vostro blog. Credo che questo sia il punto fondamentale - quello che può veramente essere decisivo. Semplicemente: fatevi sentire. E nel mondo di oggi il mezzo più efficace per farsi sentire è attraverso i blog. E' il modo di raggiungere le persone intelligenti che possono capire il messaggio. Cole dice "ogni climatologo dovrebbe tenere un blog" ma non importa essere climatologi: farsi sentire è un dovere per tutti quelli che hanno capito le regole del gioco. Se ci tenete a voi stessi, ai vostri figli, ai vostri nipoti a tutti quanti e a questo pianeta, fatevi il vostro blog! Davvero, fatelo.
Insomma, stiamo facendo meglio di quanto non si potesse pensare pochi mesi fa, anche se possiamo e dobbiamo fare di più e di meglio. In fondo, alla base dell'azione dei mercanti del dubbio c'è soltanto una banda di mentitori patologici la cui sola virtù è una certa capacità di manipolare quella cosa che si chiama "opinione pubblica". Possiamo batterli, soprattutto se pensiamo che abbiamo la verità dalla nostra parte. Non è un vantaggio da poco.
Ma la verità non vince da sola - ci vuole anche un po' di strategia. In fondo vi passo un testo di Juan Cole, un esperto di comunicazioni che pubblica una serie di considerazioni su come condurre il dibattito sul clima. Dalla lettura di Cole, ho tratto alcune raccomandazioni che vi passo qui di seguito.
1. Quello sul clima non è un "dibattito" è una lotta contro dei professionisti della disinformazione pagati dalle lobby dei fossili. Per cui, non vi aspettate che questi giochino secondo le regole - sono dei bugiardi professionisti. Dice Cole "E' un lavoro da macellaio"
2. Aspettatevi attacchi personali. Dato che i vostri avversari non hanno argomenti scientifici, faranno ricorso a bugie sul vostro conto cercando di mettervi in cattiva luce.
3. Non è una lotta ad armi pari: questi hanno molti soldi forniti dalle lobby e i soldi si tirano dietro i politici e la grande stampa. Dovete combattere con intelligenza, sfruttando bene i mezzi che avete. Anche se non potete pubblicare sui grandi quotidiani o apparire in TV, un messaggio ben costruito su un blog può sempre raggiungere chi lo può capire
4. Non cadete nella trappola di mettervi a tu per tu con un negazionista climatico. I media vivono di controversia e i negazionisti vivono spargendo dubbi. Se vi mettete a dibattere in pubblico, farete un favore a negazionisti e giornalisti, ma non lo farete al pubblico e a voi stessi. Ricordatevi la vecchia massima "non metterti a discutere con un imbecille, chi ti sta intorno potrebbe non capire la differenza" Dice Cole. "Qualsiasi trasmissione che mette a confronto un negazionista climatico e un climatologo è automaticamente una vittoria per il negazionista, dato che si da spazio e legittimazione a una posizione falsa".
5. Insistete, insistete, insistete. Nella confusione mediatica, il messaggio deve essere ripetuto. Solo così finisce prima o poi per passare. Questa è una tattica che i negazionisti conoscono benissimo e sfruttano al massimo per diffondere bugie. Se diffondete verità, funziona ancora meglio
6. Fatevi il vostro blog. Credo che questo sia il punto fondamentale - quello che può veramente essere decisivo. Semplicemente: fatevi sentire. E nel mondo di oggi il mezzo più efficace per farsi sentire è attraverso i blog. E' il modo di raggiungere le persone intelligenti che possono capire il messaggio. Cole dice "ogni climatologo dovrebbe tenere un blog" ma non importa essere climatologi: farsi sentire è un dovere per tutti quelli che hanno capito le regole del gioco. Se ci tenete a voi stessi, ai vostri figli, ai vostri nipoti a tutti quanti e a questo pianeta, fatevi il vostro blog! Davvero, fatelo.
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This article at mongabay.com includes some hand-wringing from scientists who say that they should have responded to the attacks earlier and more forcefully in public last fall, or who worry that scientists are not charismatic t.v. personalities who can be persuasive on that medium.
Let me just give my scientific colleagues some advice, since as a Middle East expert I’ve seen all sorts of falsehoods about the region successfully purveyed by the US mass media and print press, in such a way as to shape public opinion and to affect policy-making in Washington:
1. Every single serious climate scientist should be running a blog. There is enormous thirst among the public for this information, and publishing only in technical refereed journals is guaranteed to quarantine the information away from the general public. A blog allows scientists to summarize new findings in clear language for a wide audience. It makes the scientist and the scientific research ‘legible’ to the wider society. Educated lay persons will run with interesting new findings and cause them to go viral. You will also find that you give courage to other colleagues who are specialists to speak out in public. You cannot depend on journalists to do this work. You have to do it yourselves.
2. It is not your fault. The falsehoods in the media are not there because you haven’t spoken out forcefully or are not good on t.v. They are there for the following reasons:
a. Very, very wealthy and powerful interests are lobbying the big media companies behind the scenes to push climate change skepticism, or in some cases (as with Rupert Murdoch’s Newscorp/ Fox Cable News) the powerful and wealthy interests actually own the media.
b. Powerful politicians linked to those wealthy interests are shilling for them, and elected politicians clearly backed by economic elites are given respect in the US corporate media. Big Oil executives e.g. have an excellent rollodex for CEOs, producers, the bookers for the talk shows, etc. in the corporate media. They also behind the scenes fund “think tanks” such as the American Enterprise Institute to produce phony science. Since the AEI generates talking points that aim at helping Republicans get elected and pass right wing legislation, it is paid attention to by the corporate media.
c. Media thrives on controversy, which produces ratings and advertising revenue. As a result, it is structured into an ‘on the one hand, on the other hand’ binary argument. Any broadcast that pits a climate change skeptic against a serious climate scientist is automatically a win for the skeptic, since a false position is being given equal time and legitimacy. It was the same in the old days when the cigarette manufacturers would pay a ‘scientist’ to go deny that smoking causes lung cancer. And of course we saw all the instant Middle East experts who knew no Arabic and had never lived in the Arab world or sometimes even been there who were paraded as knowledgeable sources of what would happen if the United States invaded Iraq and occupied it.
d. Journalists for the most part have to do as they are told. Their editors and the owners of the corporate media decide which stories get air time and how they are pitched. Most journalists privately admit that they hate their often venal and ignorant bosses. But what alternative do most of them have?
e. Journalists for the most part do not know how to find academic experts. An enterprising one might call a university and be directed to a particular faculty member, which is way too random a way to proceed. If I were looking for an academic expert, I’d check a citation index of refereed articles, but most people don’t even know how to find the relevant database. Moreover, it is not all the journalists’ fault. journalism works on short deadlines and academics are often teaching or in committee and away from email. Many academics refuse (shame on them) to make time for media interviews.
f. Many journalists are generalists and do not themselves have the specialized training or background for deciding what the truth is in technical controversies. Some of them are therefore fairly easily fooled on issues that require technical or specialist knowledge. Even a veteran journalist like Judy Miller fell for an allegation that Iraq’s importation of thin aluminum tubes in 2002 was for nuclear enrichment centrifuges, even though the tubes were not substantial enough for that purpose. Many journalists (and even Colin Powell) reported with a straight face the Neocon lie that Iraq had ‘mobile biological weapons labs,’ as though they were something you could put in a winnebago and bounce around on Iraq’s pitted roads. No biological weapons lab could possibly be set up without a clean room, which can hardly be mobile. Back in the Iran-Iraq War, I can remember an American wire service story that took seriously Iraq’s claim that large numbers of Iranian troops were killed trying to cross a large body of water by fallen electrical wires; that could happen in a puddle but not in a river. They were killed by Iraqi poison gas, of course.
The good journalists are aware of their limitations and develop proxies for figuring out who is credible. But the social climbers and time servers are happy just to host a shouting match that maybe produces ‘compelling’ television, which is how they get ahead in life.
3. If you just keep plugging away at it, with blogging and print, radio and television interviews, you can have an impact on public discourse over time. I could not quantify it, but I am sure that I have. It is a lifetime commitment and a lot of work and it interferes with academic life to some extent. Going public also makes it likely that you will be personally smeared and horrible lies purveyed about you in public (they don’t play fair– they make up quotes and falsely attribute them to you; it isn’t a debate, it is a hatchet job). I certainly have been calumniated, e.g. by poweful voices such as John Fund at the Wall Street Journal or Michael Rubin at the American Enterprise Institute. But if an issue is important to you and the fate of your children and grandchildren, surely having an impact is well worth any price you pay.
Advice to Climate Scientists on how to Avoid being Swift-boated and how to become Public Intellectuals
Climate Scientists continue to see persuasive evidence of global warming and climate change when they speak at academic conferences, even though, as Andrew Sullivan rightly put it, the science is being ‘swift-boated before our eyes.’ (See also Bill McKibben at Tomdispatch.com on Climate Change’s OJ Simpson moment).This article at mongabay.com includes some hand-wringing from scientists who say that they should have responded to the attacks earlier and more forcefully in public last fall, or who worry that scientists are not charismatic t.v. personalities who can be persuasive on that medium.
Let me just give my scientific colleagues some advice, since as a Middle East expert I’ve seen all sorts of falsehoods about the region successfully purveyed by the US mass media and print press, in such a way as to shape public opinion and to affect policy-making in Washington:
1. Every single serious climate scientist should be running a blog. There is enormous thirst among the public for this information, and publishing only in technical refereed journals is guaranteed to quarantine the information away from the general public. A blog allows scientists to summarize new findings in clear language for a wide audience. It makes the scientist and the scientific research ‘legible’ to the wider society. Educated lay persons will run with interesting new findings and cause them to go viral. You will also find that you give courage to other colleagues who are specialists to speak out in public. You cannot depend on journalists to do this work. You have to do it yourselves.
2. It is not your fault. The falsehoods in the media are not there because you haven’t spoken out forcefully or are not good on t.v. They are there for the following reasons:
a. Very, very wealthy and powerful interests are lobbying the big media companies behind the scenes to push climate change skepticism, or in some cases (as with Rupert Murdoch’s Newscorp/ Fox Cable News) the powerful and wealthy interests actually own the media.
b. Powerful politicians linked to those wealthy interests are shilling for them, and elected politicians clearly backed by economic elites are given respect in the US corporate media. Big Oil executives e.g. have an excellent rollodex for CEOs, producers, the bookers for the talk shows, etc. in the corporate media. They also behind the scenes fund “think tanks” such as the American Enterprise Institute to produce phony science. Since the AEI generates talking points that aim at helping Republicans get elected and pass right wing legislation, it is paid attention to by the corporate media.
c. Media thrives on controversy, which produces ratings and advertising revenue. As a result, it is structured into an ‘on the one hand, on the other hand’ binary argument. Any broadcast that pits a climate change skeptic against a serious climate scientist is automatically a win for the skeptic, since a false position is being given equal time and legitimacy. It was the same in the old days when the cigarette manufacturers would pay a ‘scientist’ to go deny that smoking causes lung cancer. And of course we saw all the instant Middle East experts who knew no Arabic and had never lived in the Arab world or sometimes even been there who were paraded as knowledgeable sources of what would happen if the United States invaded Iraq and occupied it.
d. Journalists for the most part have to do as they are told. Their editors and the owners of the corporate media decide which stories get air time and how they are pitched. Most journalists privately admit that they hate their often venal and ignorant bosses. But what alternative do most of them have?
e. Journalists for the most part do not know how to find academic experts. An enterprising one might call a university and be directed to a particular faculty member, which is way too random a way to proceed. If I were looking for an academic expert, I’d check a citation index of refereed articles, but most people don’t even know how to find the relevant database. Moreover, it is not all the journalists’ fault. journalism works on short deadlines and academics are often teaching or in committee and away from email. Many academics refuse (shame on them) to make time for media interviews.
f. Many journalists are generalists and do not themselves have the specialized training or background for deciding what the truth is in technical controversies. Some of them are therefore fairly easily fooled on issues that require technical or specialist knowledge. Even a veteran journalist like Judy Miller fell for an allegation that Iraq’s importation of thin aluminum tubes in 2002 was for nuclear enrichment centrifuges, even though the tubes were not substantial enough for that purpose. Many journalists (and even Colin Powell) reported with a straight face the Neocon lie that Iraq had ‘mobile biological weapons labs,’ as though they were something you could put in a winnebago and bounce around on Iraq’s pitted roads. No biological weapons lab could possibly be set up without a clean room, which can hardly be mobile. Back in the Iran-Iraq War, I can remember an American wire service story that took seriously Iraq’s claim that large numbers of Iranian troops were killed trying to cross a large body of water by fallen electrical wires; that could happen in a puddle but not in a river. They were killed by Iraqi poison gas, of course.
The good journalists are aware of their limitations and develop proxies for figuring out who is credible. But the social climbers and time servers are happy just to host a shouting match that maybe produces ‘compelling’ television, which is how they get ahead in life.
3. If you just keep plugging away at it, with blogging and print, radio and television interviews, you can have an impact on public discourse over time. I could not quantify it, but I am sure that I have. It is a lifetime commitment and a lot of work and it interferes with academic life to some extent. Going public also makes it likely that you will be personally smeared and horrible lies purveyed about you in public (they don’t play fair– they make up quotes and falsely attribute them to you; it isn’t a debate, it is a hatchet job). I certainly have been calumniated, e.g. by poweful voices such as John Fund at the Wall Street Journal or Michael Rubin at the American Enterprise Institute. But if an issue is important to you and the fate of your children and grandchildren, surely having an impact is well worth any price you pay.