domenica 27 aprile 2014

Il mito del progresso umano e il collasso delle società complesse

Da “Truthdig”. Traduzione di MR

Di Chris Hedges 

https://www.youtube.com/watch?v=uAo7ky1kq-Q (NOTA: stranamente, blogger non trova questo video, quindi non sono riuscito a caricarlo)

Nota dell'editore: quella che segue è la trascrizione di un discorso tenuto da Chris Hedges a Santa Monica, California, il 13 ottobre 2013. Per comprare il DVD del discorso di Hedge e della sessione di domande e risposte successiva, cliccate qui. Delle clip della sessione di domande e risposte sono disponibili su http://www.truthdig.com/avbooth/item/chris_hedges_on_the_role_of_art_in_rebellion_20131127, qui e qui. Seguite questo link per diventare sostenitori di Bedrock (essere memebri per un anno dà diritto al DVD gratuito di questo evento).

Il ritratto più lungimirante del carattere americano e del nostro destino ultimo come specie si trova sul Moby Dick di Herman Melville. Melville rende le nostre ossessioni omicide, la nostra arroganza, i nostri impulsi violenti, la debolezza morale e l'inevitabile autodistruzione visibili nella sua cronaca di un viaggio a caccia di una balena. E' il nostro principale oracolo. Melville è per noi quello che William Shakespeare è stato per l'Inghilterra elisabettiana o Fyodor Dostoyevsky per la Russia zarista. Il nostro paese si è costituito a forma di nave, il Pequod, a cui è stato dato il nome della tribù indiana sterminata nel 1638 dai Puritani ed i loro alleati Nativi Americani. L'equipaggio della nave di 30 uomini – c'erano 30 Stati nell'Unione quando Melville ha scritto il romanzo – è un misto di razze e di fedi. L'oggetto della caccia è un'enorme balena bianca, Moby Dick che in un precedente incontro ha mutilato il capitano della nave, Achab, strappandogli una gamba. La furia autodistruttiva della caccia, proprio quella in cui ci troviamo, assicura al Pequod la distruzione. E quelli sulla nave, in un certo senso, sanno di essere condannati – proprio come molti di noi sanno che una cultura consumistica basata sul profitto delle multinazionali, lo sfruttamento senza limiti e la continua estrazione di combustibili fossili sono condannati.

“Se fossi stato assolutamente onesto con me stesso”, ammette Ishmael, “solo poco dopo che la nave è salpata ho visto molto chiaramente nel mio cuore che mi sarei impegnato in questo modo in un viaggio così lungo – senza posare una sola volta gli occhi sull'uomo che ne è stato il dittatore. Ma quando un uomo sospetta qualcosa di sbagliato, a volte accade che, se viene prontamente coinvolto nella faccenda, cerca a poco a poco di coprire i suoi sospetti anche a sé stesso. E per me è stato così. Non ho detto niente ed ho provato a non pensare niente”.

Il nostro sistema finanziario – come la nostra democrazia partecipatoria – è un miraggio. La Federal Reserve compra 85 miliardi di dollari in buoni del Tesoro statunitensi – in gran parte mutui subprime di nessun valore – ogni mese. Ha artificialmente puntellato il governo e Wall Street in questo modo per cinque anni. Ha prestato trilioni di dollari virtualmente senza interessi a banche e ditte che fanno soldi – perché i salari vengono mantenuti bassi – prestandoceli a tassi di interessi incredibili che possono salire anche al 30%.  … O i nostri oligarchi delle multinazionali accumulano i soldi o ci scommettono in un mercato azionario gonfiato. Le stime pongono il saccheggio di banche e ditte di investimento del Tesoro degli Stati uniti fra i 15 e i 20 trilioni di dollari. Ma nessuno di noi lo sa. Le cifre non sono pubbliche. E la ragione per cui questo saccheggio sistematico continuerà fino al collasso è che la nostra economia andrebbe in tilt senza questa vertiginosa infusione di contante gratuito.

Allo stesso tempo l'ecosistema si sta disintegrando. Gli scienziati del Programma Internazionale sullo Stato dell'Oceano hanno pubblicato pochi giorni fa un nuovo rapporto che avvertiva che gli oceani stanno cambiando più rapidamente del previsto e stanno diventando sempre più inospitali per la vita. Gli oceani, naturalmente, hanno assorbito gran parte dell'eccesso di CO2 e calore dall'atmosfera. Questo assorbimento sta riscaldando e acidificando rapidamente le acqua oceaniche. Ciò è aggravato, ha osservato il rapporto, da livelli maggiori di de-ossigenazione a causa del dilavamento dei nutrienti dell'agricoltura e del cambiamento climatico. Gli scienziati hanno chiamato questi effetti “trio mortale”, che quando si mette insieme crea dei cambiamenti nei mari che non hanno precedenti nella storia del pianeta. Questo è il loro linguaggio, non il mio. Gli scienziati hanno scritto che ognuna delle 5 estinzioni di massa del pianeta è stata preceduta da almeno una [parte] del “trio mortale” - acidificazione, riscaldamento e de-ossigenazione. Hanno avvertito che “la prossima estinzione di massa” della vita marina è già in corso, la prima dopo 55 milioni di anni. O guardate la recente ricerca dell'Università delle Hawaii che dice che il riscaldamento globale è ormai inevitabile, non può essere fermato, al massimo rallentato, e che nei prossimi 50 anni la Terra si scalderà a livelli che renderanno intere parti del pianeta inabitabili. Decine di milioni di persone verranno sfollate e milioni di specie saranno minacciate di estinzione. Il rapporto getta dei dubbi sul fatto che città [vicine alla costa o sulla costa] come New York o Londra resisteranno.

Tuttavia, come Achab e la sua ciurma, razionalizziamo la nostra follia collettiva. Tutti i richiami alla prudenza per fermare la marcia verso la catastrofe economica, politica ed ambientale, per dei sani limiti nelle emissioni di carbonio, vengono ignorati o ridicolizzati. Persino avendo le luci rosse che lampeggiano di fronte a noi, l'aumento delle siccità, la rapida fusione di ghiacciai e del ghiaccio dell'Artico, tornado mostruosi, grandi uragani, perdita di raccolti, alluvioni, incendi devastanti e aumento delle temperature, ci inchiniamo servilmente di fronte all'edonismo, all'avarizia e alla seducente illusione di potere, intelligenza e bravura illimitati. L'assalto delle multinazionali alla cultura, al giornalismo, all'educazione, alle arti ed al pensiero critico ha lasciato coloro che dicono questa verità marginalizzati e ignorati, frenetiche Cassandre che sono viste come leggermente svitate, deprimenti ed apocalittiche. Siamo consumati da una mania di speranza, che i nostri capi delle multinazionali forniscono generosamente a scapito della verità.

Friedrich Nietzsche in “Al di là del Bene e del Male” sostiene che solo poche persone hanno la forza di guardare, in tempi di afflizione, a quello che chiama il pozzo profondo della realtà umana. La maggioranza ignora studiatamente il pozzo. Artisti e filosofi, per  Nietzsche, sono tuttavia consumati da una insaziabile curiosità, una ricerca della verità e un desiderio di senso. Si avventurano all'interno delle viscere del pozzo profondo. Questa onestà intellettuale e morale, ha scritto Nietzsche, ha un costo. Quelli segnati dal fuoco della realtà diventano “figli bruciati”, ha scritto, eterni orfani in imperi di illusione. Le civiltà decadute fanno sempre la guerra all'inchiesta, all'arte e alla cultura indipendenti per questa ragione. Non vogliono che le masse guardino nel pozzo. Condannano e calunniano la “gente bruciata” - Noam Chomsky, Ralph Nader, Cornel West. Alimentano la dipendenza umana da illusione, felicità e speranza. Spacciano la fantasia del progresso materiale eterno. Ci spingono a costruire immagini di noi stessi da adorare. Insistono  - ed è questa l'argomentazione della globalizzazione – che il nostro viaggio è, dopotutto, decretato da una legge naturale. Abbiamo consegnato le nostre vite alle forze delle multinazionali che alla fine servono sistemi di morte. Ignoriamo e rimpiccioliamo le grida della gente bruciata. E, se riconfiguriamo rapidamente e radicalmente la nostra relazione fra di noi e con l'ecosistema, i microbi sono destinati ad abitare la Terra.

Clive Hamilton nel suo “Requiem di una Specie: perché resistiamo alla verità sul cambiamento climatico” descrive un oscuro sollievo che proviene dall'accettazione che “il cambiamento climatico catastrofico è virtualmente certo”. Questo annullamento della “false speranze”, dice, richiede una conoscenza intellettuale ed una emotiva. La prima è raggiungibile. La seconda, siccome significa che coloro che amiamo, compresi i nostri bambini, sono quasi sicuramente condannati all'insicurezza, alla miseria e alla sofferenza entro pochi decenni, se non anni, è molto più difficile da acquisire. Accettare emotivamente il disastro imminente, per raggiungere la comprensione a livello di pancia che l'élite del potere non risponderà razionalmente alla devastazione dell'ecosistema, è difficile quanto accettare la nostra stessa mortalità. La lotta esistenziale più scoraggiante del nostro tempo è quella di buttare giù questa orribile verità – intellettualmente ed emotivamente – e sollevarsi per resistere alle forze che ci stanno distruggendo.

La specie umana, condotta da Europei ed Euro-Americani bianchi, è andata avanti per 500 anni nella furia planetaria di conquistare, saccheggiare, depredare, sfruttare e inquinare la Terra – così come di uccidere le comunità indigene che si sono trovate in mezzo. Ma il gioco è finito. Le forze tecniche e scientifiche che hanno creato una vita di un lusso senza confronti – così come di una potenza economica e militare senza rivali per una piccola élite globale – sono le forze che ora ci condannano. L'ossessione per l'espansione economica continua e per lo sfruttamento è diventata una maledizione, una sentenza di morte. Ma anche quando i nostri sistemi economico e ambientale si sfaldano, dopo l'anno più caldo [2012] nei 48 stati contigui da quando sono cominciate le registrazioni 107 anni fa, ci manca la creatività emotiva e creativa per spegnere il motore del capitalismo globale. Ci siamo legati ad una macchina del giudizio universale che continua a macinare. Le civiltà complesse hanno la cattiva abitudine di distruggere sé stesse, alla fine. Gli antropologi, compresi Joseph Tainter ne “Il collasso delle società complesse”, Charles L. Redman ne “L'impatto umano sugli antichi ambienti” e Ronald Wright in “Breve storia del progresso” hanno impostato gli schemi familiari che portano al collasso dei sistemi. La differenza questa volta è che quando crolleremo, l'intero pianeta crollerà con noi. Non ci sarà, con questo collasso finale, nessuna nuova terra da sfruttare, nessuna nuova civiltà da conquistare, nessuna persona nuova da soggiogare. La lunga lotta fra la specie umana e la Terra si concluderà coi resti della specie umana che impara una lezione dolorosa sull'avidità, l'arroganza e l'idolatria sfrenate.

Il collasso delle società complesse nella storia umana arriva poco dopo che queste hanno raggiunto il loro periodo di più grande magnificenza e prosperità.

venerdì 25 aprile 2014

Renzi continua a sbagliare tutto



Ovvero, danneggiare attività produttive per incrementare i consumi. In questo caso, il governo tassa la produzione di energia da impianti rinnovabili nelle aziende agricole. Esattamente il contrario di quello che dovremmo fare (immagine da EnergyTransition)



 

Il colpo alle rinnovabili nel decreto sul bonus Irpef

Per coprire i famosi 80 euro in busta paga ai dipendenti con reddito lordo tra 8.000 e 24.000 euro ci sarò anche un prelievo dalle fonti rinnovabili: si inasprisce la tassazione del reddito che le aziende agricole ricavano producendo energia pulita. Per gli agricoltori il provvedimento produrrà “effetti dirompenti per gli investimenti in rinnovabili”.

giovedì 24 aprile 2014

Rilascio di metano dalle trivellazioni: Nuovi dati indicano che era stato fortemente sottostimato

DaLos Angeles Times”. Traduzione di MR

La torre di un pozzo nella Pennsylvania sud-occidentale. Un nuovo studio scopre che i livelli di metano sopra i pozzi di gas di scisto durante la fase di trivellazione sono fino a 1000 volta più alti di quanto stimato dalla EPA. (Foto, per gentile concessione di Dana Caulton)


Di Neela Banerjee

Questo post è stato aggiornato, Vedi la nota sotto per i dettagli.

Le operazioni di trivellazione di diversi pozzi di gas naturale nella Pennsylvania sud-occidentale hanno rilasciato metano nell'atmosfera a tassi che erano da 100 a 1000 volte maggiori di quanto stimato dalle autorità di regolamentazione federali, come mostra una nuova ricerca.

Usando un aereo che è stato attrezzato specificamente per misurare le emissioni di gas serra nell'aria, gli scienziati hanno scoperto che le attività di perforazione di sette torri di di pozzo nella formazione Marcellus in forte espansione hanno emesso 34 grammi di metano al secondo, in media. L'Agenzia per la Protezione Ambientale (Environmental Protection Agency – EPA) ha stimato che tale trivellazione rilascia fra 0,04 e 0,30 grammi di metano al secondo.

Lo studio, pubblicato lunedì negli Atti dell'Accademia Nazionale delle Scienze, si aggiungono ad un corpus di ricerca che suggerisce che l'EPA stia gravemente sottostimando le emissioni di metano dalle operazioni di petrolio e gas. Ci si attendeva che l'agenzia pubblicasse le proprie analisi delle emissioni di metano dal settore del petrolio e del gas per questo martedì, cosa che darebbe agli esperti esterni una possibilità di valutare quanto abbiano capito bene il problema le autorità di regolamentazione federale.

Il biossido di carbonio rilasciato dalla combustione dei combustibili fossili è il più grande contributo al cambiamento climatico, ma il metano – il componente principale del gas naturale – è circa 20 o 30 volte più potente quando si stratta di intrappolare calore nell'atmosfera. Le emissioni di metano contano per il 9% delle emissioni di gas serra del paese e stanno aumentando, secondo la Casa Bianca.

Lo studio della Pennsylvania è stato lanciato nel tentativo di capire se le misurazioni del metano aereo combaciavano con le emissioni stimate basate sulle letture prese al livello del suolo, l'approccio che l'EPA e le autorità di regolamentazione federale hanno storicamente usato.

I ricercatori hanno fatto volare il loro aereo a circa un chilometro di altitudine al di sopra di un'area di 2.800 chilometri quadrati nella Pennsylvania sud-occidentale che comprende diversi pozzi di gas attivi. In un periodo di due giorni nel giugno del 2012, hanno rilevato da 2 a 14 grammi di metano al secondo per chilometro quadrato sull'intera area. Le stime della EPA di quell'area sono da 2,3 a 4,6 grammi di metano al secondo per chilometro quadrato.

Visto che le misure in quota sono state così tanto più grandi delle stime dell'EPA, i ricercatori hanno cercato di seguire il pennacchi di metano fino alle loro fonti, ha detto Paul Shepson, un chimico dell'atmosfera all'Università di Purdue che ha aiutato a condurre lo studio. In alcuni casi, sono stati in grado di quantificare le emissioni dai singoli pozzi.

I ricercatori hanno determinato che i pozzi che perdono più metano erano in fase di trivellazione, un periodo che non era conosciuto per le alte emissioni. Gli esperti avevano pensato che fosse più probabile che il metano venisse rilasciato durante le fasi successive di produzione, comprese la fratturazione idraulica, il completamento del pozzo o il trasporto lungo i gasdotti.

Le letture aeree sono state un'istantanea su due giorni, ha avvertito Shepson, servono ulteriori ricerche su un periodo più lungo per sapere se le misurazioni della Pennsylvania siano tipiche. Gran parte delle trivellazioni di gas naturale nella Pennsylvania sud-occidentale passano attraverso letti di carbone, che contengono metano che potrebbe fuoriuscire, secondo lo studio. I ricercatori hanno ipotizzato che i metodi di “underbalanced drilling” - nei quali la pressione nel foro di pozzo è inferiore a quella della geologia circostante – favorisce l'entrata nel foro di pozzo stesso di fluidi e gas che arrivano alla superficie. I produttori di energia usano l'underbalanced drilling perché permette loro di recuperare preziose forniture di etano e butano, ha detto Shepson.

La disparità fra le misurazioni dei ricercatori e i dati dell'EPA illustra i limiti del metodo usato dalle autorità di regolamentazione, ha detto Shepson. L'approccio dell'EPA mette le autorità di regolamentazione alla mercé delle compagnie energetiche, che controllano l'accesso ai pozzi, ai gasdotti, agli impianti di lavorazione e alle stazioni di compressione, dove dovrebbero essere fatte le misurazioni. “E' difficile”, ha detto Shepson.

Lo scorso anno, ricercatori da Stanford, Harvard e da altrove hanno riportato su PNAS che le emissioni di metano negli Stati Uniti continentali potrebbero essere del 50% maggiori delle stime ufficiali dell'EPA. Un altro studio di ricercatori di Stanford, pubblicato a febbraio nella rivista Science, hanno a loro volta concluso che l'EPA sottostimi le perdite di metano da parte dell'industria del gas naturale e da altre fonti.

[Aggiornato alle 10 del 10 aprile: L'EPA ha detto che era consapevole che scienziati non governativi erano giunti a “conclusioni diverse sui livelli di emissioni di metanodal settore del petrolio e del gas”. Alcune di quelle stime sono più alte di quelle dell'EPA ed alcune più basse, ha detto l'agenzia in una dichiarazione. Una moltitudine di nuovi dati sul metano e le trivellazioni è atteso per i prossimi anni e i funzionari dell'EPA revisioneranno tutto aggiornando le proprie stime sulle emissioni se necessario, secondo la dichiarazione.]

Il nuovo studio arriva due settimane dopo che la Casa Bianca ha ordinato all'EPA di identificare dei modi per tagliare il metano dalla produzione di petrolio e gas. Se l'agenzia decide di emettere nuove regole, devono essere operative per la fine del 2016.

A febbraio, il Colorado è diventato il primo stato a regolare le emissioni di metano da parte del settore del petrolio e del gas, richiedendo all'industria di rilevare e riparare le perdite e di installare delle apparecchiature per catturare il 95% delle emissioni di metano. La scorsa settimana, l'Ohio ha adottato regole per indurre le compagnie a ridurre la perdita di metano dalle apparecchiature in superficie usate nello sviluppo del gas naturale, come valvole e gasdotti. Quelle regole non sembrano affrontare le perdite durante la trivellazione.

mercoledì 23 aprile 2014

Perché un mondo finito è un problema?

DaOur finite world”. Traduzione di MR

Di Gail Tverberg

Perché un mondo finito è un problema? Mi vengono in mente molte risposte:

1. Un mondo finito è un problema perché noi e tutte le altre creature che ci viviamo condividiamo lo stesso pezzo di “bene immobile”. Se gli esseri umani usano sempre più risorse, le altre specie necessariamente ne usano meno. Condividiamo anche le risorse “rinnovabili” con le altre specie. Se gli esseri umani ne usano di più, le altre specie ne devono usare di meno. I pannelli solari che coprono i deserti interferiscono con la normalità della vita selvaggia; l'uso di piante per i biocombustibili significa che un'area inferiore è disponibile per coltivare cibo e per la vegetazione preferita da insetti desiderabili, come le api.

2. Un mondo finito è governato da cicli. A noi piace proiettare in linee rette o come aumenti percentuali, ma il mondo reale non segue tali modelli. Ogni giorno ha 24 ore. L'acqua si muove a onde. Gli esseri umani nascono, crescono e muoiono. Una risorsa viene estratta da una zona e la zona diventa improvvisamente più povera una volta che il reddito da quelle esportazioni viene rimosso. Una volta che un paese diventa più povero, è probabile che scoppi lo scontro. Un recente esempio di questo è la perdita di esportazioni di petrolio da parte dell'Egitto, più o meno contemporaneamente alle sollevazioni della Primavera Araba nel 2011 (Figura 1). Lo scontro non è ancora finito.

Figura 1. Produzione di petrolio e consumo dell'Egitto, sulla base dei dati della Revisione Statistica dell'Energia Mondiale della BP.

L'interconnessione delle risorse col modo in cui funzionano le economie, e i problemi che si verificano quando queste risorse non sono presenti, rendono il futuro molto meno prevedibile di quanto suggerirebbero gran parte dei modelli.

3. Un mondo finito significa che alla fine scarseggeranno le risorse facili da estrarre di molti tipi, compresi combustibili fossili, uranio e metalli. Questo non significa che “finiamo” queste risorse. Piuttosto significa che il processo di estrazione di questi combustibili e metalli diventerà più costoso, a meno che la tecnologia non agisca in qualche modo per calmierare i prezzi. Se i costi di estrazione aumentano, qualsiasi cosa fatta utilizzando quei combustibili e quei metalli diventa più costosa, sempre che le aziende che vendono questi prodotti siano in grado di recuperarne i costi (se non ce la fanno, vanno fuori mercato molto velocemente!) La Figura 2 mostra che un punto di svolta recente verso costi maggiori è venuto nel 2002, sia per i prodotti sia per i metalli di base.


Figura 2. Indici dei prezzi dell'energia (petrolio, gas naturale e carbone) e metalli di base, usando come riferimento il dollaro americano del 2005, indicizzati a 2010 = 100. I metalli di base comprendono il ferro. Fonte dei dati: Banca Mondiale.

4. Un mondo finito significa che la globalizzazione si dimostrerà essere un grande problema, perché ha aggiunto in proporzione molti più esseri umani alla domanda mondiale di quanto abbia aggiunto risorse non sviluppate all'offerta mondiale. La Cina è stata aggiunta all'Organizzazione Mondiale del Commercio nel dicembre 2001. Il suo uso di combustibili è schizzato rapidamente subito dopo (Figura 3, sotto). Come indicato al punto 3 sopra, il punto di svolta dei prezzi dei combustibili e dei metalli è stato nel 2002. Dal mio punto di vista, questa non è stata una coincidenza – è collegato all'aumento della domanda cinese, così come al fatto che avevamo estratto una quota considerevole dei combustibili facili da estrarre in precedenza.


Figura 3. Consumo di energia per fonte della Cina basato sulla Revisione Statistica dell'Enegia Mondiale della BP. 

5. In un mondo finito, i salari non aumentano in proporzione all'aumento dei costi di estrazione di combustibili e metalli, perché i costi di estrazione extra non aggiungono nessun beneficio reale alla società – semplicemente rimuovono risorse che potrebbero essere messe al lavoro altrove nell'economia. Stiamo diventando, in effetti, sempre meno efficienti nel produrre prodotti energetici e metalli. Ciò avviene perché stiamo producendo combustibili che s trovano in luoghi più difficili da raggiungere e che contengono più inquinanti al loro interno. I giacimenti metalliferi hanno problemi analoghi – sono più profondi e di minor concentrazione. Tutto lo sforzo umano aggiuntivo e la spesa di risorse aggiuntive non produce più prodotto finale. Piuttosto, rimaniamo con meno sforzo umano e meno risorse da investire nel resto dell'economia. Di conseguenza, la produzione totale di beni e servizi per l'economia tendono a stagnare. In un'economia del genere, i lavoratori che i loro salari adattati all'inflazione tendono ad arrancare (Ciò avviene perché l'economia totale produce meno, quindi la quota di quanto viene prodotto e inferiore per ogni lavoratore). E' anche probabile che le aziende che producono energia e prodotti metallici trovino più difficile avere un profitto, perché con stipendi in ritardo i consumatori non si possono permettere di comprare molto prodotto a prezzi più alti. Infatti, è probabile che ci sia il pericolo di un improvviso crollo della produzione, perché i prezzi rimangono troppo bassi per giustificare l'alto costo di un investimento aggiuntivo.

6. Quando i lavoratori possono permettersi sempre di meno (vedi punto 5), finiamo per avere problemi molteplici:

a. Se il lavoratori si possono permettere di meno, tagliano le spese voluttuarie. Questo tende a rallentare o alla fine fermare la crescita economica. La mancanza di crescita economica alla fine condiziona i prezzi di borsa, visto che i prezzi delle azioni presuppongono che la vendita dei propri prodotti continuerà a crescere all'infinito.

b. Se i lavoratori possono permettersi di meno, un articolo che è sempre più fuori portata è una casa più costosa. Di conseguenza, i prezzi delle abitazioni tendono a stagnare o a crollare con salari stagnanti e prezzi di combustibili e metalli in aumento. Il governo può in qualche modo risolvere il problema con bassi tassi di interesse e più vendite commerciali – è questa la ragione per la quale il problema è in gran parte rientrato.

c. Se i lavoratori trovano i propri salari inadeguati, ed alcuni vengono licenziati, ricadono sempre di più sui servizi governativi. Questo lascia i governi con la necessità di pagare di più in assistenza senza poter raccogliere tasse sufficienti. Così i governi alla finiscono per avere problemi finanziari, se i costi di estrazione di combustibili e metalli crescono più rapidamente di quanto possa essere compensato dall'innovazione, come è accaduto dal 2002.

7. Un mondo finito significa che il bisogno di debito continua ad aumentare e allo stesso tempo la capacità di ripagare il debito comincia a crollare. I lavoratori trovano che beni come le automobili siano sempre più al di là delle loro capacità di pagarle, perché i prezzi delle auto sono condizionati dall'aumento del costo dei metalli e dei combustibili. Di conseguenza, i livelli di debito devono aumentare per comprare quelle auto. I governi trovano di aver bisogno di più debito per pagare tutti i servizi promessi a lavoratori sempre più poveri. Anche le aziende energetiche trovano una necessità di altro debito. Per esempio, secondo il Wall Street Journal di oggi:

Lo scorso anno, 80 grandi aziende energetiche in Nord America hanno speso un totale di 50,6 miliardi di dollari in più di quanto hanno incassato dalle loro operazioni, secondo i dati di S&P Capital IQ. Quel deficit era tre volte quello del 2011 e quattro volte quello del 2010. 

Mentre il bisogno di debito aumenta, la capacità di ripagarlo sta crollando. I redditi voluttuari dei lavoratori sono in ritardo a causa degli alti prezzi dei combustibili e dei metalli di oggi. I governi trovano difficile alzare le tasse. Le aziende di combustibili e metalli trovano difficile alzare i prezzi a sufficienza per finanziare le operazioni al di fuori del flusso di cassa. In definitiva (cosa che potrebbe non essere in un futuro non troppo lontano) questa situazione deve giungere ad un triste finale.


Figura 4. Ripagare i prestiti è facile in un'economia in crescita, ma molto più difficile in un'economia in contrazione.

I governi possono coprire questo problema per un po', con tassi di interesse super bassi. Ma se i tassi di interesse dovessero mai salire ancora, il loro aumento è probabile che porti ad un enorme default del debito e a grandi fallimenti finanziari a livello internazionale. Ciò accade perché tassi di interesse più alti portano alla necessità di tasse più alte e perché tassi di interesse più alti significano che acquisti come case, automobili e nuove fabbriche diventano meno accessibili. I tassi di interesse in aumento significano anche che il prezzo di vendita delle obbligazioni esistenti crollano, creando potenzialmente problemi finanziari per banche e compagnie di assicurazione.

8. Il fatto che il mondo sia finito significa che la crescita economica dovrà rallentare e alla fine fermarsi. Stiamo già assistendo ad un crescita economica rallentata nelle parti del mondo che hanno assistito ad una diminuzione del consumo di petrolio (Unione Europea, Stati Uniti e Giappone), anche se il resto del mondo ha visto aumentare il proprio consumo di petrolio.


Figura 5. Consumo di petrolio basato sulla Revisione Statistica dell'Energia Mondiale della BP.

I paesi che hanno cali particolarmente accentuati nel consumo di petrolio, come la Grecia (Figura 7 sotto), hanno avuto avuto cali particolarmente accentuati nella propria crescita economica, mentre i paesi con rapidi aumenti di consumo di petrolio a di altre forme di energia, come la Cina mostrata nella Figura 2, hanno mostrato una rapida crescita economica.


Figura 6. Consumo di petrolio della Grecia, sulla base dei dati IEA.

Il motivo per cui stiamo già arrivando ad avere difficoltà col consumo di petrolio è perché per il petrolio stiamo raggiungendo i limiti di un mondo finito. Abbiamo già tirato fuori gran parte del petrolio facile da estrarre e quello che rimane è più costoso e lento da estrarre. La produzione mondiale di petrolio non sta crescendo tanto velocemente nel totale e i prezzi devono essere alti per coprire gli alti costi di estrazione. Qualcuno deve essere lasciato fuori. I paesi che usano una grande percentuale di petrolio nel proprio mix energetico (come la Grecia, col suo settore turistico) trovano che i prodotti che producono sono troppo costosi nel mercato mondiale. I paesi che usano principalmente carbone (che è meno caro) come la Cina, hanno un enorme vantaggio di costo in un mondo che compete sui costi.

9. Il fatto che il mondo sia finito è stato omesso praticamente da ogni modello che prevede il futuro. Questo significa che i modelli economici sono praticamente tutti sbagliati. I modelli prevedono generalmente che la crescita economica continuerà all'infinito, ma questo non è realmente possibile in un mondo finito. I modelli non considerano nemmeno il fatto che la crescita economica sarà ridimensionata nelle economie evolute. Anche i modelli sul cambiamento climatico comprendono un consumo futuro di combustibili fossili esagerato, in entrambi i loro scenari standard e nei loro scenari di “picco del petrolio”. Ciò è conveniente per i legislatori. I limiti del petrolio fanno paura perché indicano un possibile problema a breve termine. Se un modello di cambiamento climatico indica una necessità di ridimensionare l'uso futuro di combustibili fossili, questi modelli danno invece al legislatore un problema più lontano di cui parlare.

10. Anche le relazioni economiche più fondamentali tendono ad essere stimate male in un mondo finito. E' comune che gli economisti guardino alle relazioni che funzionavano in passato e presumano che relazioni simili funzioneranno anche adesso. Per esempio, ai ricercatori piace guardare quanto debito una economia può permettersi rispetto al PIL o quanto debito si può permettere un'azienda. Il problema è che la quantità di debito che un'economia o un'azienda possono permettersi si contrae drammaticamente al contrarsi dei tassi di crescita economica, a meno che il tasso di interesse sia estremamente basso. Un altro esempio; gli economisti credono che prezzi più alti porteranno a dei sostituti o ad una riduzione della domanda. Sfortunatamente, non hanno mai smesso di considerare che la riduzione della domanda per un prodotto energetico potrebbe avere un impatto avverso grave  sull'economia – per esempio, potrebbe significare che molti posti di lavoro in meno siano inevitabili, Meno posti di lavoro significano meno domanda (o accessibilità), ma è proprio quello che si desidera? Gli economisti sembrano anche credere che i prezzi dei prodotti petroliferi continueranno ad aumentare finché non raggiungeranno il livello di prezzo dei sostituti. Se le persone sono più povere, non è proprio così, come detto prima.

11. Oltre a quelli di prodotti energetici e metalli ci sono molti altri limiti che sono un problema in un mondo finito. C'è già una disponibilità inadeguata di acqua potabile in molte parti del mondo. Questo problema può essere risolto con la desalinizzazione, ma fare questo è costoso e sottrae risorse da altri usi. La terra coltivabile in un mondo finito è soggetta a limiti. Il suolo è soggetto ad erosione e la sua qualità si degrada se viene trattato male. Il cibo dipende da petrolio , acqua, terra coltivabile e qualità del suolo, quindi raggiunge rapidamente i limiti se uno qualsiasi di questi input viene disturbato. Gli insetti impollinatori, come le api, sono a loro volta importanti. Probabilmente il problema più grande in un mondo finito è quello di una popolazione troppo grande. Prima venisse introdotto l'uso dei combustibili fossili, il mondo era in grado di sfamare solo 1 miliardo di persone. Non è chiaro se sia possibile sfamarne la stessa quantità oggi, senza combustibili fossili. La popolazione mondiale è oltre i 7 miliardi.

Ora ci troviamo in un mondo finito

A questo punto, il problema di raggiungere i limiti in un mondo finito si è trasformato principalmente in un problema finanziario. I governi ne sono particolarmente condizionati. Sentono di aver bisogno di prendere in prestito quantità sempre maggiori di denaro per fornire i servizi promessi ai propri cittadini. Il debito è un problema enorme, sia per i governi sia per i singoli cittadini. I tassi di interesse devono rimanere molto bassi di modo che l'attuale sistema “stia insieme”. I governi o sono inconsapevoli della vera natura dei loro problemi o fanno qualsiasi cosa si in loro potere per nascondere la vera situazione ai suoi elettori. I governi si affidano agli economisti per consigli su cosa fare in futuro. I modelli degli economisti fanno un vero e proprio lavoraccio nel rappresentare il mondo di oggi, quindi forniscono una guida poco utile. Il modo fondamentale per affrontare i limiti sembrano essere le “soluzioni” dettate dalla preoccupazione per il cambiamento climatico. Queste soluzioni sono dubbio beneficio quando si tratta di limiti reali di un mondo finito, ma fanno sembrare che i politici facciano qualcosa di utile. Forniscono anche un flusso continuo di introiti alle istituzioni accademiche e alle aziende “verdi”. Il pubblico è stato placato da ogni sorta di storie fuorvianti su come il petrolio da scisto sarà una soluzione. L'alleggerimento quantitativo - Quantitative Easing (usato dai governi per abbassare i tassi di interesse) ha temporaneamente permesso alle borse di volare e ai tassi di interesse di rimanere piuttosto bassi. Quindi, superficialmente, tutto sembra perfetto. La questione è quanto durerà. I tassi di interesse aumenteranno e rovineranno la felice situazione? O sarà un altro problema finanziario (per esempio, un problema di debito in Europa o in Giappone) a far cadere il castello di carte? O il problema finale sarà un declino dell'offerta di petrolio, forse causato dal raggiungimento dei limiti del debito di aziende di petrolio e gas? Il 2014 sarà un anno interessante. Teniamo le dita incrociate rispetto a come andranno le cose. E' surreale quanto siamo vicino ai limiti senza che nei media prenda piede quello che è il vero problema.



martedì 22 aprile 2014

“Furia recursiva”: le ragioni del passo falso di "Frontiers"

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

di Ugo Bardi

Come probabilmente sapete, l'editore scientifico “Frontiers” ha recentemente deciso di ritirare un saggio già approvato e pubblicato (“Recursive Fury”, Furia recursiva) sul tema degli atteggiamenti cospirazionisti nel dibattito sul cambiamento climatico. Questo gesto ha provocato le dimissioni di alcuni editori di Frontiers, compreso me stesso, come ho descritto in un post precedente. Qui torno sul tema più in dettaglio.


Quando sono stato contattato dallo staff di “Frontiers” e mi è stato chiesto di diventare “editore capo” con loro, ho pensato che fosse un'eccellente idea. Ero attratto, principalmente, dal fatto che la rivista fosse completamente “open access”, un'idea che ho sempre appoggiato (sono stato probabilmente uno dei primi a sperimentare con l'editoria open access in chimica). Così ho accettato l'offerta con considerevole entusiasmo ed ho cominciato a lavorare su una rivista (in realtà una sezione di una rivista) dal nome “Frontiers in Energy Systems and Policy".

Una volta diventato editore, ho scoperto la struttura peculiare del sistema di Frontiers. E' un enorme schema piramidale in cui ogni rivista ha delle sotto-riviste (chiamate “specialties” nel gergo di Frontiers). La piramide si estende alle persone coinvolte: comincia con i “capi editori”, che supervisionano i “capi editori di specialità”, che supervisionano gli “editori associati”, che supervisionano i “revisori”. Visto che ogni passaggio coinvolge una crescita di un fattore 10-20 nel numero di persone coinvolte, potete capire che ogni rivista della serie di Frontiers può coinvolgere diverse migliaia di scienziati. L'intero sistema potrebbe contare, probabilmente, decine di migliaia di scienziati.

Perché questa struttura barocca? La spiegazione ufficiale è che questo rende il processo della revisione più rapido. In questo, la struttura piramidale di Frontiers sembra apparentata in qualche modo a un sistema militare di “comando e controllo” che è, di fatto, progettato per accelerare il processo di comunicazione/azione. Naturalmente, se sei arruolato come editore su Frontiers, non ti vengono dati ordini dai livelli superiori; ciononostante vieni continuamente tormentato da comunicazioni e reminder su quello che devi fare e devi passare queste comunicazioni ai livelli inferiori al tuo. Tutti questi messaggi tendono a stimolarti a completare i tuoi compiti.

Ma la mia impressione è che la struttura piramidale di Frontiers non è stata creata solo per la velocità, aveva un obbiettivo di marketing. Di sicuro, coinvolgendo così tanti scienziati nel processo crea un'atmosfera di partecipazione che li incoraggia a sottoporre i loro saggi alla rivista ed è qui che gli editori fanno soldi, naturalmente. Non posso provare che la struttura di Frontiers si stata concepita in questi termini dall'inizio ma, apparentemente, non sono alieni all'uso di tattiche di promozione aggressive per i loro affari.

Come potete immaginare, un sistema così complesso porta molti problemi. Primo, la pletora di sotto-riviste rende l'intero sistema di Frontiers simile all' “Emporio Celeste della Conoscenza Benevola” descritto da Borges – in breve, un casino. Poi, in caso di sistemi molto grandi, il problema del controllo è praticamente irrisolvibile: vedi il caso delle “Guerre Stellari” di Reagan come esempio. Forse Frontiers non è così complesso come la vecchia iniziativa di difesa strategica americana (SDI), ma i problemi sono gli stessi. Il loro sito internet dovrebbe gestire l'attività di migliaia (o forse decine di migliaia) di scienziati ma, nella mia esperienza, non ha mai funzionato decentemente bene. E gestire tutto il sistema deve richiedere un considerevole staff permanente. Di conseguenza, pubblicare con Frontiers non è a buon mercato.

Così, dopo quasi un anno di lavoro con Frontiers, sono diventato sempre più perplesso. Ho avuto la sensazione di essere solo un ingranaggio in una gigantesca macchina che non funzionava molto bene e che aveva il solo scopo di fare soldi per i livelli alti della piramide. Per favore, non mi fraintendete. Non sto dicendo che ci sia qualcosa di sbagliato nell'idea di fare soldi nel business dell'editoria: assolutamente no. E' chiaro anche che se gli editori sono un'impresa commerciale, allora loro un suo diritto decidere cosa pubblicare e cosa non pubblicare. Il modo in cui Frontiers si è comportato con “Recursive Fury” mostra questo atteggiamento in modo cristallino. Il loro management ha ascoltato solo i loro avvocati ed ha preso una decisione che ha comportato il rischio finanziario minore per loro. Non è stata solo una gaffe occasionale, è stata la conseguenza della struttura decisionale dell'editore.

Una volta chiarito questo punto, mi è sembrato anche chiaro quale fosse il problema: dato per scontato che un editore commerciale può pubblicare quello che vuole, chi difende la scienza (e in particolare la scienza del clima) dai gruppi di interesse, dalle lobby dai gruppi assortiti contro la scienza e dai vari pazzoidi individuali? Non si può chiederlo a un'impresa commerciale che è (correttamente) concentrata sul profitto. Ma si può chiedere perché così tanti scienziati dovrebbero regalare il proprio tempo e il loro lavoro ad un'impresa commerciale che non sembra essere realmente interessata a difendere la scienza. A questo punto, la mia scelta era ovvia. Mi sono dimesso come editore di Frontiers. Altri hanno fatto lo stesso per ragioni analoghe.

Spero che queste righe aiutino a chiarire la mia posizione in questa storia. Come ho detto nel mio commento precedente, le mie dimissioni non avevano niente a che fare con le virtù (o i difetti) del saggio intitolato “Recursive Fury”. Non sono qualificato per giudicare in quel campo e, comunque, non è questo il punto. Il punto che ho voluto sostenere – e spero che si sia compreso – è che dobbiamo reagire al clima di intimidazione che sta fagocitando la scienza. Questo clima di intimidazione assume molte forme e il caso di “Recursive Fury” mostra che ora ha raggiunto anche l'editoria scientifica. Il problema, qui, non è di uno specifico editore. E' che siamo bloccati da un modello vecchio di un secolo di comunicazione: costoso, inefficace e, peggio ancora, facilmente sovvertito dai gruppi di interesse particolare (su questo punto, vedete per esempio questo post di Dana Nuccitelli).

Quindi, cosa possiamo fare? All'inizio l'open access mi sembrava una buona idea per migliorare il processo editoriale, ma è diventato sempre più chiaro che potrebbe causare più danni che guadagni. In aggiunta all'aver generato centinaia di “riviste predatorie” di bassa qualità, gli editori tradizionali se ne sono appropriati e l'hanno trasformato in un modo per estrarre ancora altro denaro dai bilanci della ricerca scientifica.

Credo ancora nell'editoria open access, ma credo che ci sia molto lavoro da fare se vogliamo che diventi la rivoluzione della comunicazione scientifica che speravamo diventasse. Per questo ci vorrà tempo e, al momento, siamo bloccati in un sistema basato sull'editoria commerciale che non è necessariamente desiderosa di difendere la scienza in questo momento difficile. Ma possiamo almeno combattere astenendoci dal pubblicare con riviste che non difendono la scienza e possiamo anche andarcene come editori, come ho fatto con Frontiers. Questo dovrebbe dar loro almeno una spinta nella giusta direzione.




lunedì 21 aprile 2014

L’UNICITA’ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Parte 4 – Spes, ultima Dea.

Parte quarta (e conclusiva) della serie di Jacopo Simonetta sul destino della specie umana


Prima parte.
Seconda parte.

Terza parte




         

di Jacopo Simonetta



Come reagiremo, collettivamente, alla situazione di carenza di risorse e crescita esplosiva della popopolazione - come delineato nei post precedenti?  In altri termini, come potranno quattro caratteristiche fondamentali della specie umana ci porteranno ad agire e con quali presumibili conseguenze?

Ricordiamole:


1 – Estrema polifagia.   Indubitabilmente continuerà lo sfruttamento di risorse qualitativamente peggiori, man mano che quelle migliori diverranno insufficienti. Già oggi lo vediamo, ad esempio,  con lo sfruttamento dei cosiddetti “petroli non convenzionali” e del carbone, oppure con l’allevamento industriale di insetti e batteri a scopo alimentare.   Sicuramente ciò sta contribuendo a posticipare il collasso globale che incombe, ma solo al prezzo di aggravarlo in quanto ogni giorno che passa la popolazione aumenta, mentre la capacità di carico globale diminuisce.   In pratica, è come ottenere una rateizzazione di un debito impagabile a fronte di un ulteriore incremento degli interessi passivi.

2 – Evoluzione culturale.   La totalità delle risorse disponibili è dedicata ad uno sforzo letteralmente titanico per sviluppare tecnologie più aggressive ed efficienti, ma sempre sulla base di scoperte e brevetti di base datati, perlomeno, di parecchi decenni.  Ad esempio, le tecnologie fondamentali per l'informatica contemporanea sono brevetti militari degli anni '50; il fracking deriva da un brevetto degli anni '40; l'Ucg (recupero di gas da carbone bruciato in posto) data addirittura dalla fine del XIX° secolo. Sembra che siamo in grado di perfezionare anche di molto quello che abbiamo, ma che non siamo capaci di inventare qualcosa di veramente innovativo come furono, ai loro tempi, il motore a vapore o quello a scoppio.   In parte, forse perché la scoperta “cornucopia” che cerchiamo non esiste, mentre la ricerca di un approccio radicalmente diverso alla situazione è lasciato a settori marginali della società.

In parte, certamente, perché il progresso tecnologico è in buona misura una funzione dell'energia disponibile al netto delle attività economiche vitali, in primis l'estazione e raffinazione dell'energia.   Un margine che si sta rapidamente erodendo con il peggioramento qualitativo delle fonti disponibili.
Inoltre, l’aumento vertiginoso dei volumi e della velocità di informazione pongono problemi crescenti di sintesi, di comprensione e di reazione anche a personale altamente qualificato.    Gran parte della classe dirigente (sia politica che economica) pare aver già raggiunto un livello di “overflow” oltre il quale prevalgono comportamenti istintuali e/o abituali sulla capacità di analisi razionale.   Questo potrebbe spiegare almeno in parte perché, pur essendo perfettamente informati dei danni, dei rischi e delle principali cause della crisi attuale da almeno 40 anni, non abbiamo intrapreso alcuna azione efficace per evitarla.   Di fatto, il comportamento complessivo dell’umanità non si sta dimostrando più “intelligente” di quello di una muffa; è  come se la sommatoria di 7 miliardi di cervelli pensanti fosse tendente a zero.

3 – Incremento della complessità.   Finora è stata una strategia vincente perché la disponibilità di risorse e la stabilità degli ecosistemi erano sufficienti a sostenere strutture progressivamente più costose in termini di risorse ed inquinamento.   Ma dal momento in cui la disponibilità di energia ha cominciato a declinare (perlomeno in termini qualitativi) la complessità ha cominciato a divenire sempre meno sostenibile.   D'altronde, la disarticolazione dei mega-sistemi in sub-sistemi  più semplici e meno interconnessi abbasserebbe drasticamente la capacità di fronteggiare problemi ordinari, come pure di estrarre ed utilizzare le risorse residue.   Si pensi, ad esempio alle capacità terapeutiche dei grandi ospedali universitari rispetto a quella degli ospedalini di provincia.   Oppure si pensi al livello iperbolico di complessità organizzativa necessario per costruire e mantenere operativa una piattaforma petrolifera artica e confrontiamolo con il livello organizzativo ed economico che permise al “colonnello” Drake di trivellare i suoi pozzi.

Inoltre, la complessità dei problemi da affrontare richiede oramai l’impiego di personale troppo specializzato per potersi efficacemente coordinare, col risultato che le risposte imbastite da governi e grandi organizzazioni in genere si stanno dimostrando frammentarie ed inefficaci,   spesso producendo danni imprevisti a latere di risultati deludenti. Un effetto probabilmente dovuto anche al fatto che la dimensione dei sistemi sociali è divenuta tale da impedire alle persone di riconoscervisi e, dunque, di collaborare efficacemente alla sopravvivenza collettiva.  In altre parole, pare che i livelli di complessità stiano raggiungendo livelli ingestibili.

4 – Costruzione sociale di modelli mentali di riferimento.    Il modello attualmente dominante e’ stato elaborato nel periodo in cui il tesoro nascosto delle energie fossili diventava disponibile e sembra incapace di adattarsi ad un contesto di progressiva carenza energetica, sia qualitativa che quantitativa.  Ma quando un modello ampiamente accettato e profondamente radicato viene posto sotto stress dalla forza di fatti che questo non è in grado di spiegare, si crea una situazione di grave sofferenza nei soggetti coinvolti.   Sofferenza tanto più forte quanto più brusco e profondo è il contrasto e, normalmente, la risposta alla sofferenza è la violenza.   Ne sono testimonianza il fiorire di movimenti integralisti in più meno tutte le grandi religioni, come il risorgere di ideologie già costate milioni di morti che rappresentano altrettanti tentativi di ricreare dei modelli mentali ad un tempo esplicativi della realtà ed identitari del gruppo.   Certo, è teoricamente possibile una revisione del modello o la sua sostituzione con uno più adeguato, ma questo tipo di processo richiede tempi relativamente lunghi che non abbiamo più a disposizione.    Di fatto, le classi dirigenti continuano a pensare sulla base di paradigmi elaborati in contesti completamente diversi dall'attuale e questo ne spiega il sistematico fallimento, anche a prescindere dai pur reali e diffusi fenomeni di stupidità, corruzione ed ignoranza.

E dunque?  Personalmente, ritengo che i livelli organizzativi superiori (organizzazioni internazionali, stati, grandi imprese, ecc.) non potranno materialmente elaborare alcuna strategia efficace e dunque si limiteranno a tamponare via via le falle maggiori, di solito aprendone altre.   Una cosa che potranno fare ancora per un periodo relativamente lungo (probabilmente un paio di decenni, forse di più) poiché la disponibilità di mezzi a loro disposizione è davvero molto elevata.   Il problema è che così facendo posticiperanno sì eventi particolarmente dolorosi come le carestie, ma eroderanno nel contempo le riserve ancora presenti in termini di risorse, di resilienza degli ecosistemi, di capacità di adattamento delle popolazioni.

Al momento, alcuni tentativi di elaborare strategie alternative si vedono a livelli organizzativi del tipo di piccole cittadine di provincia o piccole imprese, ma sono molto pochi, mentre molto più numerosi sono gli esempi di micro-comunità auto selezionate, oppure di singoli individui o famiglie.   Il problema è che tanto più basso è il livello organizzativo, tanto minori sono i mezzi a disposizione e le possibilità operative.
 
Inoltre, occorre tener presente che ogni tentativo di modificare la strategia ad un determinato livello organizzativo, sottrae risorse ai livelli superiori, una cosa autenticamente, profondamente sovversiva. Per adesso questo tipo di iniziative non provoca alcuna particolare reazione, se non un passivo boicottaggio derivante dall'incompatibilità di queste strategie con il sistema di norme e consuetudini esistenti.   Questa comoda situazione potrebbe però cambiare se iniziative di questo tipo si moltiplicassero, oppure se il degenerare della situazione sociale portasse a governi più autoritari.   Già in molti paesi del mondo le possibilità di scelta dei cittadini sono fortemente limitate non solo dai paradigmi mentali comuni e dalla propaganda, ma anche da apparati repressivi molto efficaci.   Ed anche nei paesi di tradizione più liberale, esigenze di ordine pubblico e fiscale stanno portando alla creazione di sistemi di spionaggio e controllo della popolazione assolutamente capillari.Se ne potrebbe trarre la facile conclusione che un Fato funesto attende la nostra specie e, probabilmente, l’intero pianeta. Effettivamente, in una prospettiva plurisecolare, questa è una possibilità concreta, ma assolutamente non una certezza.

A conclusione del suo ultimo (e più amaro) libro, “Il declino dell’uomo”, Konrad Lorenz illustra come il comportamento dell’uomo contemporaneo continui ad essere condizionato da paradigmi istintuali che per almeno 100.000 anni hanno fatto di noi la specie vincente in assoluto.   Questo li ha radicati profondamente nella nostra mente e, probabilmente, anche nei nostri geni, cosicché non riusciamo a liberarcene, malgrado nel contesto odierno siano diventati, a tutti gli effetti, degli istinti suicidi. Conclude, tuttavia, dicendo che una speranza comunque c'è e e risiede nel fatto che la caratteristica principale dei sistemi viventi rimane l’imprevedibilità.   E le società umane sono sistemi viventi estremamente complessi, all'interno delle quali evolvono contemporaneamente numerose tendenze diverse, talvolta contrastanti.  

In pratica, se il destino della società industriale globalizzata appare effettivamente segnato per motivi geologici, termodinamici ed ecologici, il futuro delle società che si formeranno dalla sua disintegrazione rimane del tutto imperscrutabile.  Curioso che dopo tanti sforzi per dominare e controllare  completamente la Natura, ci troviamo a riporre ogni nostra speranza nel fatto che non ci siamo riusciti.    

 “Sento dunque che l’improbabile al quale mi dedico rischia di diventare davvero impossibile.   Ma sento anche che, se il Titanic naufraga, forse una bottiglia gettata in mare giungerà sulla riva di un mondo in cui tutto sarebbe da ricominciare …    Non si sa mai se e quando è troppo tardi.”   (E. Morin, La via, 2012).




domenica 20 aprile 2014

L’UNICITA’ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Parte 3 – Il presente.

Terza parte della serie di Jacopo Simonetta sull'origine e il destino degli esseri umani

Prima parte.
Seconda parte.




di Jacopo Simonetta.
        Ci sono volute circa 10.000 generazioni  perché la popolazione umana raggiungesse 1 miliardo nel 1800 circa ed altri 130 anni per raggiungere i 2 miliardi di individui verso il 1930; poi, nell’arco di una sola vita umana, siamo passati ad oltre 7 miliardi in ulteriore, rapido aumento.   E’ vero che il tasso di crescita sta diminuendo costantemente dalla metà degli anni ’60, ma il tasso record del 2,19% del 1963, applicato ad una popolazione di 3,2 miliardi di persone, comportò un aumento di poco più di 70 milioni di bocche da sfamare.    Nel 2013, un tasso di crescita pari a “solamente” 1,14 %, applicato ad una base di 7,16 miliardi, ha portato quasi 82 milioni di bocche in più attorno al desco globale.

La densità di popolazione media mondiale oggi è all'incirca di una persona ogni 2 ettari, compresi i deserti e le alte montagne.   Se si considera la sola superficie agricola, le stime della FAO del 2006 davano una persona ogni 2.000 mq circa, altre fonti danno cifre un po’ diverse, ma poco importa la differenza, da momento che tutte concordano sul fatto che tale cifra si è dimezzata in 40 anni circa e che la tendenza è ad un’ulteriore, rapida, riduzione. In Italia, nel 2004 avevamo “ben” 2.280 mq di terra agricola a persona (ISTAT), ma considerando che diminuisce di circa 30 mq l’anno a causa dell’incremento demografico e dell’urbanizzazione; oggi dovremmo averne poco più di 2.000 mq con “rating” negativo. Eppure il costo medio del cibo nel corso degli ultimi 50 anni è diminuito, come è possibile un simile miracolo?

Figura 1
Semplicemente è stato reso possibile dal fatto che abbiamo trovato il modo di utilizzare petrolio e gas per produrre cibo. Chiunque pensi che l’attuale popolazione possa sopravvivere senza avere a disposizione combustibili fossili di alta qualità, in quantità praticamente illimitate ed a prezzo molto basso osservi bene questo grafico (fig.1):



Meccanizzazione, irrigazione e concimi sintetici hanno infatti consentito un aumento delle rese ad ettaro comprese fra il 50 ed il 200% a seconda delle colture e delle zone, ma tutto ciò è fattibile solo con grandi consumi di energia.   Oggi si stima che l’agricoltura consumi in media 4 joule fra petrolio e gas per produrre 1 joule sotto forma di cibo, ma le colture ad altissima produttività (quelle che fanno i 180-200 q/ha e che nutrono le megalopoli del mondo) consumano oltre 10-12 joule di energia fossile per ogni joule di granella raccolta.   E bisogna ancora trasportarla, macinarla, impacchettarla, cuocerla, ecc.   Stime ragionevoli valutano in una media globale di 40 joule di energia fossile consumata per mangiare un joule di cibo; che ci si trovi a New York, a San Paolo, a Shanghai  od al Cairo fa poca differenza.

Figura 2

In termini energetici, stiamo letteralmente mangiando petrolio condito con metano; tutto il resto serve sostanzialmente renderlo più gustoso e digeribile.

Niente di strano, dunque, che il prezzo del cibo segua quello del petrolio (fig.2).

Figura 3

Con tutto ciò, la produzione mondiale pro- capite di cereali  ha raggiunto un picco nel 1985 per poi declinare (fig.3). Le scorte strategiche mondiali sono ai minimi storici e non riescono a risollevarsi neppure nelle annate migliori, mentre abbiamo visto che ogni anno ci sono circa 80-90 milioni di bocche in più da sfamare.



Figura 4.
Parallelamente, la quantità di persone denutrite è andata diminuendo dal 1960 fino al 1995, per poi circa triplicare nei 20 anni successivi.(fig. 4).
Forse la resa agricola potrebbe ancora aumentare, ma anche in questo caso l’effetto della legge dei “ritorni decrescenti” è evidente (fig.5).   Quali sarebbero dunque i costi, quali conseguenze e con quali risultati? 

Figura 5
Sappiamo inoltre che il cambiamento climatico in corso già grava sulla produzione agricola mondiale e che sempre di più lo farà. In un disperato tentativo di compensazione, ogni anno circa 1.500.000 di ettari vengono annualmente messi a coltura mediante bonifiche e disboscamenti.   E’ impossibile sapere con esattezza di quanto annualmente diminuisca la superficie forestale sia per motivi politici (ovvi),  sia tecnici (cosa è classificato come “foresta” cambia a seconda degli autori).   Comunque, pare che dal 8.000 a.C. al 1.900 d.C (10.000 anni) siano state distrutte circa il 50% delle foreste originarie; fra il 1900 ed il 2.000 (100 anni) la metà di quelle rimaste; entro il 2020-30 (10-20 anni) la metà di quelle che rimangono oggi (anzi, ieri). Le conseguenze sui suoli, le acque, la biodiversità ed il clima sono semplicemente incalcolabili.
Eppure la superficie agricola continua a diminuire (dal 1980 al 2000 è calata dell’11%, pari a 80 milioni di ettari) in conseguenza di una serie di fenomeni, perlopiù dipendenti dall'eccessivo sfruttamento cui è sottoposta (desertificazione, erosione, edificazione, salinizzazione, ecc.). Oramai, questo immane sforzo produttivo fa si che praticamente tutti i suoli accessibili siano più o meno seriamente degradati, compresa la maggior parte di quelli forestali (fig. 6).   

Figura 6

Forme più moderne di agricoltura (come la permacoltura, l’agricoltura biologica e biodinamica) hanno consumi energetici che sono circa la metà di quelli dell’agricoltura industriale e non danneggiano il suolo, ma comunque necessitano di petrolio sia per la meccanizzazione, sia per tutti i servizi collegati (consumi domestici degli agricoltori, trasporti, ecc.).    Sulle rese gli effetti sono diversi: in grossolana approssimazione si può ritenere che nei paesi temperati i raccolti diminuiscono leggermente, mentre nelle zone tropicali aumentano.   Nell'insieme, si può quindi ritenere che, passando a forme di agricoltura più sostenibili, la produzione mondiale di cibo potrebbe restare circa costante, a fronte di un netto rallentamento nel degrado dei suoli e nei consumi di energia.   Un vantaggio enorme, ma che da solo non sarebbe sufficiente a risolvere il problema della sovrappopolazione.   Anzi, potrebbe addirittura peggiorarlo consentendo un ulteriore aumento della popolazione, analogamente a quanto accaduto con la "rivoluzione verde".
Figura 7

L’impronta ecologica è un modello di valutazione della sostenibilità approssimativo, ma è comunque indicativo.   E’ interessante vedere che il numero di giorni in cui siamo andati in “debito ecologico” ha continuato ad aumentare di anno in anno, a partire dal 1976 quando, probabilmente, l’umanità superò per la prima volta la capacità di carico complessiva del pianeta (fig. 7).   Com'è possibile che la gente sopravviva?   Semplice: si stanno usando ed esaurendo le riserve di energia fossile, acqua, fertilità, biodiversità.   E man mano che le riserve si erodono, la capacità di carico del pianeta si riduce ed il debito ecologico si accumula, analogamente a quello finanziario di cui tanto si parla in questi anni.   Eppure, il debito ecologico, di cui non si parla, è molto più grave giacché non è possibile azzerarlo in altro modo che morendo in quantità sufficiente.   E quanto è sufficiente?   Nessuno può saperlo, ma sappiamo che ogni anno è un po’ di più del precedente.

Tuttavia da molte parti ci dicono di non preoccuparsi perché la natalità diminuisce spontaneamente con l’aumento del benessere, quindi la crescita economica ridurrà la natalità: è solo una questione di tempo e di sviluppo.  In realtà la natalità è correlata con la capacità di decisione autonoma delle donne e non con il reddito (anche se donne benestanti ed istruite sono spesso più autonome di donne povere ed analfabete, ma non sempre).   All'atto pratico, la cosiddetta “transizione demografica” rappresenta abbastanza bene quello che è accaduto nei paesi “occidentali” al netto dell’immigrazione, ma non nel resto del mondo (v. tabella).   Fra i paesi a crescita più rapida troviamo sia i poverissimi che i ricchissimi, mentre fra quelli a crescita negativa troviamo praticamente solo poveri (v. energia-e-crescita-demografica).  Questa  è una grossa fortuna perché il livello di benessere sta diminuendo per moltissima gente in tutto il mondo e molto di più diminuirà nei prossimi decenni senza che ciò, per ora, provochi una recrudescenza della natalità.   

 Al di là di imprevedibili fluttuazioni di dettaglio, sappiamo infatti che siamo attualmente in una fase di picco della  disponibilità energetica e che nel giro di 10-20 anni la disponibilità globale non potrà che diminuire (fig. 8), con quali conseguenze sulle economie e le popolazioni?  

Figura 8