martedì 16 luglio 2013

Un futuro incerto (VII): la nuova Firenze

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Subito dopo aver adottato Margueritte, Gianni cominciò il progetto del primo impianto pilota. Per la sua localizzazione scelse un piccolo appezzamento che era stato di proprietà di Strauss. Quando accettò l'eredità, quell'appezzamento gli parve un'eccentricità del vecchio professore: si trattava di mezzo ettaro, poco produttivi dal punto di vista agricolo, in una zona petrosa e vicina a Zurigo. Non era frutto di una eredità precedente, come poté verificare nelle carte di registrazione: Strauss l'aveva acquisita prima della morte di sua moglie. Ma quando Gianni cominciò a cercare un luogo idoneo per l'impianto pilota, con le magre risorse di cui disponeva, si rese conto che quell'appezzamento riuniva in sé una serie di caratteristiche estremamente idonee per la generazione con la nuova tecnologia (che battezzò SPEG, acronimo di Strauss Palermo Energy Generation). Era tanto appropriata per quello scopo, che Gianni non aveva alcun dubbio sul fatto che Strauss avesse passato mesi a cercare una posizione così idonea e, da quello che vide nel registro di proprietà, l'aveva pagata generosamente... per non metterci mai piede in vita sua.  

Ottenere i materiali per l'impianto non era facile. Le forniture scarseggiavano ed erano care. Gianni dovette fare un grosso investimento di tasca propria perché il lavori procedessero e passava continuamente da lì per supervisionare i lavori. Qualche strumento chiave lo prese in prestito dal laboratorio, con la scusa di fare misure sul campo. Tale modo di procedere si sposava talmente poco con la mentalità tedesca di Zurigo che nessuno immaginava quello che stesse facendo in quanto il suo comportamento era inconcepibile, ma, fortunatamente per Palermo, egli era mediterraneo e gli risultava del tutto concepibile agire così, anche se lo faceva non senza sospetti. Sapeva di farlo per il bene superiore per la Svizzera e per l'Umanità, ma anche così il suo margine di manovra era limitato: se se si fosse saputo che stava utilizzando materiale del laboratorio per un progetto personale lo avrebbero espulso dall'università senza pensarci su. 

La costruzione dell'impianto pilota non era, tuttavia, la sua sola preoccupazione. Adottare Margueritte fu un gesto nobile d parte sua, ma nonostante il suo carattere previdente, il professor Palermo non aveva previsto che accudire una bambina, per quanto fosse già un po' cresciuta, implicava un certo carico di lavoro addizionale. Per esempio, la bambina doveva andare a scuola. Gianni la iscrisse alla scuola che dipendeva dal liceo che dipendeva dalla sua stessa università. La sistemazione era molto conveniente perché l'educazione era di grande qualità e per i professori di quell'università l'iscrizione era praticamente gratuita. Margueritte non era mai andata a scuola e sapeva appena leggere, tanto meno in tedesco, quindi ogni sera doveva ripassare per ore i suoi compiti con Gianni, che per lei ridusse le sue ore di sevizi sociali. Margueritte aveva una mente sveglia e con l'aiuto di Gianni riuscì a raggiungere i suoi compagni di scuola nel giro di un paio di anni di scolarizzazione. Ma l'arrivo di Margueritte comportava anche tanti impegni domestici fondamentali, per esempio preparare colazione e cena in orari decenti. Gianni lavorava senza sosta in laboratorio e al montaggio dell'impianto pilota e fra queste e le ore di studio con Mergueritte non gli bastava il tempo. Poté risolvere questa cosa pagando una governante (il suo stipendio ed alcuni piccolo progetti industriali che faceva su incarico dell'università facevano sì che se lo potesse permettere; “il mio lavoro all'Università ha un buon EROEI”, pensava a volte ironicamente). Ma, più importante, avere la bambina in casa lo obbligava a condividere il proprio spazio vitale, dopo tanti anni vissuti in solitudine. Perché Margueritte occupò progressivamente una parte sempre più grande nella vita di Gianni. All'inizio la bambina era abbastanza sospettosa, anche se trattò Gianni sempre con correttezza, ma nella misura in cui prendeva confidenza col suo padre adottivo, gli faceva sempre più domande e Gianni, che aveva una vocazione pedagogica, vide in lei l'allieva perfetta da plasmare sin dall'infanzia, anche se gli servì tempo per capire che una bambina di otto anni ha i suoi tempi di apprendimento, che doveva alternare il gioco ad altre attività. La cosa che cambiò di più la vita di Gianni fu, appunto, di dover partecipare (o di provarci) ai giochi della sua nuova pupilla, impresa che gli risultava ingrata, considerandola una perdita di tempo, ma che si impose compiere e che col tempo sarebbe arrivato a gradire.  

La bambina non faceva vedere molto della propria vita precedente. A volte Gianni la vedeva piangere in qualche angolo della casa senza che potesse conoscerne il motivo. Ma Gianni, timidamente, non osava disturbarla in quei momenti. Finché un giorno, uscendo a sistemare il giardino come ogni martedì e giovedì, la incontrò che piangeva di fianco al pozzo e, commosso da quelle lacrime infantili, le chiese il perché di quel pianto. Lei gli risposa che le mancava suo padre e, soprattutto, sua madre. Gianni sentì lo stesso dolore di quel giorno in cui la raccolse dalla strada. Allora le spiegò l'origine della casa, di come il professor Strauss si era preso cura del giardino di sua moglie quando questa morì e di come Gianni si faceva carico dello stesso giardino, ora che entrambi erano morti. 

- In qualche modo – le disse Gianni – gli Strauss continuano a vivere qui perché noi curiamo il loro giardino. Essi mi hanno dato ciò di cui avevo bisogno ed io mantengo vivo il loro ricordo. Tu puoi fare la stessa cosa: mantenere vivo qui il ricordo dei tuoi genitori. C'era un fiore particolare che piaceva a tua madre?

- Le rose – disse Margueritte, asciugandosi le lacrime col palmo della mano. 

- Molto bene. Allora andremo oggi stesso a comprare delle belle rose  che pianteremo in quell'angolo laggiù.

- Credo – disse Margueritte – che stiano meglio da questo lato del pozzo. 

- Come desideri, piccola. 

Dopo quel giorno, Margueritte dedicava le sue ore al di fuori della scuola e dei compiti a casa a prendersi cura del giardino. Visto che Wilhelm Strauss si era preso cura del giardino della sua defunta sposa come colui che esegue una strategia militare, con precisione ma senza armonia, Palermo aveva seguito semplicemente un protocollo scrupoloso, assicurandosi che ogni tipo di pianta avesse le condizioni di umidità e di nutrienti adeguati e che le erbacce e gli insetti non le infestassero. Ma Margueritte introdusse il sentimento in quel giardino; più che un prodotto standardizzato e agghindato, la bambina fece del giardino una spazio armonioso ed un angolo di pace e allegria. Un giorno, tornato particolarmente stanco per aver cercato di risolvere alcuni problemi all'impianto, Gianni si sedette un po' sotto il portico di casa che dava sul giardino e rimase meravigliato nel vedere in cosa lo aveva trasformato Margueritte in pochi mesi. La bambina gli si avvicinò sorridente e cominciò a parlare dei suoi progetti per i gladioli, le sempreverdi, gli arbusti da siepe e per tante altre cose che Gianni fu incapace di sentire, ma guardava la sua pupilla bagnata dalla luce del tramonto come se vedesse un angelo nel paradiso terrestre che aveva creato in quel fazzoletto di terra. 

Gianni impiegò quindici mesi di sforzi, grandi investimenti e agitazione per terminare il primo impianto SMEG. Durante quei mesi, Gianni dubitò molte volte del fatto che fosse sensato impegnarsi in quell'impresa senza poter contare su ulteriori investimenti, ma per lui era importante mantenere sempre il controllo della tecnologia: senza controllo, gli uomini si sarebbero lanciati in una nuova folle corsa alla distruzione del mondo, e stavolta ci sarebbero riusciti. Ma fare le cose in questo modo comprometteva il patrimonio di Gianni, il che non lo preoccupava particolarmente, considerando quante volte era stato sul punto di perdere molto più di questo. Tuttavia, per la prima volta in vita sua aveva altra gente a suo carico. C'erano Colette e i suoi figli, che ancora erano troppo giovani per lavorare, in un paese nuovo che cercava ancora di trovare un suo equilibrio e che a volte entrava in guerra (per fortuna risolte in poche scaramucce) con quella che un tempo era stata la Francia. Ma quei pochi mesi di tintinnio di spade erano stati fatali per l'economia della vedova del Generale Rosi, visto che Gianni non aveva un modo sicuro di farle arrivare il denaro. E dall'altra parte c'era Margueritte. La vedeva tanto felice nella sua nuova casa e a scuola, ma soprattutto in quel frutteto in cui aveva convertito il giardino. Gianni avrebbe potuto subire tutte le umiliazioni del caso, ma non poteva permettere che quella bellissima bambina tornasse nel flusso dal quale l'aveva salvata. Quindi Gianni non poteva permettersi di sbagliare stavolta. 

E non sbagliò. L'impianto SPEG entrò finalmente in funzione, giusto prima dell'inverno di quell'anno. Alla sua inaugurazione invitò le alte cariche del Ministero dell'Educazione Superiore e della Ricerca e del Ministero dell'Industria. E al dimostrazione fu un successo. Gianni aveva paura che qualcuno pensasse che cercava di fare metter in piedi una nuova truffa come quella dei tremogeneratori di Tesla, ma si rese conto che, curiosamente, molta gente non si rendeva nemmeno conto che quello che aveva fatto in Francia era una truffa. Dopotutto, anche in Svizzera la gente era piuttosto ignorante, perlomeno negli aspetti tecnici fondamentali per il suo futuro.

La nuova fonte di energia rinnovabile aveva un rendimento eccellente e poteva essere sfruttata direttamente sia come fonte di calore, sia per produrre forza meccanica o persino, collegata ad un alternatore, per generare elettricità. Gianni spiegò che, scarseggiando materiali fondamentali come il rame (la maggior parte del rame proveniva dal riciclaggio, realizzato penosamente a mano, visto che il commercio internazionale era da tempo un vago ricordo del passato e non c'erano miniere di rame in Europa degne di essere sfruttate), non era conveniente concentrarsi nella generazione di elettricità. Inoltre, la conversione di energia meccanica in elettricità implicava perdite maggiori del 20%, alle quali si sarebbero dovute aggiungere un 20% in più per perdite di trasformazione e trasporto. Pertanto, egli consigliava di cercare di sfruttare il potenziale meccanico diretto: se anziché produrre e trasportare elettricità per il suo uso in fabbriche lontane si fossero installate fabbriche di fianco alla centrale e queste avessero preso l'energia meccanica direttamente mediante pulegge, cinghie e sistemi di trasmissione, si sarebbe potuto avere uno sfruttamento pari a quasi il 100% dell'energia generata dall'impianto PLEG. 

- E' il Secondo Principio della Termodinamica – spiegava Palermo – voi lo avrete generalmente sentito formulare come principio di aumento dell'entropia, ma si può anche intendere come una legge di pedaggio energetico. Cioè, ogni volta che c'è una trasformazione di energia di un tipo – meccanica, termica, elettrica – in un tipo diverso, si deve pagare un pedaggio e questo pedaggio è tanto più grande quanto più diversi siano fra loro i due tipi. Per esempio, collegare una cinghia a questa turbina rotante per azionare quella macchina è molto efficiente, poiché trasformo movimento meccanico in movimento meccanico. Ma se uso vapore acqueo per azionare la turbina, l'efficienza si riduce al 50% e se voglio prima generare elettricità rimane un miserabile 35%. 

Le autorità annuivano, senza in realtà capire nulla, ma erano soddisfatte da Ciò che sembrava essere la fine della scarsità energetica. 

Il primo impianto di Gianni palermo ebbe un grande successo commerciale. I ricchi volevano elettricità, le fabbriche forza meccanica e le case calore per cucinare e per il riscaldamento. La potenza dell'impianto era tale che riusciva a soddisfare gran parte di Zurigo da solo, anche se dovettero installare alcune condutture nuove a riutilizzarne di vecchie. Coi benefici del primo mese di sfruttamento, Gianni poté restituire il materiale che aveva sottratto dal laboratorio e persino fare una generosa donazione all'Università, per cui tornò a respirare sereno. 


I residui di energia del primo impianto SPEG erano talmente tanti che Gianni accoppiò uno stabilimento per la sintesi di fibra di carbonio e di grafene, con l'aiuto dei migliori specialisti della sua università. La fibra di carbonio, materiale leggero e resistente, rendeva più facile la costruzione del secondo impianto, mente il grafene permetteva di migliorare enormemente la conduttività elettrica di certi elementi chiave. Entrambi i materiali erano molto costosi energeticamente, con pochissima exergia – specialmente il grafene – ma avevano il vantaggio di poter essere sintetizzati a partire dal carbonio abbondantissimo dell'atmosfera. Se gli impianti SPEG si estendono, pensò Gianni, si potrebbe persino ottenere una riduzione dei livelli di CO2 nell'atmosfera e fermare il processo di riscaldamento globale. Tuttavia, ci sarebbero voluti decenni per arrivare a produrre una diminuzione percettibile. Dall'altro lato, la sintesi del grafene era talmente costosa, anche con le migliori tecniche disponibili, che il suo uso doveva essere ristretto ad applicazioni nelle quali dimostrasse che l'energia necessaria per la sua sintesi fosse minore del risparmio di energia dato dal suo uso, il che  non avveniva tanto di frequente. 

In un tempo record di sei mesi, il secondo impianto fu pronto a partire. Fatto in fibra di carbonio, era più leggero, efficiente e funzionale. Gianni cominciò a guadagnare molto denaro e ad essere un uomo molto popolare in Svizzera, gli cominciarono a piovere offerte per installare nuovi impianti in tutto il territorio elvetico. Gianni preparava da mesi un piano di reindustrializzazione bilanciata della Svizzera e con il gende potenziale che aveva nelle sue mani cominciò a metterlo in pratica. Il suo sistema era semplice: per prima cosa, impianti SPEG di alta capacità in fibra di carbonio  e con elementi di grafene per le unità di trasformazione elettrica più esigenti, poi, una nuova fabbrica di fibra di carbonio e grafene: E, infine, favorire l'insediamento di fabbriche adiacenti che sfruttavano l'abbondaza di energia e materiali. Un impianto in ogni città, due se questa era grande. Con questo piano in testa, Gianni cominciò l'espansione e coi sui avanzamenti guadagnava sempre più soldi. Soldi. 

- Alla fine dei conti – spiegava a Margueritte mentre tornavano a casa da scuola – i soldi sono solo monete, un simbolo, una rappresentazione delle eccedenze di energia di adesso convertiti in energia immagazzinata, ma solo virtualmente, simbolicamente. 

- Non capisco, Gianni – la bambina lo chiamava sempre per nome. 

- Guarda – e tirò fuori un franco svizzero dalla tasca – diciamo che un franco svizzero equivale, diciamo, a mille kilocalorie – e perché la bambina capisse disse – all'energia che ci da una pagnotta di pane. 
- E' vero – disse Margueritte – nella panetteria della parte bassa di Zurigo ti vendono pagnotte di pane per un franco. 

- Giusto. Quindi, ora cos'ho io in banca, un milione di franchi? Vale a dire, mille milioni di kilocalorie, un miliardo di kilocalorie. Ma non ho necessità di usare tutta questa energia, è come un milione di pagnotte di pane! - Gianni si divertiva vedendo il sorriso di Margueritte che immaginava quasta montagna di pane – Così cedo tutta questa energia ad altra gente che ne ha bisogno ora e loro in cambio mi danno tutti questi biglietti. Ogni biglietto è un valore, un impegno delle persone che me li danno, in realtà la Banca Svizzera, per cui quando io avrò bisogno di tutta questa energia che al momento mi avanza, qualcuno me la darà, grazie sempre alla mediazione della Banca Svizzera. Così abbiamo tutti ciò che vogliamo quando ci serve. Vedi che bella cosa? Ma c'è un problema in tutto questo sistema. Sai qual è?

Margueritte fece cenno di no con la testa.

- Bene, si presuppone che quando io la richieda avrò tutta l'energia che voglio. Il che è un problema se io accumulo sempre più biglietti, se la gente mi paga per tutto quello che posso dargli, perché se un giorno reclamo la mia energia tutta insieme (per esempio, perché voglio costruire un palazzo) – e Margueritte sorrise di nuovo, si immaginava, probabilmente, come una principessa in una palazzo e l'idea fece ridere anche Gianni – potremmo trovarci col fatto che non mi possono pagare o che, per pagarmi, tutta la gente dovrebbe smettere di fare ciò che stavano facendo per pagarmi... compreso smettere di mangiare!

Margueritte si portò la mano alla bocca fra il divertito e lo scandalizzato. 

- Questa sembra una barbarie, in realtà è accaduto davvero, per fortuna molto prima che tu nascessi, Margueritte, L'uomo aveva costruito un sistema molto efficiente, che creò molta ricchezza in questa parte del mondo (anche se in altre morivano di fame), ma che aveva bisogno di disporre di molta energia. Peggio ancora, il sistema aveva bisogno di sempre più energia, perché non abbiamo pensato a niente di meglio che chiedere che per lasciare l'energia che ci avanzava ce ne dovessero restituire ancora di più. E più. E più. Alla fine i nostri buoni sull'energia che qualcuno avrebbe dovuto pagare rappresentavano una quantità di molte volte maggiore dell'energia disponibile nel mondo. E se questo non fosse sufficientemente sbagliato, successe che un giorno le fonti di energia che alimentavano la nostra società cominciarono a dare sempre meno energia. 

Margueritte lo guardava stupita. 

- E per quale motivo, Gianni? Perché all'improvviso quelle fonti davano meno energia?

- Be – continuò la sua peripatetica lezione – in realtà non fu all'improvviso. In realtà c'erano stati molti segni e molti scienziati, come me, avevano avvertito molte volte di questo problema. Risulta che le fonti che sfruttavamo erano, come si dice, “non rinnovabili”: Cioè, che si usano una volta e poi non ci sono più. Erano sostanze che si possono bruciare, che si sono formate in epoche antichissime, quando la Terra era giovane: petrolio, carbone, gas uranio... quelle cose che hai studiato nei libri di Storia. Ce ne sono ancora; di fatto si producono ancora molte di quelle cose, ma i problemi cominciarono non quando finirono petrolio, carbone gas naturale e uranio (perché non si sono esauriti né si esauriranno per secoli), ma quando la loro produzione non ha potuto continuare ad aumentare e cominciò a diminuire.  

- E perché non si è potuto continuare ad aumentare la quantità di petrolio o carbone che estraevamo? Non potevano semplicemente mettere più persone a scavare, o usare macchina più grandi?

- In realtà Margueritte – e qui Gianni sorrise maliziosamente, visto che era arrivato al punto di cui voleva parlare – arrivò il momento in cui il petrolio che rimaneva era più nascosto, più disperso, più profondo... e per estrarlo si doveva spendere più energia di quella che ci dava indietro il petrolio estratto. 

- Be', questo non ha senso. Avremmo perso energia, ma abbiamo bisogno di energia visto che è questa che muove le macchine e tutta la società. 


- Infatti! - disse un Gianni Palermo esultante – e per questo in un determinato momento dovremo lasciare che i giacimenti di petrolio, gas, uranio e carbone... diano sempre meno, perché non conviene più ampliarli. 

- E' logico – disse pensierosa Margueritte. 

- E' Logico – ripeté Gianni – ma non puoi immaginare quanto ci volle a farlo capire alla gente. C'era molta gente che pensava che fosse solo questione di spendere più soldi, senza capire che i soldi non erano l'energia per aprire i pozzi o scavare le miniere, ma un buono per quell'energia. E anche quando si cominciò a vedere che l'energia era troppo cara, si fecero ancora molte follie; si sfruttarono le sabbie bituminose del Canada, il gas e il petrolio di scisto, l'uranio dai fosfati...

Margueritte aveva la faccia di chi non capiva di cosa stesse parlando. Gianni comprese che la lezione di quel giorno doveva volgere al termine. 

- Riassumendo – disse Gianni, abbassando lo sguardo e la voce – non capivamo che non ci sarebbe stata sufficiente energia per poter mantenere un sistema sempre crescente e quando mancò in Europa (altre nazioni più potenti poterono conservare la loro parte), la gente che aveva molti soldi chiese di essere pagata anche se in quel modo condannava alla rovina e alla fame i propri simili. Molta gente rimase senza lavoro, senza casa, senza cibo... senza futuro. La società impazzì e all'improvviso ci diedero la colpa di tutto, fra gli altri a noi scienziati.  

- Non è giusto – disse Margueritte, determinata – Questo non succederà di nuova, vero Gianni? - e lo guardò coi suoi occhi grandi, supplichevoli. 

- No – disse Gianni – Non se posso evitarlo. 

Se c'era qualcosa che Gianni temeva era che, in nome del progresso e della crescita economica, l'Umanità tornasse a cadere negli stessi errori e che questa volta i problemi che avrebbe causato non si sarebbero potuti risolvere. Il Governo svizzero gli chiese varie volte che gli cedesse la tecnologia, ma Gianni non gliela rivelò mai. Gli suggerirono di brevettarla, che di fatto era la cosa migliore che potesse fare per proteggere i suoi interessi commerciali. Ma Gianni sapeva troppo bene che un brevetto è una pubblicazione. Un brevetto è un documento nel quale si dimostra che hai inventato qualcosa e che proibisci  tutti di sfruttarla senza che ti paghino dei diritti ma, pubblicandola, chi avrebbe impedito realmente che la copiassero senza chiederti il permesso? Non era quella l'epoca nella quale uno potesse aspettarsi che le leggi fossero applicate, meno ancora al di fuori della Svizzera. Inoltre, il brevetto espira dopo 20 anni, dopo i quali l'invenzione diventa di dominio pubblico e tutti possono usarlo liberamente. Gianni non aveva la minima speranza che in 20 anni l'Umanità avrebbe compreso la necessità di rispettare i limiti che le impone il proprio habitat, che le impone il pianeta. Così negò mille volte di brevettare o rivelare i suoi segreti.  

L'unica possibilità che gli rimaneva perché la sua opera continuasse risiedeva nell'incontrare qualcuno di sua fiducia per trasmettergli i propri segreti. Ma rabbrividiva pensando a un nuovo Davide Rosi. Così decise di creare questa persona di fiducia, di  modellare questa persona da quando era bambina, insegnandole la verità sul mondo e la necessità di rispettarne i limiti. Decise che un giorno Margueritte avrebbe gestito gli impianti, pertanto mise ancora più impegno nella sua educazione, sia tecnica sia umanistica. Per evitare che Margueritte crescesse come una bambina viziata, la vita nella piccola casa di Strauss era giusta ma austera. Nonostante che Gianni Palermo fosse un uomo ricco in quella residenza, non aveva molti piatti, né posate d'argento, né cristalli fini, né molto cibo, né molti giochi. Niente di tutto questo sembrava interessare Margueritte, che giocava felice con altre bambine o passava ora a sistemare il giardino. Gianni osservava  con orgoglio che i ragionamenti della bambina erano sempre più riflessivi, più profondi. Aveva appena compiuto 10 anni e già era una signorina con la testa sulle spalle e i piedi per Terra. In quel periodo, Gianni smise di prestare servizi sociali. Era un uomo troppo famoso e in realtà con i suoi contributi finanziari e in natura poteva ottenere molto di più che con le proprie mani. Così, disponendo di più tempo libero, Gianni prese con scrupoloso dovere l'andare a prendere la bambina all'uscita della scuola ogni giorno e si godeva la lunga passeggiata di ritorno a casa conversando con la figlia adottiva. Grazie ai suoi generosi contributi, sosteneva sia la scuola sia la sua mensa.   

Nel giro di un altro anno, gli impianti SPEG erano già 4. Il loro apporto energetico cominciò ad avere un impatto positivo sull'agricoltura e la Svizzera si lasciò dietro gli anni di fame. Oltre alla meccanizzazione, con una compensazione minima e senza fertilizzanti né pesticidi (gianni sapeva troppo bene il danno al suolo generato dalla precedente agricoltura industriale), uno di più grandi contributi degli impianti SPEG fu quello di produrre acqua mediante condensazione e in quel modo si poté ovviare ai periodi di siccità occasionali che a quell'epoca colpivano il paese. Gli introiti di Gianni erano ormai così elevati che si poteva permettere il lusso di destinare una parte importante al finanziamento di una rete nazionale di scuole, tutte con mensa. E quello stesso anno e dopo non poche vicissitudini, ottenne che Colette ed i suoi figli si trasferissero in Svizzera, anche se la vedova del suo ex studente preferì rimanere a vivere nella parte francofona del paese. Gianni pagò personalmente la scuola al figlio minore e il liceo al figlio maggiore e un paio di volte all'anno con Margueritte andava a trovarli, anche se Colette non ricambiò mai la visita a Zurigo. 

Tre anni dopo aver cominciato con il primo impianto SPEG, la Svizzera aveva già 16 impianti, con una potenza complessiva di 50 Gigawatt ed una capacità di carico (tempo effettivo durante il quale gli impianti davano il loro potenziale massimo) del 85%. La Svizzera prosperava dopo vari decenni neri e Gianni era considerato un eroe nazionale. 

Gianni promuoveva attivamente l'insegnamento della sostenibilità, dando gli stessi corsi nelle scuole e nei licei. Anche se non aveva nessun incarico nel Governo, era molto influente ed ottenne che l'insegnamento nei licei fossero molto pratici, che si basassero sulle conoscenze applicate al mondo reale e che fossero lontane dall'accademismo, eccetto per le scienze umane, che considerava fondamentali per ottenere un corretto equilibrio emotivo e spirituale negli studenti. Lui stesso insegnava economia critica comparata nella propria Università, mostrando l'errore dei sistemi economici precedenti nell'ignorare che l'economia è un sottosistema del mondo reale, in particolare dell'ecosistema umano, e proponeva come valore fondamentale l'economia ecologica. 

Ma un giorno Gianni subì un contrattempo inaspettato. Stava tornando a casa con Margueritte e mentre la bambina andò a sistemare il giardino – quel giorno non aveva molti compiti –  e lui si mise a controllare la corrispondenza. Una delle lettere proveniva dal cantone nel quale voleva costruire il diciassettesimo impianto SPEG. Si trattava di una comunità rurale che sarebbe stata aiutata molto dalla presenza dell'impianto nel lavoro dei campi. Tuttavia, la lettera comunicava che l'assemblea cantonale riunita aveva deciso di negargli il permesso. Gianni si arrabbiò: com'era possibile che quei contadini ignoranti fermassero così un progetto fondamentale per il loro sviluppo? Gianni decise che avrebbe parlato col Ministero per cambiare la decisione dell'assemblea e se ne andò in giardino a dire a Margueritte che doveva uscire un attimo e che sarebbe rimasta da sola con la governante. La bambina notò che suo padre adottivo era furioso, lo conosceva molto bene e, con la pubertà, la sua capacità di intuizione era aumentata molto. 

- Margueritte – disse Gianni – devo uscire un attimo. Ti lascio da sola con la governante. 

- Molto bene – disse Margueritte e aggiunse – dove vai, papà?

Margueritte raramente chiamava Gianni papà. Con un po' di fastidio Gianni rispose: 

- Vado al Ministero, a sistemare un problema – e vedendo che Margueritte alzava lo sguardo, curiosa, comprese che non poteva dare una spiegazione tanto vaga. Le aveva giustamente insegnato a non accontentarsi di mezze spiegazioni e a tentare sempre di sapere la verità delle cose. Così sospirò, sapendo che le doveva una spiegazione e che gli ci sarebbe voluto un po' – Mi hanno negato il permesso in un cantone per costruire un nuovo impianto.

- E perché ti hanno negato il permesso, Papà? - disse Margueritte mentre potava le rose. 

- Perché sono degli sciocchi! - disse gianni adirato – Non sono capaci di vedere che il nuovo impainto li aiuterebbe molto.

Margueritte rimase a guardarlo per qualche secondo, pensierosa. Poi gli disse:

- Sai papà che a me piacciono molto le rose? Mi ricordano molto mia madre.

Gianni annuì. Quelle rose avevano salvato la bambina dalla malinconia. Gianni ringraziava quel giardino per avergli permesso di tenere con sé Margueritte, la sua grande promessa per il futuro.

- Ricordi che all'inizio volevo riempire tutto il giardino di rose? Compreso il pozzo?

Gianni sorrise, ricordando l'episodio. 

- Alla fine l'unica cosa che ottenni fu che morissero la metà delle rose. In più in altre parti del giardino non si poteva nemmeno entrare, da quante rose c'erano. Il fatto è che ogni rosa ha le sue spine. Non possiamo avere la bellezza senza subirne le conseguenze e a volte è meglio rimanere con meno che con più. E ora che il giardino non è tanto pieno ed ho fiori e piante diverse, le rose sono molto più evidenti, mentre prima si presentavano quasi come un'erbaccia, una piaga che ricopriva tutto. 

Margueritte esagerava, ma naturalmente Gianni capì quello che voleva dire. Dimostrando che aveva appreso bene le lezioni del suo maestro, la bambina aggiunse: 

- Sedici impianti SPEG sono sufficienti per un paese tanto bello come la Svizzera. Ora molta più gente vive di agricoltura e abbiamo le fabbriche di cui abbiamo davvero bisogno per vivere bene. Ormai la fame non c'è più e, grazie a te, padre, i bambini non devono lavorare e ricevono una buona educazione. Più impianti significa più fabbriche e fare più cose che in realtà non ci servono. E se non sappiamo fermarci alla fine più che le rose ciò che noteremo saranno le spine – disse Margueritte, tornando ai suoi lavori di giardinaggio. 
Gianni era commosso. Sua figlia adottiva aveva compreso meglio di lui cos'era la sostenibilità. Certamente doveva scomparire tutta la generazione che , non per colpa propria, era impregnata dell'idea dello sviluppismo, compresi coloro che erano più consapevoli dei problemi ambientali e delle risorse, per far sì che prosperasse una nuova generazione senza pregiudizi. 

Gianni si vergognò del modo in cui aveva parlato del cantone che gli aveva negato il permesso; loro e sua figlia gli avevano dato la lezione più importante della sua vita. Dall'altro lato, sentiva un'allegria incontenibile nel vedere che Margueritte fosse un'allieva tanto capace. Col cuore che gli palpitava forte, le diede un bacio in fronte, la ringraziò e tornò in casa, mentre essa continuò a lavorare con il sorriso sulle labbra. In casa, Gianni scrisse una lunga lettera di ringraziamento al cantone per avergli fatto capire il suo errore e lodando il loro impegno in difesa del territorio. Da quel giorno, Gianni si dedicò a fare manutenzione alle installazioni e a riparare le infrastrutture chiave, contribuendo a smantellarne delle altre, frutto degli eccessi di un altro tempo. 

Col suo nuovo benessere, la Svizzera diventò il faro della cultura e della civiltà. Lo Stato ed i cantoni stimolavano l'arte e le scienze. Il paese prosperava. Era diventato la nuova Firenze. Gianni aveva già compiuto 65 anni e Margueritte era ormai una adolescente. La vita trascorreva placida e tranquilla. 

Una notte di aprile, le truppe tedesche si presentarono alla frontiera. Volevano la tecnologia degli impianti SPEG, ma non volevano negoziare. Ancora una volta, cominciava la guerra. 

Antonio Turiel
Luglio 2013





Un futuro incerto (VI): la pietra filosofale

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Nonostante il danno enorme che aveva causato, la Chimera della Grande Repubblica Francese era stata straordinariamente effimera: poco più di sette anni separavano il momento in cui la Francia aveva invaso l'Italia dal momento in cui la grande Tempesta di San Alfonso distrusse l'Esercito della Repubblica. Due anni dopo gli eventi di cui raccontavamo nel capitolo precedente, una pace relativa era tornata a regnare in Europa. Le nuove nazioni, molto più piccole degli Stati Nazione falliti dai quali avevano avuto origine, erano riusciti a superare una buona parte delle loro rimostranze storiche e giungere a collaborare fra loro. In molti casi collaboravano per pura necessità: la vita era molto dura in quegli anni nei quali il Cambiamento Climatico si manifestava con sempre più forza. Ottenere un raccolto sufficiente era un'impresa che non era alla portata di tutti gli agricoltori e la fortuna era variabile e sfuggente col passare delle stagioni e degli anni. Mancava praticamente di tutto e tutta la popolazione che poteva tornò in massa alle campagne. Le epidemie di dissenteria, di colera, di febbre tifoidea, di tubercolosi e di tante altre malattie che si pensava fossero dimenticate, tornavano di nuovo e a volte si propagavano per tutto il continente. Nonostante i miglioramenti nelle abitudini igieniche e la maggior conoscenza delle basi microbiologiche delle infezioni, la maggior parte della gente faceva fatica a seguire anche delle semplici raccomandazioni per mancanza di mezzi e per dover soddisfare la necessità sempre più urgente di trovare qualcosa da mangiare. Con le epidemie, la fame e l'emigrazione in altri continenti, la popolazione europea stava sperimentando una graduale ma continua discesa.

Gianni non era estraneo a tutte queste calamità, anche se il suo status di Docente Universitario gli permetteva di vivere un po' meglio del resto dei suoi concittadini di una Svizzera che, a sua volta, conservava un livello di benessere superiore di qualsiasi altro paese. Quando terminava le estenuanti giornate di 10 o 12 ore che si auto-infliggeva, alla ricerca impossibile della fonte energetica ideale, passava altre due o tre ore in una mensa sociale  o facendo il volontario in ospedali per persone in difficoltà. Gianni si sentiva un privilegiato e quindi obbligato a restituire qualcosa ad una società che lo aveva rimesso in piedi. In realtà si sentiva più riconoscente anche perché lui stesso si attribuiva gran parte della colpa delle disgrazie che si erano abbattute sull'Europa negli anni precedenti. Se non avesse ingannato quei creduloni Francesi con i tremogeneratori di Tesla, la Francia non si sarebbe imbarcata in un'impresa così grande e assurda. Lui non li aveva obbligati, ma fu un loro necessario collaboratore. La vita in Europa sarebbe stata migliore se Gianni non avesse aggiunto altro dopo la sua accusa contro l'ignoranza in quel processo di Parigi e se si fosse lasciato semplicemente giustiziare. Si poteva rigirare questo fatto come si voleva, ma era la semplice e inappellabile verità. Gianni sentiva che doveva compensare con tutti i mezzi a disposizione l'orribile male che aveva contribuito a liberare.

Dopo la sconfitta di San Alfonso, probabilmente impressionato dal comportamento di Gianni durante i giorni precedenti, Strauss aveva cominciato a trattarlo in un altro modo. In realtà era da qualche tempo che lo trattava in un altro modo, ma per Gianni fu evidente solo quando la minaccia francese si dissolse come lo zucchero nel tè che era solito condividere con Strauss. Gianni non aveva problemi a scendere a realizzare di persona le sue esperienze di laboratorio e, in alcune occasioni, Strauss, generalmente riluttante ad interagire con le apparecchiature sperimentali, a volte lo seguiva per proseguire le loro discussioni e verificare a caldo le sue diverse ipotesi, verifica che generalmente sottoscriveva il punto di vista di Strauss. “Mi sono sbagliato solo una volta in vita mia”, diceva Strauss con una certa superbia infantile, “ed è stato giudicando lei, caro amico”, diceva a volte a Gianni. Lui gli rispondeva che la nebbia della guerra offusca la ragione umana, non lascia vedere con chiarezza, quindi non aveva troppa importanza ciò che Strauss considerava un errore di valutazione di Gianni (e lo stesso Gianni non lo considerava del tutto una sciocchezza).

Un giorno in cui Gianni stava commentando i dettagli del su ultimo prototipo, Strauss gli disse:

- Lei è così vicino, così vicino... Sì, forse è questo il momento e lei è la persona.

Gianni guardò sorpreso Strauss, curioso. Cosa voleva dire l'anziano professore?

- Venga, venga con me – e guidò Gianni verso il suo ufficio. Dal taschino della sua giacca tirò fuori una chiave che penzolava da una catenina e con essa aprì il cassetto di un armadio, da dove prese un block notes con la copertina azzurra scolorita, la mise fra le mani di Gianni e gli disse: - Mi piacerebbe che faccia una revisione dei calcoli di certe esperienze che erano collegate a questo quaderno e poi mi esponga le sue conclusioni. Non mi fraintenda: naturalmente non le ordino nulla, sono anni che lei è professore di questa università con pieno diritto. Ma mi piacerebbe davvero conoscere la sua opinione. Questo sì, la prego di trattare tutto questo materiale con la massima discrezione: non voglio che venga diffuso fra gli altri professori. Accetti per questa volta questa piccola eccentricità di un professore alla fine della sua carriera professionale.

Gianni fu colpito da una sollecitudine tanto strana, ma la curiosità prevaleva su qualsiasi altra considerazione, quindi accettò l'incarico di Strauss e prese il block notes per studiarlo con tranquillità a casa sua.

Gianni passò ore ed ore assorto dalla lettura di quello straordinario block notes. Quelle 100 pagine contenevano una profondità concettuale e tecnica che non aveva mai visto da nessun'altra parte prima, tutto scritto con i caratteri minuti e puntigliosi di Strauss. Era ovvio che Strauss ci avesse messo le mani molte volte su quegli studi e che lo aveva ripulito, forse più volte, fino a scrivere questo libretto di apparenza umile e contenuto grandioso. Ma quello che vi veniva spiegato non poteva semplicemente essere. Era tanto straordinario che era per forza impossibile. Gianni pensò che Strauss lo stesse mettendo alla prova ancora una volta e la prese come una sfida. Continuava a fare le sue annotazioni nel suo block notes personale, che poi divennero due, poi quattro, poi... Per giorni, Gianni dedicava tutto il suo tempo libero e anche il suo tempo per la sperimentazione nel laboratorio a provare a cercare la trappola di quei calcoli. Concluse il block notes nel momento in cui annotava i suoi ultimi risultati nell'ultima pagina del suo decimo block notes. Non aveva trovato il trucco, Strauss tornava a vincere.

Con il capo chino andò a cercare Strauss nel suo ufficio. Suono alla porta e quando Strauss gli rispose “avanti” la aprì e dalla soglia, con la maniglia ancora in mano, gli disse:

- Mi arrendo, professor Strauss. Lei ha vinto. Non sono riuscito a trovare l'errore. Tutti i calcoli sembrano impeccabili. Dov'è il trucco?

Strauss sorrise e gli chiese di entrare e chiudere la porta. Gianni entrò, rassegnato. Strauss si sarebbe divertito alle sue spalle, facendogli il pelo per non aver trovato un errore evidente, ma come minimo avrebbe imparato qualcosa in più di Fisica.

- Si sieda, amico mio – gli disse Strauss, col tono che usava quando quando Gianni aveva fatto qualcosa che gli piaceva particolarmente – Lei ora ha revisionato i miei calcoli per giorni e non ha trovato nessun trucco. Ed è logico, perché non c'è alcun trucco.

Gianni lo guardò stupito, con la bocca aperta, per alcuni secondi, incapace di articolare una parola e alla fine gli disse:

- Andiamo professor Strauss, andiamo, non si prenda gioco di me. Ho saltato qualche termine, ho presupposto qualche assunto di Fisica che in realtà è sbagliato e che lei conosce meglio di chiunque altro. Mi dica per favore dov'è al chiave di questi risultati assurdi.

- Ma non c'è nessuna chiave occulta! - disse strauss e i suoi occhi brillavano come quelli di un bimbo birichino – I risultati sono corretti. La densità energetica risultante...

- ... è semplicemente assurda professore – lo interruppe Gianni con discrezione.

- Si contraddice il Primo e il Secondo Principio della Termodinamica, professor Palermo?

- No – disse Gianni, questa è stata una delle prime cose che ha confermato, naturalmente

-  C'è conservazione della massa, si sono tenuti in conto tutti i calori latenti e sensibili, i potenziali chimici, i moduli di elasticità, di comprimibilità, i punti di rottura, le dilatazioni termiche? - domandò Strauss come chi spunta una lista della spesa.

- E' tutto apparentemente corretto, professor Strauss – disse Palermo e dopo aver riflettuto un po' aggiunse: - La chiave sta nell'uso delle diverse anomalie reattive presenti in questo strano fenomeno di risonanza...

- ... le quali sono tutte perfettamente documentate da un'infinità di validazioni sperimentali – e qui fu uno spumeggiante Strauss a interrompere Palermo.

Gianni Palermo era in stato di shock. Ma il fatto è che non poteva essere. Semplicemente, non poteva essere.

Intuendo i suoi pensieri, Strauss gli disse:

- Guardi Gianni – era la prima volta nella sua vita che lo chiamava col suo nome di battesimo – ho bisogno di lei. Io, come sa, sono un fisico teorico, ma lei è uno sperimentatore molto in gamba. Ora ha visto la stessa meraviglia che ho visto io anni fa, quando dopo una settimana di frenetica ispirazione, scrissi questo block notes. In realtà, scrissi e riscrissi, provai mille cose cercando l'errore nei miei argomenti, corressi al massimo i miei ragionamenti, separando chiaramente tutti i fattori e non trovai l'errore. Di fatto, capii perché non c'erano errori. Era qualcosa di evidente, sotto gli occhi di tutti, ma come i pezzi di un puzzle mancava una visione complessiva per farli incastrare. In seguito mi spaventai e chiusi quel block notes in questo cassetto per decenni, sperando che un giorno comparisse qualcuno col quale poter discutere questi risultati senza che facesse di me lo zimbello di tutta l'Università. Quindi, professor Palermo, la prego: converta i miei calcoli in dispositivi, realizzi l'esperimento. Dimostri che mi sbaglio. Trovi il mio errore, la prego.

A Gianni girava la testa, ma la richiesta di Strauss gli piaceva. Se c'era un luogo dove Gianni Palermo si sentiva sicuro era in laboratorio. Sì, lì era in grado d trovare l'errore che sulla scrivania del suo ufficio non era stato capace di trovare.

Stava già uscendo dalla porta dell'ufficio quando Strauss gli fece un'ultima richiesta:

- Ma Gianni, per favore, sia discreto.

- Naturalmente Wilhelm – disse Gianni facendo l'occhiolino. .

Lo stesso Gianni aveva interesse ad essere discreto. Non sarebbe stato per nulla edificante se si fosse saputo che due professori dell'Università Tecnica perdevano tempo tentando di attuare una chimera infantile. Quindi programmò il suo orario di laboratorio di modo che, in mezzo alle sue sperimentazioni convenzionali, provava le diverse fasi che erano implicate nel block notes azzurro. Ma nessuna fase fallì di per sé e tutti i valori confermavano, con un'approssimazione molto buona, i calcoli di Strauss. Così che Gianni si vide obbligato ad assemblarle tutte insieme, il che non fu molto discreto (il dispositivo, nonostante fosse in scala, era alto quasi due metri) e alcuni compagni gli chiedevano su cosa stesse lavorando. Lui rispondeva loro che voleva montare un calorimetro di precisione per testare certe reazioni esotermiche e con questa spiegazione li aveva soddisfatti.

Quando finì di montare, tutti i pezzi revisionati tre volte, spostò il suo “calorimetro” nel patio interno della facoltà. Lo fece quando era già notte e praticamente non era rimasto nessuno nell'istituto. Collegò l'apparato a terra, fece gli ultimi aggiustamenti e lo azionò. Prese misure, controllando entrate e uscite, per due ore. Non poteva crederci. Tutto funzionava come nel block notes di Strauss.

Gianni aveva dovuto ingegnarsi per convertire i calcoli di Strauss in u dispositivo fattibile e dovette fare non pochi disegni di ingegneria un po' elaborati per poter sfruttare al massimo il potenziale dei calcoli si Strauss: dalla fisica teorica a quella sperimentale c'è sempre differenza. Tuttavia, i margini che aveva stimato Strauss erano ragionevoli e il dispositivo funzionava quasi come da manuale. Gianni semplicemente non riusciva a credere di aver fatto quello che aveva fatto.

Siccome non poteva lasciare l'apparato in mezzo al patio della facoltà, decise di portarsi il prototipo a casa, con l'aiuto di un carrello. Non viveva lontano dal laboratorio. L'Università aveva una piccola quantità di case che affittava a prezzi bassi al suo personale e la sua piccola dimora aveva un patio posteriore dove avrebbe potuto collocare il dispositivo in modo discreto e lasciarlo acceso a tempo indeterminato.  Lo installò là, lo collegò a un alternatore, questo ad un accumulatore di grande capacità e lo lasciò acceso per dei giorni.
Per giustificare l'uscita del materiale, scrisse una richiesta di trasferimento di attrezzature per un lavoro sul campo destinato alla determinazione di zone franche favorevoli per la generazione termosolare, riempì i formulari di ordine di missione e se ne andò a casa a vigilare l'aggeggio. Dopo aver vigilato il suo funzionamento per una settimana, controllando ogni variabile, si convinse che il dispositivo funzionava correttamente e che avrebbe continuato a farlo indefinitamente.

Fu dopo quei sette giorni nei quali Gianni Palermo credette di vivere in una specie di sogno irreale che decise di andare a trovare Strauss. Era un pomeriggio di domenica e Gianni incontrò Strauss a casa sua, mentre lavorava in giardino. Il giardino era stato la passione di sua moglie e, quando lei morì tre anni prima, Strauss aveva deciso di mantenere vivo il suo ricordo mantenendo vivo il suo giardino.

Strauss alzò lo sguardo e vide di fronte a sé un Gianni palermo sporco, con i vestiti spiegazzati e le occhiaie.

- E' terminato il suo esperimento sul campo, professor Palermo? - gli disse, mentre continuava a potare un arbusto.

- Sì – disse Gianni, laconico – certo che l'ho finito. Dovremmo parlare.

- Naturalmente – disse Strauss – Per favore, entri in casa.

Gianni sprofondò nella poltrona mentre aspettava che Strauss gli servisse il tè. All'improvviso si rese conto di quanto fosse stanco. Erano quasi sette giorni che non dormiva. Quando il professore si sedette nella sua poltrona, Gianni parlò.

- Professor Strauss: il dispositivo funziona. Funziona esattamente come lei aveva previsto; be', con qualche piccolo aggiustamento insignificante, ma ciò che importa è che funzioni! Funziona! Si rende conto di cosa significhi questo?

- Sì - disse Strauss e diede un breve sorso al suo tè – significa che abbiamo trovato una fonte di energia praticamente inesauribile.

Ed era così. Avevano trovato una fonte del genere – be', più che altro Strauss aveva trovato la fonte e Gianni aveva messo in pratica il suo sfruttamento. Suonava come quelle cospirazioni tanto popolari negli anni passati, tutti quei racconti di energia libera, Tesla usato come un'icona grottesca e tutto quel gauzzabuglio assurdo di concetti di fisica quantistica, magnetismo e moto perpetuo. Ma, a differenza di tutte queste parole vuote, il dispositivo di Gianni funzionava su una solida base teorica sviluppata da Strauss e nella sua deduzione ed implementazione era stato usato il metodo scientifico; ogni ipotesi era stata falsificata, ogni processo era stato dimostrato... un lavoro da formichine che che aveva richiesto anni di sperimentazione e di sviluppo. E le cose non venivano fatte così per capriccio: la necessità di usare il metodo scientifico proveniva dal fatto che si cercava la riproducibilità, che i risultati ottenuti oggi qui fossero gli stessi che potesse ottenere qualsiasi altra persona in qualsiasi altro luogo. Insomma, che quello che avessero ottenuto avesse una validità universale, una garanzia di funzionamento, che non si basasse sull'ingenuità o la credulità della gente, ma che fornisse benefici oggettivi e misurabili.

Gianni si sentiva sopraffatto degli eventi. Tanti anni passati a prevedere la scarsità di risorse ed energia per ritrovarsi, alla fine della propria carriera scientifica, con una fonte di energia praticamente illimitata e per il cui sfruttamento erano richiesti materiali semplici e con un fabbisogno energetico per la realizzazione, sfruttamento e mantenimento molto ridotto (Gianni stimava che l'EROEI del suo dispositivo fosse superiore a 40 e, probabilmente, si sarebbe potuto migliorare nei progetti successivi). Gianni si sentiva come il personaggio di un racconto, di una favola, di una storia scritta da uno scienziato per dare l'allarme sui problemi della sostenibilità del nostro mondo. In realtà, gli sarebbe piaciuto essere un tale personaggio immaginario. Perché non era in grado di immaginarsi cosa sarebbe successo a partire da quel momento.

- Professor Strauss... Wilhelm – disse alla fine Gianni di fronte al mutismo di Strauss – questa è la più grande scoperta dell'Umanità. Dobbiamo renderla pubblica.

- Con un'invenzione del genere la Francia avrebbe sottomesso il mondo. Che garanzie abbiamo che la Svizzera non farà la stessa cosa se le offrissimo questo Santo Graal, questa Pietra Filosofale capace di trasmutare il pianeta?

- Il popolo svizzero – rispose Gianni – è un popolo colto ed educato.

- Lo era anche il popolo francese, Gianni – rispose Strauss – Mon Dieu! Il mondo ha conosciuto poche nazioni tanto colte ed avanzate tecnologicamente come la Francia. E, tuttavia, quando il suo sistema industriale collassò, la sua caduta fu più pesante e più brutale di quella di altri paesi meno avanzati come, non si offenda, la sua Italia. Quando la necessità mette sotto pressione, la ragione e il buon senso di solito scarseggiano. E proprio adesso la necessità attanaglia anche la Svizzera. Io mi fido del nostro primo Ministro, ma i francesi non si sono fidati dei loro Presidenti? E non sono stati traditi fino ad essere portati alla sconfitta finale?

- Ma, professore... - Gianni non si sentiva ancora a suo agio con tanta improvvisa familiarità – se tutte le nazioni disponessero di questa tecnologia, nessuno potrebbe invadere nessuno, nessuno avrebbe bisogno di invadere nessuno.

- Questo è vero – Strauss rimase un attimo a pensare – ma si lancerebbero comunque in una folle avventura: quella di espandersi senza controllo fino ad andare a sbattere contro i limiti e tentare sempre di superarli. Fondamentalmente, è ciò che abbiamo fatto finché la società industriale non è collassata.

- Ma, cosa dovremmo fare allora? Lasciare che l'Umanità sprofondi nell'oscurità? Lasciare che la gente muoia di fame e di malattie?

- Sinceramente non lo so, Gianni. Sono anni che conosco questa fonte miracolosa di energia e per anni mi sono fatto la stessa domanda, senza avere una risposta. Dubito che l'Umanità la sappia usare correttamente. Sai? Molti anni fa un astrofisico americano fece un calcolo curioso. Immaginò che qualcuno trovasse questa meravigliosa fonte di energia inesauribile ed illimitata ed si pose il problema di cosa sarebbe successo sulla Terra col calore residuo che dissiperebbero le nostre macchine se mantenessimo un ritmo crescente di consumo di energia di un 2,3% all'anno (cosa che sarebbe considerata una crescita moderata con gli standard di inizio secolo). Le sue conclusioni erano inappellabili: in 350 anni la temperatura del pianeta salirebbe dai 16°C delle medie attuali e fino a 36°C , prima di 450 anni anni gli oceani bollirebbero e in poco più di 7000 anni il pianeta sarebbe talmente caldo che persino l'acciaio fonderebbe. Queste sono le conseguenze della logica esponenziale della crescita infinita ella quale l'essere umano si vede spinto dalla sua stessa biologia. Finché non apprendiamo a moderare questa spinta siamo condannati.

E non dovremmo provarci, professore? Possiamo incrociare le braccia e condannare i nostri simili a una vita di dolore e penuria, giudicando che mai saranno capaci di imparare?

- La decisione finale, mi caro Gianni, la lascio a lei. Il mio tempo qui sta per finire. Mi hanno diagnosticato un cancro terminale, non vivrò più di un paio di mesi.

- Wilhem... oh mio Dio, mi dispiace molto.

- Non si dispiaccia, Gianni. Me ne vado dopo aver vissuto una vita intensa e grazie a suo lavoro degli ultimi mesi posso andarmene con la soddisfazione personale di aver risolto l'ultima sfida scientifica della mia vita. Ma, sinceramente, preferisco non vivere per prendere le decisioni difficili che dovrà fronteggiare lei. Mi chiami pure egoista, se vuole. Non ho figli e non lascio dietro di me altro che la mia opera, se questa ingrata Umanità è in grado di sfruttarla.

Gianni era muto. Sentiva che le lacrime gli venivano agli occhi. Era da molto tempo che rispettava profondamente quell'uomo, ma solo col tempo era giunto ad apprezzarlo. Era la cosa più vicina ad un amico che gli rimaneva in Svizzera. Nel mondo.

- Ho preso una serie di misure opportune. Lascio a lei tutti i miei possedimenti, che comprendono questa casa e tutto ciò che contiene. Tengo particolarmente alla biblioteca: mi ci sono voluti anni per crearla e preferisco evitare che vada dispersa. Lei senza dubbio saprà apprezzarla. La prego anche di curare il giardino. Era molto importante per mia moglie.

Gianni poté articolare solo un “sì” a voce bassa. Non si sentiva di avere la forza morale di contrariare un moribondo, tanto meno uno come lui, uomo di carattere e che meditava con somma attenzione ogni passo che faceva. Wilhelm Strauss continuò a parlare delle sue misure post mortem, come chi fa un inventario.

- Per questa settimana in cui lei era fuori, ho chiesto il permesso per malattia all'Università, la quale me lo ha concesso, date le circostanze, anziché forzare il mio pensionamento: sa già che avrei potuto essere in pensione da anni. In questo modo lei avrà il tempo per prepararsi per i concorsi per la cattedra che lascerò vacante con la mia morte. Nessuno dei suoi competitori ha un livello comparabile al suo, quindi se si sforza, ce la farà, caro Gianni – e come se immaginasse che Gianni gli avrebbe chiesto perché avrebbe dovuto volere la cattedra, aggiunse – Essendo cattedratico di questa Università e con quel poco di anzianità che ha già, il suo stipendio praticamente triplicherebbe, guadagnerebbe a sufficienza da poter intraprendere i progetti che crede opportuni e continuare a mantenere la vedova e i figli del suo pupillo senza bisogno di rimanere un giorno senza cena.

A quell'uomo non sfuggiva nulla.

- Credo che questo sia tutto – concluse Strauss.

- No, non lo è – disse Gianni ed abbracciò con forza Wilhelm.

Tutto avvenne come aveva previsto Wilhelm Strauss. Lui morì dopo due mesi e il suo posto rimase vacante. Gianni approfittò di quel tempo per prepararsi a fondo la cattedra e batté in modo limpido i suoi competitori. Una volta ottenuta la sua nuova posizione, Gianni cominciò a pensare seriamente cosa fare col resto della sua vita. Era sul punto di compiere sessant'anni, anche se manteneva in buona forma, in parte per l'esercizio e in parte per il digiuno involontario che il suo stipendio da professore titolare ed i suoi obblighi morali gli avevano procurato. Il mondo che aveva conosciuto da giovane era fatiscente. Anche quel ristagno di civiltà che era la Svizzera soffriva di un processo di decadenza, un peso morto attaccato ai piedi che trascinava i paesi e le civiltà verso la miseria e l'ignominia. E, ciò che era peggio, il degrado stava accelerando. Ma lui, Gianni palermo, era l'unico uomo sulla terra che conosceva i segreti di una fonte di energia incredibile, il sogno dell'Umanità: praticamente illimitata, rinnovabile, non inquinante e che non richiedeva materiali troppo sofisticati o rari per il suo sfruttamento. Con questa fonte di energia l'Uomo poteva evitare di cadere in fondo al baratro verso il quale sembrava inevitabilmente destinato, questo Gianni lo sapeva bene, ma poteva anche finire di distruggere il mondo e sé stesso. Quell'energia poteva essere allo stesso tempo la sua salvezza e la sua perdizione finale.

Cosa doveva fare? Cosa poteva fare? Avrebbe potuto, forse, scappare in Nord Africa, rifugiarsi in una comunità di lì. Fra gente che era stata capace di sostentarsi per secoli vivendo col necessario, sarebbe stato più facile far capire che non si deve abusare delle risorse, che ci sono sempre delle conseguenze impreviste, delle esternalità, come dicono gli economisti, che alla fine non sono ipotizzabili anche se ci diciamo che lo sono, per inerzia mentale, per non essere in grado di rinunciare a cose che crediamo che siano comodità e non sono altro che catene che ci tengono legati. Gianni avrebbe potuto, forse, rifugiarsi là, partire da zero, tornare a cominciare con mezzi più modesti, mentre il resto dell'Europa finiva di sprofondare. In quel modo, sarebbe riuscito ad ottenere che la sostenibilità dell'azione umana venisse incorporata nell'inconscio collettivo della società? Ma questo sarebbe stato giusto nei confronti del suo paese, del suo continente? Alla fine dei conti lui era europeo. Che diritto aveva di ergersi a “salvatore” di altri popoli, nazioni elette che non avrebbero seguito il sentiero della Gomorra europea? Non sarebbe stato più onesto tentare di salvare quello che c'era qui, per difficile che fosse? Non lo doveva forse a Svizzera, Francia, Italia ed Europa?

Dopo il lavoro e dopo le molte ore di servizio sociale, Gianni Palermo faceva lunghe passeggiate per Zurigo, frequentemente di mattina, sempre pensando a quale decisione prendere. Era un uomo rispettato in Svizzera e in realtà non aveva bisogno di complicarsi la vita. Avrebbe potuto portarsi il segreto nella tomba. Ma di tanto in tanto ricordava le parole di Strauss; non aveva diritto a fare una cosa del genere, forse non era giusto rubare all'Umanità quella che forse era la sua ultima opportunità. “In varie centinaia di milioni di anni, l'Umanità scomparirà, distrutta dall'inevitabile aumento della radiazione solare, è questa la fine che vogliamo? Ma, d'altra parte, senza educazione, senza razionalizzazione, ci espanderemmo come un virus senza controllo per finire ugualmente per soccombere”. Non riusciva mai a uscire da questo circolo vizioso dei suoi pensieri.

Un leggero strattone della gamba dei pantaloni lo destò dalla sua introspezione. Proprio di fronte a lui c'era una bambina di circa otto anni. Scalza, apparentemente affetta da tubercolosi, cenciosa, in mezzo alla strada a quell'ora di notte.

- Signore – gli disse in francese con sguardo implorante – mi dia qualcosa da mangiare. Sono giorni che non mangio qualcosa.

- Dove sono i tuoi genitori, piccola? - chiese Gianni.

- Il signore se li è portati via. Avevano la tubercolosi – disse, tossendo leggermente.

Gianni senti una cosa che non aveva mai sentito. La pietà. La bambina aveva un po' di febbre ed era molto magra. Gianni la prese per mano, quasi senza dirle nulla (un “Vieni!”) e la bambina lo accompagnò senza resistenza. Apparentemente era arrivata al punto di fidarsi di uno sconosciuto, tanto erano scarse le sue prospettive di futuro.

Gianni la portò all'Ospedale Universitario, dove fece valere le sue credenziali di cattedratico perché lo lasciassero passare. I medici presero il suo gesto come un impulso di filantropia eccentrica, ma siccoma pagò di tasca sua l'ingresso e il trattamento, furono felicemente d'accordo. Ogni giorno, dopo il lavoro e prima di proseguire per i suoi servizi, Gianni passava all'ospedale per vedere la piccola Margueritte. La bambina si rimise in salute in poco tempo, grazie agli antibiotici di ultima generazione che avevano sviluppato in Svizzera, ma che erano tanto cari che solo la gente più ricca poteva permetterseli (Gianni dovette investire una buona parte dei suoi risparmi per salvare Margueritte). Due settimane dopo il suo arrivo, Margueritte era un'altra bambina: felice, con una grande voglia di giocare, con grandi occhi interrogativi che si volevano mangiare il mondo. Aveva anche guadagnato peso.

Prima che la dimettessero, nel giorno del suo sessantesimo compleanno, Gianni prese varie decisioni. La prima fu decidere che Margueritte meritava di vivere, quindi la adottò. Era un uomo solo ma di grande prestigio e conosceva abbastanza gente nel Ministero da rendere i procedimenti rapidi. La seconda fu decidere che l'Umanità meritava una seconda opportunità. Avrebbe dovuto ottenere che la sostenibilità fosse un argomento scolastico e avrebbe dovuto cambiare il modo d'essere della gente in molti modi, di modo che l'uomo smettesse di comportarsi come un cancro sulla terra e cominciasse a comportarsi come una specie davvero intelligente. C'era molto lavoro da fare, ma con Margueritte per mano, con quegli occhi aperti e intelligenti che lo guardavano come se fosse un Profeta, Gianni si sentiva capace di tutto.

Antonio Turiel
Luglio 2013

Un futuro incerto (V): la meta è dove stai andando

Di Antonio Turiel
Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR




[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Nonostante fosse solito fare lunghe passeggiate sui monti vicino a Zurigo, l'ascesa della montagna fu dura e penosa per un Gianni nel bel mezzo della cinquantina. Ai suoi piedi poteva vedere Losanna e in lontananza Ginevra. Ginevra era perduta, le truppe francesi sarebbero entrate per questo passaggio naturale fra le Alpi e la catena del Giura, questo era chiaro.

Gianni saliva con un plotone di ricognizione che si era appostato su quella montagna. Voleva vedere coi propri occhi cosa dovevano fronteggiare. Al capitano in carico non fece molto piacere portare con sé un civile, ma Gianni aveva un'autorizzazione del Ministro e il capitano, semplicemente e disciplinatamente, rispettò l'ordine.

Dall'alto della montagna, Gianni poteva vedere una grande estensione della pianura centrale della Francia. Con l'aiuto di un binocolo identificò immediatamente dove si era concentrato l'esercito francese. Gli parve che l'insieme di truppe presenti fosse piuttosto scarso. Pensavano forse di attaccare anche dal lato tedesco?. Ma la Francia aveva sottomesso solo la parte nord della vecchia Germania, quindi per arrivare alla Svizzera per questa strada avrebbe dovuto attraversare una terra ostile. Non sembrava molto verosimile. D'altro canto Davide, che era sicuramente a capo delle truppe, non sapeva nulla di strategia militare (alla fine dei conti era solo un imprenditore e prima era stato uno scienziato) e confidava ciecamente nella superiorità meccanica. Tutto faceva pensare che avrebbe tentato di entrare direttamente in Svizzera via Ginevra, costeggiando il lago Lemano.

L'esercito popolare svizzero era formato da uomini forti e orgogliosi, amabili nel quotidiano, ma tenaci quando ce n'era bisogno. Tuttavia, quel clima tanto strano che si era venuto ad instaurare col passare degli anni, faceva sì che molte delle sue vecchie strategie non avessero più senso. Per esempio, gli inverni raramente erano rigidi, quindi non potevano più contare sul Generale Inverno; di fatto, Davide li stava assalendo in pieno inverno. Gianni vedeva chiaramente che i Francesi li avrebbero schiacciati. Tuttavia, dal lato francese stava succedendo qualcosa. Era già passato un giorno dalla scadenza dell'ultimatum per la consegna di Gianni ed ancora non avevano iniziato l'assalto. Qualcosa di raro in una persona arrogante come Davide.

Con l'aiuto reticente del professor Strauss, Gianni riuscì a convincere il Governo svizzero a sollecitare la Francia per un incontro in terra neutrale delle due delegazioni, “come ultimo tentativo di evitare una guerra che nessuna delle due nazioni vuole”. L'emissario fu inviato all'accampamento dei francesi e, sorprendentemente, la risposta fu positiva. L'unica condizione che imposero i francesi fu che Gianni doveva partecipare alla delegazione svizzera. Nonostante le perplessità una tale richiesta causò, sia Gianni sia il Governo acconsentirono. Si accordò che ogni delegazione sarebbe stata costituita da 20 delegati, 10 dei quali sarebbero stati soldati armati. La riunione avrebbe avuto luogo fuori Ginevra, a circa 40 chilometri dall'accampamento francese, e i delegati francesi avrebbero dovuto percorrere gli ultimi 4 chilometri a piedi, mentre i loro veicoli avrebbero dovuto ritirarsi. Gianni non si sorprese di vedere il Generale Rosi in testa al corteo francese. Dopotutto, se c'era qualcosa che non mancava a Davide Rosi era l'audacia.

Il Governo svizzero aveva posto alla testa della propria delegazione il Segretario di stato della Difesa, ma con notevole maleducazione Davide Rosi lo ignorò e si diresse verso Gianni:

- Ci rivediamo, Gianni – gli disse.

- Non mi aspettavo nulla di diverso, Generale Rosi.

- Andiamo – disse Davide stringendo le spalle e aprendo i palmi delle mani – non lasciarti impressionare dal mantello e dai galloni. Sono ancora Davide Rosi, il tuo vecchio studente di dottorato.

- E' da molto tempo che non ho nulla da insegnarti e ciò che hai imparato io non te l'ho mai insegnato – Gianni ponderò il su disprezzo per non attrarre ulteriori mali sulla nazione che lo ospitava e proseguì: - Suppongo che vuoi che mi consegni. Se mi assicuri che non attaccherai la Svizzera rientrerò con la vostra delegazione.

Gianni era stanco. Più che vecchio si sentiva stanco e disgustato dal mondo. Succedesse quello che doveva succedere, consegnarsi gli sembrava un prezzo accessibile se avesse ottenuto che quella bestia maledetta non profanasse l'ultimo baluardo del sapere e della civiltà che rimaneva in Europa.

- Mi sembra stupendo che torni con noi, Gianni. Di fatto nella repubblica tutti ti riceveranno con le braccia aperte. - Il tono di Davide era caldo, paterno, ma finto – Inoltre, è la cosa migliore per la tua sicurezza personale.

- Cosa vuoi dire? La mia vita non è in pericolo in Svizzera... - Gianni guardò direttamente negli occhi di Davide... - o forse sì. Non ci posso credere. Non ci posso credere! Pensate di invadere la Svizzera comunque!!

Avevano parlato in italiano, lingua che nella delegazione svizzera conosceva solo Gianni, ma l'ultima frase Gianni la pronunciò in francese. Davide sorrise ed aprì le braccia, fingendo di mostrarsi come una persone indulgente e continuò in francese, un francese ora fluente e sicuro.

- Andiamo, andiamo, non drammatizziamo! Non c'è motivo che ci sia un'invasione nel senso stretto della parola. E' ovvio che l'esperimento svizzero non può proseguire oltre, coi tempi che corrono. La Grande repubblica ha dei progetti per la Svizzera, dei quali la nuova provincia elvetica ne avrà dei benefici.

Gianni non credeva alle sue orecchie. Davide aveva insistito perché prendesse aperte alla delegazione svizzera perché pretendeva di averlo in suo potere prima che cominciassero le inevitabili cannonate. Non se ne lasciava sfuggire una, il ragazzo era un vero falco negli affari. Il Segretario di Stato era rosso d'ira, ma nonostante questo parlò con educazione. In modo aspro, s', ma educatamente:

- Lei non può un giorno dire che vuole solo l'estradizione del professor Palermo e il giorno dopo dirci che ci sottometterete comunque! Che razza di paese siete? Non potete fare questo! Gridò a Davide.

- Sì, sì che possiamo – Davide rispondeva con calma – Siamo la Repubblica. Noi possiamo tutto.

- ... finché non finisce il magnesio – aggiunse Gianni.

Davide lanciò uno sguardo fulminante a Gianni, al che il professore si mise a ridere:

- Andiamo, ragazzo, andiamo, credi che abbia rivelato un segreto? - e non poté evitare di afferrare la spalla di Davide, in un gesto di umiliante familiarità, come se fossero un paio di amici che si raccontano barzellette sporche in un'osteria – Credi che il resto del mondo sia idiota? Qui si sono resi conto della farsa da molti anni e non c'è stato bisogno che dicessi loro nulla. Hanno semplicemente fatto due più due. Sei abituato ad essere circondato da asini che pensi che tutto il mondo ragli – e tolse la mano dalla spalla di Davide due secondi prima che questi la spostasse con forza.

Davide ignorò la provocazione di Gianni e si concentrò in ciò che voleva dire. Guardò il Segretario di Stato:

- La Svizzera ora ha un clima più benevolo che altre parti d'Europa; le estati non sono tanto calde e le precipitazioni sono ancora abbastanza stabili. La Svizzera è chiamata ad essere il granaio d'Europa, il Granaio della Grande Repubblica. Non avete scelta, signor segretario. Potete sottomettervi o essere invasi, ma il fatto è che il vostro futuro passa per forza attraverso la Repubblica.

Nessuno ebbe l'animo di contraddire le spacconate di quell'uomo. Nonostante mantenesse un buon livello tecnico e fosse ben arroccato, l'esercito svizzero non era all'altezza di quello della Repubblica. Sì, questa invasione non sarebbe stata una parata militare come quelle precedenti. L'esercito francese avrebbe annichilito quello svizzero, sì, ma subendo perdite significative. Tutti gli astanti lo sapevano e forse pensando a queste perdite inevitabili ed al costo enorme dell'invasione, pensò Gianni, ecco perché la Repubblica accettava di negoziare la resa al posto di schiacciare com'era sua abitudine.

- Sai una cosa Davide? - disse Gianni all'improvviso lasciando da parte il trattamento da generale – Dici di essere stato un mio studente, vero? Allora ti darò un'altra lezione oggi. Ti ricordi di quando qualche anno fa discutevamo di ritorno energetico, di EROEI?

Davide annuì lievemente. Non vedeva chiaramente dove voleva andare a parare Gianni.

- Non ti sei reso conto che la guerra non è altro che un sistema su grande scala per ottenere risorse? Risorse e, più in particolare, energia. La guerra è un sistema di generazione di energia in più. Di un'energia che non è rinnovabile, perché una volta che impoverisci un paese non puoi più continuare il suo sfruttamento. E, siccome succede con tutti i sistemi di generazione di energia non rinnovabile, il suo EROEI tende a diminuire col passare del tempo. Già lo sai, è quella che gli economisti chiamano “la legge dei ritorni decrescenti”.

Davide lo guardava attonito.

- Guarda – proseguì Gianni – a quello che è successo alla repubblica con le sue guerre di conquista. All'inizio ha invaso i paesi più deboli e con grandi riserve di magnesio, cosa che ha permesso alla Repubblica di espandersi con rapidità. Ma, una volta che i paesi più redditizi dal punto di vista energetico sono stati occupati e spogliati avete dovuto cercare altri paesi, meglio difesi, più complicati da invadere per la loro orografia ed altri fattori, e con minori depositi di magnesio perché avevano conservato un sistema industriale funzionale per più tempo. Il vostro rendimento energetico è crollato, l'EROEI è diminuito. Ed è successo nel momento peggiore, quando la “massa” della Repubblica era aumentata di molto ed era necessario mantenere un influsso maggiore di nutrienti. Così, vedi, Davide: nemmeno “con altri mezzi” - disse evocando la conversazione dell'ultima volta che si erano visti al CRET – si può sfuggire alle leggi della Termodinamica. La tua impresa sta soccombendo perché non hai capito le mie lezioni, perché nonostante il tuo talento sei stato un cattivo studente. Guardati e renditi conto del fatto che sei diventato un mostro cieco e brutale; era questo quello che volevi fare della tua vita quando sei scappato da Roma con me?

- E tu, esimio professore? - Davide rispose tagliente, al contrattacco; il discorso del professore lo aveva colpito, visto che non aveva mai considerato la termodinamica della guerra – cos'è che hai fatto tu? Ti sei chiuso nella tua torre d'avorio e giocare con le tue macchinette e coi tuoi progetti inutili mentre il mondo intorno a te si sfaldava. Non sei stato capace di vedere che il cerchio intorno a noi si stringeva e quando ti sei preparato per scappare hai pensato solo a te. In un certo senso, io non ho fatto altro che scappare da quando siamo scappati da Roma dodici anni fa. E tutto questo è stata colpa tua! - in lontananza si sentì un tuono nello stesso momento in cui Davide sottolineava l'ultima parola, quel “tua” pieno di rancore e rimprovero.

“Dalla porta dalla quale uscì la carità entrò la peste”, penso Gianni. Ma il rimprovero di Davide era giusto, dopo tutto. Sì, era stato preso dalle sue ricerche senza rendersi conto che faceva parte di una società che soffriva. Quando in Italia i giovani uscirono per le strade per protestare per la mancanza di lavoro, quando lo fecero gli anziani per lamentarsi della diminuzione delle pensioni e degli aiuti, quando ampi settori della società protestarono contro i tagli all'educazione, alla sanità, ai servizi sociali e la corruzione... Gianni continuò a lavorare, come se nulla fosse, nel suo laboratorio. Sì, lo aveva disturbato il fatto che gli avessero ridotto lo stipendio, ma la sola cosa che fece fu continuare a lavorare, continuare a ricercare e di tanto in tanto a firmare una petizione o una protesta, nient'altro. Aveva giustificato a sé stesso il suo atteggiamento dicendo che il meglio che potesse fare per la società era di continuare con la sua ricerca, ma la cosa certa è che questo lavoro non lo aveva portato a niente di pratico e tutto ciò che aveva fatto in Italia era andato perduto quando la barbarie contro la quale non aveva lottato si impadronì di tutto. In Francia aveva avuto una seconda opportunità, ma aveva ripetuto lo stesso errore. Davide aveva ragione: si chiudeva sempre nella sua torre d'avorio. E in Svizzera stava facendo, ancora una volta, la stessa cosa. Aveva sempre peccato di accademismo e gli era sempre mancata l'empatia, la preoccupazione sociale. “Se non ho amore non sono nulla”, ripeté, evocando i suoi anni della scuola.

Davide sorrideva, vedendo il vecchio professore tanto pensieroso, ma all'improvviso questi sbottò, in italiano:

- E Colette cose ne pensa di tutto questo?

Davide barcollò un poco, come se una tale domanda fosse un colpo inaspettato. Il problema di combattere con un vecchio amico è che ti conosce troppo bene e con poco può colpire dove fa più male.

- Colette... - vacilló nella risposta e per alcuni secondi Gianni vide il Davide timido ed insicuro col quale fuggì dall'Italia - … ovviamente vorrebbe che passassi più tempo con lei e coi bambini. Il più grande ha già dieci anni, sai? Lei dice che alla fine mi ammazzeranno, se continuo così. Che prendo troppo sul serio la Repubblica – e sorrise – e in tutto questo è lei la francese! - Davide si rese conto che stava abbassando la guardia – Ma io faccio tutto questo per lei e per i bambini. Non come te. Cos'hai tu? Se io muoio so che avrò lasciato qualcosa dopo di me, e tu? - e dopo una pausa – Vieni con me, Gianni, potresti vivere come noi, potresti essere il nonno dei figli che non hai mai avuto.

- No, Davide, no – disse Gianni scuotendo la testa – dove vai tu io non posso seguirti. Io non voglio seguirti. Preferisco morire lottando su queste montagne, difendendo quel poco che resta della decenza e della dignità in questo mondo, anche se so che cadrò in questo tentativo.

- Molto bene – disse Davide voltandosi – se è questo che desideri. Avete una settimana per cambiare idea, dopo di che verrò coi miei uomini e vi distruggeremo.

Il corteo francese si ritirò di buon passo, mentre gli svizzeri rimasero in silenzio, in piedi, guardandoli mentre se ne andavano. Dopo un po', Gianni chiese al Segretario di stato della Difesa, senza girarsi verso di lui:

- Perché ci danno una settimana se è già tutto deciso?

Il Segretario di Stato prese aria per qualche secondo e rispose:

- Perché non hanno truppe sufficienti e devono aspettare per riunirle. L'esercito della repubblica è sparpagliato per mezza Europa e questa nuova avventura militare richiederà loro uno sforzo importante. La Svizzera è un paese ben fortificato e ci battono solo se si riuniscono in un esercito di grande dimensione.

Durante quegli ultimi giorni in Svizzera si prepararono per una guerra che sapevano essere perduta in Partenza, mentre il distaccamento francese cresceva a vista d'occhio. Nonostante l'avversità e il disagio, la gente era più unita che mai. Avevano trasceso i progetti che aveva la Repubblica di schiavizzarli e trasformarli nei loro contadini e questo aveva infiammato il cuore del popolo svizzero, nato libero e disposto a morire libero.  I piani di attacco e contrattacco furono studiati e ristudiati e le difese si stabilirono in modo che si potesse ottenere il massimo profitto da esse. La Svizzera avrebbe potuto resistere alcune settimane all'assalto dell'Esercito francese, sperando in un miracolo. Dall'altra parte del paese, Gianni non aveva alcuna voglia di tutto questo, e si preparava con discrezione alla fuga. Ma dove poteva scappare? I paesi europei che non erano controllati dalla Repubblica erano tutte dittature. Quindi si trattava di scegliere un sentiero tortuoso per uscire dall'Europa, magari attraversando il Mediterraneo, per poi emigrare in America. Molto complicato, e molto caro, ma doveva provarci.

Era la notte del quarto giorno dall'ultimatum, tre giorni prima che si compiesse la minaccia di Davide. La Svizzera fu colpita da una pioggia ed un vento fortissimi, un uragano, come non si era mai visto prima nel paese. Nelle zone basse del paese ci furono inondazioni ed alcuni edifici crollarono. Si vedeva che il clima, in guerra con l'Umanità già da anni, non avrebbe concesso tregua agli uomini, benché fossero impegnati nelle loro proprie guerre. Una delle città Svizzere più danneggiate fu Ginevra, il primo obiettivo militare dell'invasore, per la sua ubicazione al di fuori delle catene montuose. Ma secondo i rapporti che stavano arrivando dagli osservatori in avanscoperta, si venne a sapere che al di fuori della Svizzera le cose furono molto peggiori. La pianura centrale francese era stata spazzata da un vero e proprio uragano di dimensioni gigantesche. E, per la sorpresa e la gioia degli svizzeri, l'esercito della Grande Repubblica era stato messo allo sbando dagli elementi. La maggior parte dei veicoli corazzati erano volati in aria come se si trattasse di giocattoli abbandonanti da un bambino, la maggior parte delle attrezzature erano andate perdute e fra le truppe c'erano state numerose perdite. Per alcuni giorni il Governo Svizzero dubitò se attaccare i francesi approfittando della loro debolezza per dare al loro esercito il colpo di grazia, ma a ragione decisero che la Svizzera non avrebbe cambiato il suo status di nazione non aggressiva. Quattro giorni dopo dell'ecatombe climatica, una seconda tormenta, di minore intensità della prima ma ancora abbastanza violenta, fino di disfare i resti dell'Esercito della Repubblica.

A Zurigo, gianni non credeva alle notizie che arrivavano dell'incredibile disfatta francese. Si erano preparati a lottare contro gli uomini, ma non si resero conto che dovevano fronteggiare un nemico più grande, contro il quale non servono né pallottole né minacce. Dopo di ciò, gli eventi precipitarono. La Francia ritirò di gran fretta le truppe dai paesi occupati per ricostituire il suo grande Esercito, ma scarseggiavano le risorse e molte infrastrutture cruciali erano state seriamente danneggiate dalla tempesta di San Alfonso, come la chiamarono. Per poter recuperare operatività militare, il Presidente della repubblica ordinò requisizioni forzate di numerose risorse nei territori occupati e nella stessa Francia, senza rendersi conto che la gente soffriva nel riprendersi dalla Tempesta stessa, che aveva causato stragi in campagna e nelle città. L'insensibilità del Governo della Repubblica di fronte alle difficoltà dei suoi cittadini e dei popoli sottomessi, scatenò un'ondata di rivolte in tutto il continente occupato, rivolte che si trasformarono in vere e proprie rivoluzioni. Il primo dei territori che recuperò la propria indipendenza fu il nord della Germania, che si auto-costituì come Repubblica di Prussia (senza tentare di riunificarsi con la Baviera e gli altri lander del sud). Il castello di carte della Repubblica crollò rapidamente, dando vita ad una pletora di nuovi paesi, visto che ogni paese occupato si frammentava come minimo in quattro nuove nazioni, di dimensione inferiore, più ragionevoli per la nuova era di risorse scarse. La stessa Francia, soccombendo alla proprie rivolte interne, si divise in sei nazioni.

Una mattina tiepida d'autunno, Gianni seppe che un tribunale popolare di Parigi aveva giudicato e condannato a morte il Governo della Repubblica. Fra i condannati c'era il Ministro dell'Energia e della Guerra, il Generale Davide Rosi. I condannati erano stati giustiziati alla ghigliottina, seguendo la tradizione nazionale, quattro giorni prima.

Per la prima volta nella sua vita, Gianni non si lamentò di aver portato con sé Davide. Perché quel giovane ambizioso gli aveva evitato di commettere tutti quegli errori. Davide era stato il riflesso oscuro di Gianni, ciò che sarebbe potuto diventare. Davide aveva occupato il posto che in altro modo avrebbe assunto Gianni. E Gianni fece ciò che non aveva fatto in tanti anni: abbozzò una semplice preghiera per il riposo dell'anima del suo ex studente. Dopo di che, contattò Colette con una lettera. Fortunatamente, non avevano cambiato indirizzo. Temeva che Colette gli desse la colpa della perdita del marito, ma la vedova si dimostrò amichevole, vicina come era sempre stata e persino riconoscente che l'avesse contattata nonostante le avversità. Vista che la scomparsa dello Stato francese e il naufragio degli impianti di Tesla aveva lasciato la famiglia senza risorse economiche, Gianni si impegnò a versare metà del suo stipendio da Professore Titolare dell'Università Tecnica di Zurigo a Colette.

L'Europa era rimasta senza risorse. La follia della Repubblica era stata l'ultimo lampo, la luce di una fiammata folgorante ed effimera. Tutto ciò che avrebbero potuto fare gli uomini da lì in avanti sarebbe stato fatto a mani nude, o quasi. Gianni di dedicarsi corpo ed anima a migliorare, in modo pratico, le condizioni di vita della gente, cominciando da quelle dei suoi compatrioti svizzeri di oggi. “Se non ho amore, non sono nulla”.

Antonio Turiel

Luglio 2013

lunedì 15 luglio 2013

Un futuro incerto (IV): paesaggio di uomini con guerra sullo sfondo

Di Antonio Turiel.

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR




[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]


Quando la Repubblica invase il paese natale di Gianni Palermo e di Davide Rosi, sotto il comando di quest'ultimo, il piano era quello di prendere le vecchie zone industriali che si supponeva fossero ricche di reagenti chimici. La tremenda superiorità meccanica della Repubblica e l'esaurimento fisico e intellettuale del paese invaso, fece sì che il piano iniziale fosse ampliato. Così, in un paio di mesi, tutto il territorio fu sottomesso. Seguendo il piano di Davide, il paese fu raso al suolo e la distruzione si centrò soprattutto sulla poca capacità industriale rimasta. Nel precipitare il paese nel Medio Evo, la Repubblica eliminò la possibilità che potesse competere con essa per il consumo di quelle risorse preziose per molti anni.

Nel suo esilio nella piccola nazione montagnosa, Gianni percepiva gli echi di quella follia con grande preoccupazione. Sapeva che quando avrebbero esaurito le risorse di quel paese, gli occhi e i denti della Repubblica si sarebbero rivolti verso altre nazioni. Forse per questo la protesta internazionale contro la Repubblica era stata tanto tiepida, con quel suono dolce modulato dalla paura.

Ma Gianni aveva anche altre preoccupazioni a più breve termine: stava cercando lavoro. I suoi risparmi gli avevano permesso di vivere alcuni mesi senza problemi e forse avrebbe potuto stare alcuni anni senza lavorare, ma alla lunga sarebbero finiti piuttosto prima che la sua vita avesse fine - “E' curioso: non molto tempo fa avrei creduto di vivere più a lungo dei miei risparmi”, pensava.

A forza di insistere e dopo aver compilato tanti meriti per ever recuperato dalle biblioteche tecniche di quel paese che venivano ancora rispettate, era riuscito ad ottenere che si tenesse in considerazione il suo dossier e che venisse intervistato nell'Università Tecnica, una delle più prestigiose del mondo (anche se su questa classifica pesava il fatto che nel mondo restavano ormai poche università che meritassero tale nome). L'intervista sembrò più un interrogatorio, con un tribunale formato da cinque famosi ricercatori. Il Presidente del tribunale era il professor Wilhem Strauss, uomo già anziano ed emaciato ma con uno sguardo tagliente e feroce implacabile. Durante l'intervista, tutti i membri del tribunale gli fecero una gran quantità di domande facili da fare ma le cui risposte erano complesse. Grazie al suo lavoro al CRET, Gianni era riuscito a mantenere un livello tecnico molto elevato e poté rispondere a tutte le domande che gli posero, alcune volte persino andando oltre le conoscenze dello stesso tribunale – a parte quelle di Strauss, che era una vera eminenza. Alla fine, l'intervista di valutazione si trasformò in un duello fra Palermo e Strauss; la maggior parte dei membri del tribunale si ritenne soddisfatta dopo un'ora di esame, ma il professor Strauss ha continuato a fargli domande per altre due interminabili ore. Palermo non si fece scoraggiare da Strauss, nemmeno quando questi gli chiese sulle basi del reale funzionamento dei tremogeneratori. Sapendo che forse la Repubblica aveva delle orecchie in quella sala, spiegò che aveva un contratto scritto che non gli permetteva di divulgare quei dettagli, al che Strauss gli chiese direttamente per quale motivo avessero bisogno di tanto magnesio metallico. Palermo gli rispose che forse Strauss capiva il funzionamento di tutto quel macchinario meglio di quanto non lo capisse la Repubblica. Lo sguardo di Palermo a Strauss fu abbastanza significativa da permettere che i due si intendessero senza bisogno di altre parole e Strauss considerò conclusa l'intervista. Gli chiesero di aspettare cortesemente in una sala annessa.

Le deliberazioni non durarono più di mezz'ora, al termine della quale il professor Strauss andò a cercare Gianni Palermo.

- Io e i miei colleghi siamo d'accordo sulla sua qualità scientifica, anche se non su quella personale – gli disse Strauss mentre entrava nella stanza.

Gianni non disse nulla. Era chiaro cosa pensassero..

- Alla fine – aggiunse il professor Strauss – non sempre il criterio di un vecchio professore di questa università tecnica viene tenuto presente, quindi la giunta di valutazione è stata d'accordo che il suo livello è talmente alto che vale la pena di farle un contratto.

Gianni non poté evitare di espirare l'aria dai suoi polmoni con una certa forza.

- Non tiri un sospiro di sollievo, professor Palermo – gli disse Strauss; lo disprezzava, ma rispettava la sua preparazione – qui non potrà ripetere il trucchetto di usare reagenti chimici in reazioni molto esoenergetiche mentre fa credere a tutti che sfrutta non si sa bene quale chimerica “energia libera”.

Gianni si meravigliò che in quegli anni tanto oscuri ci fosse ancora qualcuno sufficientemente intelligente che, con pochi dati, fosse capace di capire la verità.

- Non è tanto sorprendente che me ne sia reso conto, non faccia quell'espressione – continuò Strauss – è tutta mera stechiometria. La Repubblica importa soprattutto magnesio, e anche alcuni altri metalli reagenti, e ho visto che ultimamente esportano molto latte di magnesio come medicamento, com'è nobile la sua Repubblica – lo disse senza ironia, anche se evidentemente lo diceva in quel senso, e proseguì: - Entra magnesio in siti dove c'è acqua sufficiente ed escono idrossido di magnesio ed energia. Pensa che siano tutti stupidi?

Gianni rimase in silenzio per qualche secondo, quindi rispose a quella che era senza dubbio l'ultima domanda di quella valutazione.

- All'inizio di questo secolo, alcune imprese americane specializzate nell'estrazione di idrocarburi si accordarono con aziende di intermediazione finanziaria per promuovere lo sfruttamento di una fonte di energia che, promettevano, sarebbe stata meravigliosa ed avrebbe dato un taglio alla scarsità di petrolio e di gas naturale su scala mondiale. Arrivarono persino a dire che grazie a questa, gli Stati Uniti sarebbero tornati ad esportare petrolio. Naturalmente niente di tutto questo è accaduto. Peggio ancora, la tecnica di estrazione fu talmente aggressiva che causò molti danni ambientali tanto in superficie quanto in profondità.

- Il fracking – disse il professor Strauss, spazientendosi perché gli raccontavano una storia ovvia e risaputa.

- Effettivamente – Gianni riprese subito la parola per andare al punto – la bolla del fracking, dal suo apogeo al sul declino irreversibile, non durò nemmeno 10 anni, ma durante quei dieci anni ci fu chi divenne molto ricco – e fece una breve pausa per respirare – Io non sono diventato ricco con la truffa delle macchine di Tesla, professor Strauss. Ho progettato i primi prototipi, è vero, ma perché è ciò che quegli energumeni volevano sentirsi dire, lo feci semplicemente per salvarmi la vita. Non sono orgoglioso di questo, ma cosa avrebbe fatto lei al mio posto? Non lo sa; non lo sappiamo: lei ha avuto la fortuna di vivere in un paese che si è mantenuto civile, mentre io sono dovuto scappare dal mio paese per poi essere perseguitato in un altro. E dopo aver dato loro il giocattolo che mi chiedevano, mi feci da parte, lasciando che altri – il ricordo di Davide adombrava un Gianni stanco del mondo – si incaricassero di continuare a mantenere questa falsa illusione. E quando vidi dove li stava portando lo loro logica predatoria assurda, fuggii dal paese con quel poco di dignità che mi rimaneva.

Il professor Strauss rimase inespressivo. Non diceva nulla. Era impossibile sapere cosa pensasse, anche se non sembrava commosso dal racconto di Palermo.

- Il fatto è – proseguì Gianni – che durante quegli anni nella capitale della Repubblica ho tentato di fare una ricerca seria, per liberare l'Umanità da questa nuova era di oscurità che è calata improvvisamente su di noi. Guardi, professor Strauss, ho già compiuto 50 anni e voglio tornare a credere nella Scienza, in ciò in cui la Scienza può aiutare l'Uomo. Mi piacerebbe morire facendo ricerca, cercando una cura per questo male degli uomini che è di non saper vivere all'interno dei limiti di questo pianeta. Voglio aiutare a combattere la miseria, tanto fisica come mentale. Questo vorrei. Niente di più. E niente di meno.

Per una decina di secondi il volto impenetrabile di Strauss fece trasparire un breve sorriso e ci fu un lampo di soddisfazione nei suoi cocci. Forse Gianni lo sognò, forse era vero. Il fatto è che il professor Strauss si voltò e di spalle gli disse:

- Vada all'Amministrazione e consegni le sue carte, comincerà domani mattina alle 8 – e girando leggermente il volto, per vedere l'espressione di Gianni, aggiunse – come assistente di laboratorio.

Gianni annuì. Non si meritava nulla di meglio ed era grato che lo lasciassero entrare di nuovo nella Casa della Scienza. Dall'altra parte, non aveva nessun documento che accreditasse la sua formazione accademica. Al massimo gli potevano far fare l'assistente. Essere assistente di laboratorio non era male.

Nei due o tre mesi seguenti, mentre la Repubblica piantava i suoi denti affilati su altre nazioni (embarghi commerciali un giorno, istituzione di protettorati quello seguente e in un paio di casi con l'invasione totale), Gianni si chiuse nel suo lavoro come assistente di laboratorio. Il lavoro che gli affidavano richiedeva un'attenzione minuziosa ed era lento, molto lento, a volte esasperatamente noioso. Ma Gianni intuiva la strada principale di ricerca nella quale si inserivano le sue insipide manipolazioni e per questo il lavoro gli piaceva. In molte occasioni si meravigliava dell'eccellente livello tecnico che era riuscito a conservare quell'Università nel bel mezzo di uno sprofondamento generalizzato del sapere nel resto del mondo. Durante quei lunghi e tediosi mesi, i professori e il pubblico coi quali lavorava lo umiliavano, dimostrandogli che non valeva niente o obbligandolo a rimanere fino a tardi a pulire e mettere in ordine materiale inutile, anche se si nascondevano sempre dietro le norme di rispetto e dei modi urbani, all'antica, si potrebbe dire – cioè, come si faceva quando nel mondo c'erano leggi che valevano per il quieto vivere e la convivenza pacifica fra gli esseri umani. Tale maleducazione a Gianni sembrava un privilegio, se lo paragonava con la barbarie che aveva visto nell'ultimo decennio. Inoltre, si rendeva perfettamente conto che c'era molta ipocrisia in quei gesti, che alcuni di coloro che lo ingiuriavano con le parole o coi fatti, con gli occhi gli chiedevano scusa, talvolta persino a bassa voce. Senza dubbio era una parte del periodo di prova. Alla fine de conti se quell'Università gli aveva fatto un contratto per via del suo eccellente curriculum come ricercatore, non era per tenerlo come assistente di laboratorio. Ma, nonostante il livello inferiore alle sue competenze e nonostante le umiliazioni orchestrate da Strauss per rendergli la vita lavorativa più penosa, a Gianni Palermo piaceva quel lavoro. Perché finché durava, egli sarebbe stato un semplice subalterno, l'ultimo nella catena di comando, e non avrebbe dovuto assumersi alcuna responsabilità. Questo gli dava sicurezza: la sicurezza di obbedire, la sicurezza di non sbagliarsi, perché non prendeva nessuna decisione. Sapeva, tuttavia, che questa comodità di vivere estraneo alla responsabilità non sarebbe durata per sempre e che sarebbero tornati tempi duri di decisioni difficili, che si intuivano nel modo sempre più attenta con cui i suoi colleghi ascoltavano i suoi dati tecnici sugli esperimenti in corso (Gianni non poteva evitare di introdurre discussioni più generali per contestualizzare e proporre modi per migliorare le esperienze) e anche per l'ombra minacciosa che andava crescendo alle frontiere di quel piccolo paese, sempre più circondato dalla malvagità e il saccheggio di una Repubblica insaziabile. Così, per strano che potesse sembrare, Gianni prese quel periodo come una lunga vacanza, le uniche che avrebbe avuto nel resto della sua vita.

Stava preparando la strumentazione per l'esperimento di quel giorno, quando Strauss in persona apparve in laboratorio – raramente ci metteva piede – e gli chiese di accompagnarlo nel suo ufficio. Gianni replicò che doveva terminare di preparare il materiale, ma Strauss gli disse che non era necessario e diede indicazione ad un altro assistente perché continuasse la preparazione. Gianni abbassò la testa e non disse nulla, seguì Strauss come un condannato a morte sale sul patibolo. Il professor Wilhelm Strauss non era il direttore di quel dipartimento universitario, ma lo era stato per molto tempo e la sua parola era più che considerata nelle delibere interne – l'unica eccezioni in anni, a quanto commentarono a Gianni, era stato proprio il suo contratto. E proprio perché Gianni era il sasso nella scarpa di Strauss, non gli parve sorprendente che questi si riservasse il piacere colpevole di comunicargli il suo licenziamento.

Arrivati al suo ufficio, Strauss gli chiese amabilmente di entrare. A Gianni non era mai piaciuta l'armamentario dei licenziamenti. Nei suoi ultimi anni all'Università aveva dovuto vedere come buttavano decine di giovani talenti in maniera sbrigativa, talenti che in seguito emigravano in altri paesi più avanzati. Uno dei pochi studenti che riuscirono a trattenere fu proprio Davide Rosi. Pensare a Davide lo mise di umore ancora peggiore.

Nemmeno Strauss era un uomo al quale piacesse sguazzare nei procedimenti, preferiva spedire le cose direttamente, andando ai fatti. Come se Strauss indovinasse i suoi pensieri, gli disse direttamente:

- Non faccia quell'espressione, professor Palermo: non la licenzieremo, la riassegneremo a un posto più degno della sua categoria. Concretamente, a professore titolare di Università, con posto fisso.

Gianni sbatté le palpebre per qualche secondo, incredulo:

- Non può essere – disse infine – non ho le mie credenziali accademiche, sono un requisito indispensabile. Tutti i documenti sono rimasti nel mio paese natale e sicuramente da tempo sono stati preda delle fiamme.

- Può, per cortesia, aprire quella cartella rossa che ha di fronte a lei, professore – gli disse Strauss.

Gianni, confuso, aprì la cartella. Al suo interno c'era tutta la sua vita accademica, così come l'aveva registrata l'Università dove aveva lavorato per tanti anni. Aveva incluso una copia del suo registro accademico degli anni da studente, la sua Laurea, il suo titolo di Dottore, il curriculum della sua vita lavorativa e i diplomi di accreditamento di tutti i premi e i meriti fino al giorno fatidico in cui dovette scappare correndo con uno zaino sulle spalle come unico equipaggiamento.

- No... non può essere – disse Gianni. Naturalmente tutti i documenti sembravano autentici. Come minimo era conformi agli originali. Alzò lo sguardo perplesso verso Strauss, il quale sorrideva soddisfatto: quell'uomo era in grado di fare l'incredibile – Come li ha ottenuti?

- Mi segua. Qui di fianco c'è qualcuno che la vuole salutare – gli disse Strauss mentre continuava a sorridere sotto la barba ordinata. Gianni non lo aveva mai visto tanto gioviale in tutti quei mesi in cui era stato lì. E mentre camminavano verso la sala riunioni aggiunse: - E' stato lui a portarmi personalmente i suoi documenti, si è preso molto disturbo nel conservarli, mi creda. Da parte mia, mi sono preso la libertà di sollecitare l'omologazione di tutti i suoi titoli e meriti, professore. Ho parlato personalmente con la Segreteria del Ministero che mi ha assicurato che i suoi documenti saranno legalizzati entro una settimana.

Gianni non poteva credere a quello che stava succedendo. Indugiò un attimo prima di entrare nella sala delle riunioni. La sala delle riunioni era dove il personale scientifico si riuniva per prendere il tè e – quando c'era – il caffè, durante qualche breve pausa di lavoro. Come assistente, a Gianni era vietato entrare in questo ambiente se non perché vi venisse convocato: una proibizione che mai nessuno gli esplicitò, ma che aveva compreso rapidamente, come molte altre. Quella Università era l'ultimo baluardo del sapere in centinaia, forse migliaia, di chilometri tutt'intorno e forse per quello si affermava questo aspetto reverenziale della gerarchia intellettuale, cosa che Gianni trovava disgustosamente classista.

All'interno della sala lo aspettava Angelo Santi.

Il professor Angelo Santi era un compagno del dipartimento di Gianni Palermo nei giorni precedenti alla barbarie. Gianni aveva un buon rapporto con lui, anche se negli ultimi anni prima della fuga si vedevano molto poco – generalmente con un paio di birre sul tavolo – a causa del fatto che Angelo era entrato nell'equipe del rettore. Gianni era sorpreso di vedere Angelo lì, ma ciò che lo commosse realmente fu di vederlo tanto peggiorato: aveva perduto molto peso – lui che era sempre stato un omone – e i suoi vestiti erano sporchi e sgualciti come se ci avesse dormito dentro per dei giorni. Ma ciò che lo impressionò di più furono i suoi occhi: le occhiaie profonde, gli occhi leggermente smarriti, umidi. Gianni non poté evitare di andare verso il suo vecchio collega e dargli un abbraccio profondo e sentito, mentre il suo amico si scioglieva in lacrime.

- Angelo – gli disse – come sei riuscito ad arrivare fino a qui? - e staccandosi da lui per guardarlo negli occhi – perché sei qui?

La seconda domanda, in realtà, non aveva molto senso: ovviamente Angelo era sfuggito alla barbarie e dal suo aspetto era chiaro che non era stato un viaggio comodo. Tuttavia Angelo non era scappato dalla stessa orda dalla quale era dovuto scappare Gianni: molto più abile politicamente, Angelo era riuscito a negoziare con il Presidente e collaborò per anni per mantenere un certo status in cambio di informazioni su diverse questioni tecniche con le quali il dittatore manipolava l'opinione pubblica.

- Sai Gianni? - gli diceva Angelo – non sono per nulla orgoglioso di ciò che ho fatto in quegli anni.

- Ssssshhh. Lo so, Angelo - la voce di Gianni era calma, infondeva tranquillità, era la voce di un uomo che aveva fatto la sua penitenza, che aveva raggiunto il suo nirvana dopo un lungo processo di espiazione – Cercavi solo di sopravvivere. Nessuno ti può incolpare di questo – e dicendo questo, Gianni volse lo sguardo a Strauss, che osservava la scena impassibile, probabilmente perché non capiva la lingua.

- Forse hai ragione, Gianni. Non lo so. Per colpa mia molti nostri colleghi finirono in esilio o in campi di concentramento.

“Evviva, finalmente chiamiamo le cose col suo nome. Campi di concentramento”, pensò Gianni.

- Ma, lo sai già, sono arrivati gli invasori. Sono entrati come cani rabbiosi in cerca della preda, cercando di strapparci le carni e ci hanno attaccato al collo – aggiunse Angelo, tanto agitato che gli mancava il fiato.

“Questo Angelo, sempre tanto retorico e tanto portato alla drammatizzazione”, pensò Gianni e non riuscì ad evitare un mezzo sorriso che dovette nascondere per non offendere il povero amico.

- La Repubblica ci ha schiacciati con la sua macchina da guerra – aggiunse Gianni con disinvoltura, per continuare sulla falsariga teatrale iniziata dal suo amico e per farsi perdonare lo scivolone espressivo.

- La Repubblica e il tuo caro pupillo! - la voce di Angelo era quasi un urlo – Guarda, guarda il fottuto bastardo sopra questo blindato!

Angelo gli aveva allungato un pezzo di giornale. Non era di un quotidiano della sua nazione natale – dove l'invasione era stata tanto folgorante che praticamente non c'era stata reazione – ma di un famoso rotocalco straniero, e ciò che mostrava era un'altra invasione, quella del secondo paese che la Repubblica aveva sottomesso. Era lo stesso: Angelo vedeva in quell'immagine ciò che era avvenuto a casa sua e in fondo non era tanto diverso. Lesse in fondo alla pagine, capiva abbastanza il tedesco da comprendere che Davide Rosi aveva assunto il comando delle operazioni di occupazione, come aveva sicuramente fatto nel suo paese natale. Sotto alla foto c'era scritto “Colonnello Rosi” e, effettivamente, Davide aveva abiti militari. E nientemeno che da colonnello! Il degrado della Repubblica era proprio totale, se in un pugno di mesi elevava a tale rango un moccioso arrivista. Il degrado e la disperazione. E una capacità di manipolazione per nulla disprezzabile da parte di Davide Rosi di tutti gli inetti che lo circondavano... Immaginò dove si fosse guadagnato i galloni Davide: sul campo di battaglia. E non si sbagliava: l'avidità di Davide non aveva limiti e dirigeva personalmente alcune delle operazioni più rischiose per garantire che i materiali che gli interessavano non subissero danni. Tutto in favore della Repubblica.

Gianni sospirò. La paura ci porta a far follie, lui lo sapeva bene. La paura ci porta ad aggredire senza essere provocati, rifletté, e la paura di Davide era quattro volte più grande di quella di Gianni, perché aveva moglie e figli. In realtà doveva essere anche peggiore, perché anche se non lo avrebbe ammesso, Davide Rosi conosceva bene il problema del peak everything (“picco di tutto”) quanto Gianni Palermo, quindi per forza sapeva che la sua impresa era condannata al fallimento finale totale, inappellabile.

Gianni si destò dai suoi pensieri e si concentrò su Angelo:

- Angelo, non potrò mai ripagarti per quello che hai fatto per me. Ti sono debitore.

- oh, tranquillo Gianni, non è niente di personale. Sono semplicemente scappato con tutto l'archivio dei professori del Dipartimento. Non potevo permettere che Davide si dedicasse cercarli per schiavizzarli. Anche se, dopo le visite obbligate ai campi di concentramento, l'archivio non era tonto voluminoso – disse Angelo, indicando un semplice archivio di cartone

- Suppongo li dentro ci sia anche il tuo curriculum.

- Naturalmente.

- Quindi forse herr professor Strauss può farti avere un lavoro in questa università prestigiosa – e rivolgendosi a Strauss in tedesco (lingua che Angelo conosceva) gli disse: - Credo che abbiamo trovato il mio sostituto perfetto per il laboratorio.

Negli anni successivi, la vita passò tranquilla per Gianni e gli altri esiliati che erano approdati in quel piccolo paese fra le montagne. Ma la guerra del magnesio si estese a macchia d'olio intorno ad esso, paesi rapidamente sottomessi al giogo della Repubblica, paradossalmente loro alleata per pochi decenni. La superiorità meccanica dei repubblicani e, soprattutto, la sua inesauribile energia, li portava a vincere un paese dopo l'altro, ma anche ad aumentare in modo ancora più rapido il suo consumo e la sua necessità di trovare nuove risorse. Gianni seguiva con dolore l'evoluzione dei fatti. Seppe dalla stampa che Davide era giunto ad essere il generale più giovane della Repubblica, bruciando le tappe e lasciando probabilmente molti feriti per strada, ma nulla era abbastanza per la sua ambizione. Davide aveva capito che l'unico modo di assicurare la forniture di materie prime, da parte dei paesi occupati ai suoi impianti di energia Tesla molto redditizi, era attraverso l'esercito. Veniva da lì il suo interesse nel perseguire una rapida carriera militare, approfittando dell'amicizia col Presidente della Repubblica e fregandosene di quanti militari di carriere avrebbe dovuto calpestare nella sua folle corsa verso il nulla. Ma mentre la vita di Davide era una frenetica fuga in avanti, sempre a pensare ad un nuovo bastione da conquistare la notte stessa in cui metteva piede nella sua ultima conquista, Gianni si sentiva relativamente in salvo nel suo nuovo ambiente. Il piccolo paese, con una lunga tradizione di neutralità durante gli anni della guerra, aveva tre fattori a suo favore. In primo luogo non aveva magnesio – l'industria fu abilmente e rapidamente convertita senza lasciare materiali inutilizzati e, grazie alla sua produzione di legname, il legno era allora la materia prima fondamentale. In secondo luogo, le alte montagna che formavano le sue frontiere e il freddo che vi faceva erano una barriera naturale per chi non vi fosse abituato. E, in terzo luogo, la popolazione aveva un grande spirito di cooperazione nelle avversità e tutti avevano ricevuto una formazione militare per due anni, quindi il paese era sempre pronto a far fronte a qualsiasi emergenza.

Ma è quando l'ardore guerriero della Repubblica si era visto molto ridotto, esaurita com'era per lo sforzo militare delle ripetute guerre di conquista e per i crescenti costi per il controllo di un vasto territorio di molte volte più ampio della Repubblica stessa, che Gianni si sentì più sicuro e fiducioso. Insomma, quando sembrava che la pace tornasse nella vecchia Europa, la tranquillità nella quale viveva Gianni si dimostrò essere più fragile di quanto non credesse. In una fredda mattina gli arrivò la brutta notizia: la Repubblica esigeva l'estradizione immediata e incondizionata di Gianni Palermo per alto tradimento. Erano passati cinque anni da quando era scappato dalla repubblica, eppure la dichiarazione dell'accusa era definitiva: Gianni Palermo era accusato di essersi portato dietro segreti di Stato, più precisamente i piani della nuova generazione di tremogeneratori.

L'iniziale incredulità di Gianni quando gli comunicarono l'ordine di estradizione da parte del funzionario del Ministero della Giustizia lasciò il posto ad una riflessione truce. Si rese conto che Davide si trovava fra l'incudine e il martello. Ovviamente il trucco del magnesio non aveva più futuro. Davide aveva imperversato con l'esercito in mezza Europa ed era chiaro che non c'erano ormai che quantità marginali di magnesio metallico distribuite qua e là. Paradossalmente, il magnesio che poteva ancora saccheggiare la repubblica era più di quello che aveva quando Gianni installò i primi tremogeneratori di Tesla, ma con le necessità della nuova Grande Repubblica e, in particolar modo, del suo esercito, ciò che rimaneva era una miseria. La tragedia della funzione esponenziale, ancora una volta. Davide aveva bisogno, e disperatamente, di nuovi trucchi, ma dopo tanti anni di fuga in avanti a ritmo accelerato, sempre preoccupato per le nuove conquiste, per le filiere della fornitura, per i nuovi impianti... era rimasto a corto di idee. Davide aveva bisogno di Gianni per apportare concetti nuovi. Aveva già spremuto i ricercatori del CRET fino allo stremo o alla morte, ormai non aveva più nessuno a cui ricorrere. Davide aveva bisogno di Gianni per salvarsi la pelle.

I termini della richiesta di estradizione erano nitidi, imperiosi, arroganti. Riflettevano chiaramente l'anima della nuova Repubblica. La Repubblica non negoziava: esigeva. La Repubblica non chiedeva: prendeva. La Repubblica dava al piccolo paese che accoglieva Gianni un ultimatum di due giorni perché lo consegnassero, altrimenti “la Repubblica avrebbe preso le misure necessarie per prendere in custodia l'imputato”. Se non era chiaro, più in basso si diceva esplicitamente che la non consegna di Gianni avrebbe implicato la guerra. Si vedeva chiaramente che il testo era stato redatto a più mani, dalla più educata alla più abbruttita.

Gianni aveva imparato ad amare quel rifugio di pace e civiltà e non voleva vederlo profanato e distrutto dalla Repubblica. Ricordò le immagini della sua città natale in fiamme. No, mai più. Così disse al funzionario che voleva consegnarsi per evitare mali peggiori. Il funzionario, un tipo molto alto, biondo e con occhi piccoli di un azzurro intenso, sorrise discreto sotto i baffi e disse: “Qui non facciamo le cose così. Questa è una nazione civile, professor Palermo”. Dodici anni dopo tornava a sentire quasi le stesse parole di quel gendarme alla frontiera fra il suo paese e la Repubblica, ma questa volta non c'era cinismo in esse, ma onorevolezza.

L'estradizione di Gianni fu sottomessa al voto dell'assemblea locale quella stessa sera, data l'urgenza della situazione. Gianni parlò all'assemblea e spiegò che conosceva bene la repubblica e che non voleva pregiudicare il piccolo paese. Ma dopo di lui parlarono molte persone, lodando il buon lavoro che aveva fatto per la comunità. Anche lo stesso Wilhelm Strauss fece una difesa breve e concisa, ma convincente, del perché non potevano lasciarsi saccheggiare dalla repubblica, che se avessero ceduto avrebbero ceduto sempre. L'assemblea votò con schiacciante unanimità di non accogliere la richiesta della Repubblica. Il popolo, orgoglioso, si preparò per andare in guerra, una guerra dove era in gioco la loro ragione d'essere.

Si cominciò a preparare la difesa in montagna, mentre le colonne dell'esercito invasore avanzavano verso la frontiera.

- Senza dubbio – disse Gianni a sé stesso pensando a quella mattina di dodici anni prima nella Città Universitaria – avrei dovuto abbandonare Davide a Roma.


Antonio Turiel.

Giugno 2013