venerdì 20 giugno 2014

Renzi combatte contro i mulini a vento



DaWall Streeet Journal”. Traduzione di MR

L'energia rinnovabile non sta determinando i costi energetici italiani, perché quindi attaccare i suoi investitori?

Di Bonte-Friedheim

Apparentemente il governo italiano ha dei rapporti non facili col capitale privato. Piazza Colonna ha recentemente annunciato le prime privatizzazioni del governo in sei anni, per svendere fino a 12 miliardi di euro in patrimoni, per pagare parte del debito pubblico. Finora, tutto bene. Tuttavia, poco più di un mese fa, il governo del nuovo Primo Ministro Matteo Renzi ha anche messo sul tavolo una proposta che mira effettivamente agli investitori azionari istituzionali per finanziare i tagli al prezzo dell'elettricità.

La proposta taglierebbe retroattivamente le tariffe incentivanti per gli impianti di energia rinnovabile fino al 20%. Queste tariffe impostate dal governo funzionano come contratti a prezzo fisso per i produttori di energia rinnovabile. In Italia, i proprietari di impianti di energia rinnovabile sono un mix variegato: fondi pensione nazionali ed internazionali, fondi patrimoniali privati, imprese di investimento energetico globale – molte sostenute da fondi sovrani di investimento e altri investitori istituzionali. La proposta di tagliare retroattivamente i loro ritorno arriva al culmine di altri tentativi governativi di penalizzare i proprietari di impianti di energia rinnovabile, attraverso una serie di nuove tasse e di oneri che hanno ridotto i ritorni degli investitori approssimativamente della metà dal 2011. Ora il governo Renzi raddoppia.

Pale eoliche in Toscana. Getty Images/iStockphoto
Anche se le tatiffe incentivanti sono un capro espiatorio popolare, i prezzi medi dell'energia elettrica all'ingrosso in Italia sono già diminuiti a 48 euro a megawatt-ora nel 2014, dai 76 euro del 2008. Questa riduzione è stata determinata in parte dalla costruzione di nuovi impianti di produzione di energia rinnovabile. Ma per qualche ragione queste riduzioni non sono arrivate ai consumatori. Negli ultimi 5 anni, gli investitori hanno versato più di 50 miliardi di euro nell'energia rinnovabile italiana, costruendo circa 17 gigawatt di capacità di energia solare. Le rinnovabili hanno generato il 34% dell'energia elettrica italiana nel 2012, dal 20% del 2008 – il più grande salto fra le grandi economie europee in quel lasso di tempo.

Come con tutti gli investimenti a lungo termine, un chiaro quadro legale è stata la chiave per attrarre i finanziamenti per le rinnovabili italiane. Ora che i soldi sono stati spesi e gli impianti sono operativi, il Signor Renzi vuole strappare i contratti e spazzare via selettivamente gli investitori azionari, anche se i costi delle rinnovabili sono solo una piccola parte del costo energetico italiano. Puntualmente, il governo italiano non sta puntando i servizi inefficienti e costosi forniti dalle grandi compagnie energetiche, come il conglomerato elettrico Enel. Di recente, Enel ha presentato un piano strategico per investire più di 9 miliardi di euro nei mercati emergenti . Finanziati in gran parte dagli introiti generati dai consumatori italiani. La proposta di Piazza Colonna non affronta neanche la distribuzione locale e le aziende di fornitura controllate dai comuni italiani. Alla fine, la proposta delle tariffe incentivanti è fatta su misura per non colpire le banche italiane che fanno prestiti per la costruzione di impianti rinnovabili. (Ogni scrittura di portafogli di credito da parte delle banche porterebbe solo ad ulteriori aumenti di capitale da parte della banche italiane, cosa che il governo italiano vuole evitare). Col tipico finanziamento debt-to-equity che va da 80-20 a 70-30, un taglio del 20% delle tariffe incentivanti permette nettamente a gran parte dei prestiti bancari, se non a tutti, di essere ripagati, mentre gli investitori azionari sopportano il peso dei tagli retroattivi. Legalmente, il governo italiano potrebbe non avere la forza di sostenere i tagli: i cambiamenti di regolamento retroattivi e la riscrittura delle tariffe precedentemente contrattate potrebbe contravvenire al Trattato Charter sull'Energia della UE. Il governo spagnolo ha tentato una manovra simile con le proprie tariffe incentivanti lo scorso anno. Gli investitori hanno prontamente denunciato e il caso ora è di fronte alla Corte Europea di Giustizia. Se Madrid perde, la sentenza potrebbe innescare pagamenti di compensazioni multi miliardari.

Una tale manovra capricciosa del governo italiano sarebbe un fenomeno negativo per l'ulteriore investimento in infrastruttura rinnovabile, o di fatto in ogni settore in Italia. Se succede, il nuovo programma di privatizzazioni italiane comprende aziende soggette al potere legislativo del governo, come le Poste nazionali, l'operatore di rete Terna e il gigante Eni. Il Signor Renzi potrebbe credere che i mercati abbiano la memoria corta e che questa strada sia più facile che non riformare le palesi inefficienze energetiche nel settore energetico italiano e di tagliare tasse terribilmente alte sugli utenti energetici. Forse ha ragione, ma buona fortuna nell'attrarre investitori stranieri in futuro. Che non venga a bussare alla mia porta.

Bonte-Friedheim è l'AD del Gruppo di capitale NextEnergy.

giovedì 19 giugno 2014

Dodici regole per sopravvivere

Di Jacopo Simonetta

Quando si pianifica un viaggio in una regione sconosciuta, ci prepariamo con mappe, portolani e guide, chiediamo informazioni a chi ci è già stato.   Ma noi stiamo partendo per un’epoca storica sconosciuta e nessuno ci può dare informazioni perché nessuno ci è già stato.   Sacerdoti, maghi e professori possono al massimo delineare degli scenari generali più o meno realistici, ma cosa accadrà ad ognuno di noi rimarrà un mistero finché non sarà accaduto.  
Così, non potendo chiedere consiglio agli uomini del futuro, siamo costretti a chiederne a quelli che nel passato hanno affrontato con successo periodi particolarmente difficili.   Cosa ci possono insegnare di utile?

Secondo me, la cosa principale che possiamo imparare da loro è che le capacità manuali, le conoscenze, le dotazioni tecniche e le riserve economiche sono importanti, ma solo se supportate da un adeguato modo di pensare e di sentire; direi un modo resiliente di porsi nei confronti dell’ambiente e degli altri umani.   Direi anzi che la capacità psicologica e spirituale di affrontare le difficoltà è la primissima cosa da porre nel nostro bagaglio dato che servirà sempre e comunque, mentre non possiamo sapere quali capacità pratiche, quali attrezzature, quali scorte ci potranno davvero servire.   Ad esempio, le armi possono costituire una protezione, ma anche attirare terribili minacce.   L’oro può essere un ottima riserva, ma può essere requisito o messo fuori legge; i campi possono nutrire, ma i contadini possono essere scacciati o schiavizzati e così via.    Invece, la capacità di vivere esperienze traumatizzanti senza perdere la voglia di vivere e la forza di reagire efficacemente saranno utili in qualsiasi situazione.

Quindi, abbiamo bisogno di un atteggiamento mentale tagliato su misura per i tempi difficili, ma quali sono gli ingredienti di un tale atteggiamento?   Senza alcuna pretesa di completezza, ne elenco qui una dozzina.   Ovviamente, come tutte le virtù, anche queste richiedono soprattutto misura, perché se si eccede, le virtù diventano vizi.   La parsimonia diventa tirchieria, la prudenza viltà, il coraggio ferocia, ecc.  E la misura è da sempre la suprema e più difficile delle virtù.

Dunque, in ordine sparso, dodici regole per la sopravvivenza:

1 – Parsimonia.   Tutti i poveri della storia hanno sviluppato una sapiente parsimonia, ma in alcuni popoli questa abitudine accomuna anche la maggior parte delle persone agiate e perfino molte fra quelle ricche.   Probabilmente perché coscienti del fatto che, in qualunque momento e con poco o punto preavviso, condizioni favorevoli possono diventare decisamente ostili.   E quando questo succede, la sopravvivenza dipende in gran parte dalla rapidità con cui ci si riesce ad adattare cambiando stile di vita, lavoro, oppure fuggendo altrove; ma anche dall’aver accumulato delle riserve che aiutino a superare i momenti peggiori.

2 – Pazienza.   Quando le cattive notizie, o più semplicemente le seccature, sono la regola; oppure quando gli ostacoli da superare per ottenere cose semplici sono assurdamente alti, solo un lungo addestramento alla pazienza può evitare gesti che facilmente provocano situazioni ancor peggiori di quelle contro le quali si lotta.

3 – Memoria.   La memoria è lo spazio protetto entro il quale si conserva il proprio tesoro, la propria identità personale e collettiva.   I soldi, le proprietà, la libertà e la vita possono essere perdute, ma finché rimane la memoria una comunità continua a vivere.   Memoria è anche ricordare chi ti ha fatto del male e chi del bene; ed attendere pazientemente l’occasione per poter ripagare entrambi.

4 – Solidarietà.   Strettamente correlato alla memoria è il sentimento di identità che accomuna tutti i membri della famiglia e della comunità.   Fra i singoli individui è normale che vi siano delle antipatie od anche delle inimicizie, ma di fronte ad un pericolo esterno far fronte comune è vitale per la sopravvivenza di tutti.   Così come, anche in tempi tranquilli, il mutuo sostegno fra persone socialmente diverse è fondamentale per consolidare la solidarietà ed il senso di identità.   La generosità verso gli altri del gruppo non contrasta, ma anzi è sinergica con la parsimonia nei confronti propri, a condizione che la generosità sia accortamente reciproca come sempre avviene nei gruppi coesi.   Ma soprattutto solidarietà significa che nessuno della comunità sarà abbandonato nel bisogno; il che implica anche l’obbligo per ognuno di sostenere gli altri.

5 – Responsabilità.   Dopo 50 anni di sistematica deresponsabilizzazione del cittadino troviamo che è difficile far funzionare qualcosa.   Strano!    Un’occhiata anche superficiale alle culture che hanno saputo sopravvivere nelle difficoltà rivela un atteggiamento del tutto opposto, spesso spinto fino ai limiti della tollerabilità.   Che ognuno si faccia carico delle proprie responsabilità è però un ingrediente indispensabile affinché le persone possano fidarsi le une delle altre ed una società qualsiasi possa funzionare.

6 - Discrezione.   La mimesi è una strategia di sopravvivenza molto diffusa ed efficace.   Proprio per questo quando un governo ha interesse a discriminare o perseguitare qualcuno comincia con il costringerlo ad essere facilmente riconoscibile.   Per chi si pone in un’ottica di resilienza, questo significa prima di tutto cercare di non dare nell’occhio alle autorità.   Ad oggi questa è una regola di igiene fondamentale in molti paesi del mondo e non è detto che in futuro non lo diventi anche qui.   Abbiamo già visto come il livello di controllo dello stato sui cittadini si stia facendo di giorno in giorno più capillare.   Per il momento con effetti complessivamente positivi in quanto ha permesso di smascherare un buon numero di delinquenti, ma cambiando le cose, in futuro, gli stessi strumenti potrebbero essere utilizzati per scopi diversi.

7 – Adattabilità.   Noi siamo abituati a pensare che il domani sarà simile all’oggi; una fitta rete di consuetudini e di regole ci proteggono dagli imprevisti.   Troveremmo insopportabile sapere che in qualunque momento la nostra vita può cambiare drasticamente, ma questa è già la realtà per molte persone e lo diventerà per molte di più.   Si pone quindi la necessità di perdere ogni rigidità ed imparare a vivere sapendo che non possiamo avere certezze circa dove saremo e cosa faremo domani.   Le certezze minime indispensabili dovremo cercarle esclusivamente dentro di noi e nei nostri sodali.

8 – Gratitudine.   Noi siamo abituati a dare per scontato che ci sarà del cibo in tavola, dell’acqua dal rubinetto, dell’elettricità nella presa, degli abiti nell’armadio ecc.; siamo anzi abituati a pensare che questi siano dei diritti inalienabili e che perciò qualcuno ce li deve garantire.   Ma cosa, in realtà, ce li ha garantiti finora?   Semplicemente un sistema di mercato che, pezzo per pezzo, si sta disintegrando.   Alcuni, anzi, sono felici di questo giudicando il mercato colpevole di infiniti misfatti il che è sicuramente vero, come è anche vero che per decenni ha garantito molti dei nostri pretesi diritti.   Man mano che l’economia attuale andrà sfaldandosi, ci renderemo conto che niente o quasi può essere dato per scontato e, men che meno, preteso.   Dovrà invece essere procurato in modi probabilmente faticosi ed ingegnosi.   Per questo provare gratitudine per tutto ciò che di buono o di utile ci capita era un atteggiamento basilare delle culture antiche.   E con un buon motivo: il sentimento di gratitudine permette di apprezzare e di godere profondamente di cose come mangiare, bere, svegliarsi la mattina nel proprio letto.

9 – Cinismo.    Nella nostra cultura è considerato un grave difetto e non di rado viene usato come insulto.   Eppure cinismo vuol dire semplicemente guardare in faccia i fatti per come appaiono (non necessariamente come sono) senza cercare di abbellire o sminuire quelli che non ci piacciono.   Significa, anche, aspettarsi che le cose è più facile che vadano male,piuttosto che bene per noi.   Se non si esagera, si tratta di un atteggiamento di grande aiuto per non farsi cogliere del tutto impreparati ad eventi nocivi.

10 – Autoironia.   La capacità di ridere dei propri difetti e delle proprie calamità aiuta a ridimensionare e tollerare sia gli uni che le altre.   Inoltre, quasi ogni tragedia contiene aspetti ridicoli o lascia lo spazio per uno scherzo, una battuta, un momento di rilassamento che è necessario saper cogliere e gustare.   Ridere di sé stessi e delle proprie fissazioni è un eccellente (anche se parziale) antidoto alla paranoia.

11 – Mobilità.   Il radicamento sul territorio, così forte nelle culture contadine, può rivelarsi una trappola mortale in caso di grave crisi.   La capacità di abbandonare tempestivamente una zona per andare a cercare miglior fortuna altrove è una delle caratteristiche che da secoli contribuiscono alla resilienza di parecchi popoli.

12 – Coraggio.   Questa è una delle virtù fondamentali presso tutti i popoli che intendano sopravvivere.   Coraggio vuol dire innanzitutto essere disponibili a rischiare la propria incolumità, la propria vita ed i beni per proteggere altri membri del gruppo.   E’ questa una pulsione atavica sempre presente, ma che certe culture hanno coltivato e promosso, mentre altre la hanno repressa ed inibita.   Può sembrare in contrasto con la prudenza, ma non lo è.    Un conto è, infatti, essere disponibile a sacrificarsi quando necessario, altro conto è creare rischi supplementari con inutili smargiassate.


Ho più volte fatto riferimento alla comunità come unità di base della sopravvivenza, ma quali sono i limiti che definiscono la propria comunità?   In passato l’appartenenza era definita dalla tradizione.   Oggi non credo che avrebbe molto senso cercare di recuperare identità morte e sepolte, credo piuttosto che sarà l’effetto combinato delle scelte individuali e degli eventi che costruiranno ex-novo o quasi le comunità del futuro le quali, se saranno sufficientemente resilienti, diventeranno tradizionali nel giro di poche generazioni.   Del resto, oggi i sociologi parlano molto di “neo-tribalismo” e può darsi che si tratti proprio della fase preliminare di questo processo.
Ma, ammesso che queste caratteristiche siano strumenti utili alla resilienza, come acquisirle?

Tradizionalmente, gli atteggiamenti mentali radicati fra la propria gente si assimilavano inconsciamente durante l’infanzia, per la forza della tradizione e per la quotidiana lotta contro le difficoltà.   Ed è proprio la sostanziale mancanza di difficoltà reali per un periodo di oltre 50 anni che ci ha resi così vulnerabili.   E’ impressionante come situazioni del tutto normali come la presenza di un insetto od uno scroscio di pioggia siano oggi sufficienti a spaventare molte persone.   Anche il solo pensiero di un’ipotetica difficoltà può essere sufficiente a creare angoscia.   Lo sa bene chi si occupa di divulgazione in campo ambientale che, normalmente, si trova davanti un rifiuto ad ascoltare perché per molti è insopportabile anche solo parlare del fatto che il nostro modo di vivere potrebbe essere agli sgoccioli, oppure che il tenore di vita desiderato potrebbe non essere mai raggiunto.

Come abbiamo perso la capacità di provvedere ai nostri bisogni materiali, abbiamo perso anche la capacità psicologica di fronteggiare le difficoltà   Una menomazione ancor più grave perché come recuperarla?

Solo l’esercizio quotidiano può sviluppare le capacità fisiche e cognitive; analogamente, solo l’esercizio  quotidiano che possiamo fare fronteggiando difficoltà reali ci può permettere di sviluppare le nostre capacità latenti nei campi sopra citati.   Possiamo quindi cercare delle difficoltà opportunamente scelte e dosate, come ad esempio esporsi alle intemperie, alla fame od a rischi di vario genere, e potrebbe essere utile.   Ma soprattutto saranno gli eventi stessi della storia che ci offriranno le condizioni migliori per allenarci e che ci sottoporranno agli esami di maturità.   Non dobbiamo temere di mancare di occasioni in tal senso.

Come dice Carolyn Baker: “Il collasso della civiltà industriale ci costringerà a fare o non fare molte cose, ma sopra di tutto, ci costringerà a dirci la verità – la verità sul nostro ambiente, le nostre risorse, il nostro uso ed abuso del denaro, la nostra disconnessione con la comunità terrestre – e soprattutto, ci costringerà a dirci la verità su noi stessi” (Collapsing consciously North Atlantic Books 2013).  

Questo, se scrutiamo in fondo a noi stessi, è forse la cosa che spaventa di più molti di noi.

Cambiamento climatico brusco ed estinzioni di massa

DaSkeptical science”. Traduzione di MR. 

 


Il collegamento fra rapidi cambiamenti climatici ed estinzioni di massa è stato rafforzato in un saggio recente di Jourdan et al su “Geology". Gli autori dimostrano che le eruzioni vulcaniche straordinariamente grandi della Grande Provincia Ignea del Kalkarindi (GPI) in Australia sono state sincrone con un grande evento di estinzioni a metà del Periodo Cambriano e mostrano anche che le estinzioni più gravi nel Fanerozoico (il tempo dall'inizio del Periodo Cambriano) sono coincise con rapidi cambiamenti climatici provocati da gas serra ed emissioni di zolfo da PGI come Kalkarindji, Trappole Siberiane ed altre.

“L'Esplosione del Cambriano”, 541 milioni di anni fa è stata l'alba del tipo di vita complessa animale sulla Terra che riconosceremmo oggi – comprese creature con conchiglie e scheletri – che proprompe nei ritrovamenti fossili di quel tempo. Eppure, questa prima proliferazione di vita animale è stata tagliata 510 milioni di anni fa dall'estinzione di metà Cambriano in cui circa il 45% dei generi si è estinto. Lo hanno fatto esattamente allo stesso tempo in cui le violente eruzioni di Kalkarindji si sono scatenate su un'area di circa un terzo della dimensione dell'Australia, un un istante geologico (meno di 3 milioni di anni, probabilmente anche meno, ma questo è il limite della risoluzione della datazione). Non è stato che 25 milioni di anni dopo, nel Periodo Ordoviciano, che la vita ha ripreso il suo impulso nella Grande Evento di Biodiversificazione Ordoviciana (GEBO).

Jourdan et al dichiarano che: “Anche se cambiamenti climatici rapidi e oscillazioni climatiche è probabile che siano la causa ultima delle estinzioni di massa, lo stesso meccanismo di innesco che emerge dalle postazioni del GPI che sono responsabili di questi spostamenti climatici sono meno chiari”. Osservano che le grandi quantità di magma di per sé risulterebbero in enormi rilasci di CO2 e SO2 e la straordinaria violenza delle eruzioni avrebbe rilasciato questi gas nella stratosfera. Inoltre, strati di magma iniettate nel sottosuolo avrebbero cotto sedimenti ricchi di petrolio, rilasciando m etano ed altro CO2. Infatti, si possono vedere grumi di asfalto nella lava australiana. Queste caratteristiche sono notevolmente simili alle circostanze che circondano l'Estinzione di Massa del Permiano, in cui la vita più complessa sulla Terra si è estinta, come descritto in un post precedente su questo blog.




Una Grande Provincia Ignea (GPI) durante l'eruzione, liberamente tratto da Svensen et al EPSL 2009, Howarth et al Lithos 2014, Elkins-Tanton GSA Spec Pub 2005, Keller et al J Geol Soc India 2011, Li et al Nature Geoscience 2014.

Le eruzioni GPI sono molto diverse dalle eruzioni vulcaniche che sono avvenute nel corso della storia umana. L'ultima GPI è stata l'eruzione dei Basalti del Fiume Columbia nel nordest degli Stati Uniti, 16 milioni di anni fa, molto prima dell'evoluzione degli ominidi dalle scimmie. Gran parte delle eruzioni vulcaniche hanno un effetto raffreddante temporaneo a causa delle loro emissioni di zolfo e collettivamente per molti milioni di anni le loro emissioni di CO2 hanno evitato che il pianeta diventasse un blocco di ghiaccio. I GPI, al contrario, tendono a generare un forte riscaldamento globale attraverso enormi quantità di gas serra che emettono in un tempo relativamente breve. Il lavoro di Jourdan et al si aggiunge all'elenco degli eventi estintivi che sono coincisi coi fenomeni GPI e con le gravi fluttuazioni climatiche che li hanno accompagnati. Anche alla fine del Cretaceo, quando gran parte degli scienziati sono d'accordo sul fatto che un grande impatto di un asteroide ha spazzato via i dinosauri, un episodio di riscaldamento globale aveva già innescato un grande evento di estinzione di massa poco prima dell'impatto. Gli autori osservano che la correlazione fra GPI e gravi estinzioni ora è così forte che c'è un “trascurabile 6×10–9% di probabilità che tale correlazione sia dovuta solo al caso”, il che “sostiene fortemente una relazione causale fra i GPI e le gravi estinzioni dorante il Fanerozoico”.

L'estinzione di metà Cambriano, avvenuta prima della colonizzazione della terra da parte di piante ed animali, a sua volta suggerisce che il meccanismo killer del GPI è improbabile che si stato associato col collasso dello strato di ozono, come è stato recentemente suggerito per l'Estinzione di Massa del Permiano. Così gli oceani devono essere cruciali per il meccanismo di estinzione (vedi questo post), che punta il dito anche più chiaramente verso fluttuazioni climatiche generate da gas serra e aerosol di zolfo come causa delle più grandi estinzioni di massa della Terra.

Gli impatti di asteroidi, al contrario, hanno costellato il nostro pianeta relativamente spesso durante lo stesso periodo di tempo, ma la sola estinzione di massa che ha coinciso con un grande impatto è stata quella della fine del Cretaceo (che è avvenuta in cima ad un cambiamento climatico innescato da un GPI, come detto in precedenza). L'immagine popolare dell'impatto di un asteroide come annientatore finale della vita può essere drammatica ed adatta a film stimolanti, ma la dura realtà è che i cambiamenti climatici rapidi, come quello che gli esseri umani stanno scatenando sul pianeta oggi, sono stati consistentemente più mortali per la vita sulla Terra.


Sincronicità fra eruzioni di Grandi Provincie Ignee (GPI) e grandi eventi estintivi.  Il rosso denota la durata datata, il rosa denota l'incertezza della data . Vedi  Jourdan et al per la spiegazione del GPI di Paranà-Etendeka. Ridisegnato da Jourdan et al, Geology 2014

mercoledì 18 giugno 2014

Michael Klare: cosa si fuma Big Energy?

DaTomdispach”. Traduzione di MR


 “La posizione dell'industria era che non ci sono “prove” che il tabacco facesse male ed hanno promosso quella posizione creando un “dibattito”, convincendo i mass media che i giornalisti responsabili avevano il dovere di presentare 'entrambe le parti' dello stesso”. Usando un pugno di scienziati come propri testimoni esperti, le grandi compagnie del tabacco hanno anche negato la scienza che collega fumo e cancro ed hanno dichiarato che le scoperte anti tabacco erano guidate da un piano politico. Usando marchi pubblicitari, gruppi di pensiero e quegli scienziati “obbiettivi” da loro pagati o asserviti, hanno messo i loro soldi dove si trovavano le loro bocche ed hanno finanziato una massiccia campagna di ciò che, col senno di poi, può essere chiamata solo disinformazione sugli effetti del fumare tabacco sulla salute umana. In questo senso, hanno creato il dubbio e il dibattito che volevano, posticipando con successo una resa dei conti dell'industria per anni.

Suona familiare oggi? Dovrebbe. Come hanno documentato Naomi Oreskes e Erik Conway nel loro classico Mercanti di dubbio, seminare il dubbio nella controversia delle sigarette si è rivelata una mossa brillante. I due autori la chiamano “la strategia del tabacco”. Ha avuto così successo per le compagnie del tabacco che sarebbe stata imitata e replicata in situazioni simili come la pioggia acida, il buco dell'ozono e alla fine il riscaldamento globale, un “dibattito” ancora in corso e, come chiariscono Oreskes e Conway, con lo stesso ridotto cast di scienziati dubbiosi, che si sono spostati per convenienza da un problema a quello successivo (senza fare un lavoro originale di proprio), finendo fra la fila dell'industria dei combustibili fossili. E' una storia di uomini che rappresentano intere industrie che sono ripetutamente finiti dalla parte sbagliata della scienza. Sugli effetti del tabacco, della pioggia acida e delle sostanze chimiche che distruggono lo strato di ozono, hanno notoriamente sbagliato eppure, per le industrie che li hanno sostenuti, avevano notoriamente ragione. E' sufficientemente chiaro come il quarto di questi “dibattiti” sul cambiamento climatico sarà deciso. La domanda è solo quando – e da questa domanda dipende la salute umana su scala globale.

Nel frattempo, 'Big Energy' non ha mai smesso di imparare dal successo di 'Big Tobacco'. Come rivela oggi l'editorialista abituale di TomDispatch Michael Klare, autore di La competizione per ciò che è rimasto, si stanno ancora una volta adattando e stanno sfruttando la strategia ultima dell'industria del tabacco in un modo nuovo e devastante. Non c'è storia più vergognosa e nessuno l'ha raccontata – finora. Tom.

Che mangino carbonio. In che modo Big Tobacco e Big Energy puntano sul mondo in via di sviluppo come futuro obbiettivo per fare profitti

Di Michael T. Klare

Negli anni 80, incontrando restrizioni normative e resistenza pubblica al fumo negli Stati Uniti, le grandi compagnie del tabacco hanno inventato una strategia particolarmente efficace per sostenere i propri livelli di profitto: vendere più sigarette nel mondo in via di sviluppo, dove la domanda era forte e le leggi anti tabacco deboli o inesistenti. Ora, le grandi compagnie energetiche stanno prendendo esempio da Big Tobacco. Mentre la preoccupazione per il cambiamento climatico comincia a ridurre la domanda di combustibili fossili negli Stati uniti e in Europa, stanno accelerando le proprie vendite ai paesi in via di sviluppo, dove la domanda è forte e le misure di controllo delle emissioni di carbonio climalteranti deboli o inesistenti. Questo produrrà un aumento colossale delle emissioni di carbonio climalteranti che non li preoccupa di più i quanto il balzo delle malattie legate al fumo avesse preoccupato le compagnie del tabacco.

Lo spostamento dell'industria del tabacco dai paesi ricchi e sviluppati ai paesi a salario medio-basso è stato ben documentato. “Con l'uso del tabacco che declina nei paesi più ricchi, le compagnie del tabacco stanno spendendo decine di miliardi di dollari all'anno in pubblicità, e sponsorizzazioni, gran parte delle quali per aumentare le vendite nei... paesi in via di sviluppo, “ ha osservato il New York Times in un editoriale del 2008. Per incrementare le loro vendite, marchi come Philip Morris International e British American Tobacco hanno anche portato il loro peso legale e finanziario a sostenere il blocco dell'attuazione dei regolamenti anti fumo in quei luoghi. “Stanno usando le cause per minacciare i paesi salario medio-basso”, ha detto al NYTimes il dottor Douglas Bettcher, capo della Iniziativa per la Liberazione dal Tabacco dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Le compagnie di combustibili fossili – produttori di petrolio, carbone e gas naturale – stanno espandendo le loro operazioni in modo analogo in paesi a reddito medio basso dove assicurare la crescita delle forniture energetiche è considerato più cruciale che non prevenire la catastrofe climatica. “C'è un chiaro passaggio a lungo termine della crescita energetica dai paesi OCSE [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, il club delle nazioni ricche] a quelli non OCSE”, ha osservato il gigante petrolifero BP nel suo rapporto sulla Prospettiva Energetica per il 2014. “Virtualmente tutta (95%) la crescita prevista [del consumo di energia] è nei paesi non OCSE”, ha aggiunto, usando il nuovo termine garbato per ciò che veniva chiamato Terzo Mondo.

Come nel caso della vendita di sigarette, l'aumento della consegna di combustibili fossili ai paesi in via di sviluppo e doppiamente dannosa. Il loro essere presi di mira da Big Tobacco ha prodotto un forte aumento delle malattie collegate al fumo fra i poveri in luoghi in cui i sistemi sanitari sono particolarmente mal equipaggiati per chi si trova ad averne bisogno. “Se l'attuale tendenza continua”, ha riportato l'OMS nel 2011, “entro il 2030 il tabacco ucciderà più di 8 milioni di persone nel mondo all'anno, con l'80% di queste morti premature fra le persone che vivono in paesi dai redditi medio-bassi”. In un modo analogo, un aumento delle vendite di carbonio a tali nazioni aiuterà a produrre tempeste più forti e siccità più lunghe e devastanti in luoghi che sono meno preparati a resistere o ad affrontare i pericoli del cambiamento climatico.

La crescente enfasi dell'industria energetica sulle vendite a queste terre particolarmente vulnerabili è evidente nella pianificazione strategica di ExxonMobil, la più grande compagnia petrolifera privata. “Per il 2040, si prevede che la popolazione mondiale cresca approssimativamente fino a 8,8 miliardi di persone”, ha osservato la Exxon nel suo rapporto finanziario del 2013 agli azionisti. “Visto che le economie e le popolazioni crescono e gli standard di vita migliorano per miliardi di persone, la necessità di energia continuerà ad aumentare... Questo aumento della domanda è previsto essere concentrato nei paesi in via di sviluppo”.

Questa valutazione, ha spiegato l'AD della Exxon Tillerson, governerà i piani commerciali della compagnia negli anni a venire. “Il contesto economico globale continua a fornire una miscela di sfide e opportunità”, ha detto l'analista finanziario alla Borsa di New York nel marzo 2013. Mentre la domanda di energia nelle economie sviluppate “rimane relativamente piatta”, ha osservato, “la domanda di energia delle economie dei paesi non OCSE è attesa in crescita di circa il 65% per sostenere l'attesa prevista”.

A riconoscimento di questa tendenza, la Exxon ha intrapreso un'ampia varietà di iniziative intese ad aumentare le proprie capacità di vendita in Cina, Sudest Asiatico ed altre aree in rapido sviluppo. A Singapore, per esempio, la compagnia sta ampliando una raffineria ed un impianto petrolchimico che costituisce il suo “più grande sito integrato di produzione nel mondo”. La raffineria è stata modificata per produrre più gasolio, di modo da servire meglio le flotte di camion, autobus ed altri veicoli pesanti nella regione. Nel frattempo, l'impianto di lavorazione degli idrocarburi nell'impianto chimico è stato raddoppiato per soddisfare l'aumento della domanda di prodotti petrolchimici usati per fare plastiche ed altri beni di consumo, specialmente in Cina. (Ci si attende che la Cina da sola rappresenti oltre metà della crescita della domanda mondiale” di questi prodotti, ha osservato Tillerson lo scorso anno).

Per promuovere i propri prodotti in Cina, la Exxon ha stabilito una “alleanza strategica” con la China Petroleum and Chemical Corporation (Sinopec), uno dei giganti energetici cinesi di proprietà del governo. Un obbiettivo chiave dell'alleanza è la costruzione di una “raffineria integrata su scala mondiale e di un complesso petrolchimico” nella Cina orientale che, hanno osservato i funzionari Exxon, “diventerà un grande rivenditore di prodotti petrolchimici in tutta la Cina e di prodotti petroliferi nella provincia di Fujian. Una grande componente di questo sforzo congiunto, il progetto per la raffinazione e la produzione di etilene integrati di Fujian, è cominciato nel settembre 2009.

La Exxon sta anche espandendo le proprie capacità di fornire gas naturale liquefatto (GNL) all'Asia. In collaborazione con Qatar Petroleum, ha costruito il più grande impianto per l'esportazione di GNL del mondo a Ras Laffan in Qatar e sta costruendo un'enorme operazione di GNL in Papua Nuova Guinea. Questo progetto da 19 miliardi di dollari, diventato operativo da aprile, comprende un gasdotto di 430 miglia per consegnare gas dagli altipiani interni dell'isola ad un terminal di esportazione vicino a Port Moresby, la capitale. “Il progetto è ottimamente localizzato per servire i mercati asiati in crescita in cui la domanda di GNL è attesa in crescita di circa il 165% fra il 2010 e il 2025”, ha detto Neil W. Duffin, presidente dell'Azienda di Sviluppo della ExxonMobil.

La prossima cosa nel programma della compagnia è in piano per attingere dal gas naturale che viene estratto in quantità sempre maggiori dalle formazioni di scisto interne degli Stati Uniti attraverso l'idrofratturazione e convertirlo in GNL da esportare in Asia. Anche se vari politici americani hanno spinto l'esportazione strategica di tali forniture all'Europa per “salvare” quel continente dalla propria dipendenza dal gas russo, la Exxon ha altre idee. Vede l'Asia, dove i prezzi del gas sono più alti, come il mercato naturale del GNL – e si fotta la politica estera degli Stati Uniti. “Esportando gas naturale”, ha detto Tillerson alla Società Asiatica nel giugno 2013, “gli Stati Uniti potrebbero consolidare la sicurezza energetica degli alleati asiatici e dei partner commerciali e stimolare l'investimento della produzione interna americana”.

La missione “Umanitaria” di Big Energy

Promuovendo tali politiche, i dirigenti della Exxon sono attenti a riconoscere che le preoccupazioni crescenti sul cambiamento climatico stanno generando una maggiore resistenza al consumo dei combustibili fossili in Europa e in altre del Primo Mondo. Quando si tratta del resto del pianeta, tuttavia, tali preoccupazioni, sostengono, dovrebbero essere controbilanciata da un impulso “umanitario” a fornire energia fossile a buon mercato alla gente povera. Attingendo agli argomenti del rinnegato ambientale danese Bjørn Lomborg, autore de “L'ambientalista scettico”, sostengono che tendere ai bisogni dei poveri costituisce una priorità maggiore che non frenare il riscaldamento globale. “Dobbiamo anche riconoscere che c'è un imperativo umanitario nel soddisfare queste necessità globali crescenti”, ha tipicamente asserito Tillerson nel 2013.

Alla domanda se il riscaldamento globale non debba essere una preoccupazione più grande, l'AD di Exxon ha ripetuto a pappagallo la prospettiva anti-ambientalista di Lomberg. “Penso che ci siano molte più priorità stringenti con le quali... dobbiamo confrontarci”, ha detto Tillerson al Consiglio per le relazioni Estere nel giugno 2012. “Ci sono ancora centinaia di milioni, miliardi di persone che vivono in una povertà abietta nel mondo. Hanno bisogno di elettricità... Hanno biosgno di combustibile per cucinare il loro cibo che non sia sterco di animale... A loro piacerebbe bruciare combustibili fossili perché la loro qualità di vita aumenterebbe incommensurabilmente, la qualità della loro salute, la salute dei loro figli e il loro futuro aumenterebbero incommensurabilmente. Si salverebbero milioni e milioni di vite rendendo i combustibili fossili maggiormente disponibili a gran parte del mondo che non li ha”.

Anche se i leader della altre grandi ditte, comprese BP, Chevron e Royal Dutch Shell, sono meno dirette di Tillerson, stanno perseguendo una strategia di mercato analoga. “La crescita della domanda [di prodotti petroliferi] proviene esclusivamente da economie non OCSE in rapida crescita”, ha osservato la BP nel suo recente rapporto sulla prospettiva energetica globale. Cina, India e Medio Oriente costituiscono quasi tutto l'aumento globale”. Come ExxonMobil, BP e le altre duramente al lavoro per espandere la loro capacità di vendere combustibili fossili in questi mercati in crescita.

E non sono solo le compagnie di petrolio egas che perseguono questa strategia. Lo fa anche 'Big Coal'. Con la domanda di carbone in declino negli Stati uniti, grazie alla crescente disponibilità di gas naturale a basso costo generata dal fracking, le ditte di carbone stanno spedendo sempre di più della loro produzione in Asia, cosa che contribuirà significativamente ad incrementare lì le emissioni. Secondo la EIA del Dipartimento per l'Energia, le esportazioni di carbone statunitense verso la Cina sono aumentate da praticamente zero nel 2007 a 10 milioni di tonnellate nel 2012. Le esportazioni verso l'India sono aumentate da 1,5 milioni a 7 milioni di tonnellate e verso la Corea del Sud da praticamente niente a 9 milioni. Le esportazioni a questi paesi solamente è aumentata di più del 1000% in questi anni.

La EIA riassume la situazione così: “Le compagnie nelle zone chiave dell'approvvigionamento di carbone negli Stati Uniti – sia produttori sia ferrovie – hanno aumentato le vendite verso l'Asia a causa dell'aumento della domanda di carbone asiatica, forti prezzi di esportazione complessivi e minor consumo degli Stati Uniti di carbone per produrre energia elettrica”. Visto da un'altra prospettiva, le diminuite emissioni di carbonio dal carbone negli Stati Uniti – tanto propagandate dal presidente Obama nel suo abbracciare il gas naturale – non ha significato quando si tratta di cambiamento climatico, a causa dei gas serra prodotti quando tutto quel carbone viene consumato in Asia.

Per aumentare ancor di più le vendite, le grandi compagnie di carbone promuovono la costruzione di nuovi terminal di spedizione sulla costa occidentale, comprese le due in Oregon e le due nello stato di Washington. La più grande di queste, il Gateway Pacific Terminal vicino a Bellingham, Washington, gestirà fino a 48 milioni di tonnellate di carbone all'anno, gran parte del quale destinato alla Cina ed altri paesi asiatici.

Anche se i terminal vengono spesso promossi dai funzionari locali come fonti di nuovi lavori, innescano una dura opposizione da parte degli attivisti della comunità e dai Nativi Americani che le vedono come una grave minaccia all'ambiente. Dichiarando che la polvere di carbone, le perdite dai treni e gli impianti di carico danneggeranno i siti di pesca che ritengono vitali, membri della tribu Lumni citano diritti trattati da lungo tempo nei loro tentativi di bloccare il Terminal di Cherry Point, uno degli impianti pianificati nello stato di Washington.

Nel Pacifico nordoccidentale, l'opposizione ai terminal del carbone e alle linee ferroviarie che saranno così cruciali per il loro funzionamento – alcune delle quali attraverseranno riserve indiane e passeranno attraverso città dall'atteggiamento verde come Seattle – sta prendendo forza. Il processo è stato simile al modo in cui gli attivisti del clima si sono mobilitati contro l'oleodotto Keystone XL che, se costruito, è previsto che trasporti sabbie bituminose dense di carbonio dal Canada alla Costa del Golfo degli Stati Uniti. Ma le compagnie del carbone e i loro alleati stanno spingendo, insistendo che le loro esportazioni sono essenziali per la vitalità economica del paese. “A meno che i porti non vengano costruiti sulla costa occidentale”, ha detto Jason Hayes, un portavoce del Consiglio Americano del Carbone, i fornitori statunitensi non saranno visti come 'partner d'affari affidabili' in Asia.

Anche se l'opposizione della comunità e tribale potrebbe avere successo nel bloccare o ritardare un terminal o due, gran parte degli analisti che che, alla fine, diversi ne verranno costruiti. “Ci sono due miliardi di persone in Asia che hanno bisogno di più corrente, quindi alla fine nei mercati finirà più carbone statunitense “, dice Matt Preston, un analista della ditta di consulenza energetica di Wood Mackenzie.

Perpetuare l'era dei combustibili fossili

Alla fine, tutti questi tentativi di aumentare le vendite di combustibili fossili in Asia e in altre aree in via di sviluppo avrà un risultato inequivocabile: un forte aumento delle emissioni globali di carbonio, con gran parte della crescita nei paesi non OCSE. Secondo la EIA, fra il 2010 e il 2040 le missioni mondiali di carbonio provenienti dall'uso di energia – la fonte principale di gas serra - aumenteranno del 46%, da 31,2 miliardi di tonnellate a 45,5 miliardi di tonnellate. Poco di questo aumento verrà ufficialmente generato dai paesi più ricchi del pianeta, dove la domanda di energia è stagnante e vengono approvate regole più severe sulle emissioni di carbonio. Invece, quasi tutta la crescita del CO2 in atmosfera – il 94% - sarà lasciato al mondo in via di sviluppo, anche se una parte significativa di quelle emissioni proverrà dalla combustione di combustibili fossili statunitensi esportati.

Dal punto di vista di molti scienziati, un aumento delle emissioni di carbonio di questa scala porterà quasi sicuramente ad un aumento della temperatura globale di almeno 4°C e probabilmente di più per la fine del secolo. E' abbastanza da assicurare che i cambiamenti che stiamo già vedendo, comprese le gravi siccità, le tempeste più forti, gli incendi e l'aumento dei livelli del mare, saranno eclissati da pericoli esponenzialmente più grandi in futuro.

Condivideremo tutti il dolore di tali catastrofi indotte dal riscaldamento. Ma le persone nelle terre in via di sviluppo – specialmente le più povere fra loro – soffriranno di più, perché le società in cui vivono sono meno preparate ad affrontare gravi catastrofi. “I pericoli collegati al clima peggiorano altri fattori di stress [socioeconomico], spesso con conseguenze negative per i mezzi di sussistenza, specialmente per le persone che vivono in povertà”, ha osservato l'IPCC nella sua più recente valutazione di ciò che il riscaldamento globale significherà per il pianeta Terra. “I pericoli collegati al clima colpiscono le vite della persone povere direttamente, attraverso l'impatto sui mezzi di sussistenza, la riduzione dei rendimenti agricoli e la distruzione di case e indirettamente attraverso, per esempio, l'aumento dei prezzi del cibo e l'insicurezza alimentare”.

Di certo, le grandi compagnie di combustibili fossili hanno una responsabilità morale, se non anche una legale, per l'intensificazione del cambiamento climatico e la mancanza di una risposta seria ad esso. Oltre a questo, il loro pianificare con cura una strategia per vendere prodotti di carbonio a coloro che sono più a rischio può essere solo vista come completa immoralità. Proprio come i funzionari della sanità ora condannano l'enfasi di Big Tobacco sulla vendita di sigarette alle persone povere in paesi con un inadeguato sistema sanitario, così un giorno la nuova abitudine “di fumare” di Big Energy sarà ritenuta una enorme minaccia alla sopravvivenza umana.

Soprattutto, Big Energy sta assicurando che una piccola parentesi di buone notizie per quanto riguarda il cambiamento climatico – la contrazione dell'uso di carbone, petrolio e gas nel mondo sviluppato – si rivelerà insignificante. L'incentivo economico a vendere combustibili fossili ai paesi in via di sviluppo e innegabilmente forte. Il bisogno di maggiore energia nei paesi in via di sviluppo non è meno indiscutibile. Nel lungo periodo, il solo modo di soddisfare questi bisogni senza mettere in pericolo il nostro futuro globale sarebbe attraverso una spinta enorme ad espandere le opzioni di energia rinnovabile lì, non spingendo prodotti di carbonio nelle loro gole. Rex Tillerson e le sue coorti continueranno a dichiarare che stanno dando un servizio “umanitario” con la loro nuova strategia del “tabacco”. Invece, stanno di fatto perpetuando l'era dei combustibili fossili e contribuendo a creare una futura catastrofe umanitaria di dimensioni apocalittiche.

Michael T. Klare, una presenza regolare su TomDispatch, è un professore di studi di pace e sicurezza mondiale al Hampshire College ed è autore, più di recente, de “La competizione per ciò che è rimasto”. Un versione sotto forma di documentario del suo libro “Sangue e petrolio” è disponibile su the Media Education Foundation.


martedì 17 giugno 2014

Esaurimento del capitale morale come limite della crescita

DaThe Daly News”. Aprile 2014, Traduzione di MR


Di Herman Daly

 









Su I limiti sociali della crescita, Fred Hirsh sostiene che:

La moralità dell'ordine minimo necessario per il funzionamento di un sistema di mercato è stata ipotizzata, quasi sempre implicitamente, come se fosse una specie di bene gratuito permanente, una risorsa naturale di tipo non esauribile. 

Elaborando la relazione sulla Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith per il suo Ricchezza delle Nazioni, Hirsh evidenzia che per Smith ci si potrebbe tranquillamente fidare del fatto che gli uomini non siano un pericolo per la comunità quando perseguono il loro interesse personale non solo a causa della mano invisibile della competizione, ma anche a causa dei vincoli intrinseci sul comportamento individuale derivati da morali, morali, costumi ed educazione condivisi. Il problema è che Hirsh vede che

La continuazione del processo di crescita in sé poggia su certe precondizioni che il suo stesso successo ha messo in pericolo per via della sua etica individualistica. La crescita economica mina le sue basi sociali. 

Il fatto di minare i vincoli morali ha fonti sia dalla parte della domanda sia da quell dell'offerta del mercato dei beni. Nel suo saggio, “La crescita dell'abbondanza e il declino del benessere”, E. J. Mishan ha osservato che:

Una società in cui “tutto va bene” è ipso facto una società in cui si vende qualsiasi cosa. (Economia, Ecologia, Etica

Un corollario è che autolimitazione o l'astinenza nell'interesse di richieste superiori rispetto alla gratificazione immediata per il consumo fa male alle vendite, pertento fa male alla produzione, all'impiego, alle entrate fiscali e a tutto il resto. L'economia della crescita non può crescere a meno che non possa vendere. L'idea che qualcosa non dovrebbe essere comprata perché è frivola, degradante, di cattivo gusto o immorale è sovversiva per l'imperativo della crescita. Se la domanda dev'essere sufficiente per la crescita continua, allora si deve vendere tutto, il che richiede che “vada tutto bene”.

Da parte dell'offerta, il successo della tecnologia basata sulla scienza ha favorito la pseudo religione dello “scientismo”, per esempio l'elevazione del programma di ricerca della scienza deterministico, materialistico, meccanicistico e riduzionistico allo stato di una Visione del Mondo finale. Innegabilmente, l'approccio metodologico del materialismo scientifico ha portato a grandi miglioramenti della nostra abilità tecnologica. Il suo successo pratico sostiene la sua promozione da ipotesi di lavoro o programma di ricerca a Visione del Mondo. Ma una Visione del Mondo di materialismo scientifico non lascia spazio allo scopo, al bene e al male, agli stati del mondo migliori o peggiori. Erode la moralità in generale e il vincolo morale nella vita economica in particolare. Il potere è aumentato parallelamente alla contrazione dello scopo. La conseguenza funesta di questa frammentazione dell'ordine morale, che stiamo esaurendo con la stessa certezza con la quale stiamo distruggendo l'ordine ecologico è, come evidenzia Misham, che

L'argomentazione efficace [rispetto alla politica] diventa impossibile se non c'è più una serie comune di valori finali o di convinzioni alle quali fare appello nel tentativo di persuadere gli altri.

Proprio come tutta la ricerca nelle scienza fisiche devono dogmaticamente assumere l'esistenza di un ordine oggettivo nel mondo fisico, così la ricerca nelle scienza politiche deve dogmaticamente assumere l'esistenza di un valore oggettivo nel mondo morale. La politica dev'essere mirata a spostare il mondo verso uno stato migliore delle cose, altrimenti non ha senso. Se “migliore” o “peggiore” non hanno un significato oggettivo, allora la politica può solo essere arbitraria e capricciosa. C. S. Lewis ha dichiarato con forza questa verità fondamentale:

Una credenza dogmatica nel valore obbiettivo è necessaria per l'idea stessa di una regola che non sia tirannia o un'obbedienza che non sia schiavitù.

Allo stesso modo, Mishan sostiene che

Un consenso morale che sia duraturo ed efficace è il prodotto della sola credenza nella sua origine divina.

In altre parole, un'etica duratura dev'essere qualcosa di più di una convenzione sociale. Deve avere qualche obbiettivo, autorità trascendentale, a prescindere dal fatto che si chiami quell'autorità “Dio”, o “La Forza” o qualsiasi altra cosa. Tutti i tentativi di trattare il valore morale come se fosse una interamente una parte della natura da manipolare e programmare da parte della psicologia o della genetica finisce solo in una circolarità logica.

Il valore morale non può essere ridotto a qualcosa o spiegato come mero risultato di un cambiamento genetico e alla selezione naturale senza allo stesso tempo perdere la sua autorità. Anche se sappiamo come rifare i valori morali come artefatti umani, dobbiamo tuttavia avere un criterio per decidere quali valori dovrebbero essere enfatizzati e quali soffocati nel nuovo ordine. Ma se questo criterio necessario è in sé stesso un artefatto della mutazione e della selezione mutate da mano umana, allora anche questo criterio è candidato ad essere rifatto. Non si sfugge.

Una volta che la falsa credenza si diffonde (ed è già successo) quella moralità non ha altre basi se non la possibilità aleatoria e la selezione naturale in condizioni ambientali impermanenti, quindi avrà altrettanta autorità e pretesa della verità del Coniglio di Pasqua.  Insomma, gli atteggiamenti del materialismo scientifico e del relativismo culturale tagliano attivamente la credenza su una base trascendentale del valore oggettivo, che a sua volta taglia il consenso morale. Mancando quel consenso, non c'è più la “moralità dell'ordine minimo necessario per il funzionamento di un sistema di mercato”presupposto da Adam Smith e dai suoi seguaci.



lunedì 16 giugno 2014

Il nuovo libro di Ugo Bardi, "Extracted," commentato da Nafeez Ahmed sul "Guardian"

Da “The Guardian” (1, 2). Traduzione di MR

Di Nafeez Ahmed

L'esaurimento delle risorse minerali a buon mercato sta trasformando la Terra – un rapporto scientifico

L'aumento dei costi dell'estrazione di risorse richiede una transizione ad una 'economia circolare' post industriale per evitare il collasso




L'umanità potrebbe aver esaurito le risorse minerali a basso costo della Terra entro la fine di questo secolo – ma una migliore gestione delle risorse può evitare i rischi peggiori. Foto: REX

Un nuovo rapporto scientifico fondamentale che attinge dal lavoro dei migliori esperti di minerali prevede che l'estrazione da parte della civiltà industriale di minerali cruciali e combustibili fossili sta raggiungendo i limiti della fattibilità economica e potrebbe portare a un collasso delle infrastrutture chiave, a meno che non vengano attuati nuovi modi di gestire le risorse.

Lo studio peer-reviewed – 33° Rapporto al Club di Roma – è opera del professor Ugo Bardi del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze, dove insegna chimica fisica. Lo studio contiene contributi specialisti da parte di 15 scienziati ed esperti che coprono i campi di geologia, agricoltura, energia, fisica, economia, geografia, trasporti, ecologia, ecologia industriale e biologia, fra le altre cose. Il Club di Roma è un gruppo di pensiero globale con base in Svizzera fondato nel 1968 composto da capi di stato (in carica ed ex), funzionari dell'ONU, funzionari di governi, diplomatici, scienziati, economisti e capi d'impresa.

Il suo ultimo rapporto, che verrà pubblicato il 12 giugno, fa una panoramica globale della storia e dell'evoluzione dell'estrazione mineraria e sostiene che l'aumento dei costi di estrazione dei minerali dovuti a inquinamento, rifiuti ed esaurimento delle fonti a basso costo alla fine renderanno l'attuale struttura della civiltà industriale insostenibile. Gran parte del focus del rapporto è sul concetto di EROEI, che misura la quantità di energia necessaria per estrarre le risorse. Mentre chiarisce che “non stiamo finendo nessun minerale”, il rapporto scopre che “l'estrazione sta diventando sempre più difficile man mano che i minerali facili si esauriscono. Serve più energia per mantenere i tassi di produzione passati e ne serve ancora di più per aumentarli”. Di conseguenza, nonostante le grandi quantità di riserve minerali rimaste:

“La produzione di molti beni minerali sembra essere sulla via del declino... potremmo essere sul punto di entrare in un ciclo di un secolo che porterà alla scomparsa dell'estrazione mineraria come la conosciamo”.

L'ultimo decennio ha visto il passaggio del mondo a risorse di combustibili fossili più costosi e più difficili da estrarre, sotto forma di petrolio e gas non convenzionali, che hanno livelli di EROEI molto più bassi del petrolio convenzionale. Anche con gli avanzamenti tecnologici nel fracking e le relative tecniche di trivellazione, questa tendenza è improbabile che si inverta significativamente. Un ex dirigente dell'industria petroloifera, del gas e del carbone australiano, Ian Dunlop, descrive nel rapporto come il fracking possa “aumentare rapidamente la produzione fino al picco, ma poi declina anche rapidamente, spesso dal 80 al 95% nei primi tre anni”. Ciò significa che spesso sono necessari “diverse migliaia di pozzi” per un singolo sito di scisto per fornire “un ritorno sull'investimento”.  L'EROEI medi per far funzionare “la società industriale per come la conosciamo” va da 8 a 10 circa. Il petrolio e il gas di scisto, le sabbie bituminose e il gas da giacimento di carbone sono tutti “a quel livello, o sotto, se si tiene conto dei suoi costi complessivi... Così il fracking, in termini energetici, non fornirà un fonte sulla quale sviluppare una società globale sostenibile”.

Il Club di Roma applica l'analisi del EROEI anche all'estrazione di carbone e uranio. La produzione mondiale di carbone raggiungerà il picco al più tardi nel 2050 e potrebbe farlo anche nel 2020. La produzione statunitense di carbone ha già raggiunto il picco e la produzione futura sarà in gran parte determinata  dalla Cina. Ma l'aumento della domanda interna di quest'ultima, e da parte dell'India, potrebbe generare prezzi più alti e scarsità nel prossimo futuro: “Pertanto, non ha assolutamente senso sostituire il petrolio e il gas col carbone”.

Per quanto riguarda l'offerta globale di uranio, il rapporto dice che l'attuale produzione di uranio dalle miniere è già insufficiente ad alimentare i reattori nucleari, una mancanza che  che viene compensata recuperando uranio dagli arsenali militari e dalle vecchie testate nucleari. Mentre si è potuto sopperire alla mancanza di produzione agli attuali livelli di domanda, un'espansione mondiale dell'energia nucleare sarebbe insostenibile a causa degli “enormi investimenti” necessari. Il collaboratore al rapporto Michael Dittmar, un fisico nucleare al CERN, l'Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, sostiene che nonostante le grandi quantità di uranio nella crosta terrestre, solo un “numero limitato di depositi” sono “sufficientemente concentrati da poter essere estratti con profitto”. Estrarre depositi meno concentrati richiederebbe “di gran lunga più energia di quella che l'uranio estratto potrebbe alla fine produrre”. L'aumento dei costi dell'estrazione dell'uranio, fra gli altri costi, ha significato che gli investimenti in energia nucleari si stiano gradualmente assottigliando.

Le proposte di estrarre uranio dall'acqua di mare sono al momento “inutili” perché “l'energia necessaria per estrarre e processare l'uranio dall'acqua di mare sarebbe più o meno la stessa che potrebbe essere ottenuta dallo stesso uranio usando l'attuale tecnologia nucleare”. Pertanto entro questo decennio il rapporto prevede un “inevitabile” declino della produzione delle attuali miniere di uranio. I dati del USGS analizzati dal rapporto mostrano che cromo, molibdeno, tungsteno, nichel, platino-palladio, rame, zinco, cadmio, titanio e stagno avranno un picco di produzione seguito da declini entro questo secolo. Questo perché le riserve dichiarate sono spesso “più ipotetiche che misurate”, il che significa che “l'assunto di una cuccagna dei minerali... è lontano dalla realtà”. In particolare, il rapporto evidenzia il destino di rame, litio, nichel e zinco. Il Fisico professor Rui Namorado Rosa prevede nel rapporto un “imminente rallentamento della disponibilità di rame”. Anche se la produzione è cresciuta esponenzialmente, la densità dei minerali estratti è in costante declino, facendo lievitare i costi di estrazione. Il 'picco del rame' è probabile che arrivi nel 2040, ma potrebbe anche avvenire entro il prossimo decennio.

La produzione di litio, attualmente usato per le batterie delle auto elettriche, verrebbe a sua volta messa sotto stress in caso di una elettrificazione dell'infrastruttura e dei veicoli da trasporto su larga scala, secondo la collaboratrice Emilia Suomalainen, un'ecologista industriale dell'Università di Losanna, in Svizzera. La produzione sostenibile di litio richiede un 80-100% di riciclaggio – attualmente siamo a meno del 1%. Nichel e zinco, che vengono usati per combattere l'erosione di ferro e acciaio e per l'accumulo di elettricità nelle batterie, possono a loro volta affrontare picchi di produzione in soli “pochi decenni” - anche se il nichel potrebbe essere esteso per circa 80 anni – secondo l'ingegnere e specialista di metalli Philippe Bihoux:

“La parte facilmente sfruttabile delle riserve è già stata rimossa e quindi sarà sempre più difficile e costoso investire e sfruttare le miniere di nichel e zinco”.

Mentre la sostituzione potrebbe aiutare in molti casi, sarebbe anche costosa ed incerta e richiederebbe un investimento considerevole. Forse la tendenza più allarmante nell'esaurimento dei minerali riguarda il fosforo, che è cruciale per fertilizzare il suolo e sostenere l'agricoltura. Anche se le riserve di fosforo non stanno finendo, fattori fisici, energetici ed economici fanno sì che solo una piccola percentuale di esso possa essere estratta. Il rendimento delle colture nel 40% delle terre coltivabili del mondo è già limitato dalla disponibilità economica del fosforo. Nello studio del Club di Roma, il Fisico Patrick Dery dice che diverse grandi regioni di produzione di rocce di fosfato – come l'isola di Nauru e gli Stati uniti, che sono il secondo produttore mondiale – sono post picco ed ora sono in declino, con forniture globali di fosforo che diventano potenzialmente insufficienti a soddisfare la domanda agricola entro 30-40 anni. Il problema può potenzialmente essere risolto in quanto il fosforo può essere riciclato. Una tendenza parallela documentata nel rapporto dall'agronomo della FAO Toufic El Asmar è un declino accelerato della produttività della terra causata da metodi di agricoltura industriale che stanno degradando il suolo, in alcune aree, del 50%.

Il professor Rajendra K. Pachauri, presidente del IPCC, ha detto che il rapporto è “un lavoro molto efficace” per valutare la ricchezza minerale del pianeta “all'interno del quadro della sostenibilità”. Le sue scoperte offrono una “base preziosa per le discussioni sulle politche sui minerali”. Ma la finestra per un'azione politica significativa si sta rapidamente chiudendo. “L'allarme principale è la tendenza dei prezzi dei beni minerali”, mi ha detto il professor Bardi.

“I prezzi sono aumentati di un fattore 3-5 e sono rimasti a queto livello negli ultimi 5-6 anni. Non scenderanno di nuovo, perché sono causati da degli aumenti irreversibili dei costi di produzione. Questi prezzi stanno già causando il declino delle economie meno efficienti (diciamo Italia, Grecia, Spagna, ecc.). Non ci troviamo ancora al punto di inversione, ma siamo vicini – meno di un decennio?”.

Gli scienziati vendicano “I Limiti dello Sviluppo (Crescita)' – urgono investimenti in “economia circolare”


Le prime avvisaglie di collasso sociale dall'inizio alla metà del 21° secolo sono stati sorprendentemente preveggenti – ma si aprono opportunità per la transizione




La Terra ha risorse minerali finite, ma gli esseri umani le stanno usando troppo velocemente che non riescono a rigenerarsi, con l'aumento dei costi economici ed ambientali. Foto: Corbis

Secondo un nuovo rapporto scientifico peer-reviewed, è probabile che la civiltà industriale esaurisca le risorse minerali a basso costo entro il secolo, con impatti debilitanti sull'economia globale e sulle infrastrutture chiave entro i prossimi decenni. Lo studio, il 33° rapporto al Club di Roma, è stato scritto dal professor Ugo Bardi del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze e comprende contributi di una vasta gamma di scienziati delle discipline rilevanti. Il Club di Roma è un gruppo di pensiero con sede in Svizzera di attuali ed ex capi di stato, funzionari dell'ONU, funzionari di governo, diplomatici, scienziati, economisti e capi d'azienda.

Il suo primo rapporto del 1972, I Limiti dello Sviluppo (Crescita), è stato condotto da una squadra scientifica al MIT ed ha avvertito che la disponibilità limitata di risorse naturali in relazione all'aumento dei costi avrebbe minato la crescita economica continua circa nel secondo decennio del 21° secolo. Anche se è stato fortemente ridicolizzato, recenti revisioni scientifiche confermano che le proiezioni del rapporto originale, nel suo scenario “caso base” rimangono robuste. Nel 2008, l'Agenzia per la Ricerca Scientifica del governo federale dell'Australia CSIRO ha concluso che la previsioni de I Limiti della Crescita di potenziale “collasso ecologico ed economico in arrivo a metà del 21° secolo” dovuto alla convergenza di “picco del petrolio, cambiamento climatico e sicurezza alimentare e dell'acqua” è “in arrivo”. Le tendenze reali attuali in queste aree “risuonano fortemente con lo scenario 'business-as-usual' di superamento dei limiti e collasso mostrato nel libro”.

Nel 2009, l'American Scientist ha pubblicato scoperte simili da parte di altri scienziati. Quella analisi, fatta dall'eminente ecologo dei sistemi professor Charles Hall dell'Università dello Stato di New York e dal professor John W Day dell'Università di Stato della Louisiana, concludeva che mentre le “previsioni del modello dei limiti della crescita di inquinamento estremo e di declino della popolazione non si sono avverati”, i risultati del modello sono:

“... quasi esattamente in linea circa 35 anni dopo nel 2008 (con qualche assunzione appropriata) … è importante riconoscere che le sue previsioni non sono state invalidate e infatti sembrano propri aver centrato l'obbiettivo. Non siamo a conoscenza di nessun modello fatto dagli economisti che sia altrettanto preciso in un lasso di tempo così lungo”.

Il nuovo rapporto al Club di Roma dice che:

“La fase dell'estrazione mineraria da parte degli esseri umani è un episodio spettacolare ma breve nella storia geologica del pianeta... I limiti dell'estrazione mineraria non sono limiti di quantità, sono limiti energetici. Estrarre minerali richiede energia e più questi sono dispersi, più energia è necessaria... Solo i minerali convenzionali possono essere estratti in modo redditizio con le quantità di energia che possiamo produrre oggi”.

La combinazione dell'esaurimento minerario, associato all'inquinamento da radiazioni e da metalli pesanti, e l'accumulo di gas serra dallo sfruttamento dei combustibili fossili sta lasciando ai nostri discendenti una “eredità pesante” di un mondo virtualmente trasformato:

“La Terra non sarà mai più la stessa, è stata trasformata in un pianeta nuovo e diverso”.

Attingendo al lavoro di emeinenti scienziati climatici, compreso james Hansen, l'ex capo dell'Istituto Goddard per gli Studi Spaziali della NASA, il rapporto avverte che continuare lo sfruttamento 'business-as-usual' dei combustibili fossili del mondo potrebbe potenzialmente innescare un riscaldamento globale fuori controllo che, in alcuni secoli o migliaia di anni, distrugge permanentemente la capacità del pianeta di ospitare la vita. Nonostante questo verdetto, il rapporto sostiene che né un “collasso” dell'attuale struttura della civiltà Nè “l'estinzione” della specie umana sono inevitabili. Una riorganizzazione di fondo del modo in cui le società producono, gestiscono e consumano le risorse potrebbe sostenere una nuova civiltà ad alta tecnologia, ma ciò comporterebbe una nuova “economia circolare”, basata su pratiche su vasta scala di riciclaggio attraverso le filiere di produzione e consumo, un passaggio completo all'energia rinnovabile, l'applicazione di metodi agro-ecologici di produzione del cibo e, con tutto questo, tipi molto diversi di strutture sociali.

In assenza di un grande salto tecnologico nella produzione di energia pulita come la fusione nucleare – che finora sembra improbabile – riciclaggio, conservazione ed efficienza nella gestione delle risorse minerali rimaste accessibili del pianeta dovranno essere intrapresi con attenzione e in modo cooperativo, con l'aiuto della scienza avanzata. Limiti alla crescita economica, o persino “decrescita”, dice il rapporto, non devono implicare una fine della prosperità, ma piuttosto richiedere una decisione consapevole, da parte delle società, di ridurre il proprio impatto ambientale, di ridurre il consumo superfluo e di aumentare l'efficienza – cambiamenti che potrebbero di fatto aumentare la qualità della vita e diminuire le disuguaglianze. Queste scoperte del nuovo rapporto al Club di Roma sono state confermate da altri grandi progetti di ricerca. Nel gennaio dello scorso anno, un dettagliato studio scientifico dell'Istituto per la Sostenibilità Globale dell'Università Anglia Ruskin commissionato dall'Istituto dei periti, ha scoperto prove “schiaccianti” dei limiti delle risorse:

“... su una gamma di risorse sul breve (anni) e medio (decenni) termine... I limiti delle risorse aumenteranno, bene che vada, i prezzi dell'energia e dei beni durante il prossimo secolo e, male che vada, innescheranno un declino a lungo termine dell'economia globale e il disordine civile”.

La buona notizia, però, è che “Se i governi e gli agenti economici anticipano i limiti delle risorse ed agiscono in modo costruttivo, molti degli effetti peggiori possono essere evitati”. Secondo il dottor Aled Jones, autore principale dello studio e capo dell'Istituto per la Sostenibilità Globale:

“I limiti delle risorse, bene che vada, aumenteranno costantemente i prezzi di energia e beni durante il prossimo secolo e, male che vada, potrebbero rappresentare un disastro finanziario, con i patrimoni dei regimi pensionistici di fatto spazzati via e le pensioni ridotte a livelli trascurabili”.

E' imperativo riconoscere che “la riduzione di risorse aumentano la possibilità di un limite alla crescita economica nel medio termine”. Nel suo rapporto del 2014 al Club di Roma, il professor Bardi adotta una visione a lungo termine delle prospettive per l'umanità, osservando che le molte conquiste tecnologiche delle società industriali significano che c'è ancora una possibilità ora di assicurare la sopravvivenza e la prosperità ad una futura società post industriale:

“Non è facile immaginare i dettagli della società che emergerà su una Terra spogliata dei sui minerali ma che mantiene ancora un alto livello tecnologico. Possiamo dire, tuttavia, che gran parte delle tecnologie cruciali per la nostra società possono funzionare senza minerali rari o con delle quantità molto ridotte di quei minerali, anche se con modifiche e con un'efficienza minore”.

Anche se strutture industriali costose e ambientalmente invasive “come autostrade e viaggi aerei” diventeranno obsoleti, tecnologie come “Internet, computer, robotica, comunicazioni a lungo raggio, trasporti pubblici, case confortevoli, sicurezza alimentare ed altro” potrebbero rimanere accessibili col giusto approccio – anche se le società attraversano crisi disastrose nel breve termine. Bardi è sorprendentemente pratico circa il significato del suo studio. “Non sono un catastrofista”, mi ha detto. “Sfortunatamente, l'esaurimento è un fatto della vita, come la morte e le tasse. Non possiamo ignorare l'esaurimento – proprio come non è una buona idea ignorare la morte e le tasse...”


“Se insistiamo nell'investire gran parte di ciò che rimane per i combustibili fossili, allora siamo davvero condannati. Tuttavia penso che abbiamo ancora tempo per gestire la transizione. Per contrastare l'esaurimento, dobbiamo investire le risorse che ci rimangono in energia rinnovabile e tecnologie di riciclaggio efficienti – cose che non sono soggette ad esaurimento. E dobbiamo farlo prima che sia troppo tardi, cioè prima che il ritorno energetico dei combustibili fossili sia declinato così tanto che non ci rimane altro da investire”.