domenica 21 febbraio 2010
L'internet è una foresta incantata
Posted by
Ugo Bardi
Avete mai visto un amanita falloide? E' un fungo bellissimo, così come lo è l'amanita muscaria; il fungo delle fiabe, quello con il cappello rosso a puntini bianchi.
Belli ma mortali e tutti gli anni qualcuno ci casca. Spesso è una svista, ma mi ha raccontato un esperto di funghi che gli è capitato di parlare con uno che era sopravvissuto - a mala pena - dopo essersi cucinato un'amanita falloide in un pentolino. Alla domanda, "ma come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?" ha risposto, "mi sembrava impossibile che un fungo così bello potesse essere velenoso." L'apparenza inganna, come si suol dire.
Certe volte mi sembra che l'internet sia una specie di foresta incantata: ci sono tanti bei funghi virtuali; cibo per la mente. Alcuni sono buoni ma alcuni sono velenosi. Se uno va in giro e raccoglie funghi senza sapere cosa fa, finisce per avvelenarsi. L'avvelenamento che ti può capitare su internet non è mortale per il fisico ma ti può allontanare dalla realtà senza speranza di ritorno.
Questo lo vedete bene se cercate di informarvi su internet su argomenti scientifici. Provate a fare una ricerca su cose appena un po' controverse, tipo l'evoluzione darwiniana, e troverete siti avvelenati in quantità; ovvero siti che sostengono di essere "scientifici" ma che in realtà non lo sono affatto - sono siti di impostazione politica o religiosa mascherati.
Se poi andate su un argomento molto controverso, come il riscaldamento globale; allora ci sono ottime possibilità di trovarsi di fronte all'equivalente virtuale di un amanita fallica. Se non state attenti finirete mentalmente avvelenati da ragionamenti solo apparentemente scientifici ma che sono pura propaganda che origina dalle lobby del carbone e del petrolio. Se le vostre informazioni sul clima arrivano da questi siti rischiate veramente di convincervi che il riscaldamento globale è un invenzione di un gruppo di scienziati malvagi che hanno complottato nell'ombra per imbrogliare il pubblico e continuare a ricevere i loro lucrosi contratti di ricerca.
In campo scientifico abbiamo visto un incredibile sviluppo dell'informazione su internet. Ci sono dei blog e dei siti scientifici eccellenti - specialmente in inglese. Veramente, oggi informarsi e approfondire è un piacere che avrei voluto poter provare quando ero studente - quando ci toccava laboriosamente sfogliare le riviste scientifiche in laboratorio, che arrivavano sempre in ritardo di mesi. Adesso, si può essere aggiornati in tempo quasi reale sugli sviluppi della scienza.
Purtroppo, però, questo grande sviluppo dell'informazione di qualità non serve a niente se chi lo riceve non è in grado di discernere e selezionare. Come ho detto più di una volta, la comunicazione è sempre a doppio senso: è sempre un dare e ricevere. E qui siamo nei guai.
Riesce il pubblico a discernere fra informazione di qualità e propaganda? Evidentemente, non ci riesce. Ultimamente, sembra che nessuno riesca più a ragionare se non per leggende; per cose sentite dire non si sa dove, non si sa quando e non si sa da chi. Sembra che tutti si siano intossicati con delle amanite virtuali. Il dibattito sul riscaldamento globale ne è un buon esempio: la scienza sta finendo sommersa dalla propaganda che ci propina leggende senza fine.
E allora? Beh, allora siamo in grossi guai. Ci sono da prendere dei provvedimenti per risolvere i problemi globali che fronteggiamo e non lo possiamo fare sulla base di leggende.
Possiamo fare in modo che l'informazione di qualità prevalga? Forse, ma dobbiamo ragionarci sopra. Per il momento, vi passo questo interessante articolo di Galatea sull'argomento.
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Di Galatea
“Se un oggetto è gratuito, non vale niente, diceva mio padre.” E ancora “In rete – gratis – ci si informa. Sul giornale – a pagamento – si conosce e si approfondisce.”
Queste due affermazioni, fatte ieri da Carlo de Benedetti, editore del gruppo Repubblica, meritano sicuramente una attenta esegesi. Non perché siano clamorosamente nuove (in buona sostanza, sono la stessa roba già dichiarata, qualche tempo addietro, da Gianni Riotta), ma perché la loro analisi potrebbe aiutare a capire alcuni cortocircuiti di pensiero che forse impediscono un più corretto sviluppo di rapporti e collaborazioni fra rete e stampa tradizionale.
La stampa on line non esiste ancora: Per ora la stampa tradizionale, così come anche la tv tradizionale, non pare aver saputo trovare il modo di integrare e nemmeno di “sfruttare” le potenzialità del web. I siti dei giornali italiani (e anche stranieri, in linea di massima) non sono “informazione on line”: sono semplicemente le versioni on line del cartaceo. Del web sfruttano la velocità di aggiornamento (il giornale è leggibE' allora? Eh, beh, siamo nei guai - ile tramite i-Phone, Blackberry, tiene costantemente informati i lettori con twitter o gli sms, immette filmati con dichiarazioni e video pescati da Youtube), ma manca una specificità legata al mezzo. I giornali hanno trasportato sul web la loro struttura tradizionale, ed abbastanza elefantiaca, dove lo “stacco” però tra chi fa il giornale e chi lo legge è drammatico. Per rendersene conto basta vedere la patetica sezione dei “commenti” a fondo dell’articolo: non c’è mai un singolo autore, neppure fosse l’ultimo redattore precario, che si premuri di rispondere alle sollecitazioni degli utenti. L’articolo del quotidiano messo sul web è là, ed ha la mobilità di una tavola della legge: non si discute. Eppure ci vorrebbe niente, da parte dell’autore, per cambiare questo tipo di rapporto: una volta messo il pezzo on line, dopo un’oretta, passo, leggo i commenti, rispondo. Qualsiasi blogger lo fa d’abitudine, ponendosi in un rapporto diretto con il suo lettore. Il giornalista della carta stampata no, manco gli viene in mente. Persino quando poi, magari, è anche blogger.
Il principio di questa scarsa interazione fra il giornale ed i suoi lettori è qualcosa di più che una semplice incapacità di rapportarsi ad essi da parte dei giornalisti che hanno scritto il pezzo, i quali, come abbiamo visto, nei loro blog personali o su Friendfeed talvolta invece rispondono direttamente, dando luogo anche a pittoreschi flame con i commentatori. È invece un portato diretto del suo sentirsi “professionista” solo nel momento in cui scrive sul giornale. Sul giornale lo pagano, e, in virtù di questo, il suo articolo è ammantato di ieraticità, indiscutibile dal basso: al massimo risponderà, con un altro articolo, il giorno seguente, alle critiche di altri giornalisti o di altre testate.
1. L’idea che il giornalista è tale solo in quanto assunto da una testata, genera quindi un modo di comportarsi anche sul web da parte del “giornalista” che è alieno dalla caratteristica principale del web stesso, che non è solo velocità di comunicazione, ma anche interattività nella produzione della comunicazione stessa.In teoria tale comportamento dovrebbe essere alieno anche dal meccanismo che regola la “buona” carta stampata vecchio stile. De Benedetti , infatti, descrive così la stampa prodotta dal suo gruppo: “Un giornale, ma direi più in generale un grande gruppo editoriale non è un partito, ma una comunità vivente, in cui ognuno influenza l’altro, nel quadro di un’identità. E un sistema di idee che organizzano, gerarchizzano, ordinano le notizie della giornata. E’ così che concepisco l’informazione”.
È curioso notare come la prima parte della definizione, in realtà, è assolutamente omologa a quella che si potrebbe dare di una web-comunity: il problema semmai sorge quando si analizza la seconda parte, cioè il passo in cui si parla di idee che organizzano, gerarchizzano, ordinano le notizie della giornata. Già, ma su che base? Nel web, che è un mare magno in cui si trova di tutto, la gerarchia viene data dalla credibilità acquisita sul campo dal singolo blogger nella cerchia più o meno vasta dei suoi lettori, e nella sua capacità singola di farsi notare postando notizie o approfondimenti originali. Nasce, insomma, da confronto quotidiano, anzi minuto per minuto. Non è ben chiaro fino in fondo, invece, da cosa sia garantita sulla carta stampata: la comunità ipotizzata da De Benedetti risulta una comunità molto più chiusa, come abbiamo visto, agli influssi esterni. Non solo perché le notizie vengono gerarchizzate sulla base di un quadro di identità del giornale (fenomeno che certo è presente anche nel mondo dei blog: il blogger gerarchizza e sceglie le notizie sulla base di quanto gli interessa e gli piace: ma lui, appunto, è solo una barchetta nel mare del web, un giornale è una corazzata..) ma perché i membri della comunità che possono esprimere pareri sono però limitati a quanti sono giornalisti “pagati per produrre”.
2. “Se un oggetto è gratuito, non vale niente.” L’affermazione, nella sua apoditticità, è un bell’assunto di capitalismo borghese di stampo ottocentesco: ogni cosa ha un costo e il valore della cosa è determinata dal costo della stessa, che a sua volta è determinato dal mercato. Peccato che per le forme d’arte ed in parte per le forme di comunicazione l’identità fra corrispettivo economico e valore della cosa in sé non sia così automatico. In realtà, nel campo della produzione culturale, il fatto che lo scrittore/intellettuale (bene o male questo è il giornalista) venga retribuito per il suo lavoro è in realtà un concetto molto recente. Grandi opere della letteratura mondiale non hanno fruttato un soldo ai loro autori, che le hanno composte e in qualche modo “regalate” gratuitamente al pubblico. Un Tucidide, padre virtuale di tutti i giornalisti del mondo, non risulta che abbia ricavato una dracma dai suoi scritti, nonostante li avesse pensati con il preciso intento, dichiarato fin dalla prefazione, che essi fossero ktema es aei, una sorta di acquisto destinato a rimanere nel tempo. Dunque, stando nel campo della produzione intellettuale, il ragionamento del De Benedetti padre, e del De Benedetti figlio che lo cita, in realtà non costituisce un metro di valutazione, oppure bisognerebbe inferire che la Commedia di Dante (il quale mai intascò un fiorino bucato dai suoi scritti) vale meno di un fondo di Eugenio Scalfari, che s’è sempre fatto generosamente retribuire per ogni virgola. Possono esistere dunque, e bisogna ammetterlo, dei prodotti editoriali di valore benché gratuiti, in quanto questi sono prodotti messi in rete da autori che non pretendono di ricavare da essi guadagni materiali, ma solo di divulgare la propria opinione su un argomento specifico o un avvenimento: non saranno Dante, ma possono essere meglio di un fondo Riotta.
3. Perché anche l’assunto della seconda affermazione di De Benedetti, in realtà, appare un po’ spericolato. “In rete – gratis – ci si informa. Sul giornale – a pagamento – si conosce e si approfondisce.” dice. Questa è una posizione, semmai, che può essere valida nella diatriba fra televisione e carta stampata, non fra carta stampata e web. La carta stampata è riuscita a resistere, seppur modificandosi, al successo della tv perché, essendo scritta, è per sua natura portata ad essere uno spazio di approfondimento. Nel tiggì serale le notizie vengono date, ma i tempi sono troppo stretti per poter consentire una analisi, che richiede non solo un analista, ma anche un pubblico in grado di assimilare e meditare prima di poter ribattere alle eventuali affermazioni fatte e letture dei dati proposte. Per quanto riguarda l’approfondimento della notizia, semmai, il web permette l’accesso ad una serie di risorse che non sono possibili per l’articolo del giornale stampato: si pensi alla possibilità di linkare direttamente fonti, tabelle, dati, altri siti; di rimandare il lettore con un solo clic ad un altro autore di cui si stanno sposando o contestando le tesi. Sulla Tv , sugli aggregatori o sui social tipo Twitter l’utente viene a conoscenza delle notizie nude e crude, e l’approfondimento avviene ormai, nei paesi più evoluti, proprio attraverso il web: ma è un approfondimento che si svolge non tanto sui siti dei giornali, ma su una galassia di blog e siti “gratuiti”.
4. Il sito o il blog “gratuito” è necessariamente inferiore, come qualità di approfondimento, a quello del giornale? Be’, non è detto. Mentre sulla carta stampata il giornalista cui viene affidata la scrittura del pezzo può anche non essere un esperto specifico della materia di cui tratta, nei blog, anzi, la specializzazione diventa, per il blogger che voglia coltivare e tenere stretto il suo pubblico, una necessità. I blog tendono a selezionare gli argomenti e offrire ai loro lettori pareri su cose che conoscono, di cui sono esperti, siano esse la politica mediorientale o il punto croce. Il fatto stesso che il blogger possa scegliere la materia da trattare, perché in buona sostanza è l’editore di se stesso, mentre il giornalista non possa sempre farlo, spinge il blogger che voglia costruirsi una credibilità sul web a evitare gli argomenti su cui non è ferrato. Anche perché sa che, essendo i commenti aperti e la sua credibilità in rete legata alla sua capacità di non farsi cogliere in fallo da commentatori più esperti di lui, cerca di evitare brutte figure. Il che non evita, naturalmente, che in rete si trovi molto ciarpame: ma non più e non di diverso tipo da articoli pressapochisti e illeggibili che trovano spazio nei siti dei giornali old style.
5. Gli assunti proposti da De Benedetti per la sua analisi del rapporto fra web e carta stampata, insomma, appaiono traballanti nella sostanza. Diversa è semmai la loro valutazione dal punto di vista imprenditoriale (De Benedetti parla dal punto di vista di imprenditore). Qui è ovvio che la quantità di risorse economiche necessaria per tenere in piedi il sito di un giornale strutturato come appendice di un giornale tradizionale è notevole, ed oggi può essere sostenuta solo con alle spalle un editore vecchia maniera. È anche vero che, allo stato attuale, i blogger “gratuiti” non potrebbero garantire una capacità di diffusione della notizia pari a quella dei giornali: il fallimento dei giornali modello “tradizionale” in questo momento sarebbe sicuramente un pericolo per la democrazia. Resta però il fatto che arrocarsi da parte degli editori tradizionali sul modo “tradizionale”, appunto, di fare informazione, e continuare a considerare il web come una appendice non è sintomo di lungimiranza. Il futuro richiederà un ripensamento generalizzato delle modalità di fare informazione, nonché sulla selezione di chi la fa. Pretendere che il web si appiattisca e segua le regole della carta stampata perché queste sarebbero le uniche a garantire al lettore una “qualità” è in qualche modo pretendere che una macchina si comporti come una bicicletta, e conitnuare pervicacemente a sostenere che gli unici in grado di sapere come si corre veramente per strada sono i ciclisti.
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Articolo interessante, e soprattutto attualissimo su che cos'è e cosa dovrebbe essere internet oggi, almeno per me che me ne occupo nella vita.
RispondiEliminaAvevo già sentito questa frase del "quel che non costa niente, non vale niente" che è un famoso proverbio tedesco (popolo famoso per il suo pragmatismo). Internet non è del tutto gratuito (in Italia): ha un costo di accesso, come può essere il telefono, e moltissime fonti in realtà sono a pagamento. Murdock è uno dei più famosi sostenitori dell'editoria online a pagamento, unico modo secondo lui, per fare sopravvivere su internet dell'informazione di qualità. Nel complesso non è sbagliato, ma secondo me c'è ancora molto da lavorare sui modelli per remunerare il lavoro su internet. Ma c'è un aspetto più importante e più caratteristico ormai di internet che è l'aspetto collaborativo.
C'è infatti da molti anni ormai un gran parlare di come l'internet "broadcast" che è poco più di una bacheca visibile globalmente, solo più vasta e disordinata (il cosiddetto "web 1.0") stia ormai sempre più evolvendo verso l'aspetto collaborativo (il cosiddetto "web 2.0"). Ovvero, se prima la libertà delle persone era di infomarsi meglio con abbattimento dei costi per pubblicare articoli e news e di avere una visibilità globale, una reperibilità davvero globale pubblicando un indirizzo di mail privata sul proprio sito, oggi è sempre più importante lo scambio di opinioni tra gli utenti. Cosa sempre più importante anche per le imprese stesse, che così riescono a dialogare meglio con i propri clienti, con grandi vantaggi anche proprio tangibili.
Questo è vero più che mai per la scienza... anzi mi risulta che le prime BBS siano state usate proprio per argomenti scientifico e tecnici, per esempio per l'informatica e l'astronomia e non solo a livello amatoriale. Certo, è vero anche che le informazioni che "costa meno" produrre rischino di invadere la rete maggiormente (leggende metropolitane varie)... ma io credo che la grande potenza della rete di *discutere* sulle cose, per iscritto e in maniera dettagliata permetta alla fin fine di fare chiarezza su molte cose, proprio in forza del mettersi in gioco di chi c'è.
Poi c'è una parte di persone, vasta, che non ammette argomentazioni razionali e cerca solo una consolazione e un'evasione (ed ama le "leggende"), ma su quello che è la natura umana la rete può fare poco, se non forse circoscriverne l'ambito in maniera più chiara.
Marco C.
falloide (phalloides)
RispondiEliminaSi, giusto. Meglio "amainta falloide", grazie.
RispondiEliminaAMANITA..... dicevo
RispondiEliminaIl web è una struttura ad altissima complessità, auto-organizzante.
RispondiEliminaIo credo che èvolverà più o meno come un organo cerebrale, complessificandosi in maniere inusuali.
A tutt'oggi, secondo me, siamo più o meno ai primi stadi. Ma la complessificazione procede a tassi esponenziali e , se non scoppia un caos tremendo prima, a causa dei problemi energetici, potremmo anche assistere a qualcosa di estremamente nuovo e potente.
Caro Phitio, a questa cosa del web come organo cerebrale ci ho pensato parecchio anch'io. Però sono arrivato a delle conclusioni poco incoraggianti. Il fatto che oggi abbiamo (non tutti) dei cervelli che funzionano è il risultato di un meccanismo evolutivo che ha eliminato dal pool genetico i cervelli di gente che, per esempio, mangiavano i funghi velenosi perché gli sembravano belli. Ma non c'è nessun meccanismo del genere per l'internet. Se l'internet, inteso come mente, finisce per convincersi che il riscaldamento globale non esiste, questo internet sarà eliminato dal mondo fisico. Ma non c'è un altro internet che ne prenderà il posto, non esiste un pool genetico dal quale la selezione naturale possa tirar fuori le combinazioni efficienti per la sopravvivenza.
RispondiEliminaIn altre parole, un sistema complesso non evolve da solo necessariamente in direzione della sopravvivenza. Anzi, questa evoluzione è estremamente rara. Solo pressioni esterne possono selezionare sistemi adattati alla sopravvivenza
Uhm, sembrerebbe che tu intenda il Web come un organismo che , se fa la scelta sbagliata, muore e fine della storia.
RispondiEliminaPuo' anche essere.
Io non lo intendo cosi: il web non e' un esito unico si una popolazione di organismi web, piuttosto e' una specie di blob multicellulare, che sta' sperimentando contunuamente nuove modalita' di interconnessione interna, e che sta' riproducendo dei sotto-organi piu' specializzati.
Pero' se questi organi non funzionano, il blob non muore, ma ne genera altri.
E' come se il web non fosse proprio un organismo, ma una specie di super-organismo, una specie di gaia virtuale.
Il web, se le cose stanno come credo, ha molte piu' probabilita' di trovare la risposta giusta alle questioni vitali di quante ne abbiano semplici sottogruppi di persone.
Certo, non si puo' mai essere sicuri di niente, a questo mondo.
Per quanto concerne l'articolo che hai linkato, io ritengo che l'informazione di tipo gratuito ha valore quando e' supportata (alias linkata e criticata) da uno spettro rappresentativo della popolzaione.
RispondiEliminaUna specie di wikinews, non so se mi spiego.
Se ci si pensa, un giornale si paga, ma c'e' bisogno che qualcuno lo comperi. E se lo compera, e' perche' ritiene che sia valido, entro certi limiti lo si ritiene utile.
Ora, a parte tutta la questione fondamentale che fa perdere il sonno a molti economisti, e cioe' QUANTA parte delle relazioni economiche siano in effetti basate sul semplice scambio gratuito , e non e' per nulla piccola, mi chiedo se anche nel web non possa essere considerata "moneta" questo scambio gratuito in se stesso.
Mi spiego: io blogger, posto le mie notizie e le mie opinioni, e se sono bravo, forniso qualcosa che e' apprezzato dal prossimo perche' ritenuto utile. A mia volta, usufruisco dei servizi di altri, che mi sono utili. C'e' uno scambio molto simile ad un baratto virtuale, che sara' pure senza moneta, ma nondimeno e' una forma di economia.
La "moneta" e' stata introdotta semplicemente per facilitare gli scambi, intrinsecamente, non ha alcun valore, se non QUELLO CHE VIENE ATTRIBUITO DAGLI SCAMBIATORI.
La moneta, quale veicolo di valore, e' un semplice certificato garantito dalla legge, cioe' dallo stato, cioe' dalla popolazione degli scambiatori.
Ora, non vorrei essere eretico, ma la moneta, in un contesto di comunicazione diretta tra soggetti, puo' al limite essere abolita.
Agli economisti si rizzeranno i capelli sulla testa, e si stracceranno le vesti urlando "inefficienza! Inefficienza!", ma considerando quante e quali pratiche scorrette sono perpetrate da speculatori, lobbyes e stati grazie alla possibilita' si alterare la funzione della moneta, mi chiedo se davvero il sistema della moneta sia cosi' "efficiente" come si vuole far credere.
In effetti, la moneta, quale veicolo di fiducia ( che cos'e' un contratto, se non un patto fiduciario? e' stato e continua ad essere manomesso, mettendo a rischio la fiducia stessa ( che altro sono senno' tutte queste tempeste valutarie che si vedono in giro, se non crisi fiduciarie?).
Ma il discorso sarebbe lungo e complicato.
Io credo che semplicemente la questione e' mal posta: sul web (a parte le spese di connessione e roba varia) esiste gia' una economia del baratto bella e completa, e ritengo anche piuttosto efficiente.
E'che si sta' ceercando di far irrompere l'economia monetaria a forza dentro il web, come se la prima fosse l'"unica" valida.
No, signori, il baratto c'era da molto prima, molto, molto prima.
Saluti
Phitio
Beh, mi sembra che stai dicendo che il web dovrebbe essere spezzettato in sotto-unità che potrebbero competere fra di loro. Questo potrebbe, in effetti, ingenerare una selezione delle sotto-unità più valide. Può darsi, ma non c'è nessun meccanismo, per ora, che forzi il web in quella direzione. Bisognerebbe indebolire certe connessioni, ma al momento,il web è fortemente interconnesso - troppo per parlare di sotto-organismi indipendenti.
RispondiEliminaIo ritengo che una pressione selettiva esterna esista e sia ben forte: le varie crisi, per prima quella energetico-finanziaria, sono pressioni fortissime. Il web non puo' non reagire, fa parte di questo mondo.
RispondiEliminaUn altro elemento che non e' stato abbastanza preso in considerazione, e' la resilienza di base del web. Il Web e' nato come progetto di difesa delle forze armate USA, come sistema di comunicazioni in grado di sopravvivere anche ad una guerra nucleare.
Certo, nei casi estremi, questo florilegio di attivita' verrebbe fortemente ridimensionato e impoverito, ma pensiamo a come il web gia' riesca ad aggirare barriere e controlli politici che in altre situazioni sarebbero stati efficacissimi.
Ovviamente, questa vitalita' e capacita' della rete sono armi a doppio taglio.
Ma se ci penso, il cervello umano E' un arma a doppio taglio, abilissima a creare i presupposti della sopravvivenza, ad adattarsi intelligientemente, e abilissima a trovare il metodo per sterminare i suoi simili in modo efficace.
Se c'e' una cosa che fa propendere al pessimismo attuale nel trovare soluzioni ai problemi energetici e climatici, e' questa sorta di "stupidita' della massa".
Ma io credo che questa "stupidita'" sia retaggio della carenza di informazioni e critica precedente al web. Le nuove generazioni si muovono molto diversamente, anche se contraddittoriamente.
A fianco alle masse di giovani con la testa piena di Grandi fratelli e xfactor vari (ma da chi sono stati educati questi giovani, dico io?) ce ne sono altre che non si costruiscono le proprie opinioni sui tg compiacenti, ne' sui giornali di partito, ma vanno attivamente a caccia di informazioni.
Come tutti i processi generazionali, questi sono processi a cadenza lenta, ma generalizzati. Superata una certa soglia, divengono dirompenti.
Ora che siamo avviati verso un lungo periodo di crisi semipermanente, molta ruggine verra' raschiata via dai cervelli ottusi dal benessere fittizio dei telefonini e delle tv al plasma pagati a rate.
Se non mettono un bavaglio efficace al web, la consapevolezza sulle meccaniche "serie" che stanno muovendo il mondo non puo' che crescere.
@Phitio
RispondiElimina"Se non mettono un bavaglio efficace al web, la consapevolezza sulle meccaniche "serie" che stanno muovendo il mondo non puo' che crescere."
Effetto Dunning-Kruger permettendo...
A proposito Ugo,qualche post fa hai citato un libro sull'argomento, ma non sono riuscito a ritrovare il post e quindi il titolo del libro.
RispondiEliminaC'è un evento nella crescita cerebrale chiamato "potatura neuronale".
Forse la cosa che ha causato l'abissale differenza fra noi e gli altri viventi è stata la formazione di meccanismi biochimici che hanno permesso la ricorsività della ricorsività.
Cioè qualcosa che non solo ci ha permesso di vedere noi stessi come se fossimo altri da noi, ma di immaginare pure di vedere l'altro da noi che vede noi,pur essendo tutti e tre i soggetti una stessa cosa, un solo individuo.
Noi, noi che ci vediamo, e uno che vede i due che si immaginano l'un l'altro.
Eppure sono la stessa cosa.
E chiunque ci si aggiunga aumenterebbe le relazioni di consapevolezza, all'infinito.
In altre parole la ricorsività porta a contare l'infinito, ma la ricorsività della ricorsività porta a contare un'infinità d'infiniti.
Ma a che cosa serve un meccanismo del genere ad un essere vivente che è o sembra fatto per vivere due dozzine di lustri al massimo?
Può portarlo solo alla follia.
O al numinoso.
Forse la potatura neuronale, è il meccanismo controreattivo per evitare di sprofondare continuamente in circoli viziosi autoreferenziali.
Il meccanismo agisce nell'infanzia una prima volta, ma potrebbe essere che una versione affine permanga tutta la vita a difesa del senso di finito occorrente per vivere la vita mortale.
I neuroni sono consapevoli d'essere ciò che sono?. Sembra impossibile anche se sono di per sè stessi reti altamente complesse di atomi.
Ma noi crediamo d'essere consapevoli di noi stessi, eppure siamo reti di cellule tra le quali ci sono i neuroni.
Da dove viene fuori a un certo punto la consapevolezza, anzi proprio il nostro tipo di consapevolezza?
C'è un numero di elementi oltre il quale una rete diventa autoconsapevole?
Può essere ma non basterebbe, perchè è il come sono collegati gli elementi che produce il miracoloso evento.E come si fa a tradurre quel "come" in un numero?
Questa è una domanda insidiosissima, sopratutto se si è abituati a vedere i numeri sopratutto e solo come quantità cresenti.Il prodigioso matematico Ramanujan vedeva ogni numero come un essere di specifiche e uniche proprietà.
E' famoso l'aneddoto riguardante il 1729 e il taxi preso da un suo amico che lo andava a trovare all'ospedale.
All'ora qual'é il numero che codifica la coscienza di un'aragosta, di un'amanita falloide o di un umano?.
Anzi,siccome noi ci presumiamo unici, allora dovrebbe esserci una famiglia di numeri simili ma distinguibili che rappresenterebbero ciascuno di noi.
Questo numero si trova fra gli interi,le frazioni,
nel fantasmagorico mondo dei numeri irrazionali, tra i quali esistono i numeri trascendenti come pi greco ed "e" che sono legati tra loro in una famosissima formula che li collega con "i" a zero e uno?
Proprio "i" ovvero radice quadrata di meno uno è già un numero al limite dell'ineffabile.
Ricordiamoci che i frattali sono stati resi visibili in tutta la loro psichedelica meraviglia, soltanto grazie ai computer digitali.
Che sono in fondo reti di interruttori.
Ma i frattali, tra i quali troneggia buffo e meraviglioso l'insieme di Mandelbrot, implicano i numeri immaginari e irrazionali.
Tutto è numero affermava Pitagora.
Ora sappiamo che aveva visto giusto.
Ma bandiva l'uso delle fave.
Forse ne era allergico, ma forse durante un'intossicazione ha visto qualcosa che era impossibile da raccontare a parole.
Forse ci ha visto a più di venti secoli di futuro.
Marco Sclarandis
Marco, a quale argomento ti riferisci a proposito del libro?
RispondiEliminaPhitio, vedo che sei molto ottimista. Spero che tu abbia ragione, ma secondo me può succedere benissimo che il web finisca per bloccarsi in uno stato da cui non riesce più a uscire e che non è favorevole alla sopravvivenza della civiltà umana. Appunto, speriamo bene....
RispondiEliminaChe numeri dovremmo maneggiare per proseguire altri cent'anni gli studi di qualsiasi branca della scienza?
RispondiEliminaDieci alla trentesima? alla milionesima?
Ben di più? Ben di Più.
Purtroppo non lo sappiamo ma da ciò che sappiamo sono numeri che già richiedono notazioni speciali per poter essere descritti.Vedi il numero di Skewes sebbene sia un numero che non sembra abbia corrispondenze fisiche.
Numeri comunque computabili soltanto da reti di computer funzionanti con algoritmi molto astuti,in modo da essere stremamente efficienti e sicuri allo stesso tempo.
Già dobbiamo costruire macchine esclusivamente allo scopo di fabbricare macchine da calcolo sempre più potenti, ma ancora non sappiamo se il calcolo quantistico ci salverà dagli abissi dei numeri mostruosamente grandi.
Ma per far questo occorre una società intera fatta di milioni d'individui altamente organizzati e determinati allo scopo.
In parte lo siamo, ma in una maniera fragilissima.Il cammino dell'esplorazione spaziale ne è un esempio.La "foresta incantata" di Internet ci sta mostrando quanto sia indescrivibile il salto cognitivo che dobbiamo fare tutti quanti insieme appassionatamente, e alla svelta, pena la rovinosa perdita di tutto ciò che abbiamo accumulato.
E' più facile vagheggiare sul 2012.
Marco Sclarandis.
Ugo, l'argomento è la coscienza artificiale, bada bene non l'intelligenza ma la coscienza artificiale emergente da una rete come il web per esempio.
RispondiEliminaSono sicuro che tu abbia postato un titolo in inglese a proposito, ma non riesco più a ritrovare il post.
Marco Sclarandis
Si, era su the oil drum. http://europe.theoildrum.com/node/3619
RispondiEliminaIncuriosito, sono andato a guardare cos'e' questo numero di skewes, e poi mi sono imbattuto anche nel numero di graham, e il risultato e' che ora, cercando di contemplare questi numeri assurdamente grandi, ho una curiosa sensazione di nausea alla bocca dello stomaco.
RispondiEliminaNon pensavo che mi avrebbe fatto questo effetto, vedere come e' fatto un numero di graham!
Certo che la matematica sa aprire abissi incredibili allo sguardo dei mortali
Phitio, forse avrei dovute mettere un'avvertenza accanto a "numero di Skewes"
RispondiElimina"Attenzione! Può turbare profondamente una mente non preparata ai sentieri verso l'infinito."
Grazie Ugo, anche se mi riferivo non ad un tuo articolo ma ad un libro che tu hai citato in un post.Pazienza, avrei dovuto segnarmelo subito.
Sì, Phitio il pensiero matematico andrebbe fatto conoscere meglio,sopratutto quello più astratto.
Ti faccio un esempio.
Non esiste apparentemente nessuna applicazione pratica alla soluzione dell'ultimo teorema di Fermat (TdF).
Ma ora sappiamo che oltre lo spazio bidimensionale non si possono sommare due cubi e farne uno che abbia il lato in rapporto intero con i due di partenza.Ci vogliono almeno tre cubi,il 1729 nè è un esempio.Non solo, ma in nessuno spazio pluridimensionale si può.
Noi viviamo in uno spazio apparentemente tridimensionale euclideo.Apparentemente perchè lo è solo per lunghezze vicine alla dimensione umana.Lo spazio dei nuclei e quello delle galassie sembra diverso, a causa della gravitazione che deforma lo spazio.
Noi possiamo sommare due cubi e farne uno che approssima una relazione di lati interi.
Ma in in uno spazio realmente euclideo tridimensionale isotropo e infinito ciò è assolutamente impossibile.
Non è una questione di precisione, ma di assiomi fondamentali.
Quindi,la soluzione al TdF ci dice qualcosa sulla profonda natura di qualsiasi spazio tri e pluridimensionale.
Esattamente come la radice di due non può essere una frazione, e pi greco non può essere soluzione di una ampia categoria di equazioni
ora sappiamo qualcosa che è un limite intrinseco della natura delle relazioni numeriche.Un computer che non sapesse che impossibile quadrare il cerchio solo con riga e compasso, cercherebbe inutilmente una soluzione a meno che non sia in grado di fare il ragionamento che abbiamo fatto noi umani da millenni...........
Un saluto, Marco Sclarandis.
..."il 1729 ne è un esempio"....sbagliato!
RispondiEliminaPrecisazione: 1729 è 1 al cubo più 12 al cubo, oppure 10 al cubo più 9 al cubo,
ma 1729 non è a sua volta un cubo di un numero intero.
12 al cubo fa......1728!
Marco Sclarandis
Da leggere con molta attenzione i commenti di Phitio, sotto l'aspetto "rete come superorganismo"... notevole, molto interessante.
RispondiEliminaTitolo del post particolarmente suggestivo.