mercoledì 25 settembre 2013

Il Pianeta Saccheggiato: aggiornamento

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR (Peak & Transition Translators Team)


Questa è una versione scritta di una conferenza che ho tenuto all'incontro del Club di Roma ad Ottawa il 19 settembre 2013.


Signore e signori, in questa breve conferenza vedrò di darvi un aggiornamento dello stato del libro “Il Pianeta Saccheggiato" che, come sapete, è un rapporto al Club di Roma. Come molti di voi sanno, la versione tedesca è stata pubblicata nel giugno di quest'anno, quindi mi trovo nell'interessante situazione di avere un libro pubblicato e di non poterlo leggere! Ma stiamo lavorando alla versione inglese, che dovrebbe uscire all'inizio dell'anno prossimo.

Ora, peremttetemi di riassumere per voi la situazione descritta da “Il Pianeta Saccheggiato”. Avrete sicuramente notato che il titolo non dice “il pianeta sviluppato” o “il pianeta migliorato”. No, dice “saccheggiato”, che significa esattamente questo: stiamo estraendo risorse minerali come se fossimo dei pirati che saccheggiano i forzieri di un galeone preso d'assalto.

A che punto stiamo, quindi? Be', è una storia lunga. Posso dirvi che il Servizio di Rilevamento Geologico degli Stati Uniti (United States Geological Survey – USGS) elenca 88 beni minerali e questo è già un numero rispettabile. Ma non comprende, per esempio, i combustibili fossili nelle loro diverse tipologie (gas, carbone, petrolio, sabbie bituminose, scisti e cose simili). Quindi, ogni bene ha fonti diverse, diverse aree di sfruttamento, diversi classi di prodotto. Come ho detto, non è facile districarsi nella massa di dati disponibili.

Posso dirvi che ci troviamo in quella che sembra una situazione di stabilità, nel senso che la produzione di alcuni beni è in crescita, mentre altri sono in declino, e in media, non vediamo cambiamenti drammatici. Vi posso raccontare che in questo periodo i volumi più grandi prodotti riguardano i materiali da costruzione: sabbia, cemento, pietra e simili. Sono anche i beni minerali che crescono più rapidamente in termini di produzione. Stanno crescendo esponenzialmente, senza mostrare segni di declino. Mi sfugge il perché stiamo lavorando così alacremente per trasformare questo pianeta in una specie di autostrada sferica, ma è così che stanno le cose. Diciamo, come notavo prima, che sembra che siamo in una situazione stabile – nessun declino in vista, ma nemmeno una crescita rapida.

La sensazione, tuttavia, è anche che siamo sull'orlo di un baratro e ci sono diversi fattori che ci danno questa sensazione. Il primo sono i prezzi. Vedete, c'è stata una tendenza alla riduzione dei prezzi che era andata avanti almeno per un decennio e tutti lo avevano notato: i prezzi stanno scendendo, quindi non c'è un problema di esaurimento. Poi, a partire dal 2004: bang! Ci siamo scontrati con un muro verticale. I prezzi sono saliti e non mostrano segni di un'inversione di tendenza. In media, il prezzo di beni come i metalli sono aumentati di un fattore di tre e questa non è una quantità trascurabile. L'esaurimento gioca un ruolo in tutto questo, perché ci spinge ad estrarre da risorse di qualità inferiore. Se poi guardiamo ai combustibili fossili, conosciamo la tendenza di quello più importante: il petrolio. I prezzi sono aumentati di un fattore di 5 in confronto a quello che avevamo 10 anni fa. Ora stiamo fluttuando intorno ai 100 dollari al barile in modo consistente. Se qualcuno avessed 10 anni fa che saremmo arrivati a questi livelli, l'avrebbero considerato un pazzo totale (ricordo di aver detto qualcosa del genere allora, ma non fatemi entrare nei dettagli).

I prezzi alti non sono il solo problema dei combustibili fossili. C'è il problema che stiamo mantenendo la produzione costante o la incrementiamo per mezzo dell'aggiunta di liquidi, come i biocombustibili, che contengono meno energia per unità di volume del petrolio convenzionale. Quindi, ciò che chiamiamo “un barile di petrolio” nel 2013 contiene meno energia di quanta non ne contenesse 10 anni fa. E qui c'è il problema dell'energia netta: l'esaurimento ci sta spingendo ad usare risorse sempre più difficili e dobbiamo usare più energia per produrre la stessa quantità di energia. Quindi rimane meno energia che possiamo usare per altri scopi. E, infine, abbiamo il fatto che le economie dei paesi produttori stanno crescendo e tendono a consumare di più per il loro mercato interno e ad esportare meno. Quindi c'è meno petrolio disponibile per i paesi non produttori, fra i quali ci sono molti paesi occidentali.

Così, vedete, la situazione può essere descritta come molto difficile: possiamo combattere l'esaurimento e lo abbiamo fatto con successo, finora. Ma è una battaglia che abbiamo vinto ad un prezzo molto alto (e solo per un periodo limitato di tempo). Apparentemente, tuttavia, siamo disposti a pagare qualsiasi prezzo per il petrolio, anche a costo di rinunciare a diverse che, una volta, erano date per scontate, come la salute pubblica, la sicurezza sociale, il trasporto pubblico e cose simili.

E' una scelta che abbiamo fatto e di cui potremmo pentirci nel prossimo futuro, perché non solo ci stiamo riducendo in miseria, ma creiamo un problema molto peggiore: un vero disastro climatico. Mentre l'esaurimento ci spinge a consumare più energia per produrre più energia, il risultato finale è che le emissioni stanno aumentando e non mostrano segni di rallentamento.

Fino a pochi anni fa c'era un dibattito sul fatto che il picco del petrolio ci avrebbe salvati o meno. Cioè, se il declino “naturale” della produzione di combustibili fossili avrebbe potuto causare una riduzione delle emissioni e che questo avrebbe risolto il problema del cambiamento climatico. Il dibattito ormai è obsoleto: il picco del petrolio non ci salverà. Sta arrivando, ma troppo tardi per fermare il cambiamento climatico catastrofico.

Alla fine dei conti, l'economia mondiale ha seguito molto da vicino lo scenario base che avevano delineato “I Limiti della Crescita” già nel 1972. In un certo senso, è un trionfo del Club di Roma che ha sponsorizzato uno studio in grado di prevedere il futuro con una tale precisione. E, allo stesso tempo, è un fallimento monumentale, perché non siamo stati capaci di fare nulla per evitare il futuro spaventoso che noi stessi abbiamo previsto. Sapete, è come uno di quegli incubi dove vieni inseguito da un mostro. Vedi il mostro, cerchi di scappare, ma non ci riesci.

Tuttavia, il primo passo per risolvere un problema è capirlo e lo studio dei “Limiti” ci ha dato gli strumenti di cui abbiamo bisogno. Capite, ciò che stiamo cercando di influenzare è un sistema complesso: l'economia mondiale. I sistemi complessi hanno molti modi per opporsi ai cambiamenti: è il risultato di retroazioni interne che tendono ad arrestare lo sviluppo di tentativi dall'esterno di spostare il sistema dalla sua condizione stabile (intesa in senso dinamico). Quindi, i tentativi di cambiare il sistema con la forza bruta o non funziona o riesce a mandare in pezzi il sistema, cosa che naturalmente non vogliamo.

Il modo per guidare i sistemi complessi è di identificare il suoi “punti di leva” o “punti critici”: intervenendo su queste leve è possibile cambiare le cose, è un concetto che ci arriva da Jay Forrester e Donella Meadows, rispettivamente colui che ha dato origine ed una autrice dello studio dei “Limiti”. Se esaminiamo la nostra situazione attuale è piuttosto chiaro che il punto di leva, il punto critico, è uno: sono i combustibili fossili. Ci servono i combustibili fossili, altrimenti non sarebbe possibile tenere in vita sette miliardi di persone su questo pianeta, ma sfortunatamente è anche vero che stiamo mandando in pezzi il pianeta bruciando combustibili fossili. Quindi abbiamo bisogno di bruciare combustibili fossili ma non possiamo bruciarli: sembrerebbe una classica situazione “no win”.

Il punto è, tuttavia, che non ci servono i combustibili fossili. Ciò di cui abbiamo bisogno è qualcosa che i combustibili fossili ci forniscono: la loro energia. E l'energia non necessariamente deve essere prodotta coi combustibili fossili. Così, il modo di spingere la leva nella giusta direzione è chiara: se non possiamo fermarci e allo stesso tempo non possiamo continuare, dobbiamo usare i combustibili fossili per sostituire i combustibili fossili.

Cioè, dobbiamo usare i combustibili fossili per produrre gli impianti rinnovabili che sostituiranno i combustibili fossili (questo si potrebbe dire anche dell'energia nucleare, anche se naturalmente ci sono grossi problemi in proposito). Se decidiamo di farlo, allora c'è una possibilità di risolvere il problema prima che sia troppo tardi. Con una quantità sufficiente di energia pulita possiamo continuare a mantenere le nostre infrastrutture in funzione, a mantenere in vita sette miliardi di persone e possiamo anche continuare ad estrarre; a tassi ridotti, naturalmente, perché l'esaurimento rimane un problema. E non possiamo sperare di continuare con le nostre abitudini dispendiose alle quali ci siamo abituati finora. Ci serviranno grandi cambiamenti nel modo in cui facciamo le cose: dobbiamo essere più efficienti e molto più intelligenti. Ma con l'energia pulita possiamo ancora fornire il sistema industriale di minerali per molti anni e adattarlo gradualmente ad un futuro sistema industriale meno affamato di beni. Ma dobbiamo farlo in fretta e in modo deciso, altrimenti sarà troppo tardi.

Così, è questo il modo in cui vedo la situazione e vorrei chiudere questa breve presentazione con una citazione di William Stanley Jevons, che può essere definito a ragione il precursore dello studio sui “Limiti della crescita”. Già ai sui tempi, metà del 19° secolo, e molto prima dei computer, egli aveva molto chiaro in mente i fattori dinamici del problema e il bisogno cruciale di energia. Così, ecco qua – lui in realtà parlava di carbone, ma ho sostituito il termine “carbone” col termine energia – Jevons capirebbe sicuramente se fosse con noi oggi. Per i problemi che stiamo affrontando, non ci sono miracoli, né trucchi e né scorciatoie: ciò di cui abbiamo bisogno è energia abbondante e pulita. (Da “La Questione del Carbone” di William Stanley Jevons, 1866)

L'energia in realtà non si trova al pari ma del tutto al di sopra degli altri beni. Essa è l'energia materiale del paese – l'aiuto universale – il fattore di qualsiasi cosa facciamo. Con l'energia quasi ogni impresa è possibile o facile; senza di essa veniamo rigettati nella laboriosa povertà dei tempi antichi. 









lunedì 23 settembre 2013

Risorse minerali e limiti alla crescita

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Questa è una versione ridotta della presentazione che ho fatto a Dresda il 5 settembre 2013. Ringrazio il professor Antonio Hurtado per aver organizzato quella interessante conferenza.


Allora, signore e signori, lasciate che cominci con questo mio recente libro. S'intitola “Il Pianeta Saccheggiato”. Noterete sicuramente che non è intitolato “Il pianeta Sviluppato” o “Il Pianeta Migliorato”. Io e i miei coautori abbiamo scelto di enfatizzare il concetto di “saccheggio”; ovvero il fatto che stiamo sfruttando le risorse del nostro pianeta come se fossero lì apposta perché noi le prendessimo. Cioè, senza pensare alle conseguenze. E la conseguenza principale, per quanto ci riguarda qui si chiama “esaurimento”, anche se dobbiamo tenere in considerazione anche il problema dell'inquinamento.

Ora, ci sono stati molti studi sulla questione dell'esaurimento, ma “Il pianeta saccheggiato” ha un'origine particolare e posso mostrarvela. Eccola.


Si tratta dello studio, piuttosto famoso, pubblicato nel 1972 dal titolo “I Limiti della Crescita” (da questo momento in poi, dopo averci pensato in diverse occasioni, ho deciso che adotterò la traduzione “della crescita” anziché “dello sviluppo” come è stato invece tradotto il libro in italiano, ndt). E' stato uno dei primi studi che hanno tentato di quantificare l'esaurimento ed i suoi effetti sul sistema economico mondiale. E' stato uno studio complesso, basato sui migliori dati disponibili all'epoca e che ha usato i computer più sofisticati disponibili per studiare come l'interazione di vari fattori avrebbero condizionato parametri come la produzione industriale, quella agricola, la popolazione e cose simili. Ecco i risultati più importanti dello studio del 1972, l'ipotesi chiamata “caso base” (o ipotesi standard). I calcoli sono stati rifatti nel 2004, ed hanno prodotto risultati analoghi.


Come potete vedere, i risultati non erano proprio piacevoli da vedere. Nel 1972, lo studio ha visto un rallentamento dei maggiori parametri economici mondiali che avrebbero avuto luogo entro i primi due decenni del 21° secolo. Sono certo che stiate confrontando, nella vostra mente, queste curve con la situazione economica attuale e vi chiederete se questi vecchi calcoli non possono risultare essere incredibilmente ben fatti. Ma vorrei anche dire che queste curve non devono essere prese – e non lo sono mai state – come previsioni specifiche. Nessuno può prevedere il futuro, quello che possiamo fare è studiare le tendenze e dovi ci portano le tendenze. Così, il risultato principale dello studio de I Limiti della Crescita è stato quello di mostrare che il sistema economico era indirizzato verso un collasso ad un certo punto in futuro, dovuto all'effetto combinato di esaurimento, inquinamento e sovrappopolazione. Forse i problemi economici che vediamo oggigiorno sono il preludio al collasso visto da questo modello, forse no – forse il collasso previsto è ancora lontano nel futuro. Non possiamo dirlo al momento.

In ogni caso, i risultati dello studio possono essere visti perlomeno come preoccupanti. E una reazione ragionevole, all'uscita del libro nel 1972, sarebbe stata quella di studiare il problema più in profondità – nessuno vuole che l'economia collassi, naturalmente. Ma, come certamente saprete, lo studio sui Limiti della Crescita non è stato ben accolto. E' stato fortemente criticato, accusato di aver fatto “errori” di ogni tipo e a volte di essere stato parte di una cospirazione mondiale per prendere il controllo del mondo e sterminare gran parte della razza umana. Naturalmente, gran parte delle critiche avevano origini politiche. E' stata prevalentemente una reazione viscerale: la gente non amava questi risultati e ha cercato di trovare dei modi per dimostrare che il modello era sbagliato (o i dati, o l'approccio, o qualcos'altro). Se non potevano farlo, ricorrevano alla demonizzazione degli autori. Ho descritto questo comportamento in un mio libro dal titolo “I Limiti della Crescita Rivisitati”.

Ciononostante, c'era una critica sensata da fare allo studio dei “Limiti.” Perché si dovrebbe credere a questo modello? Quali sono esattamente i fattori che generano il collasso atteso? Ecco, devo dire, la risposta data spesso i primi tempi dagli autori e dai loro sostenitori non era molto buona. Quello che dicevano i creatori dei modelli era che il modello aveva senso secondo il loro punto di vista e che potevano mostrare uno schema, che era questo (dall'edizione italiana del libro del 1972):


Ora, non so cosa ne pensate voi; per me è più o meno come la mappa della metropolitana di Tokyo, comprese le indicazioni in caratteri kanji. Non facile da navigare, perlomeno. Così, perché gli autori hanno creato questo modello a spaghetti? Qual era la logica? Lavorandoci sopra, viene fuori che il modello dei Limiti della Crescita aveva una logica interna che può essere speigata in termini termodinamici. Tuttavia, ci vuole un po' di lavoro per descrivere tutto la storia. Quindi, lasciate che cominci dalla fonte originaria di questi modelli:


Se avete studiato ingegneria, avrete sicuramente riconosciuto questo oggetto. E' chiamato “governale” ed è un dispositivo sviluppato nel 19° secolo per regolare la velocità dei motori a vapore. Esso gira con il motore e i bracci aperti o chiusi dipendono dalla velocità. E' interessante perché si tratta del primo dispositivo autoregolante di questo tipo e, ai suoi tempi, aveva generato molto interesse. Lo stesso James Clerk Maxwell ha studiato il comportamento del governale e, nel 1868, inventò una serie di equazioni per descriverlo. Ecco un pagina dal suo articolo originale:


Vi mostro queste equazioni solo per farvi notare come questi sistemi possano essere descritti da una serie di equazioni differenziali correlate. E' un approccio ancora usato ed oggi possiamo risolvere questo tipo di equazioni in tempo reale e controllare sistemi molto più complessi dei motori a vapore. Per esempio, i droni.


Qui vedete che un drone può essere controllato in modo così perfetto da poter trasportare un bicchiere senza versarne il contenuto. E possiamo avere droni che giocano a ping pong fra loro e molto altro. Naturalmente, sono anche delle macchine progettate per uccidere la gente, ma non entriamo in questo argomento. Il punto è che se noi possiamo risolvere una serie di equazioni differenziali, possiamo descrivere – ed anche controllare – il comportamento di sistemi piuttosto complessi.  

Il lavoro di Maxwell ha impressionato così tanto Norbert Wiener da portarlo a sviluppare il concetto di “cibernetica”.


Oggi non usiamo molto il termine cibernetica. Ma le idee che partirono dallo studio sul governale di Mawwell erano estremamente feconde ed hanno dato origine ad un campo del tutto nuovo della scienza. Quando si usano le equazioni per controllare sistemi meccanici vediamo il termine “teoria del controllo”. Ma se si usano le equazioni per studiare il comportamento dei sistemi socio-economici, si usa il termine “dinamica dei sistemi”. 

La dinamica dei sistemi è una cosa sviluppata principalmente da Jay Wright Forrester negli anni 50 e 60, quando sono iniziati ad esistere computer abbastanza potenti da risolvere serie di equazioni differenziali accoppiate in tempi ragionevoli. Ciò ha generato molti studi, compreso “I Limiti della Crescita” del 1972 ed oggi il campo e vivo e vegeto in molte aree. 

Un punto che penso sia importante da fare è che queste equazioni descrivono sitemi del mondo reale e i sistemi del mondo reale devono obbedire alle leggi della termodinamica. Quindi, la dinamica dei sistemi deve essere coerente con la termodinamica. Lo è. Lasciate che vi mostri un esempio comune di un sistema descritto dalla dinamica dei sistemi: i professionisti di questo campo amano usare una vasca da bagno come esempio:

Sulla destra c'è una rappresentazione del sistema reale, una vasca da bagno parzialmente piena d'acqua. Sulla sinistra, la sua rappresentazione usando la dinamica dei sistemi. Questi modelli svengono chiamati “stock e flusso”, perché si usano riquadri per rappresentare gli stock (la quantità d'acqua nella vasca) e frecce bidirezionali per indicare i flussi. Gli arnesi a forma di farfalla indicano valvole e le frecce unidirezionali indicano la relazione. 

Notate che ho usato una convenzione grafica che mi piace usare per i miei modelli “a portata di mente”. Cioè, ho delle riserve che fluiscono “giù”, seguendo la dissipazione del potenziale termodinamico. In questo caso, ciò che muove il modello è il potenziale gravitazionale, è questo fa fluire l'acqua verso il basso, naturalmente. In ultima analisi, il processo è guidato da un aumento di entropia ed io di solito chiedo ai miei studenti dove sono quegli aumenti di entropia nel sistema. Di solito non riescono a dare la risposta giusta. Infatti non è così semplice – ve lo lascio come piccolo esercizio.

Il modello sulla sinistra non è un semplice disegno di una quadrato e frecce, è fatto con un software chiamato “vensim” che fa realmente girare il modello “vivo” costruendo le equazioni e risolvendole in tempo reale. E, come potete immaginare, non è difficile fare un modello che descriva una vasca da bagno che viene riempita da un lato e svutata dall'altro, Ma, naturalmente, si può fare molto di più con questi modelli. Così, lasciate che vi mostri un modello fatto con Vensim che descrive le operazioni di un governale e di un motore a vapore. 


Prima di procedere, lasciate che faccia una precisazione. Questo è solo un modello che ho messo insieme per questa presentazione. Sembra funzionare, nel senso che descrive un comportamento che penso sia corretto per un governale (potete vedere i risultati tracciati dentro i riquadri). Ma non pretende di essere un modello completo e sicuramente non il solo modo possibile di fare un modello della dinamica dei sistemi di un governatore. Detto questo, potete dargli un'occhiata e notare alcune cose. Quella principale è che abbiamo due “riserve” di energia: una per la ruota grande dell'energia del vapore, l'altra per la ruota piccola che è il governale. Per dare un'idea visiva di questa differenza di dimensione, ho fatto due riquadri di dimensioni diverse, ma questo non cambia le equazioni che sottostanno al modello. Notate la “retroazione”, le frecce che collegano i flussi e le dimensioni delle riserve. Il concetto di retroazione è fondamentale in questi modelli. 

Naturalmente, questo è un modello che è compatibile anche con la termodinamica. Solo che, in questo caso non abbiamo un potenziale gravitazionale che muove il sistema, ma un potenziale basato su differenze di temperatura. Il motore a vapore funziona perché c'è questa differenza di temperatura e voi conoscete che il lavoro di Carnot e degli altri che lo hanno descritto. Quindi qui ho usato la stessa convenzione di prima; il potenziale termodinamico viene dissipato “giù” nella rappresentazione grafica del modello. 

Ora, lasciate che vi mostri un altro modello semplice, la versione più semplice che possa pensare di un modello che descrive lo sfruttamento di risorse non rinnovabili:

Si tratta, ancora una volta, di un modello basato sulla termodinamica e, stavolta, guidato da potenziali chimici. L'idea è che la riserva di “risorse” sia un alto potenziale chimico, nel senso che può essere pensato come, per esempio, petrolio greggio che spontaneamente si combina con l'ossigeno per creare energia. Questa energia vien usata dagli esseri umani per creare ciò che posso chiamare “capitale” - la somma di tutto ciò che si può fare col petrolio, dalle industrie alle burocrazie. 

Sulla destra potete vedere i risultati che il modello fornisce in termini di comportamento come funzione del tempo della riserva delle risorse, della loro produzione e della riserva di capitale. Potete facilmente notare quanto queste curve siano simili a quelle fornite dal modello più complesso dei “Limiti della Crescita”. Quindi, probabilmente stiamo facendo qualcosa di giusto, anche con un modello semplice. 

Ma il punto è che il modello funziona! Quando lo applichiamo a casi del mondo reale, vediamo che i suoi risultati si adattano ai dati storici. Lasciate che vi mostri un esempio:

Questo è il caso della pesca delle balene nel 19° secolo, quando l'olio di balena era usato come combustibile per le lampade, prima che l'uso del kerosene diventasse comune. Vi sto mostrando questa immagine perché costituisce il primo tentativo che ho fatto di usare il modello e sono rimasto sorpreso di vedere che funzionava – e ed ha funzionato notevolmente bene. Vedete, qui abbiamo due stock: una sono le balene, l'altra è il capitale dell'industria della pesca delle balene che possono essere misurate per mezzo di un proxy che è il tonnellaggio totale della flotta di baleniere. E, come ho detto, il modello descrive molto bene come l'industria è cresciuta nel profitto di uccidere le balene, ma ne ha uccise troppe. Le balene sono, naturalmente, una risorsa rinnovabile, in linea di principio. Ma, naturalmente, se vengono uccise troppe balene, esse non hanno tempo sufficiente per riprodursi e si comportano come una risorsa non rinnovabile. I biologi hanno determinato che alla fine di questo ciclo di pesca in tutti gli oceani erano rimaste solo circa 50 femmine delle specie pescate a quel tempo. Non rinnovabili, infatti! 

Quindi questo è, naturalmente, uno dei diversi casi in cui abbiamo scoperto che il modello può funzionare. Insieme ai miei coautori, abbiamo scoperto che può funzionare anche con l'estrazione del petrolio, come descriviamo in un saggio pubblicato nel 2009 (Bardi e Lavacchi). Ma saltiamo questo aspetto – la cosa importante è che il modello funziona in alcuni casi ma, come vi aspettereste, non in tutti. E questa è cosa buona perché non vogliamo un modello “adatto a tutto” che non ci dice niente sul sistema che stiamo studiando. Diciamo che il modello riproduce quello che viene chiamato il “modello di Hubbert” di sfruttamento delle risorse, che è un modello puramente empirico proposto più di 50 anni fa e che rimane un modello fondamentale in questo tipo di studi: è il modello che propone che l'estrazione passa attraverso una curva “a campana” e che il vertice della curva, il “picco di Hubbert” è l'origine del concetto di “picco del petrolio”, di cui avrete sicuramente sentito parlare. Ecco il modello originale di Hubbert; vedete che esso ha descritto in modo ragionevolmente buono la produzione del petrolio greggio dei 48 stati meridionali degli stati Uniti. 


Ora, andiamo un po' avanti. Ciò che ho presentato è un modello molto semplice che riproduce alcuni elementi chiave del modello usato per lo studio su “I Limiti della Crescita”, ma naturalmente è una versione molto semplificata. Potreste aver notato che le curve della produzione industriale dei Limiti della Crescita tendono ad essere sbilanciate in avanti e questo semplice modello non può riprodurle. Così, dobbiamo fare un passo avanti. Lasciate che vi mostri come si può fare pur mantenendo l'idea di base di una “cascata termodinamica” che va dai potenziali più alti a quelli più bassi. Ecco ciò che ho chiamato “modello di Seneca”,

Vedete che ho aggiunto una terza riserva al sistema. In questo caso l'ho chiamata “inquinamento”, ma potremmo anche chiamarla, per esempio, “burocrazia” o forse “guerra”. E' una riserva qualsiasi che drena risorse dalla riserva di “Capitale” (cioè l'economia). E il risultato è che la riserva di capitale e produzione collassa piuttosto rapidamente. Questo è ciò che ho chiamato “effetto Seneca”, in onore del filosofo Romano Lucio Anneo Seneca, che ha notato che “la fortuna è lenta, ma la rovina è rapida”.  

Per questo modello, non posso mostrarvi casi storici specifici – stiamo ancora lavorando su quest'idea, ma non è facile fare misure quantitative perché il modello è complicato. Ma ci sono casi di sistemi semplici in cui vediamo questo comportamento specifico, curve fortemente inclinate – la pesca del caviale ne è un esempio. Ma permettetemi di non entrare in questo aspetto ora. 

Ciò che vorrei dire è che ci possiamo muovere avanti con questa idea di potenziali termodinamici a cascata e costruire qualcosa che possa essere considerata una versione semplificata dei 5 stock principali presi in considerazione nei calcoli dei “Limiti della Crescita”. Eccolo:



Ora, un'altra precisazione: non sto dicendo che questo modello è equivalente a quello dei Limiti della Crescita, neanche che sia il solo modo di disporre le riserve e i flussi di modo da produrre risultati simili a quello ottenuto dal modello dei Limiti della Crescita. E' qui solo per mostrarvi la logica del modello. E penso che possiate essere d'accordo, ora, sul fatto che ce ne sia una. Il modello dei “Limiti” non sono solo spaghetti sistemati a caso, è qualcosa che ha una logica profonda basata sulla termodinamica. Descrive la dissipazione di una cascata di potenziali termodinamici. 

Alla fine, tutto questo modello, a prescindere da come sistemi i suoi elementi, tende a generare risultati di base simili: la curva a campana, quella che Hubbert ha proposto già nel 1956.



La curva potrebbe essere inclinata in avanti o meno, ma questo cambia poco del fatto che la parte in discesa non è così piacevole da coloro che la vivono. 

Non aspettatevi che questa curva sia una legge fisica, dopotutto dipende da scelte umane e le scelte umana possono essere cambiate. Ma, in condizioni normali, gli esseri umani tendono a seguire schemi piuttosto prevedibili, per esempio sfruttando le risorse “facili” (quelle che si trovano al potenziale termodinamico più alto) per poi passare a quelle più difficili. Questo genera la curva. 

Ora, potrei mostrarvi molti esempi della tendenza dei sistemi del mondo reale a seguire la curva a campana. Lasciate che ve ne mostri solo uno, un grafico recente fatto da Lean Laherrere.


Questi sono dati della produzione mondiale di petrolio. Come potete vedere, ci sono irregolarità ed oscillazioni. Ma notate come, dal 2004 al 2013, abbiamo seguito quella curva: ci muoviamo su una strada prevedibile. Già nel 2004 avremmo potuto prevedere quale sarebbe stata la produzione attuale. Ma, naturalmente, ci sono altri elementi nel sistema. Nella figura sulla destra, potete vedere anche l'apparizione delle cosiddette risorse di petrolio “non convenzionale”, che stanno seguendo la propria curva e che stanno mantenendo la produzione dei combustibili liquidi (un concetto leggermente diverso da quello di “petrolio greggio”) piuttosto stabile o in leggero aumento. Ma, vedete, l'immagine è chiara e la capacità di previsione di questi modelli è piuttosto buona anche se, naturalmente, approssimativa. 

Ora, c'è un altro punto importante che vorrei fare. Vedete, questi modelli in definitiva sono basati sulla termodinamica e c'è un parametro termodinamico incorporato nei modelli chiamato EROI (o EROEI), che è il ritorno energetico sull'investimento energetico. Fondamentalmente è il declino di questo parametro che rende, per esempio, l'estrazione del petrolio gradualmente meno produttiva in termini energetici e, in definitiva, la fa diventare inutile quando il valore dell'EROEI scende sotto a uno. Lasciate che vi mostri un'illustrazione di questo concetto: 

Vedete?, I dati che leggete normalmente riguardo alla produzione petrolifera sono proprio questo: quanto petrolio vien prodotto in termini di volume. C'è già un problema col fatto che non tutti i liquidi petroliferi sono gli stessi nel senso di energia per unità di volume, ma la questione vera è l'energia NETTA che otteniamo sottraendo l'energia investita dall'energia prodotta. E questa, come vedete, scende rapidamente mentre passiamo a risorse più care e difficili. Per gli EROEI inferiori a circa 20, il problema è significativo e sotto circa 10 diventa grave. E, come vedete, ci sono molte risorse energetiche che hanno questo tipo di EROEI basso. Quindi, non vi fate impressionare del fatto che la produzione di petrolio continui, lentamente, a crescere. Il problema è l'energia netta e molte cose che stanno avvenendo oggi nel mondo sembrano essere collegate al fatto che stiamo producendo sempre meno energia. In altre parole, stiamo pagando di più per produrre la stessa quantità. Questo si mostra sotto forma di prezzi alti nei mercati mondiali. 

Ecco un'illustrazione di come prezzi e produzione sono variati durante gli ultimi decenni dal blog “Early Warning” di Stuart Staniford.


E vedete che, anche se siamo in grado di gestire una produzione in leggera crescita, possiamo farlo solo a prezzi sempre più alti. Questo è un effetto di investimenti energetici sempre più alti per estrarre risorse difficili – l'energia costa denaro, dopotutto. Quindi, lasciate che vi mostri alcuni dati sulle risorse che non sono petrolio. Naturalmente, in questo caso non possiamo parlare in termini di EROEI, perché non stiamo producendo energia. Ma il problema è lo stesso, visto che usiamo combustibili fossili per produrre beni che entrano nel sistema industriale e che è valido anche per l'agricoltura. Ecco alcuni dati.


La produzione mondiale di cibo è ancora in aumento, ma gli alti costi dei combustibili fossili stanno causando questo aumento dei prezzi. E questo è un grande problema perché tutti noi sappiamo che la domanda di cibo è molto inelastica – in parole povere dobbiamo mangiare o moriamo. Diversi eventi recenti nel mondo, come le guerre e le rivoluzioni in Nord Africa e in Medio Oriente sono collegate a questi aumenti dei prezzi degli alimenti. 

Ora, passiamo alla questione generale della produzione mineraria. Abbiamo lo stesso comportamento. Gran parte delle risorse minerali stanno ancora crescendo in termini di quantità estratte, come potete vedere qui (da un saggio di  Krausmann et al, 2009 http://dx.doi.org/10.1016/j.ecolecon.2009.05.007)


Questi dati arrivano al 2005 – dati più recenti mostrano segni di appiattimento della produzione, ma non vediamo ancora segni evidenti di un picco. Questo è male, perché stiamo creando un disastro climatico. Come vedete dai dati più recenti, la CO2 sta ancora aumentando in modo quasi esponenziale


Ma il sistema è chiaramente sotto stress. Ecco alcuni dati relativi all'indice medio dei prezzi di alluminio, rame, oro, ferro, piombo, nichel, argento, stagno e zinco (adattati da un grafico riportato da Bertram et al., Resource Policy, 36(2011)315)


Quindi, vedete, c'è stato questo notevole “salto” dei prezzi di tutto e questo è ben collegato con ciò che stavo sostenendo prima: l'energia costa di più e, allo stesso tempo, la richiesta energetica sta aumentando a causa dell'esaurimento del minerale. Al momento, siamo ancora in grado mantenere la produzione stabile e persino in leggero aumento, ma questo costa tremendi sacrifici alla società in termini di riduzione di servizi sociali, assistenza sanitaria, pensioni e tutto il resto. E, in aggiunta, rischiamo di distruggere l'ecosistema planetario a causa del cambiamento climatico. 

Ora, posso riassumere ciò che ho detto ed arrivare al punto fondamentale che credo possa essere espresso in una frase: “L'estrazione mineraria richiede energia”.


Naturalmente, molta gente dice che siamo così intelligenti che possiamo inventare nuovi modi di estrarre minerali che non richiedano così tanta energia. Bene, ma guardate questa ruota gigante, sopra, che viene usata per estrarre carbone nella miniera di Garzweiler in Germania. Pensate a quanta energia serve per fare quella ruota: pensate di poter usare un iPad al suo posto?

Alla fine, l'energia è la chiave di tutto e se vogliamo continuare ad estrarre, ed abbiamo bisogno di continuare ad estrarre, dobbiamo essere capaci di continuare a produrre energia. E dobbiamo ottenere quell'energia senza combustibili fossili. E' questo il concetto di “Transizione Energetica”. 


Qui uso il termine tedesco “Energiewende” che sta per “Transizione Energetica”. Ed ho anche leggermente modificato le parole di Stanley Jevons, lui parlava di carbone, ma il concetto generale è lo stesso. Dobbiamo avere questa transizione, altrimenti, come ha detto Jevons molto tempo fa, saremo costretti a tornare alla “laboriosa povertà” dei tempi antichi. 

Ciò non significa che i tempi dei beni minerali a basso costo torneranno, ma potremmo essere in grado di mantenere un flusso ragionevole di beni minerali all'interno del sistema industriale e andare avanti a lungo. Ma ci dovremo adattare ad una vita meno opulenta e sprecona rispetto a quella cui le società dei paesi “sviluppati” si sono abituate finora. Penso che non sia impossibile, se non chiediamo troppo.


h/t signorina Ruza Jankovich – la macchina mostrata qui è una vecchia FIAT “500” prodotta negli anni 60 e funziona benissimo per muovere la gente senza bisogno di SUV

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Ringraziamento:

La squadra del Club di Roma

Daphne Davies
Ian Johnson
Linda Schenk
Alexander Stefes
Joséphine von Mitschke-Collande
Karl Wagner

E i coautori del libro “Il Pianeta Saccheggiato”

Philippe Bihouix
Colin Campbell
Stefano Caporali
Partick Dery
Luis De Souza
Michael Dittmar
Ian Dunlop
Toufic El Asmar
Rolf Jakobi
Jutta Gutberlet
Rui Rosa
Iorg Schindler
Emilia Suomalainen
Marco Pagani
Karl Wagner
Werner Zittel






domenica 22 settembre 2013

La bancarotta petrolifera

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR.


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

qualche giorno fa Gail Tverberg ha scritto un post inquietante nel suo blog “Our Finite World”. Analizzava il conflitto siriano dal punto di vista della scarsità di risorse naturali e anche se è ovvio che il conflitto dipende da numerosi altri fattori, il problema delle risorse ha a sua volta un ruolo. Alla fine dei conti la Siria è passata nel 2012 dall'essere un paese esportatore a importatore di petrolio, con un'importante crollo dei consumi, come mostra questo grafico preso dal post di Gail (grafico elaborato con dati della EIA e del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti).


In alcuni dibattiti si indica la struttura della bilancia commerciale siriana per spiegare l'esplosione delle grandi rivolte attualmente in corso. Ma, come indica Gail, questo è proprio il risultato della diminuzione dei proventi del petrolio. Una delle conseguenze di questi squilibri fiscali è che il prezzo locale del grano è raddoppiato dal 2010 al 2011 (in parte a causa della siccità in Siria e in parte per la riduzione drastica dei sussidi statali, necessari per compensare la diminuzione dei proventi del petrolio). E' ovvio che se cominciano a scarseggiare gli alimenti o diventano troppo cari per la popolazione, lo scoppio di un conflitto interno è abbastanza probabile. 

Che la pura e semplice fame originata direttamente dal declini energetico abbia un ruolo rilevante nel caso del conflitto non è una sorpresa per il lettore di questo blog. Più di due anni fa mostravamo già che la vera ragione della Primavera Araba non è stata Facebook ma il pane, da poco abbiamo discusso il caso concreto dell'Egitto. Anche Gail illustra il parallelismo fra Egitto e Siria per quanto riguarda la produzione di petrolio. 


Quali saranno i nuovi stati a fallire dopo l'Egitto e la Siria? Gail indica un candidato sicuro: lo Yemen, del quale si è parlato numerose volte in questo blog come di una vera e propria bomba ad orologeria e da quello che mostra il grafico sta proprio per esplodere.


Altri canarini nella miniera (espressione introdotta da Darío Ruarte in questo blog) possono essere identificati con l'aiuto del sito Flussi di Energia - Flujos de Energía. Bisogna essere cauti nel fare questo esercizio, visto che anche se si possa ipotizzare che alcuni paesi smetteranno presto di importare, non è immediato desumere che entrino in guerre civili (per esempio il Regno Unito ha smesso di esportare nel 2005 e sembra ancora un paese abbastanza stabile). Dipenderà soprattutto dalla struttura della propria bilancia commerciale e dei suoi deficit interni: tanto più dipendente dal petrolio e meno diversificazione abbia il paese, più è probabile sarà che quello Stato finisca per fallire (la qual cosa sembra andare per mano con l'avere uno stato autoritario, visto che non permette alle sue industrie di svilupparsi per competere col potenziale esportatore: in essenza sono repubbliche delle banane). 

Vediamo quali sono i paesi esportatori di petrolio che con maggior probabilità vivranno dei problemi durante il prossimo decennio. La relazione non pretende di essere esaustiva, ma di mostrare come il problema sia più esteso di quanto la gente pensi e come viviamo in un mondo profondamente instabile, che cambierà il proprio volto in modo per alcuni insospettabili in un pugno di anni:

America:


Il Messico è un paese che ha superato il proprio picco nel 2005 e dove le esportazioni stanno diminuendo ad un ritmo allarmante. Anche se il Messico è una potenza regionale e un paese con molte possibilità, superare la prevedibile sparizione dei proventi petroliferi prima del 2020 richiederebbe un grande sforzo. 


La produzione petrolifera in Ecuador è molto modesta, ma il paese è abbastanza povero e la scomparsa dei proventi del petrolio forse prima del 2020 originerà senza dubbio gravi tensioni.


Membro dell'OPEC ed esportatore significativo, il Venezuela si trova già nella fase di declino rapido dei propri proventi del petrolio, nonostante lo sfruttamento dei greggi pesanti della Fascia del Orinoco. Anche se probabilmente il paese continuerà ad esportare petrolio dopo il 2020, è socialmente più convulso di altri paesi e la diminuzione dei proventi possono destabilizzarlo, al punto che la produzione potrebbe decadere più rapidamente di quanto sperato (notate i ripetuti scioperi nel settore petrolifero), Tuttavia, il Venezuela dispone di ingenti risorse di petrolio pesante e con una buona gestione il paese potrebbe mantenere una produzione elevata per decenni. 


E se nel caso dei paesi menzionati precedentemente i problemi si pongono nel futuro, l'Argentina è già lì, nel momento critico di non poter più esportare. Abbiamo già parlato molto della situazione di questo paese su questo blog. E' ovvio che non sono state fatte le riforme che mancavano e la popolazione vien addormentata con un discorso di futura abbondanza petrolifera basata sullo shale di Vaca Muerta che, come sappiamo è un inganno assoluto. Ci resta solo di augurare la migliore delle sorti ai nostri fratelli di oltremare.

Medio Oriente:


L'Iran sta entrando nel tritacarne. Le sue esportazioni calano a picco e il su petrolio, di qualità sempre peggiore, viene accettato da meno paesi, al punto che neanche lo stesso Iran può usarlo e deve importare la benzina che usa. Il paese è una bomba malthusiana perfetta, come l'Egitto: popolazione in maggioranza molto giovane, molto popolato e con proventi del petrolio in rapido decadimento. L'Iran potrebbe subire un collasso prima che finisca questo decennio. Forse questo spiega i suoi interessi nei confronti dell'energia nucleare civile, oltre alle questioni di armamenti. 

Africa:


L'Algeria presenta molte caratteristiche in comune coi paesi che sembrano destinati a un collasso: troppo popolata per la sua scarsa capacità di carico e fortemente dipendente dai proventi del petrolio che stanno già diminuendo. I problemi seri in Algeria non si attendo fino alla fine di questo decennio, anche se la situazione si andrà facendo progressivamente più tesa.


La Nigeria è uno dei grandi produttori africani. La BP non dispone di dati sul suo consumo interno, ma vediamo chiaramente una certa stagnazione e una tendenza alla diminuzione della produzione. La Nigeria è un paese molto popolato e con un'altissima densità di popolazione, molto giovane. Soprattutto, in una delle zone petrolifere più produttive, il Delta del Niger, opera un gruppo armato che rivendica i diritti della popolazione locale di fronte a un governo che con frequenza la calpesta e calpesta il suo ambiente a difesa delle grandi compagnie petrolifere che lì operano. Paese a grave rischio di collasso durante questo decennio. 

Asia:


L'Indonesia, che è stato membro dell'OPEC, è un paese che ha optato per l'industrializzazione e per l'olio di palma come modi per superare la perdita dei proventi del petrolio. Tuttavia, l'agitazione sociale non si placa e gli squilibri ecologici associati alla nuova attività accumulano la pressione popolare e di altri paesi. Senza un gestione corretta il paese potrebbe finire in una guerra civile nei prossimi anni.

La Malesia è un paese che, senza che nessuno se ne sia reso conto, ha superato questa soglia da esportatore a importatore. La aiuta il fatto di avere una popolazione ridotta e di aver scommesso su un'industrializzazione di alto valore aggiunto, che gli ha dato stabilità. E' un paese candidato a scalzare dal tavolo degli importatori qualcuno degli attuali commensali.

* * * * *


Per riassumere quello che ci fa vedere questo breve elenco, il problema di fondo è che non c'è petrolio per i nuovi importatori. I paesi che hanno raggiunto una posizione e sono importatori da molti anni hanno creato strutture politiche ed economiche destinate a perpetuare questa situazione e in una situazione di risorse in calo non c'è spazio perché i vecchi fornitori diventino indesiderabili competitori. Cosicché per la forza dei trattati ed eventualmente per quella delle armi, si farà l'impossibile per evitare di avere più commensali ad un tavolo già affollato e sempre meno guarnita. Alcuni, tuttavia, riusciranno ad entrare, facendo precipitare nell'indigenza che evitano alcuni altri paesi dell'attuale club di importatori selezionati di petrolio.

Tenendo conto di questo e sapendo che la maggioranza dei lettori sono spagnoli, è il caso di chiedersi se la Spagna sarà fra quei paesi che finiranno per cadere dal tavolo del banchetto dell'importazione petrolifera. La Spagna finirà per essere uno stato fallito? La cosa certa è che le esportazioni globali sono stagnanti o in leggera diminuzione, mentre la domanda mondiale di petrolio continua a salire (si noti che secondo le categorie di “tutti i liquidi del petrolio” che usa la BP la produzione mondiale continua a crescere, anche se il salto fra produzione e consumo è più che evidente). 


E se volete capire la gravità del problema, dopo aver visto i grafici dei paesi esportatori, guardate con attenzione quello della Spagna. Guardate la sua enorme dipendenza esterna in materia energetica e come il suo consumo di petrolio stia già colando a picco: 


La Spagna riunisce in sé molti requisiti per abbandonare la festa azitempo: poca diversificazione, alta dipendenza energetica dal petrolio (che rappresenta più del 50% dell'energia primaria e anche di quella finale consumata), un collasso industriale e dei servizi sempre più accusato e una deriva centrifuga in aumento, soprattutto in Catalogna. Forse al posto di continuare a guardare i canarini per vedere se manca ossigeno nella miniera, dovremmo cominciare a cercare noi stessi l'uscita. Non sia che alla fine chi resta senza aria respirabile siamo noi. 

Saluti.
AMT

sabato 21 settembre 2013

Sconfitta Globale: l'abbandono del piano “Petrolio nel Sottosuolo”; l'Ecuador apre il cuore della biodiversità alla perforazione petrolifera.

Da “Common Dreams”. Traduzione di MR

Il Presidente Correa: “Non era la carità che stavamo cercando dalla comunità internazionale, ma la corresponsabilità di fronte al cambiamento climatico”

Di Andrea Germanos

Una veduta del parco nazionale Yasuní. (Foto: sara y tzunky/cc/flickr)

L'Ecuador ha annunciato che sta per aprire una riserva naturale dell'Amazzonia alle perforazioni petrolifere, abbandonando così un piano di conservazione  in cui si usavano fondi internazionali per lasciare il petrolio sotto terra. La riserva, il parco nazionale Yasuní, è stato descritto come il luogo sul pianeta Terra con la più grande biodiversità ed è la dimora di diverse tribù indigene, così come di circa 900 milioni di barili di greggio pesante. “Il mondo ci ha tradito”, ha detto il Presidente Correa in un discorso televisivo giovedì. “Non era la carità della comunità internazionale quella che stavamo cercando, ma la co-responsabilità di fronte al cambiamento climatico”.

Il piano di conservazione, noto come l'iniziativa ITT, “è stato ampiamente visto come uno dei più audaci e più innovativi approcci alla conservazione in tutto il mondo”, scrive Jonathan Watts del Guardian, ed avrebbe prevenuto “a più di 400 milioni di tonnellate di biossido di carbonio di finire in atmosfera, se la metà dei 7,2 miliardi di dollari del valore della riserva possono essere raccolti dalla comunità internazionale per il 2023. Siccome l'iniziativa è stata introdotta nel 2007, sono stati raccolti soltanto 1,3 milioni di dollari. A causa di ciò, Correa ha detto di aver dovuto prendere “una delle decisioni più difficili del mio governo”.

Correa ha tentato di placare coloro che sono infuriati nei confronti dei piani di sfruttamento dei combustibili fossili di quell'area dicendo che le operazioni petrolifere colpiranno solo l'1% dello Yasuní.

Matt Finer, uno scienziato del Centro Internazionale per la Legge Ambientale che ha la sua sede negli Stati Uniti, ha detto alla Associated Press: “L'Iniziativa Yasuní-ITT era la sola eccezione all'espansione incontrollata dei progetti di idrocarburi nelle regioni più remote dell'Amazzonia occidentale. Ora, non ci sono davvero alternative praticabili per fermare l'ondata di perforazioni in programma per la regione con più biodiversità del pianeta”. Circa la metà del petrolio dell'Equatore va agli Stati Uniti. Centinaia di dimostranti si sono raccolti di fronte al palazzo presidenziale a seguito della decisione di Correa. Uno dei dimostranti era il biologo Adrian Soria, che ha detto alla Reuters, “Lo Yasuní è importante per l'umanità e, come ecuadoregni, noi possiamo fare la differenza... lo Yasuní deve essere protetto, è una cosa più importante del petrolio”.


I contrari alla decisione hanno aperto un Twitter con l'hashtag #notoquenelyasuni (Non toccate lo Yasuní), dicendo che se Correa ha abbandonato lo Yasuní, la gente dell'Ecuador non lo ha fatto.


https://twitter.com/search/?q=%23notoquenelyasuni+lang%3Aen

La decisione di abbandonare il programma di conservazione “è deludente per tutti noi ma è necessaria”, ha detto Correa. “Non prenderla andrebbe a discapito della nostra gente. La storia cvi giudicherà”.
Infatti.

* * *

Per vedere  un po' della bellezza e della biodiversità di quest'area, guardate il video del Guardian qui sotto:



venerdì 20 settembre 2013

Argentina: boom energetico o collasso energetico?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

In questo post, Pedro Prieto descrive come il Sud America, e in particolare l'Argentina, sia colpita dall'esaurimento di petrolio e gas. Un tema quasi mai menzionato nella stampa internazionale. Anche in questo caso, è impressionante vedere il divario crescente fra percezione e realtà: dalla parte della percezione, grande entusiasmo e rapporti sulla “morte del picco del petrolio”, dalla parte della realtà, una situazione di scarsità e difficoltà, come Prieto ci descrive in dettaglio riguardo all'Argentina.

Guest post di Pedro Prieto





L'Argentina è stata un'esportatrice di gas fino al 2007-2008 (principalmente verso il Cile) ed ora è un'importatrice (principalmente dalla Bolivia e da un impianto di rigassificazione a Bahía Blanca e, recentemente, Escobar)
Fonte: Energy Export Data Browser


Alla fine del ventesimo secolo, l'Argentina ha iniziato ad esportare gas in Cile. Sia l'Argentina sia il Cile credevano che l'offerta sarebbe aumentata per sempre, ma era solo un miraggio. Ho visitato il Cile, invitato dalla Compañía de Petróleos de Chile (COPEC) nel 2011. Non potevo capire perché dei veri professionisti avessero delle convinzioni del genere, quando i dati sulle riserve e sui possibili flussi del paese loro vicino erano probabilmente a loro disposizione.

Infatti, si sono imbarcati in un piano ambizioso per sviluppare oleodotti lungo le Ande per alimentare il Cile dalla rete argentina ed hanno ordinato diverse centrali elettriche a gas, per cercare di evitare o minimizzare, per esempio, il denso smog di Santiago e per altre ragioni economiche. Tuttavia, e senza nessun preavviso, l'Argentina ha ridotto le esportazioni a meno della metà. La ragione ovvia, come è visibile nelle figure sopra, è stato il ritmo di esaurimento del gas argentino e la necessità di dare priorità al loro consumo interno. Questo a lasciato il Cile, nell'arco di una notte, con infrastrutture recentemente costruite inutilizzate e con problemi difficili a soddisfare la domanda interna di energia in crescita, soprattutto di produzione di elettricità per le industrie estrattive che si aspettavano di soddisfare con le centrali a gas.

Si sono dovuti attivare in fretta per costruire un rigassificatore a Quintero e poi un altro a Mejillones. Lo hanno fatto a tempo di record, ma sicuramente ad un costo che non avevano immaginato. Ciò è coinciso con l'aumento netto del consumo di combustibile che era iniziato alla fine del secolo scorso. Avevano bisogno di firmare urgentemente contratti con armatori e fornitori di gas naturale liquefatto (per esempio il Qatar), una cosa che ha creato per loro quella che hanno chiamato la tempesta perfetta. Il Cile nel 2011 stava pagando una delle tariffe elettriche più costose del continente, in parte a causa di questo importante difetto di pianificazione.

L'Argentina ha iniziato a importare a sua volta gas alla fine dello scorso decennio. Fortunatamente per loro, avevano dei gasdotti di collegamento dalla Bolivia, un importante vicino esportatore della regione. Ci sono stati tentativi da parte cilena di ottenere un po' di gas boliviano dalla rete argentina, ma i boliviani erano molto chiari a questo riguardo: essi hanno una disputa di lungo corso sullo sbocco sul Pacifico da quando il territorio costiero boliviano è stato preso dai cileni nel 1883 nella cosiddetta guerra del Pacifico, lasciando la Bolivia senza un accesso al Pacifico. Così, i boliviani sono molto sensibili in questo senso; continuano a denunciare il Cile nelle Corti Internazionali e per questo hanno detto agli argentini che se volevano essere riforniti, nemmeno un metro cubo di gas boliviano che viene loro spedito può finire in Cile.

L'Argentina oggi produce (2012) 102 Milioni di metri cubi al giorno (Mm3/g) e ne consuma 130, importandone 28 Mm3/g (1 miliardo di piedi cubi al giorno). Le importazioni dovranno necessariamente crescere ogni anno, visto che il gas convenzionale è chiaramente in esaurimento. A meno che il gas non convenzionale possa rimpiazzare la scomparsa dei volumi del convenzionale.

Ancora una volta, i costi dell'infrastruttura per tali lunghe distanze, il potere d'acquaisto dei cittadini e i volumi richiesti saranno una sfida. I prezzi del gas in Argentina sono fortemente sussidiati, ma ogni tentativo di portarli a livello di mercato potrebbe portare a rivolte interne. I grandi paesi dell'America latina hanno problemi a creare infrastrutture: anche se quasi la metà della popolazione argentina è concentrata a Buenos Aires e nelle sue Province, molte altre città sono molto lontane dalla capitale e dai depositi di gas. Creare gasdotti è molto costoso e non sempre (come abbiamo visto prima nel caso del Cile) gratificanti, a meno che ci sia una totale sicurezza che il combustibile fluirà in volume e qualità per molto più tempo di quello necessario per ammortizzare queste costose strutture. Ciò che è valido per il gas naturale è un avvertimento anticipato di quanto accadrà col petrolio argentino. Quest'anno probabilmente vedremo la fine delle esportazioni petrolifere argentine. Poi, i problemi si moltiplicheranno esponenzialmente, se non vengono trovare risorse alternative (e alla svelta).


Fonte: Energy Export Data Browser

La crisi di cui stiamo soffrendo in alcuni paesi sviluppati dell'Europa meridionale impallidisce al confronto a quello che questo e molti altri paesi hanno sofferto per decenni. Di recente, il governo argentino ha messo al bando le esportazioni di grano. Per uno spagnolo, i cui legami con questo paese di lingua spagnola sono stretti, ciò ha dell'incredibile. Negli anni 40 del secolo scorso, l'Argentina era uno dei cinque paesi più sviluppati nel mondo e un paese creditore rispetto agli Stati Uniti e al regno Unito (a proposito, un debito che non è mai stati ripagato dalla Gran Bretagna o dagli Stati Uniti). L'Argentina è stata considerata per decenni un importante granaio mondiale. Ha alleviato parecchia fame, per esempio, in Spagna, dopo la nostra Guerra Civile, quando nel 1937 e nel 1988 ha inviato al nostro paese sotto embargo quasi un milione di tonnellate di cereali all'allora popolo spagnolo affamato.

La situazione attuale in Argentina non può essere compresa solo alla luce del debito finanziario costruito artificialmente o a quella della corruzione interna, ma anche a quella degli interessi di poteri alleati alla corruzione interna e che la promuovono per indebolire questo paese e per rovinare più facilmente le sue vaste risorse naturali e minerali, ultime delle quali sono i combustibili fossili. Il problema si aggiunge all'agricoltura e all'allevamento intensivi ed estensivi meccanizzati, che sono fortemente dipendenti da un flusso permanente di combustibili fossili. La produzione di cereali (principalmente grano e mais) è stata rimpiazzata dalla soia ed altri vegetali per la produzione di biocombustibili.

Quello che segue è un articolo recente di un quotidiano argentino sulla situazione nel paese che mostra la stretta relazione fra fornitura energetica ed il funzionamento di molti settori di una società moderna che dipende dall'energia. Un'esperienza anticipata di come le cose si degraderanno in fretta, dove dovranno essere assegnate le priorità, se devono essere imposti razionamento e restrizioni, come le retroazioni inaspettate possono distorcere le produzione, ecc., quando i paesi non saranno in grado di soddisfare un qualche minimo di fornitura energetica. Questo, per il momento, sembra essere temporaneo, ma ci sono segni crescenti che si potrebbe espandere e divenire permanente. L'ondata di freddo ha generato una mancanza di gas quasi completa nelle industrie più grandi. Le fabbriche sono state costrette dal governo a rallentare la loro produzione per assicurare la fornitura al settore residenziale.

Problemi con gli Impianti a Gas Naturale Compresso
(originale in spagnolo) 23.07.2013 ore 07:18  · Fonte: La Nación

Con l'abbassamento delle temperature è tornata una situazione classica dell'inverno argentino: mentre gli impianti termici aumentavano il loro consumo, le principali fabbriche sono state costrette a ridurre il consumo per evitare problemi nelle case. La domanda residenziale è salita a circa 95 milioni di metri cubi (3,354 milioni di piedi cubi) ieri, un un cifra record storica, secondo gli esperti. Il governo ha ordinato di ridurre la fornitura di gas al minimo al settore manifatturiero; in alcuni casi si è trattato di uno stop completo. Questa situazione durerà almeno fino a domani, Le limitazioni sul gas alle industrie hanno colpito ogni tipodi azienda: ferro, acciaio ed alluminio (Siderar, Siderca, Aluar and Acindar), petrolchimica (Profertil, Dow e Mega), automobilistica (Ford, Volkswagen e General Motors), cibo, cemento e aziende minerarie, fra le altre. Almeno 300 industrie hanno subito restrizioni importanti a livello nazionale. Le carenze non hanno colpito solo le fabbriche. La Metrogas ha riportato via mail nella prima mattinata al responsabile del centro commerciale del Caballito Village, i cui contratti istituiscono misure di interrompibilità per limitare il consumo per soddisfare la più alta domanda interna. A Bariloche, la bassa pressione ha colpito la rete di distribuzione. Fernando Sammarco, responsabile della più grande stazione di servizio della città, a Beschtedt y Brown, ha detto di essere stato avvertito un mese fa dal centro Camuzzi riguardo alla “possibilità di avere problemi di fornitura in inverno”. 

Ieri, alle 12:30, quando il fattore di raffreddamento del vento ha generato una temperatura di -14.4ºC (6.8ºF), un rappresentante dell'azienda è andato ai tre impianti di Gas Naturale Compresso con una notifica di chiusura degli impianti a “tempo indeterminato”. Ci sono stati tagli anche a La Pampa a causa dell'ondata di freddo. L'Unione Industriale di Cordoba (UIC) sembra abbia detto che a Cordoba c'erano limitazioni per più di 20 impres. L'impatto economico della carenza di gas è difficile da valutare, ma potrebbe essere sull'ordine dei milioni di dollari, secondo gli esperti del settore. A mo' di esempio della scarsità, c'è stato lo stop del complesso petrolchimico di Bahia Blanca, una delle principali fabbriche del paese. La Dow, l'industria di polietilene, ha smesso di lavorare. Non solo mancava il gas, ma anche l'etilene, un sottoprodotto fornito da Mega, che a sua volta ha subito una mancanza completa. 

Altri fabbricanti di materiali grezzi, come Cerri (TGS) e Refinor, sono stati a loro volta costretti a smettere di consumare. La Enargas (l'organo normativo del settore del gas) ha ordinato ai trasportatori di dare priorità alla fornitura alla domanda prioritaria. Il consumo di gas naturale consentito nel giorno di riferimento è stato 0 (zero) m3, “a causa della (mancanza di) iniezione di gas naturale disponibile e della rigidità del clima. La email ricevuta da un'industria del distributore Camuzzi che gestisce la parte centrale e meridionale del paese indicava “9.300 kcal”. Messaggi simili sono stati inviati da Gas Natural Fenosa e Metrogas ai loro clienti industriali. Almeno la metà dei “clienti aziendali” (che pagano di più per evitare la scarsità) hanno subito la mancanza di fornitura. Gasnor, un distributore, ha ordinato una forte riduzione dei consumi , che ha scatenato la rabbia degli stabilimenti di lavorazione dello zucchero a Tucuman e Jujuy. Le carenze sono oscillate da aziende che hanno subito un taglio totale ad altre che hanno potuto mantenere solo un “minimo tecnico”. Il settore del gas naturale non ha pubblicato le statistiche quotidiane per diversi anni. Secondo alcune fonti del settore, che conoscono il funzionamento quotidiano del sistema, la carenza media per l'industria è stata del 50%. “Le fabbriche di solito richiedono 40 milioni di m3 e ieri ne hanno ricevuti circa 20 milioni di m3”, ha detto un dirigente sotto anonimato. Il governo ha anche pagato parte dei costi energetici. Alle 17:00, il consumo ha raggiunto un picco di 19.998 MW, una cifra enorme. Le aziende produttrici, che coprono la domanda, devono rimpiazzare il gas che usano e preferiscono produrre elettricità da combustibili liquidi. La ragione è che erano disponibili solo 18 milioni di m3 di gas, solo il 60% del volume che che usano per produrre elettricità. Il resto è stato coperto da combustibili liquidi più costosi, pagati dallo Stato. 

Ora possiamo capire come la disperazione possa fare di necessità virtù e l'interesse a sviluppare ogni possibilità riguardo al non convenzionale. Il deposito di scisto di Vaca Muerta nel Bacino di Neuquen in Patagonia, a 1.200 km da Buenos Aires e circa 500 km dal più vicino porto sull'Atlantico, è l'ultima speranza. La Repsol-YPF ha cominciato ad esplorare quest'area nel 2010 ed ha perforato circa 30 pozzi producendo 5.000 barili al giorni. Nel maggio 2012, la YPF è stata espropriata (nazionalizzata) di nuovo dal governo argentino.

Non è chiaro se l'annuncio ufficiale della scoperta fatta da Repsol, di questi enormi depositi (novembre 2011) poco dopo l'espropriazione/nazionalizzazione di YPF, fosse una notifica asettica di un giacimento o se fosse più dovuto al bisogno di far aumentare le loro azioni in ribasso. In questi giorni, la bolla del gas di scisto e del petrolio di scisto negli Stati Uniti ha avuto un numero crescente di credenti e potenziali investitori. I valori delle riserve in questi depositi dichiarati da Repsol/YPF, e quindi dai media, spaziano in una forbice ampia. Probabilmente questo è dovuto alla grande, e spesso interessata, confusione fra riserve e risorse, ed anche ai tipi di scisto (o marne) dichiarati, alle profondità e al contenuto di carbonio. Il gas e il petrolio “tecnicamente estraibili” sono un altro nome del gioco. Essi sono stati gonfiati ed elevati al terzo deposito più grande di petrolio da scisto nel mondo.

Inizialmente valutato come vicino a un miliardo di barili di riserve provate, da allora è stato aumentato a 12 miliardi di barili in risorse di petrolio potenziale e 21 miliardi di barili di petrolio equivalente di gas. In ogni caso, nei primi comunicati stampa di Repsol-YPF sul grande potenziale di Vaca Muerta, il governo argentino ha “comprato” il ragionamento di riserve gigantesche ed ha proceduto all'espropriazione/rinazionalizzazione di YPF, probabilmente più per ragioni politiche e finanziarie e per cercare di guadagnare in popolarità che per un ragionevole impianto sostitutivo, nel momento dell'esaurimento delle loro riserve convenzionali.

Più di un anno dopo l'espropriazione/rinazionalizzazione, il governo argentino sta ancora lottando con le dichiarazioni di Repsol nelle corti nazionali ed internazionali ed anche per la mancanza di un finanziamento adeguato. Potrebbe sembrare che un anno non sia nulla (in effetti non è nulla!) per sviluppare giacimenti di petrolio o di gas, ma per l'Argentina potrebbe rappresentare l'anno in cui sono passati da esportatori ad importatori di petrolio, il che potrebbe portare sconvolgimenti politici, economici e sociali proprio come sta avvenendo ora in Egitto.

Un altro problema per i depositi di scisto è che la domanda di finanziamenti cresce ad un ritmo molto più rapido di quello in cui il petrolio o il gas fluiscono dallo scisto. La Repsol-YPF hanno fatto l'annuncio e, subito dopo, ha valutato le proprie necessità di investimento per sviluppare Vaca Muerta in circa 25 miliardi di dollari all'anno nei primi 10 anni. I negoziati sono stati tenuti con investitori cinesi, ma apparentemente senza risultati. Potrebbe essere successo che i cinesi non si siano bevuti il miracolo degli scisti e forse hanno richiesto che le garanzie fossero più in linea con la necessità di assicurare grandi produzioni di soia in enormi fattorie in monocoltura nelle terre fertili che mancano loro in Cina, piuttosto che accettare di essere pagati con una porzione del petrolio e del gas estratti.

Oggi, lo sviluppo di Vaca Muerta è ancora al palo. Molte grandi multinazionali dell'energia appaiono e scompaiono per negoziare con la YPF e il disperato governo argentino che ci sta dietro. E facile percepire che molti offriranno sofisticate apparecchiature per perforazioni orizzontali, sofisticati compressori e sistemi di pompaggio, generatori autonomi, servizi di consulenza, know-how o sofisticati (e tossici) cocktail chimici sotto copyright. Naturalmente, come in molti degli affari sullo scisto, questi attori non aspettano che il petrolio e il gas venga estratto e venduto per avere indietro i propri soldi.

La Repsol sta ancora cercando di difendere i suoi interessi espropriati lì e minaccia non solo il governo argentino, ma anche qualsiasi altra multinazionale che osi entrare in affari con la propria azienda, ora nazionalizzata, YPF. Naturalmente, la dimensione e la capacità di lobbying di Repsol di fronte alle corti o alle istanze (per esempio il FMI), non è di grande preoccupazione per multinazionali energetiche molto più grandi. Inoltre, Vaca Muerta non ha infrastrutture di nessun genere. Tubazioni per l'acqua, per il gas e per il petrolio dovranno essere costruite dal nulla e coprire lunghe distanze, in molti casi, ed avere stazioni di pompaggio lungo il percorso. Saranno necessarie raffinerie e unità di elaborazione. Persino le strade dell'area, se esistono (molto, molto poche) sono fatte di “ripio” (strade bianche) e saranno distrutte rapidamente dall'enorme quantità di mezzi pesanti a seguito del circo mobile rappresentato dai giochi di estrazione dallo scisto, che va avanti pozzo dopo pozzo nel giro di pochi mesi.

Nel maggio del 2013, la YPF e la Chevron hanno annunciato un accordo per cominciare a sviluppare Vaca Muerta. Il secondo è stato denunciato a Washington da Repsol. In ogni caso, siamo già nel 2013, l'anno chiave per l'Argentina per passare da esportatrice a importatrice di petrolio e ciò che hanno firmato è un investimento di 1,2 miliardi di dollari che potrebbero alla fine diventare 12 miliardi di dollari nel 2015. Altre autorizzazioni vengono date ad aziende come Pluspetrol, PAE, Exxon, Apache e Shell, ma il conteggio totale degli impianti nell'area è solo di poche decine. La produzione di petrolio nella regione, tre anni dopo aver iniziato lo sfruttamento, è di poche migliaia di barili al giorno.

Per un paese che ha consumato 612.000 barili e ne ha prodotti 664.000 nel 2012, ma che ne produceva 900 di petrolio fondamentalmente convenzionale nel 2003 (con un declino quindi del 3% annuo), ha bisogno disperatamente di un miracolo. Gli investitori stranieri, se mai ci sono, vorranno prima vedere come recuperare il loro investimento e poi potranno soddisfare la domanda interna di petrolio e gas. Data la struttura finanziaria dei principali investitori nelle partite di scisto “di successo” nei super sviluppati Stati Uniti, potrebbero volerci molti, molti anni prima che questo avvenga. Dev'essere molto interessante analizzare le clausole scritte  molto sottili nei contratti per le garanzie richieste all'Argentina da parte degli investitori stranieri. Probabilmente nulla di nuovo: più debito contro non solo petrolio e gas futuri, ma anche altri preziosi beni naturali, come l'agricoltura, i minerali o la pesca.  

Niente di nuovo.