domenica 22 settembre 2013

La bancarotta petrolifera

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR.


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

qualche giorno fa Gail Tverberg ha scritto un post inquietante nel suo blog “Our Finite World”. Analizzava il conflitto siriano dal punto di vista della scarsità di risorse naturali e anche se è ovvio che il conflitto dipende da numerosi altri fattori, il problema delle risorse ha a sua volta un ruolo. Alla fine dei conti la Siria è passata nel 2012 dall'essere un paese esportatore a importatore di petrolio, con un'importante crollo dei consumi, come mostra questo grafico preso dal post di Gail (grafico elaborato con dati della EIA e del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti).


In alcuni dibattiti si indica la struttura della bilancia commerciale siriana per spiegare l'esplosione delle grandi rivolte attualmente in corso. Ma, come indica Gail, questo è proprio il risultato della diminuzione dei proventi del petrolio. Una delle conseguenze di questi squilibri fiscali è che il prezzo locale del grano è raddoppiato dal 2010 al 2011 (in parte a causa della siccità in Siria e in parte per la riduzione drastica dei sussidi statali, necessari per compensare la diminuzione dei proventi del petrolio). E' ovvio che se cominciano a scarseggiare gli alimenti o diventano troppo cari per la popolazione, lo scoppio di un conflitto interno è abbastanza probabile. 

Che la pura e semplice fame originata direttamente dal declini energetico abbia un ruolo rilevante nel caso del conflitto non è una sorpresa per il lettore di questo blog. Più di due anni fa mostravamo già che la vera ragione della Primavera Araba non è stata Facebook ma il pane, da poco abbiamo discusso il caso concreto dell'Egitto. Anche Gail illustra il parallelismo fra Egitto e Siria per quanto riguarda la produzione di petrolio. 


Quali saranno i nuovi stati a fallire dopo l'Egitto e la Siria? Gail indica un candidato sicuro: lo Yemen, del quale si è parlato numerose volte in questo blog come di una vera e propria bomba ad orologeria e da quello che mostra il grafico sta proprio per esplodere.


Altri canarini nella miniera (espressione introdotta da Darío Ruarte in questo blog) possono essere identificati con l'aiuto del sito Flussi di Energia - Flujos de Energía. Bisogna essere cauti nel fare questo esercizio, visto che anche se si possa ipotizzare che alcuni paesi smetteranno presto di importare, non è immediato desumere che entrino in guerre civili (per esempio il Regno Unito ha smesso di esportare nel 2005 e sembra ancora un paese abbastanza stabile). Dipenderà soprattutto dalla struttura della propria bilancia commerciale e dei suoi deficit interni: tanto più dipendente dal petrolio e meno diversificazione abbia il paese, più è probabile sarà che quello Stato finisca per fallire (la qual cosa sembra andare per mano con l'avere uno stato autoritario, visto che non permette alle sue industrie di svilupparsi per competere col potenziale esportatore: in essenza sono repubbliche delle banane). 

Vediamo quali sono i paesi esportatori di petrolio che con maggior probabilità vivranno dei problemi durante il prossimo decennio. La relazione non pretende di essere esaustiva, ma di mostrare come il problema sia più esteso di quanto la gente pensi e come viviamo in un mondo profondamente instabile, che cambierà il proprio volto in modo per alcuni insospettabili in un pugno di anni:

America:


Il Messico è un paese che ha superato il proprio picco nel 2005 e dove le esportazioni stanno diminuendo ad un ritmo allarmante. Anche se il Messico è una potenza regionale e un paese con molte possibilità, superare la prevedibile sparizione dei proventi petroliferi prima del 2020 richiederebbe un grande sforzo. 


La produzione petrolifera in Ecuador è molto modesta, ma il paese è abbastanza povero e la scomparsa dei proventi del petrolio forse prima del 2020 originerà senza dubbio gravi tensioni.


Membro dell'OPEC ed esportatore significativo, il Venezuela si trova già nella fase di declino rapido dei propri proventi del petrolio, nonostante lo sfruttamento dei greggi pesanti della Fascia del Orinoco. Anche se probabilmente il paese continuerà ad esportare petrolio dopo il 2020, è socialmente più convulso di altri paesi e la diminuzione dei proventi possono destabilizzarlo, al punto che la produzione potrebbe decadere più rapidamente di quanto sperato (notate i ripetuti scioperi nel settore petrolifero), Tuttavia, il Venezuela dispone di ingenti risorse di petrolio pesante e con una buona gestione il paese potrebbe mantenere una produzione elevata per decenni. 


E se nel caso dei paesi menzionati precedentemente i problemi si pongono nel futuro, l'Argentina è già lì, nel momento critico di non poter più esportare. Abbiamo già parlato molto della situazione di questo paese su questo blog. E' ovvio che non sono state fatte le riforme che mancavano e la popolazione vien addormentata con un discorso di futura abbondanza petrolifera basata sullo shale di Vaca Muerta che, come sappiamo è un inganno assoluto. Ci resta solo di augurare la migliore delle sorti ai nostri fratelli di oltremare.

Medio Oriente:


L'Iran sta entrando nel tritacarne. Le sue esportazioni calano a picco e il su petrolio, di qualità sempre peggiore, viene accettato da meno paesi, al punto che neanche lo stesso Iran può usarlo e deve importare la benzina che usa. Il paese è una bomba malthusiana perfetta, come l'Egitto: popolazione in maggioranza molto giovane, molto popolato e con proventi del petrolio in rapido decadimento. L'Iran potrebbe subire un collasso prima che finisca questo decennio. Forse questo spiega i suoi interessi nei confronti dell'energia nucleare civile, oltre alle questioni di armamenti. 

Africa:


L'Algeria presenta molte caratteristiche in comune coi paesi che sembrano destinati a un collasso: troppo popolata per la sua scarsa capacità di carico e fortemente dipendente dai proventi del petrolio che stanno già diminuendo. I problemi seri in Algeria non si attendo fino alla fine di questo decennio, anche se la situazione si andrà facendo progressivamente più tesa.


La Nigeria è uno dei grandi produttori africani. La BP non dispone di dati sul suo consumo interno, ma vediamo chiaramente una certa stagnazione e una tendenza alla diminuzione della produzione. La Nigeria è un paese molto popolato e con un'altissima densità di popolazione, molto giovane. Soprattutto, in una delle zone petrolifere più produttive, il Delta del Niger, opera un gruppo armato che rivendica i diritti della popolazione locale di fronte a un governo che con frequenza la calpesta e calpesta il suo ambiente a difesa delle grandi compagnie petrolifere che lì operano. Paese a grave rischio di collasso durante questo decennio. 

Asia:


L'Indonesia, che è stato membro dell'OPEC, è un paese che ha optato per l'industrializzazione e per l'olio di palma come modi per superare la perdita dei proventi del petrolio. Tuttavia, l'agitazione sociale non si placa e gli squilibri ecologici associati alla nuova attività accumulano la pressione popolare e di altri paesi. Senza un gestione corretta il paese potrebbe finire in una guerra civile nei prossimi anni.

La Malesia è un paese che, senza che nessuno se ne sia reso conto, ha superato questa soglia da esportatore a importatore. La aiuta il fatto di avere una popolazione ridotta e di aver scommesso su un'industrializzazione di alto valore aggiunto, che gli ha dato stabilità. E' un paese candidato a scalzare dal tavolo degli importatori qualcuno degli attuali commensali.

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Per riassumere quello che ci fa vedere questo breve elenco, il problema di fondo è che non c'è petrolio per i nuovi importatori. I paesi che hanno raggiunto una posizione e sono importatori da molti anni hanno creato strutture politiche ed economiche destinate a perpetuare questa situazione e in una situazione di risorse in calo non c'è spazio perché i vecchi fornitori diventino indesiderabili competitori. Cosicché per la forza dei trattati ed eventualmente per quella delle armi, si farà l'impossibile per evitare di avere più commensali ad un tavolo già affollato e sempre meno guarnita. Alcuni, tuttavia, riusciranno ad entrare, facendo precipitare nell'indigenza che evitano alcuni altri paesi dell'attuale club di importatori selezionati di petrolio.

Tenendo conto di questo e sapendo che la maggioranza dei lettori sono spagnoli, è il caso di chiedersi se la Spagna sarà fra quei paesi che finiranno per cadere dal tavolo del banchetto dell'importazione petrolifera. La Spagna finirà per essere uno stato fallito? La cosa certa è che le esportazioni globali sono stagnanti o in leggera diminuzione, mentre la domanda mondiale di petrolio continua a salire (si noti che secondo le categorie di “tutti i liquidi del petrolio” che usa la BP la produzione mondiale continua a crescere, anche se il salto fra produzione e consumo è più che evidente). 


E se volete capire la gravità del problema, dopo aver visto i grafici dei paesi esportatori, guardate con attenzione quello della Spagna. Guardate la sua enorme dipendenza esterna in materia energetica e come il suo consumo di petrolio stia già colando a picco: 


La Spagna riunisce in sé molti requisiti per abbandonare la festa azitempo: poca diversificazione, alta dipendenza energetica dal petrolio (che rappresenta più del 50% dell'energia primaria e anche di quella finale consumata), un collasso industriale e dei servizi sempre più accusato e una deriva centrifuga in aumento, soprattutto in Catalogna. Forse al posto di continuare a guardare i canarini per vedere se manca ossigeno nella miniera, dovremmo cominciare a cercare noi stessi l'uscita. Non sia che alla fine chi resta senza aria respirabile siamo noi. 

Saluti.
AMT