Email rubate, il verdetto del Parlamento
Di Valerio Gualerzi
Malcostume, ma buona scienza. Alla fine, in estrema sintesi, sono queste le conclusioni a cui è giunta la commissione di inchiesta parlamentare britannica incaricata di fare luce sul presunto complotto di alcuni climatologi di primo piano dell’università di East Anglia per “gonfiare” i dati a sostegno delle responsabilità umane nel processo di riscaldamento globale in atto. Come si ricorderà, a far scoppiare lo scandalo, proprio alla vigilia della conferenza internazionale di Copenaghen, erano state alcune email (per l’esattezza un migliaio abbondante) hackerate dai pc degli scienziati e pubblicate online da qualche misterioso pirata della rete. Un paio di frasi contenute nelle missive scambiate tra i ricercatori (in particolare una nella quale si faceva riferimento ad un “trick” per elaborare le statistiche sulle temperature) avevano fatto gridare i negazionisti del cambiamento climatico alla congiura.
Ora, dopo che anche diverse inchieste giornalistiche sono arrivate alle stesse conclusioni, anche la commissione parlamentare britannica, ha stabilito che nessuna delle e-mail in questione mette in dubbio il consenso scientifico sul fatto che “il riscaldamento globale sia una realtà causata dalle attività umane” e che nessuno degli scienziati coinvolti abbia alterato i dati o il processo di peer-review per esagerare la minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici. La commissione punta semmai l’indice sull’atteggiamento arrogante tenuto dai climatologi dell’East Anglia (i cui studi sono ripresi anche nelle conclusioni dell’Ipcc) verso i “dissidenti” e sul loro tentativo di evadere gli obblighi imposti dalla legge britannica Freedom of Information Act. A diversi addetti ai lavori citati dal Guardian il verdetto della commissione non è piaciuto, e lo hanno definito “sbrigativo” e “sbilanciato”.
In realtà la commissione sembra offrire un giudizio che si inserisce in un quadro viziato da alcune ambiguità di fondo più volte sottolineate, mentre troppa poca attenzione viene riservata a chi ha davvero fatto azione di lobby e dinsinformazione contro la scienza del clima per precisi interessi economici.
L’ultima denuncia arriva proprio oggi da un rapporto di Greenpeace sui finanziamenti dell’industria petrolifera Koch Industries ai movimenti d’opinione e alle fondazioni pseudo scientifiche negazioniste.