martedì 2 luglio 2013

Consigli di sopravvivenza da parte dei Gitani

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Immagine: Il campo Rom incendiato da una folla inferocita a Torino il 10 dicembre 2011 - da"La Stampa".

Anni di contatto con i Roma, che chiamiamo anche “Gitani” o “Zingari”, hanno cambiato in molti modi la mia visione del mondo. Non che potessi penetrare, se non superficialmente, una cultura che ho scoperto essere la più aliena che abbia mai incontrato e della quale non parlo nemmeno uno dei tanti dialetti. Ma credo di aver assorbito abbastanza da poter provare a dare un'interpretazione personale dei modi dei Gitani: di come sono riusciti nell'impresa straordinaria di sopravvivere per più di mezzo millennio in Europa, all'interno di una società spesso ostile. Non prendete questo mio testo come un tentativo di glorificare i Roma – capisco i problemi che stanno affrontando. Ma riconosco anche che si può essere umani in molti modi e che i Roma ne hanno scelto uno specifico e, per questo, meritano rispetto. Forse, da loro possiamo imparare qualcosa di utile per i tempi duri che stanno arrivando. 


Nel Dicembre del 2011, una ragazza italiana di 16 anni di un sobborgo di Torino tornava a casa lamentandosi di essere stata violentata da due zingari provenienti da un campo vicino. Apparentemente, è stata subito creduta e in breve tempo una folla di circa 500 persone si radunava per marciare sul campo Rom portandosi dietro torce e bastoni

Quando la folla è arrivata al campo, lo hanno trovato completamente vuoto. I Rom se ne erano andati in fretta, portandosi dietro tutte le cose di valore. Così, non c'era rimasto niente da fare per gli assatanati oltre che sfogarsi spaccando vetri, facendo a pezzi i mobili e dando fuoco ad alcune delle baracche. Più tardi, i pompieri hanno spento gli incendi e la ragazza ha confessato che si era inventata tutto. Aveva paura di raccontare ai suoi genitori che aveva perso la sua verginità con il suo ragazzo. (qui, la storia completa).

Vi potete domandare come può essere che una storia che sembra arrivare dal Medio Evo sia potuta accadere in un paese (teoricamente) moderno come l'Italia nel 2011. Ma quello che mi ha fatto impressione non è tanto la stupidità dei membri della folla o l'ingenuità della ragazza. E' la reazione dei Roma.

Immaginatevi di venire a sapere che una banda di gente armata di torce e bastoni si dirige verso la vostra casa. Non so come la pensate voi, ma la mia prima reazione sarebbe di aspettarli con un fucile in mano. Sarebbe, credo, la reazione tipica di molti di noi: classe media occidentale. Tendiamo a vedere la nostra casa come il nostro castello e a difenderla anche fino all'ultimo.

Ma i Roma di questa storia non hanno ragionato in questo modo. E hanno fatto la cosa giusta: sono scappati. Immaginate, invece, che avessero tentato di difendere le loro case. Si è saputo poi che c'era gente nella folla che aveva delle pistole. Vi potete immaginare cosa sarebbe successo? Considerando come queste cose sono normalmente raccontate sulla stampa, è probabile che i Roma avrebbero finito per essere considerati come gli aggressori e non come le vittime.

Invece, quando il fumo si è disperso, è stato chiaro per tutti chi aveva ragione e chi aveva torto. Così, I Roma sono potuti tornare indietro a riparare le loro baracche, avendo evitato il peggio. Mi sembra un esempio interessante di come si può essere sorpresi da una cultura e un modo di pensare che improvvisamente si rivelano completamente differenti.

Dopo alcuni
anni di contatti con i Roma che vivono a poche centinaia di metri dal mio ufficio, credo di aver cominciato a capire qualcosa di questa cultura che si rivela come la più aliena di tutte quelle che ho incontrato fino ad oggi. E' una cultura che si basa su più di mezzo millennio di esperienza di vita in un mondo spesso ostile, dal tempo in cui i Roma cominciarono ad arrivare in Europa, emigrando lentamente dal loro paese di origine, l'India. Ci può non piacere il modo di vivere e il modo di fare dei Roma, e soprattutto la loro cocciutaggine nel resistere l'integrazione. Ma il fatto che siano sopravvissuti tanto a lungo vuol dire che qualcosa di giusto lo hanno fatto.

Così, ho provato a mettere insieme alcuni “consigli per la sopravvivenza”, mettendomi nella parte di un Rom per quanto mi è possibile, essendo io soltanto un umile Gadjo. Non so se queste note possono essere considerate come un manuale di sopravvivenza, ma di sicuro sono interessanti. (E mi scuso in anticipo con i miei amici Rom per gli errori che posso aver fatto in questa interpretazione.)

Dieci Consigli per la sopravvivenza da parte dei Roma


1.
In battaglia, la miglior strategia è la fuga (la regola d'oro). Molti secoli di sopravvivenza in un mondo ostile hanno insegnato ai Roma che combattere in condizioni di inferiorità non è una buona idea. Questo non vuol dire che i Roma siano persone miti come individui e gruppi familiari. Al contrario, possono essere aggressivi e occasionalmente impegnarsi in scontri rumorosi con i loro pari. Ma, in generale tendono a evitare tutti i conflitti con i Gadje, scappando se necessario. Non ci sono resoconti di Roma impegnati in guerre in quanto gruppi etnici e si riporta solo di pochi Roma che hanno combattuto negli eserciti dei Gadje. E' un atteggiamento che sembra essere ancora utile e valido oggi, come dimostrato dal caso dell' attacco al campo Rom di Torino nel 2011, dove la rapida fuga dei Roma ha evitato lo scontro.

2.
Non portare e non usare armi. Questa regola deriva direttamente dalla regola d'oro (la miglior strategia è la fuga). Se sei il più debole in uno scontro, renderlo più distruttivo è una pessima idea perché, molto probabilmente, le armi che metti in gioco saranno usate contro di te. I Roma sembrano aver messo in pratica questa strategia durante tutta la loro storia di vagabondi, e la mantengono ancora oggi. Anche se alcuni di loro possono essere impegnati in attività illegali, è estremamente raro leggere di Roma che portano o usano armi. Il concetto di “diritto di portare armi” sembra del tutto alieno per loro. Su questo punto, sono ben più avanzati dei Gadje occidentali.

3. Prenditi cura della tua mobilità. Questa regola è una conseguenza delle prime due. Se non hai armi e se sei il più debole, non puoi stare fermo a fare da bersaglio: devi essere mobile. Per secoli, i Roma hanno usato questa strategia. La loro vita è stata sulla strada e rimane tale anche oggi; anche se non usano più i loro carri trainati da cavalli, preferendo di gran lunga le automobili (e non sembra che esista una Mercedes che non piaccia a un Rom). Così, i Roma non sembrano essere particolarmente interessati a scambiare le loro roulotte e i loro camper per dei normali appartmenti, anche se a volte sono invitati (o forzati) a farlo dalle autorità locali. Ma le cose cambiano e sparire all'orizzonte sta diventando sempre più difficile in un mondo che sta diventand sempre più controllato e regolato. Oggi, i Roma sono spesso segregati in campi che somigliano sempre di più a delle prigioni a cielo aperto; una situazione che devono accettare a malincuore.

4.
Viaggia leggero nella tua vita. I Roma di oggi sembrano aver ereditato dai loro antenati il concetto che devono sempre essere pronti a fare le valige e correre via all'improvviso. Uno dei risultati di questa abitudine è che un alloggio Roma (che sia una baracca o una roulotte) non mostra la tipica confusione delle case dei Gadje. Questo non è soltanto perché i Roma sono più poveri, ma perché sembrano applicare un qualche tipo di regola del “Feng Shui” nel senso che buttano via spietatamente tuto quello che non è strettamente necessario. Come conseguenza, l'interno di un alloggio Roma è sempre lindo e pulito, non come succede spesso in molte case dei Gadje. E' anche vero, tuttavia, che i Roma non usano la stessa attenzione per tenere bene l'esterno dei loro alloggi. D'altra parte, se devono essere sempre pronti a scappare, che senso ha prendersi cura del prato del condominio? Così, un accampamento Roma ha spesso l'aspetto di essere stato bombardato solo qualche giorno prima. Questa è di solito l'unica cosa che i Gadje che visitano il campo vedono, il che non è molto bene per l'immagine pubblica dei Roma.

5. Coltivate l'arte dell'offuscazione creativa. Se siete sempre di fronte al rischio di una pulizia etnica nei vostri riguardi, fate bene a fare attenzione a evitare di dare troppe informazioni ai vostri vicini più potenti. I Roma sembrano aver capito questa idea in termini di uno schermo per sviluppare una cortina fumogena linguistica che rende tutto molto vago. Se vi capita di chiaccherare con dei Roma, noterete che non viene mai detto chiaramente chi fa cosa, quando, e come. Gli appuntamenti sono sempre molto elastici (per non dir di peggio) e se siete invitati a cena da una famiglia Roma potete essere sicuri che arriverete sempre troppo tardi o troppo presto. In più, i Roma sembrano positivamente gelosi del loro linguaggio e non forniscono molto aiuto per chi prova a impararlo. Tutte queste caratteristiche danno qualche vantaggio ai Roma, ancora oggi, anche se non in termini di rendersi cari ai Gadje. Ma è tutto parte dell'essere Roma.

6. La famiglia di un uomo è il suo rifugio. Un Rom diventa davvero un uomo solo è sposato ed ha dei figli e la stessa cosa vale per una Romni, una donna. Ma la famiglia per i Roma è vista più come un “clan” che include un gran numero di parenti, in un dedalo di relazioni ed obblighi. E' su questa rete o membri famigliari che i Roma fanno affidamento per i propri bisogni in tempi difficili. Il clan fornisce sostegno, difesa, divertimento ed aiuto d'emergenza. Tutto ciò è fondamentale per gente che non ha un lavoro, un fondo pensione e, in molti casi, nessuna assistenza medica. Il problema è che questa tradizione incoraggia le famiglie ad avere bambini ed i Roma ne hanno spesso anche 5 o 6 per coppia. Questa era una buona strategia nei tempi duri di una volta, quando solo una parte della prole di una famiglia sopravviveva fino a diventare adulta. Oggi, invece, avere molti figli crea una moltitudine di problemi pratici aggiuntivi ai molti problemi che i Roma già hanno. Di questi problemi, uno è che i Gadje tendono a disapprovare i Roma che adottano una strategia, le famiglie numerose, che loro stessi hanno adottato fino a non molto tempo fa. Questo potrebbe cambiare con una nuova generazione di Romnie che spesso spesso dichiarano di non avere alcuna intenzione di caricarsi del fardello di molti figli come hanno fatto le loro madri. Se la “transizione demografica” avrà luogo per i Roma è da vedere, ma una cosa è certa: i Roma amano molto i propri figli.

7. Ciò che hai imparato da solo, non te lo potranno mai portar via. I Roma sono sempre stati degli eccellenti artigiani. Hanno lavorato come vasai, fabbri, maniscalchi e jolly di tutti i mestieri. Anche oggi, un Rom può costruirsi da solo una baracca completa usando legno di scarto e lo può fare sufficientemente bene da fare in modo che il tetto non crolli sulla testa della famiglia. Non perde acqua quando piove ed è persino accogliente d'inverno, con la stufa che la riscalda così bene! Sfortunatamente, tuttavia, i moderni Roma hanno anche perso gran parte delle capacità specifiche dei loro antenati: non c'è più bisogno di riparare vecchi vasi e pentole e gran parter degli oggetti meccanici sono costruiti in modi che rendono loro impossibile ripararli. Ciononostante, i Roma conservano una notevole flessibilità ed adattabilità. Apprendono rapidamente: se dovesse esserci ancora bisogno di gente che può riparare un ombrello rotto, i Roma possono di nuovo imparare a farlo.

8. Cogli l'occasione quando ti capita. Vivendo sempre sulla strada, spesso scappando da nemici più forti, i Roma hanno imparato ad essere flessibili, pieni di risorse e sempre pronti a cogliere l'opportunità del momento. Potrebbe essere questa caratteristica che li rende dei grandi commercianti; hanno una capacità quasi incredibile di capire cosa abbia valore e cosa no e la sfruttano al massimo. Naturalmente, rimangono spesso dei dubbi legittimi sulla fonte degli oggetti che commerciano ed è vero che alcuni Roma perseguono una carriera da ladruncoli. Se ciò sia parte dei modi tradizionali Roma è discutibile, ma è sicuro che il numero di Roma che sono realmente coinvolti in attività illegali è grandemente sopravvalutato da gran parte dei Gadje. Per un verso, è sempre più difficile rubare qualsiasi cosa in un mondo di sensori, allarmi, carte elettroniche e telecamere nascoste. Ma “illegale” è anche una questione di definizione. Per esempio, una delle attività tradizionali dei Roma era quella di raccogliere metalli di scarto per il riciclo, una cosa che vedevano (e vedono ancora) come una attività del tutto legittima. Tuttavia, i governi hanno cominciato a fare leggi e regolamenti che hanno trasformato questo tipo di raccolta dei rifiuti in attività illegale. Ciò ha spinto gran parte dei Roma specializzati in questo campo nel mondo oscuro della “economia parallela”, dove riescono ancora a raccogliere metalli sfruttando la propria creatività ed adattabilità, ma in condizioni molto più difficili.

9. Sii geloso della tua identità. I Roma si rifiutano ostinatamente di essere integrati nella società dei Gadje e preservano gelosamente la loro lingua e le loro tradizioni. Questo sembra essere un atteggiamento comune ancora oggi, nonostante il fatto che molti bambini Roma vadano a scuola e nonostante la presenza di televisori e connessioni Internet nelle case Roma. A questo proposito, i Roma si comportano come gli Ebrei, anche se non vedono la propria identità in termini religiosi (di solito adottano la religione della regione nella quale si trovano). Inoltre, diversamente dalla tradizioni ebraica, quella Romani non è scritta. E' completamente orale e potrebbe esserci una ragione per il fatto che i Roma non sembrano essere particolarmente interessati ad imparare a leggere e scrivere. Ciò che i Roma hanno bisogno di sapere lo conservano nelle loro teste, a differenza di gran parte dei Gadje che sono sempre più sperduti in uno tsunami di informazioni che non sono più in grado di controllare. Enfatizzare l'identità etnica è un concetto utile a mantenere la coesione nella comunità Roma, ma potrebbe rivoltarsi contro di loro generando un obbiettivo facile per quella parte di Gadje che sono inclini al razzismo e all'odio etnico e che oggi sembrano essere in tanti, proprio quanti ce n'erano in passato. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i Roma hanno subito un tentativo di sterminio simile a quello degli Ebrei per mano dei Nazisti. Oggi, gli attacchi in stile progrom contro i Roma sembrano essere rari, ma avvengono ancora a volte. Ad ogni modo, se i Roma sono riusciti a sopravvivere ai Nazisti, probabilmente possono sopravvivere a qualsiasi cosa.

10. Sii uno spirito libero. In tempi antichi, l'occupazione preferita dei Roma era quella di musicisti e la loro celebre capacità con gli strumenti musicali non era solo un modo per guadagnarsi da vivere, era anche un modo per celebrare la fuggevole bellezza del mondo. Oggi, solo pochi Roma hanno conservato questa capacità in un mondo dove la musica è divenuta principalmente un prodotto dell'industria dell'intrattenimento. Tuttavia, i Roma si prendono ancora cura della propria libertà e normalmente rifiutano di sottomettersi alla schiavitù di un cartellino. Ciò non rende facile per loro trovare lavoro in un mondo che enfatizza l'affidabilità, l'efficienza e il controllo – il risultato è che la maggior parte dei Roma che vivono in paesi occidentali sembrano essere condannati a una condizione di estrema povertà. Forse, nei tempi che furono, i Roma erano felici grazie alla loro vita “sulla strada” spensierata, ma oggi nei campi Romoani ci sono casi di depressione, malattia mentale e infelicità. Tuttavia, è difficile dire se in media i Roma sono più stressati dalle loro condizioni di povertà di quanto lo siano i loro vicini Gadje dalla loro lotta quotidiana coi mutui, gli affitti, gli sfratti, la disoccupazione e cose simili. Ciò che si può dire di certo è che la libertà, per chiunque, non è solo una scelta ma anche un costo.

Questi consigli possono essere utili a noi Gadje? Sicuramente, oggi lo stile di vita dei Roma sembra irrimediabilmente obsoleto. Nessuno ha più bisogno di gente capace di riparare ombrelli, di vendere cavalli, di cantare e, inoltre, nessuno sembra concepire la possibilità che qualcuno possa non voler vivere nel modo in cui vivono i Gadje moderni. Ma il mondo cambia sempre e le virtù che hanno reso l'Occidente così potente e di successo un giorno potrebbero diventare obsolete. Dmitry Orlov nota, nel suo libro “I cinque stadi del collasso”, come i Roma abbiano prosperato nel collasso dell'Unione Sovietica. Quando anche per noi arriveranno tempi difficili, scommetto che i Roma ci saranno ancora e forse ci insegneranno un paio di cosette.


lunedì 1 luglio 2013

Segni di cambiamento: siete pronti alla grande transizione?


Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR




I segni di cambiamento si stanno accumulando, ma gran parte della gente non ci fa ancora caso

Di Alexander Ac

L'Homo Sapiens è davvero un progetto evolutivo? E con ciò intendo sostenibile, siamo in grado di sostenere tutto quello che abbiamo fatto e costruito; costruzioni, reti e conoscenza per un lungo periodo in un (lontano) futuro? Possiamo scegliere una strada drammaticamente diversa da quella sulla quale ci troviamo attualmente? 

Ci sono molte persone che pensano costantemente e profondamente alla sostenibilità, problemi globali, sovrappopolazione, deforestazione, sovrasfruttamento della pesca, erosione del suolo, inquinamento dell'aria... e sopra a tutto il cambiamento climatico, visto che è un problema di sopravvivenza per la nostra specie. Ma la domanda vera non se un certo numero di persone pensa alla sostenibilità e prova e vivere di conseguenza. La domanda vera è se lo facciamo (faremo) collettivamente. In altre parole, non è importante cosa fanno 50.000 persone per poche ore al giorno (per esempio, protestare contro l'oleodotto Keystone), ma è importante cosa fanno 7 miliardi di persone per 365 giorni all'anno.  

Possiamo vedere come il grande cambiamento da cacciatori-raccoglitori a società agricole è stato reso possibile da un clima locale stabile e prevedibile (e quindi rendimento dei raccolti!) durante gli ultimi 12.000 anni. Alla fine dell'Era Glaciale, questo pianeta era abitato da non più di 20.000 persone. Non ci conviene  davvero lasciarci l'Olocene alle spalle. 

Guardate bene i due grafici seguenti: 


Fig. 1.: Il grafico in alto mostra che ci stiamo rapidamente lasciando alle spalle le temperature dell'Olocene. Il grafico in basso mostra che questo periodo dell'Olocene è eccezionalmente stabile nei 100.000 anni di temperature registrate dalla Groenlandia Centrale. Alcuni lo confondono con la registrazione della temperatura globale, ma non è così.

Ora, l'ultimo discorso del Presidente Obama potrebbe suonare ottimistico per alcuni scienziati ed anche se le promesse fossero mantenute, il che è molto dubitabile dato il passato, considerate anche il grafico seguente: 


Fig. 2. Non dovete essere dei matematici, o saper misurare la funzione esponenziale, per vedere che questo tasso di aumento del debito non è sostenibile. Le risorse del pianeta non permetteranno di ripagare tutti i debiti che abbiamo creato. Fonte: St Louis FED. L'effetto del Pianeta Terra è stato aggiunto solo a scopo illustrativo.

Nel grafico potete vedere il Debito di Mercato Totale Dovuto negli Stati Uniti. Lo stesso paese in cui Obama ha promesso (finalmente) di risolvere la crisi climatica. Questo non per criticare il Presidente Obama, ma per mostrare ciò che stiamo facendo collettivamente. Chiunque abbia un mutuo, o quasi ogni altro tipo di debito, fa aumentare una domanda in crescita esponenziale delle risorse planetarie. Come può essere questo compatibile con il declino dell'impronta di carbonio? 

Il debito è fondamentalmente un credito sulle risorse (energetiche) del futuro. Quindi, se vogliamo ripagare TUTTI i debiti, dobbiamo proseguire nella crescita esponenziale. Se non vogliamo ripagare tutti i debiti, la deflazione del debito ci è addosso. E l'iperinflazione subito dopo. Bene, sta già accadendo, nonostante la politica monetaria ultra liberista  e la “stampa dei soldi” (esperimenti di calcio alla lattina), che è l'esatto opposto di quanto si dovrebbe fare per risolvere il cambiamento climatico e gli altri problemi di sostenibilità. Ma non lo sentirete dire da un monetarista come Ben Bernanke o Paul Krugman.

Naturalmente, la deflazione del debito significa enormi problemi economici e disordine sociale. Ancora una volta, questo sta già avvenendo. Ma è anche una soluzione per il problema climatico. Almeno finché dura. Dobbiamo sbarazzarci del debito cattivo e usare il debito buono per allontanarci dai combustibili fossili e dal caos climatico.

Siamo pronti per questo?






















domenica 30 giugno 2013

Distopia III: La Tempesta

Da “The Oil Crash” Traduzione di MR



Di Antonio Turiel


[Nota: la storia seguente non è altro che una finzione letteraria. Gli eventi climatici descritti in essa sono solo una drammatizzazione che rappresenta uno scenario estremo del clima del nostro pianeta che non si basa su nessun modello numerico né su nessuna conoscenza attuale dei meccanismi che governano il tempo atmosferico ed il clima. La velocità alla quale avvengono alcuni cambiamenti nella storia è probabilmente troppo rapida allo scopo di perseguire questo effetto di drammatizzazione. In realtà, non abbiamo alcun modello numerico né dei processi che possano descrivere con precisione ciò che accadrà al clima del nostro pianeta una volta che si sciolga tutta la banchisa polare artica: siamo in una Terra Incognita. L'unica cosa sicura è che andiamo verso un pianeta diverso da quello che conosciamo]


L'estate del 2013 fu atipica in tutta Europa. Da giugno a settembre si alternarono settimane di pioggia e temperature molto fresche con settimane durante le quali il Sole picchiava con furia (gli esperti dissero che con le piogge intense l'aria era libera da aerosol e si sentiva di più l'effetto serra). Ma l'aria non giunse mai a scaldarsi troppo, perché non faceva mai più di 5 o 6 giorni per godersi la canicola che già tornava il cattivo tempo. I raccolti di cereali di quell'anno furono del 50% inferiori alla media dei dieci anni precedenti, non solo in Europa. Nel resto del mondo, malauguratamente soprattutto nelle zone cerealicole, la norma erano le temperature alte, la siccità e gli incendi forestali. Ci fu un incontro delle Nazioni Unite per discutere il grave problema della mancanza di alimenti, incontro che si concluse con rinnovate raccomandazioni di mangiare insetti, meduse, alghe e licheni. L'anno come se nulla fosse nel mondo occidentale, mentre i paesi poveri si stringevano di uno o due buchi la cinghia e la fame faceva scempio dei corpi e delle menti (e a volte dei palazzi).

Durante l'estate del 2014, successe qualcosa di insolito: la banchisa polare artica, vale a dire, il ghiaccio che galleggia sopra al Polo Nord, scomparve completamente. Sei anni prima del previsto, dissero alcuni esperti, mentre altri dissero che quello che era successo confermava i loro modelli. Le potenze occidentali dissero che la scomparsa del ghiaccio artico era una buona notizia, perché apriva nuove rotte marittime più efficaci (convenienti, ora che il prezzo del petrolio tornava a far notizia) e anche perché lasciava libero accesso ai ricchi giacimenti di minerali e di idrocarburi del fondale marino. In inverno si formò di nuovo la banchisa, anche se era molto più sottile e fragile. Gli autoproclamati “scettici del cambiamento climatico” dovettero ritirarsi un po' dalla scena pubblica, cercando argomenti per dimostrare che quanto era successo non aveva nulla a che vedere con il riscaldamento globale, mentre la preoccupazione per l'ambiente cresceva nei sondaggi e si situava già al secondo posto fra le preoccupazioni degli europei e dei nordamericani, 20 punti al di sotto della disoccupazione e di soli 2 punti al di sopra della crisi economica. Per i più, il 2014 fu una ripetizione del 2013. In Europa la gente non poteva andare al mare, mentre nel resto del mondo molta gente moriva nelle ondate di calore continue, con temperature record diffuse in tutto il Globo.

Gli anni seguenti furono denominati da alcuni “la Piccola era Glaciale”. Ci diceva questo viveva in Europa e nella Costa Orientale degli Stati Uniti, ovviamente, perché per l80% dell'Umanità, l'aumento delle temperature era sempre più palpabile. Nonostante questo, alcuni “scettici” cominciarono a preconizzare l'arrivo di una nuova glaciazione, fenomeno naturale ed inevitabile associato ai cicli astronomici, e la benedizione del fatto di aver aumentato la CO2 nell'atmosfera, che avrebbe evitato che la glaciazione fosse così cruenta. Studi scientifici mostrarono che la Corrente ad Anello Meridionale (la grande fascia di circolazione termoalina che percorre l'oceano) si era interrotta all'altezza dell'Atlantico del Nord e con essa parte dell'apporto di umidità extra che giungeva in Europa, per cui le estati successive non furono tanto piovose.

La Corrente a Getto artica era praticamente scomparsa e al Polo Nord si era stabilito un dipolo formato da una alta pressione e da una bassa al posto del ciclo abituale. Grazie a questo, dal Polo Nord fluiva aria fredda verso il Nord America e l'Europa, mentre attraeva aria calda dall'Asia Centrale.


Alla fine di quel periodo, le temperature si moderarono nell'Emisfero Nord e i raccolti migliorarono notevolmente, anche in Europa. Sembrava che il peggio fosse passato. Ma sì, il petrolio scarseggiava in maniera ormai evidente e le guerre di conquista si moltiplicavano in tutto il pianeta, mentre in Occidente si prendevano misure di razionamento efficaci. In quel periodo si stabilirono governi di taglio più o meno autoritario e si smise di misurare il PIL. In alcuni paesi si proibì anche di pubblicare stime di questo indicatore, ora vituperato. La media della disoccupazione in Europa e negli Stati Uniti giungeva al 20%, con paesi molto instabili come Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna (gli infami PIIGS) che si aggiravano sul 40%.

Fu nel 2020 che si osservarono due fenomeno curiosi, ma non in estate, in inverno. Il primo fu che quell'inverno non si riformò la banchisa artica. Di fatto, non sarebbe mai più tornata a formarsi. Il secondo fu vedere che alcune zone del Sahara Occidentale cominciarono a fiorire, frutto delle piogge intense. I ricercatori scoprirono che la Corrente ad Anello Meridionale in realtà non si era interrotta, ora semplicemente fluiva più a Sud. Gli imprenditori di tutto il mondo videro in questa cosa una fantastica opportunità di investimento, data la vicinanza delle nuove zone fertili ai più grandi depositi di fosfati usati come fertilizzanti. Le notizie e gli annunci sui media dichiaravano che il nuovo giardino delle Esperidi avrebbe dato da mangiare a tutto il mondo (occidentale, ovvio). La cosa certa è che la temperatura e la piovosità in Europa e negli Stati Uniti cominciò a tornare a valori “normali” e i raccolti raggiungevano nuovi record in un campo che chiedeva sempre più mano d'opera (o meglio la gente scappava dalla città per potersi guadagnare il pane). Tornava la normalità, turbata solo dalla mancanza di petrolio ed uranio e, adesso, di gas naturale – i giacimenti di gas di scisto, l'ultima grande speranza, erano stati abbandonati perché non rendevano quattro anni prima. Gli “scettici” uscirono in massa dai loro nascondigli e cominciarono a dire che quello che era successo durante l'ultimo decennio era frutto della variabilità naturale, il clima in Occidente era il più stabile del mondo, che era il motivo per cui questo occupava il proprio posto egemonico. La cosa certa era che alcune zone di Asia, Africa, e Sud America cominciavano a spopolarsi per la durezza delle condizioni di vita, creando problemi migratori immensi ma ancora lontani dalla compiaciuta Europa e dagli egocentrici Stati Uniti.

Erano passati solo 10 anni da quella strana estate del 2013, quando si formò la Tempesta.

Gli scienziati la chiamarono “Tempesta Semi Permanente dell'Atlantico del Nord Subtropicale”. La gente della strada, la Tempesta, in breve, ma con la maiuscola. Fu nell'estate del 2023. L'uragano Hugo, l'ottavo della stagione, tornava a chiedere il suo tributo di morte a Cuba e in Florida e si ritirava verso l'Atlantico del Nord. Normalmente sarebbe andato a latitudini più alte, vicino alla Galizia o all'Irlanda e, nel percorso, passando sopra acque più fredde e perdendo pertanto la sua fonte di energia, si sarebbe trasformato in burrasca. Ma il flusso costante di aria polare generato dal nuovo dipolo artico permanente, sempre più caldo, gli impediva di salire più a nord, cosicché rimase stazionato intorno al 25° Nord, 45° Ovest, in mezzo all'Atlantico del Nord. E cominciò a crescere.

Dopo due settimane di stazionamento, gli scienziati erano perplessi di fronte allo strano comportamento di Hugo. Anziché indebolirsi diventava sempre più grande ed aveva già un raggio di 1.500 chilometri: non si era mai visto prima un uragano così. Ci fu un convegno dell'Organizzazione Meteorologica Internazionale a Parigi, al quale non poterono partecipare, significativamente, i delegati brasiliani: un braccio di Hugo fece cadere il loro aereo, che esplose sull'Atlantico senza sopravvissuti. Il convegno mise insieme i pezzi del puzzle di Hugo e alla fine si capì cosa stava succedendo. Ma anziché di sentire un “Eureka” di soddisfazione, si sentì il rumore di cento gole che inghiottivano saliva tutte insieme, quando il presidente del convegno annunciò alla stampa le conclusioni.

Risultò che Hugo era alimentato da varie fonti che, allo stesso tempo, lo tenevano ancorato all'Oceano. Da un lato, il flusso proveniente dal dipolo artico, sempre più caldo. Dall'altro , le onde di instabilità subtropicali che si propagavano da un Sahara interno sempre più caldo (e dove non vivevano più nemmeno i Tuareg). Hugo, inoltre, si era posizionato nel nuovo corridoio della Corrente ad Anello Meridionale, per cui aveva accesso al calore e all'umidità liberati da questa corrente oceanica, che non sarebbe più tornata a fluire verso il nuovo Giardino delle Esperidi (il quale fu abbandonato pochi anni più tardi). Per ultimo, la sua posizione tropicale gli dava sufficiente accelerazione di Coriolis per mantenersi come struttura coerente su grande scala. La conclusione era che Hugo non era più un Uragano, ma una Tempesta Semi-Permanente. La Tempesta.

I venti della Tempesta nelle sue zone più esterne erano quelli propri di un uragano di categoria 1; non era, quindi, il fenomeno più violento sulla faccia della Terra, che altrimenti non si sarebbe potuto sostenere in modo permanente. Tuttavia, la cosa spaventosa della tempesta era la sua dimensione: gli esperti calcolarono che sarebbe cresciuta fino ad occupare in pratica la totalità dell'Atlantico del Nord. Il suo carattere semi-permanente era dovuto al fatto che in alcuni inverni più freddi il dipolo artico si sarebbe indebolito e la Tempesta si sarebbe spostata verso Nord, dissipandosi nel giro di un paio di settimane, tipicamente fra gennaio e febbraio, per tornare a formarsi in aprile e maggio, con il primo uragano che si formasse e che passasse per il centro dell'Atlantico del Nord. L'unica cosa positiva della Tempesta era che mentre era in corso, non si potevano formare altri uragani nell'Atlantico del Nord. La lista di effetti negativi era, come si poté rilevare, quasi senza fine.

All'inizio del 2024, la Tempesta era talmente grande che la navigazione marittima ed aerea per l'Atlantico del Nord era semplicemente impossibile. L'unica via praticabile era attraverso la zona polare, ora sempre rapida, anche se i forti venti spingevano verso la tempesta e sei mesi all'anno, durante la notte polare, la navigazione si faceva al buoi e con un freddo intenso. Il commercio mondiale crollò, mentre le potenze occidentali cominciavano a riconoscere che le grandi ricchezze del suolo artico erano semplicemente irrecuperabili. Ci furono rivolte in Occidente e sorsero movimenti ecologisti che reclamavano l'azione diretta per recuperare un pianeta che, in realtà, non era già più quello in cui erano cresciuti e che non lo sarebbe stato mai più. La repressione fu forte e dopo un paio d'anni la situazione sociale si stabilizzò, anche se la fame era ormai la norma in tutto il mondo, compreso nel sempre più depauperato Occidente.

Il 2027 fu quello che si nominò prima “Anno del Terrore” e poi “Primo Anno del Terrore”. Quell'anno, la Tempesta semi-permanente fece onore al suo nome e si dissipò, ma lo fece infrangendosi contro le coste del Portogallo. La vita nelle zone costiere dell'Atlantico del Nord era già molto difficile per il continuo arrivo di fronti (bracci) della Tempesta, ma le piogge torrenziali e i venti da uragano dei bracci risultarono essere carezze al confronto allo sbarco di tutta la mole della Tempesta sulla Terra. La Tempesta entrò praticamente immutata distruggendo Lisbona e Madrid e cominciò a dare segni di debolezza solo attraversando i Pirenei. Quando giunse a colpire Berlino, lasciò la capitale tedesca un lascito di 2.000 vittime. In Francia le vittime si contavano a decine di migliaia; in Spagna a centinaia di migliaia. Del Portogallo non si è mai saputo: i sopravvissuti fuggirono terrorizzati verso l'interno, il più possibile lontano dal mare. Lisbona era scomparsa sotto il mare che se la inghiottì.

Gli esperti europei analizzarono la situazione e conclusero che ci si poteva attendere un tale “sbarco” in media ogni dieci anni. Gli esperti americani analizzarono la situazione e conclusero che la probabilità che questo sbarco avvenisse negli Stati Uniti era enormemente bassa, perché la circolazione globale avrebbe spinto la tempesta sempre ad Est, verso l'Europa. Nessuno si ricordò dei milioni di morti in tutto il mondo a causa della fame, delle guerre e delle epidemie di quello stesso anno.

A partire dal 2029 si produsse un fenomeno nuovo, un'altra sorpresa. Al confine nord occidentale della tempesta, cominciarono a crearsi tormente esplosive, molto veloci, con venti di categoria 4 o 5 ma con un raggio di 50-100 chilometri, molto inferiori a quello dell'uragano convenzionale (differivano anche nel meccanismo e nel luogo di formazione). Queste tormente si propagavano a grande velocità per la costa Est degli Stati Uniti, giungendo in un paio di giorni fino al Golfo del Messico, dove finalmente venivano riassorbite dalla tempesta. Il loro potenziale distruttivo non era tanto grande quanto quello dello sbarco della Tempesta, a causa della loro dimensione ridotta e della velocità con la quale si indebolivano arrivate a terra, ma nelle aree direttamente colpite la devastazione era mostruosa. Verso il 2030 si verificò si generavano tre o quattro ciclogenesi di questo tipo a stagione, anche se in quel momento la rete di osservazione meteorologica mondiale era molto deficitaria e la capacità di previsione praticamente nulla.

Il 2036 fu il Secondo Anno del terrore, anche se la vita in quel periodo era tanto miserabile in Europa che per molte persone la morte fu solo una consolazione. Nel 2037 si produsse la prima invasione africana dell'Europa; il continente, nel suo stato di massima debolezza, non fu in grado di opporsi all'invasione.

Il 2045 fu il Terzo Anno del Terrore, proprio 100 anni dopo la vittoria degli alleati nella Seconda Guerra Mondiale. Solo che stavolta la Tempesta se ne andò, contro ogni pronostico, diretta verso le pianure centrali degli Stati uniti. La devastazione fu talmente colossale che nessuno fu in grado di quantificarla.

Verso il 2050 le condizioni climatiche del mondo cominciarono a cambiare un'altra volta e la Tempesta cominciò ad indebolirsi, anche se nessuno aveva più la capacità di osservare e monitorare il fenomeno. Solo i vecchi del posto, i sopravvissuti più coriacei, poterono verificare che il Quarto e il Quinto Anno del Terrore non furono, nemmeno lontanamente, come i primi.

*********************************

- Papà, per favore, non continuare a leggermi questa storia.

- E' vero, piccolo mio. E' meglio che ci concentriamo sulle cose reali: dubito che una cosa così possa succedere in nessun pianeta.


Antonio Turiel
In qualche luogo fra Figueres e Barcellona, giugno 2013.

sabato 29 giugno 2013

Dieta a base di insetti

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


“Le specialità di oggi sono: insalata di licheni, antipasti di scarafaggi e del topo arrosto”. “Quegli allarmisti degli ambientalisti dicevano che sarebbero rimasti solo gli scarafaggi”. 

Di Antonio Turiel

Cari lettori,

pochi giorni fa ho potuto verificare intorno a me alcune strane reazioni, persino adirate, dopo che sono uscite certe notizie che contengono raccomandazioni un pochino sorprendenti da parte delle Nazioni Unite rispetto al tema dell'alimentazione umana, notizie diffuse dall'organizzazione che si dedica ad affrontare queste questioni, la FAO. Di fatto, se appena un paio di settimane fa la FAO lodava le eccellenze di una dieta basata sugli insetti per fornire proteine agli uomini, il giorno dopo ci veniva proposta una nuova delicatezza marina: le meduse.

Non sono stati pochi i commenti scherzosi che ridicolizzano queste proposte della FAO. Poca gente ha approfondito il problema per comprendere il perché di questi annunci tanto altisonanti e, apparentemente, fuori tempo e misura da punto di vista dell'Occidente. Tali messaggi, tuttavia, sono sintomatici di dove ci troviamo, verso dove stiamo andando e, soprattutto, dove possiamo arrivare se non cambiamo in tempo.

Vale la pena ricordare che stiamo soffrendo la terza crisi alimentare globale in quattro anni, propiziata in grande misura dalla dipendenza degli sfruttamenti agricoli occidentali dai combustibili fossili. Il professore David Pimentel, dell'Università di Cornell, ci ricorda spesso che per ogni caloria che arriva nel piatto di un occidentale se ne sono consumate 10 di combustibili fossili sotto forma di fertilizzanti, pesticidi e di energia usata per far muovere le macchine agricole, il trasporto degli alimenti e il mantenimento della catena del fresco e della conservazione. La produttività della terra nei paesi occidentali è molto alta, questo è sicuro, ma lo è grazie all'uso intensivo di macchine e prodotti chimici, senza di essi si abbasserebbe in modo radicale. Il fatto è che la FAO ha fatto ripetuti richiami di allarme sui bassi livelli delle riserve di grano e di alimenti in generale senza che si sia prodotta una concertazione internazionale apprezzabile, presi come sono gli occidentali con la crisi economica.

Due anni fa, analizzavamo in profondità come il grado di dipendenza dagli alimenti importati dei paesi del Nord Africa fosse uno dei fattori chiave che spiegavano l'esplosione delle rivolte conosciute come la Primavera Araba. Oggi, due anni più tardi, le condizioni che hanno dato luogo a quelle esplosioni di gennaio e febbraio 2011 si riproducono, con alcuni paesi come l'Egitto che si addentrano più profondamente e rapidamente nel caos, al di là delle speranze riposte nei nuovi governanti. La cosa certa è che l'Egitto ha smesso di essere un esportatore netto di petrolio ed è diventato un importatore proprio nel 2011 e, senza le ragalìe del petrolio, l'Egitto non può pagare per gli alimenti che ha necessità di importare. Pertanto si ritrova in un dilemma crudele: o restringe l'accesso della propria industria e della propria popolazione al petrolio o non mangia. Ed ora si muove sul filo del rasoio, fra l'esportare e il non esportare.




Altri paesi come la Tunisia ottengono un finanziamento sufficiente grazie agli introiti del turismo, ma si possono anticipare nuove esplosioni in paesi la cui industria principale è la produzione di petrolio e che difficilmente potrebbero adattarsi a perdere tale fonte di introiti. Uno dei più minacciati da una instabilità per niente lontana è l'Algeria, paese che solo 20 anni fa ha sofferto una sanguinosa guerra civile sponsorizzata dall'occidente. La produzione di petrolio dell'Algeria sta crollando in modo allarmante, con molti annunci di problemi molto gravi per le esportazioni e, come avviene in molti paesi, un'incapacità politica di accettare che la produzione di petrolio ormai può solo diminuire.



Una rivolta di grandi dimensioni in Algeria può portare molta instabilità nella regione, soprattutto fra i paesi confinanti, oltre a tagliare le due vie principali di approvvigionamento di gas naturale europee e fondamentali per la Spagna (acque agitate delle quali i campioni del fracking patrio cercheranno di approfittare, abusando della necessità per consumare questa truffa). E la cerchia dei paesi potenzialmente esplosivi in quest'area (Nord Africa e Medio Oriente) è abbastanza ampio: Yemen, Bahrein, persino l'Iran... Paesi con molti squilibri interni ed un'enorme dipendenza dall'esterno su una questione cruciale come l'alimentazione.

Ma i raccolti invernali dell'emisfero nord sono, proprio adesso, in pericolo. Ora tutto dipende dal fatto che le oscillazioni associate all'instabilità climatica crescente non le mandino in rovina. Quest'anno l'estate potrebbe essere relativamente fredda, tempestosa e instabile in Europa come conseguenza di un fenomeno abbastanza singolare come la destabilizzazione della Corrente a Getto atmosferica che ci da calore ed umidità. Singolare non perché tale destabilizzazione non si sia mai osservata, ma perché sembra un fenomeno persistente e crescente associato al rapido disgelo del Polo Nord. Perché mentre l'Europa del Sud si meraviglia di veder passare uno dopo l'altro fronti burrascosi spinti dal vento polare, nelle zone più a nord, già all'interno del Circolo Polare Artico, i termometri mostrano temperature incredibili di 30°. Eventi che, isolatamente, possono essere riportati negli annuari statistici meteorologici, ma mai in tanti posti allo stesso tempo e per tanti anni.

Anche se preoccupante, alla fine il fatto che quest'anno l'estate è frettolosa ed instabile non è la cosa peggiore; la cosa davvero grave è se a partire da adesso ogni anno la situazione si riproduce, perché è questione di tempo (e non molto) che vengano vari anni di seguito di cattivi raccolti. Cattivi raccolti in una delle zone più produttive, in quanto meccanizzate, del mondo, granaio del Nord Africa e del Medio Oriente. Il tempo sembra aver dato una piccola tregua nella zona della Spagna in cui vivo, anche se vedremo quanto durerà. Dovremo vivere appesi al cielo fin da ora (e finché non arrivi La Tempesta).

Mancano già alimenti e la loro mancanza si aggraverà nei prossimi anni, per l'eccesso di sfruttamento di alcune terre, per la mancanza di combustibili fossili e per il cambiamento climatico. In questo contesto, non c'è da stupirsi che la FAO parli di mangiare insetti (visto che il bestiame consuma molto grano). Ma, le meduse?

La stessa FAO avvertiva, da più di 10 anni, che le catture di pesci avevano iniziato il proprio declino per l'eccesso di pesca. Se si fosse mantenuta l'attuale pressione, l'essere umano avrebbe sterminato tutte le specie di pesci (quelle che non si usano per l'alimentazione umana si usano come farine di pesce per ingrassare i pesci negli allevamenti acquatici o nelle fattorie ittiche) fra il 2030 e il 2050. Nella misura in cui l'esaurimento della pesca si va facendo sempre più palpabile (con pescherecci spagnoli che pescano nelle coste della Somalia e delle Malvine (Falklands) il mare si va popolando di meduse, a causa della drastica caduta della popolazione dei loro predatori naturali (come il tonno rosso nel caso del Mediterraneo).

Stando le cose in questo modo, non c'è da stupirsi che ci siano alcune aziende che propongono di sfruttare proteine animali di origine, diciamo, inusuale; uno dei più vecchi è Edible-shop.com; andateci e sorprendetevi.

Ancora una volta, il libero mercato trionfante trova dei sostituti quando si presentano i problemi... Anzi no. C'è un problema di fondo: la capacità di produzione di biomassa di una rete trofica. La frase suona contorta, ma la cosa è semplice. Vogliamo mangiare gli insetti, ma, cosa mangeranno loro? Senza le attuali eccedenze, coi campi di coltivazione in decadenza, con un clima più instabile, la quantità di insetti totali sarà inferiore. Sarà ancora più costoso cacciarne una quantità sufficiente per mantenere gli uomini (basso EROEI). E una volta cacciati danno poco rendimento, col loro esoscheletro di chitina non sfruttabile e più difficile da digerire. Con le meduse succede qualcosa di simile: cosa mangiano le meduse? Plancton, crostacei, larve di pesce... a meno che non ci mettiamo a mangiare il plancton, con tutto il resto siamo già in competizione con esse. Alla fine, il problema è chiaro: gli animali formano una rete complessa di mutua dipendenza, chiamata catena trofica, e se distruggiamo troppi collegamenti di questa catena, questa può collassare completamente. Alla fine non potremo mangiare né insetti né meduse, perché non ce ne sarà a sufficienza e le stermineremo come la gran parte degli altri animali.

Le impostazioni discusse in questo post dimostrano che di base non c'è la benché minima voglia di cambiare, di variare la direzione. Viviamo in una continua fuga in avanti, incapaci di vedere la realtà come se i sottosistemi fossero indipendenti dal tutto. La sola cosa importante è mantenere ad oltranza un programma: quello del predatore ad oltranza, del predatore massimo. Per questo la risposta dei paesi più opulenti al crollo della produttività delle proprie terre è l'accaparramento di terre, o land grabbing, in altri paesi. La logica rapace che applichiamo agli alimenti è la stessa che stiamo applicando a qualsiasi altra risorsa, così inquiniamo fiumi e falde per sfruttare le sabbie bituminose del Canada da almeno un decennio:


I biocombustibili o il fracking sono semplicemente le espressioni ultime di questa follia crematistica, che non pensa di fermarsi di fronte a nulla, anche se finisse per lasciare il mondo come nella vignetta che apre il post.

Quando tutto dovesse scarseggiare, quando non ci sia nient'altro da depredare, resterà ancora una diga. L'ultima diga: L'Uomo. Nella conferenza di Barbastro di due anni fa, abbiamo menzionato il procedimento corpse-to-liquids (convertire cadaveri in succedanei del petrolio) come scappatoia dalla crisi energetica, anche se gli esseri umani si potrebbero sfruttare anche come alimenti. Visioni di uomini cacciati da uomini che ci vengono sempre più trasmessi dal cinema, prefigurando la nostra realtà, anche nei film più “seri”.


E' questo il finale logico del nostro sistema economico, il punto d'arrivo di una carriera che abbiamo intrapreso due secoli fa.

Saluti.
AMT

venerdì 28 giugno 2013

La nuova era glaciale e la virtualizzazione della realtà




Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR




di Ugo Bardi
Forse avete già visto quest'immagine (riprodotta dal blog di Greg Laden). Fa parte di una campagna mirata a screditare la scienza e gli scienziati. Dice più o meno così: quegli scienziati negli anni 70 predicevano una nuova era glaciale in arrivo. Lo sostenevano così fortemente da apparire sulla copertina del “Time”. Poi, più tardi, hanno cominciato a parlare di riscaldamento globale (poi magicamente trasformato in "cambiamento climatico" per confonderci ulteriormente). Come possiamo fidarci di questa gente?


Be', l'immagine sulla sinistra è un falso; non è mai esistita questa copertina del Time. E' una truffa pura e semplice.

Come ha recentemente spiegato David Kirtley sul blog di Greg Laden, è un fotomontaggio. La vera copertina è questa, non del 1977, ma del 2007:




La truffa secondo la quale “gli scienziati si sarebbero preoccupati per l'arrivo di un'era glaciale” mi ricorda molto la storia inventata da Ronald Bailey nel 1989 per attaccare lo studio sui “Limiti dello Sviluppo (Crescita)”. In un saggio che ha pubblicato nel 1989 su “Forbes”, aveva dichiarato che lo studio aveva previsto che avremmo esaurito alcuni dei principali minerali (oro, zinco, petrolio e così via) entro certe date specifiche che erano già passate in quel momento. Questo, naturalmente, dimostrava che l'intero studio era del tutto inaffidabile. Bene, la storia di Bailey era totalmente inventata: una truffa anche quella. Non c'era nessuna previsione del genere nello studio sui “Limiti dello Sviluppo”!.

Riguardando queste storie, è impressionante vedere quanto questi sporchi trucchi siano efficaci. E sono così semplici! Inventate semplicemente qualcosa dal nulla, fate vedere quanto quei pomposi scienziati si siano rivelati fare errori grossolani. Nessuno controllerà se sia vero o meno, se è una bella storia, si diffonderà in modo virale. Questa degli “scienziati preoccupati per l'arrivo dell'era glaciale” ha fatto un bel po' di danni alla scienza e a tutti noi. Altre, come lo “scandalo del climategate”, sono risultate essere ostinate e pericolose.

E' impressionante anche notare quanto sia facile creare una realtà completamente alternativa che non è mai esistita. Semplicemente cambiando il titolo della copertina si genera tutto un universo parallelo nel quale gli scienziati sono occupati ad avvertire la gente e i politici sulla necessità di prepararsi all'arrivo di una glaciazione. A volte è chiamata “virtualizzazione”. Siamo così concentrati su quello che vediamo e leggiamo su internet e sui media che perdiamo facilmente la traccia del fatto che c'è una realtà fisica, la fuori. Poi, i fantasmi della nostra immaginazione prendono il sopravvento e creano la loro personale realtà, completa di eroi e delinquenti, virtù e vizi, crimini e punizioni e finali felici. Ma è una realtà fatta dello stesso materiale di cui sono fatti i sogni.


Se lavoriamo nella comunicazione della scienza del clima, potremmo essere tentati dall'uso di questi metodi. Ma non ci dobbiamo nemmeno pensare. Virtualizzare la realtà creando delle leggende è una forma di magia nera; una cosa nella quale è meglio non essere coinvolti. Ma, almeno, dovremmo sapere che tipo di trucchi e stratagemmi abbiamo di fronte. Inoltre, dovremmo ricordare che la realtà fisica, alla fine, vince sempre.



giovedì 27 giugno 2013

Un anno senza estate

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



Il canale di Chichester, circa 1828, di J. M. W. Turner. Fonte: wikipedia


di Antonio Turiel

Cari lettori,
pochi giorni fa ho avuto l'occasione di incontrarmi con veri ricercatori spagnoli nell'occasione della lettura di una tesi nella quale, loro ed io, facevamo parte della commissione di valutazione. Durante la cena del giorno precedente la lettura, c'è stata una curiosa conversazione.

- La probabilità che quest'anno sia un anno senza estate ora è del 75%.

Chi parlava così non era un chiacchierone disinformato, ma uno dei responsabili di uno dei servizi meteorologici autonomi spagnoli.

- MétéoFrance e MetOffice fanno questa previsione; gli americani non ce l'hanno ancora chiaro, i loro modelli sono incerti. Il fatto è che il Jet Stream (corrente a getto) sta cambiando.

Effettivamente, pare che il Jet Stream polare stia cambiando. Questa corrente è la responsabile del mantenimento di un clima temperato e relativamente umido in Europa ed ha anche altri effetti negli Stati Uniti. Alcune delle figure che userò più in basso, così come una eccellente spiegazione di ciò che sta accadendo, si possono trovare nel sito di Skeptical Science, concretamente nell'articolo: “A Rough Guide to the Jet Stream: what it is, how it works and how it is responding to enhanced Arctic warming”.

Normalmente, questa corrente atmosferica sviluppa alcune ondulazioni moderate. Tuttavia, le ondulazioni che si stanno sviluppando ora sono più grandi: si inoltrano molto di più verso sud e la loro velocità di fase (la velocità alla quale si spostano queste onde longo la corrente a getto) è molto minore. La figura seguente mostra le due possibili situazioni: quella normale (linea rossa, segnata come “zonal flow”) e quella che si sta sviluppando ora (linea arancione, etichettata come “meridional flow”).


Sembra che la ragione per la quale succede questo sia la diminuzione del gradiente meridionale delle temperature, cioè, che la differenza delle temperature fra l'Equatore e il Polo Nord è diminuita, frutto del rapido riscaldamento di quest'ultimo. Fino ad ora l'Equatore era molto più caldo del Polo Nord e il Jet Stream era vigoroso e con ondulazioni piccole. Attualmente, l'Equatore si è riscaldato un po', ma il Polo Nord si è riscaldato molto.

Ovviamente il Polo Nord continua ad essere molto più freddo dell'Equatore, ma di meno gradi centigradi di quanto lo fosse in precedenza. Di conseguenza, il Jet Stream si impigrisce, con ampie divagazioni e propagandosi più lentamente. In alcune occasioni, anche, il progresso delle onde si arresta e, a seconda che ci troviamo in una valle o su una cresta dell'ondulazione, abbiamo un influsso continuo e per giorni avere o aria tropicale o aria polare. E' questo che starebbe causando l'attuale situazione.

Quando i meteorologi dicono che c'è un 75% di probabilità che quest'anno non ci sia l'estate, ciò che dicono è che, secondo i loro modelli, il 75% delle configurazioni provate portano ad una situazione in cui l'estate è fresca, con frequenti blocchi di aria fredda alternati ad altri blocchi di aria calda. I modelli contengono molte approssimazioni e non conosciamo nemmeno tutti i dati in ingresso che le generano, per cui l'incertezza è la regola, quindi si tentano differenti configurazioni. In ogni caso, ciò che si sta davvero osservando è che il Jet Stream scende molto più a sud proprio ora.

E quanto durerà tutto questo? Come sapete, nell'Artico il disgelo avanza rapidamente e inarrestabilmente:


E in Groenlandia, nel luglio scorso praticamente la totalità della calotta glaciale di superficie (qualche centimetro) si è fusa in 4 giorni:


Pertanto, la questione non è se quest'anno ci sarà o no l'estate, la questione è che il rischio di non avere l'estate in Europa sarà permanente da adesso fino a che il ghiaccio Artico non si fonda completamente, forse ancora per alcuni anni, finché non si instauri una nuova situazione che non ha motivo di essere uguale alla precedente. In definitiva, non è che il clima cambierà, il clima è già cambiato e non sappiamo ciò che ci aspetta. E se vi chiedete quando finirà di sciogliersi il ghiaccio artico, le stime attuali indicano un'estate da qui al 2020... Il futuro è stato ieri: siamo giunti all'era delle conseguenze.

In cambio delle sue spiegazioni su questo nuovo problema climatico, ho spiegato al mio interlocutore cos'è il Picco del Petrolio e le sue conseguenze, di cui il poverino non sapeva niente.

- Questo è molto peggio del cambiamento climatico – mi ha detto alla fine – perché preoccuparsi del cambiamento climatico se possiamo finire prima del tempo su Mad Max?

- Prima? - ho risposto – direi contemporaneamente. Il grande problema che abbiamo è che dovremo far fronte ad una grave rottura climatica proprio nel momento in cui avremo meno risorse. La gente crede che stiamo andando verso una guerra e forse ha ragione, ma non ha identificato correttamente l'obbiettivo. Non andiamo alla guerra contro altri esseri umani, ma contro il clima.

Nel caso ve lo stiate chiedendo, il quadro col quale apro il post è abbastanza collegato con il tema di cui si discute oggi. L'ultima volta che c'è stato un anno senza estate è stato nel 1816. Allora, la causa di questa mancanza d'estate fu la riduzione delle temperature globali a causa della proiezioni di ceneri vulcaniche a grande altitudine che schermarono la radiazione solare in tutto il globo (un effetto simile ad un inverno nucleare, ma su scala minore). Si vede che varie eruzioni vulcaniche importanti ebbero luogo durante gli anni precedenti al 1816 e culminarono nell'eruzione del monte Tambora nel 1815, con una esplosione devastante. La presenza di ceneri vulcaniche in tutta l'atmosfera terrestre causò alcuni tramonti caratteristici color ambra, come illustrato nel quadro di Turner. Solo che ora il meccanismo è diverso: la luce del Sole non è schermata, ma sta cambiando la circolazione generale dell'atmosfera. E il cambiamento sta entrando in una fase di accelerazione.

Che impatto avranno i nuovi anni senza estate? Col freddo e senza Sole, il grano e gli altri cereali non possono crescere. Anche altri raccolti si possono rovinare a causa dell'alternanza di settimane secche e calde e settimane fredde e piovose. Nel 1816 il fallimento dei raccolti in Europa causò carestie e rivolte. In quanto agli Stati Uniti, si pensa che la deviazione del Jet Stream verso sud intorno al 1930 sia stata una delle cause del Dust Bowl, la siccità estrema che ha raso al suolo le pianure centrali. Ricordate che la scorsa estate è stata più arida proprio negli Stati Uniti, il che invita a pensare che sta tornando a succedere:




Siamo abituati a pensare che nell'opulento Occidente non mancherà il cibo; forse dovremo aspettare 2 o 3 anni senza estate in Europa e con siccità negli Stati Uniti per renderci conto di quanto sbagliamo e vedremo poi se possiamo pagare con gli iPhone i camion di grano di cui abbiamo bisogno. Se alla fine le previsioni peggiori diventano realtà, le Guerre della Fame saranno dietro l'angolo. Anche alcuni dei pochi che comprendono l'enormità del problema credono che stiamo distruggendo il pianeta. Illusi e superbi: in realtà stiamo distruggendo soltanto il nostro habitat.


Saluti.

AMT



mercoledì 26 giugno 2013

Distopia II: l'uomo che ha distrutto gli Stati Uniti d'America

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



di Antonio Turiel

[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto fittizie. Qualsiasi riferimento a persone o a fatti reali è del tutto casuale] 

Mio padre mi ha raccontato che molti anni fa, molto prima che io nascessi, queste terre, quelle in cui viviamo e che sono il nostro sostentamento, erano parte di un grande paese. Un paese che si estendeva fra due oceani come un'immensa striscia di terra. Un paese così grande che quando il Sole sorgeva su una costa mancavano ancora tre ore perché sorgesse sulla costa opposta. Quel paese, quella gigantesca nazione, riuniva in sé tutti i paesaggi di questo grande pianeta su cui viviamo. Conteneva in sé deserti e pianure ghiacciate, aveva anche fiumi talmente abbondanti che si potevano attraversare soltanto con ponti alti quattro o cinque volte il nostro granaio e più lunghi del più grande dei nostri campi. In alcune zone di questo paese crescevano alberi più alti di qualsiasi costruzione che l'uomo potesse immaginare e c'erano praterie immense, foreste rigogliose e montagne impervie dove vivevano in armonia ogni specie di animali. Questo paese aveva il nome di Stati Uniti d'America, anche se i suoi abitanti erano soliti chiamarlo, orgogliosamente, America. Il motivo di questo nome è stato perduto da lungo tempo e solo alcuni anziani della nostra comunità dicono di sapere da dove viene, anche se non sempre sono d'accordo fra loro.

L'America era una nazione benedetta da Dio. Aveva in sé tutti i doni che si possano immaginare: terre fertili, legno prezioso, acqua, mari pieni di pesce, carbone ed persino quell'olio nero di cui parlano alcuni libri antichi, il petrolio. Con il petrolio che l'America estraeva dalle proprie viscere e con quello che le mandavano nazioni amiche di terre lontane, l'America costruì un impero che arrivava fino agli ultimi angoli del mondo. Il ptere tecnologico dell'America era l'invidia delle altre nazioni della Terra. Dicono che sia stata capace persino di mandare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo a casa.

Lo so già, lo so già, rispondiamo al racconto dei vecchi, a quelle storie che narrano a noi figli maggiori quando i piccoli già dormono e a noi è permesso restare ancora per un po' con gli adulti, mentre loro finiscono le loro faccende quotidiane e ci lasciano restare svegli per attizzare il fuoco del camino. Io nemmeno ci credo a tutto quei prodigi che raccontano (che gli uomini fossero capaci di andare dal nostro paese a quello di fianco in poche ore e che ci fossero persino macchine che volavano). Tuttavia, credo che l'America fosse una grande nazione che fece cose straordinarie. Figuratevi, ma in questa cupola sferica in rovina sulla quale ci troviamo ora, quanti uomini mancherebbero per costruire questa meraviglia? Ed è fatta di un tipo di pietra, ma modellata. Chissà quali meravigliosi segreti conterrebbe al suo interno. Una volta ho conosciuto un bambino di un paese vicino; lì i bambini vanno a scuola. Sapete, un posto in cui i bambini passano la giornata seduti ad ascoltare storie meravigliose raccontate dai loro maestri e dove imparano a leggere, scrivere e a far di conto. Tuuutto il giorno seduti lì, senza dover andare nel campo e strappare erbacce, ad arare la terra o a cacciare conigli, ci potete credere? Questo bambino mi raccontò altre cose meravigliose che aveva letto nei libri di scuola, libri, mi disse, che avevano 50 o 100 anni. Io credo che esagerasse, ma molte delle cose che mi raccontò erano uguali a quelle che mi raccontò mio padre, al quale a sua volta le aveva raccontate il suo, mio nonno.

Mio nonno, lo conoscete già. Sta sempre seduto sotto il portico, guarda l'orizzonte, pensa a non so cosa. A volte dico a mio padre. “per quale motivo il nonno non viene mai al campo ad aiutarci? E' vecchio, ma per poco che facesse risparmierebbe del lavoro agli altri”. E mio padre mi dice sempre: “lascialo stare, ha già fatto tanto quand'era giovane. Ha costruito questa fattoria con le sue mani, ha recintato le terre, e quando sono arrivati i saccheggiatori ha organizzato la gente e insieme li hanno cacciati”. A volte mio padre, dicendomi queste cose, ammutoliva di colpo e diventava pensieroso, senza che io sapessi il perché e, siccome non mi piace contrariare mio padre, me ne andavo al campo e continuavo a fare quello che stavo facendo. Ma da qualche giorno ero arrabbiato: il giorno prima mi era entrata una scheggia in un dito e il dito mi dava molto fastidio – mi fa ancora male – e ho detto a mio padre: “Papà, Dio sa che sono grato al nonno per tutto quello che ha fatto in passato per noi, ma il nonno ha un piatto sul nostro tavolo e continua a mangiare da quel piatto. E qui il lavoro è tanto. Non chiedo imbracci una falce, papà, ma potrebbe sgranare le pannocchie di mais, o condurre il cavallo, qualunque cosa, papà. Non siamo ricchi e la terra dà poco; un giorno fa una gelata in piena estate e rovina tutto, o fa un caldo inclemente per settimane senza una goccia d'acqua per poi non smettere di piovere per giorni”. Mio padre smise di falciare e mi guardò per un attimo negli occhi, mentre ansimava stanco. Avrei detto che d'improvviso mi vedesse con altri occhi. Alla fine dei conti ho già 12 anni! Sono già quasi un uomo e in molti compiti nel campo in pochi mi eguagliano.

Mi disse: “Sai, Adam? Forse sei già sufficientemente grande per sapere di più”. Diede un'altra falciata. “In realtà, tuo nonno fece molto di più che darci queste terre”. Riprese a falciare il grano, alla stessa velocità, e il suo volto era inespressivo, come se ne fosse andato, come quando Mark aveva avuto la febbre. “Prima ci ha tolto tutto”. Riprese a falciare, come prima. “Prima ce l'ha fatta perdere tutta”. E riprese ad muovere la falce. Ma lì si fermò e mi guardò come non lo avevo mai visto prima guardare qualcuno. Be', no, ricordo che una volta guardò in questo modo mio cognato Jeremiah quando non si era ancora sposato con Sarah. Non so cosa Jeremiah avesse detto a mio padre, ricordo che mia sorella piangeva ma Jeremiah guardava mio padre con aria di sfida e gli disse, ancora mi ricordo: “sono un uomo e farò quello che devo fare”, così gli disse, sono un uomo e farò quello che devo fare. Una settimana dopo si sposarono e vennero a vivere con noi – a me piace perché così posso giocare coi miei nipoti prima di andare a dormire. Quel giorno credevo che mio padre avrebbe colpito Jeremiah, perché aveva i pugni e i denti stretti, e lo sguardo che vi dicevo, ma l'altro giorno non stringeva né i pugni né i denti, guardava soltanto. Io me la stavo facendo sotto dalla paura, pensavo: ho superato il limite, mi darà tante legnate come quando, bruciando le stoppie, quasi bruciai il bosco del margine meridionale, dicendomi: “pazzo, quel bosco è il nostro sostentamento per l'inverno, cos'hai fatto, disgraziato” e mi diede uno sganassone in bocca che mi fece cadere un dente – questo già lo sapevo. Mi aspettavo come minimo un rimprovero, quando mio padre aprì la bocca e mi disse: “tuo nonno ha distrutto l'America” e continuò a falciare alla stessa velocità, come se niente fosse.

Non osai chiedere altro a mio padre, ma feci il mio lavoro più rapidamente che potevo e, una volta finito, chiesi il permesso di di tornare a casa prima. Mio padre si volto dolce a guardare e mi disse: “Va, sì, corri, corri a parlare con tuo nonno”. Non so come faccia mio padre a sapere sempre quello che penso senza che io lo dica. Non dico che sia un stregone, eh, che sarebbe una cosa molto grave, ma mi conosce molto, molto bene. Il fatto è che correvo a casa, era vero, perché volevo parlare con mio nonno perché mi spiegasse come aveva fatto a distruggere l'America. Arrivai così al portico e lui era lì, come sempre, che guardava l'orizzonte senza vedere niente di particolare. Andai dritto verso di lui e gli dissi: “Nonno, perché hai distrutto l'America, se tutti dicono che era tanto meravigliosa?”. E mio nonno mi guardò con quegli stessi occhi di mio padre – mia nonna diceva che mio padre aveva gli occhi di mio nonno (come mi manca la nonna e, credo, anche il nonno). E mio nonno mi raccontò una storia: me la feci ripetere varie volte , perché usò molte parole che non avevo mai sentito. Adesso ve la ripeto come meglio posso. Lasciate che ve la racconti così come me la ricordo e un altro giorno vi spiego con più calma cosa significano tutte queste parole, come in seguito mi raccontò mio nonno.

Questa è la storia di mio nonno. Questa è la storia dell'uomo che distrusse l'America.

Il Governo dell'America doveva a mio nonno molto denaro – Mark, ti spiegherò dopo cos'è il denaro; erano dei fogli verdi, “banconote”, che stampava “il Governo” o chi per lui, coi quali si compravano le cose. Ma non era “il Governo”, ma una cosa chiamata “la Riserva Federale”. E' lo stesso, non mi interrompete più sennò non finisco più.

Come dicevo, il Governo dell'America doveva molto denaro a mio nonno; mio nonno era falegname, e non uno piccolo, aveva cinque operai con lui. Uno di questi era tuo nonno, Mark. Il fatto è che mio nonno gli aveva fatto molti mobili, disposizioni e a volte gli montava le scene con le quali il Presidente dell'America, che era colui che comandava in America, spiegasse a tutti i cittadini del paese perché si stavano facendo le cose che si stavano facendo. La gente poteva vedere quello che diceva il Presidente perché avevano queste “televisioni”, che servivano a vedere cose che succedevano molto lontano.

Il fatto è che il Governo, o il Presidente, o chiunque fosse, doveva a mio nonno 100.000 dollari, che per mio nonno doveva esere molto, molto denaro. Mio nonno aveva chiesto molte volte al Presidente che lo pagasse, Ma pare che l'America avesse molti nemici e fosse sempre in guerra con qualcuno in qualche angolo lontano, e questo costava molto denaro. Inoltre, la gente non trovava lavoro, le fabbriche (dove si fabbricavano molte cose che la gente comprava) chiudevano e c'era sempre meno lavoro e meno denaro. Alcuni non avevano da mangiare, anche peggio di adesso, per quello che dice mio nonno, perché c'era molta gente in America allora e molto pochi avevano terre, nemmeno terre tanto povere come le nostre – Be', il nonno dice che le nostre terre non sono tanto male, ma adesso il clima è cambiato. Non so cosa sia questa cosa del clima, credo che vuol dire la pioggia o qualcosa del genere.

Il nonno aveva chiesto mille volte il suo denaro al Presidente, m questi gli dava solo dava solo delle belle parole scritte su un foglio molto bello che gli inviava per posta e che, secondo il nonno, servivano per pulirsi il culo – ahahahah. Occhio che mio nonno sa leggere, eh, è un uomo molto intelligente. Alla fine: si vede che il nonno alla fine andò da un giudice di pace o qualcosa del genere, non l'ho capito molto bene, perché ha detto molte parole strane come “avvocato” (questi era un signore che parlava per te di fronte al giudice di pace), “corte” (era qualcosa tipo una giunta di giudici di pace), “querela” (la richiesta) e non so cos'altro; un giorno gli chiederò di venire a spiegarvi di persona con più calma, sarà più facile. La corte gli diede ragione e mandò altre lettere al Presidente, con copia a mio nonno, alle quali il Presidente rispose con altre belle parole ma senza denaro. Si vede che il Congresso, che era come un consiglio di saggi anziani (anche se, secondo mio nonno, non erano proprio quelli che si dicono dei saggi, anche se sì, per la maggioranza anziani), non lasciava che il Presidente stampasse più denaro, perché ne aveva già stampato molto e, se avesse continuato a stamparne, allora coloro che avevano molte banconote (i fogli di denaro) si sarebbero accorti che valevano di meno. Alla fine il Presidente, siccome non aveva galline per dare uova, né vacche per dare latte, né tanto meno terre, non poteva pagare mio nonno. Mi nonno si arrabbiò molto e chiese alla Corte che, se non potevano pagare, che almeno gli restituissero le cose che aveva dato loro e, dopo vari mesi, gli dissero che sì, aveva diritto che gli restituissero quello che aveva dato loro o qualcosa che fosse di eguale valore. Mio nonno chiese che li accompagnassero i poliziotti della Corte (che erano come delle guardie) perché li lasciassero entrare dal Presidente e l'ordine per poter eseguire il mandato (per potersi prendere ciò che era suo, via) e così fecero.

Rimasero un giorno ed un'ora specifici di fronte alla casa del Presidente per fare questo. All'entrata, la guardia del Presidente (che ne aveva uno personale) non lo voleva fare entrare, ma siccome aveva l'ordine scritto della Corte e veniva accompagnato da un'altra guardia, alla fine lo lasciarono passare con riluttanza.

Mio nonno entrò nella Casa del Presidente e cercò i mobili che gli aveva dato, ma non li trovò. Alla fine, vide in giardino il leggio di legno che aveva preparato per il Presidente e si diresse lì con due dei suoi operai.

Casualmente, il Presidente era lì. Voglio dire: era proprio di fronte a quel leggio. Stava parlando alle televisioni, spiegando perché dovevano tagliare le spese e prendere misure non accontentavano né i poveri né i ricchi d'America; credo che quel Presidente non fosse molto amato. Ed era occupato a fare queste cose, quando mio nonno arrivò insieme al tuo, Mark, presero il leggio e se lo portarono via. Il Presidente rimase sorpreso e non sapeva che dire: poi si arrabbiò molto e urlò al capo delle sue guardie perché avevano permesso a mio nonno di prendere il leggio, e lui gli rispose che non potevano fare niente, che avevano l'ordine della Corte e che le leggi devono essere rispettate. Il Presidente gli urlò che questo non si poteva fare, che se tutti provassero a recuperare le proprie cose, il Presidente dovrebbe darle indietro perché molte cose erano già state vendute e che così sarebbe stato il caos. Nella sua furia, il Presidente non si rese conto che tutte le televisioni lo stavano vedendo.

Nel frattempo, mio nonno caricò il leggio e altri quattro mobili che poté caricare nel suo furgone e si allontanò. Dai mobili non ricavò molto denaro, ma il leggio lo comprarono per molto di più di quello che gli doveva il Presidente, poiché c'era gente molto ricca che godette della rabbia del Presidente e volle il leggio. Mio nonno tenne i 100.000 dollari che gli spettavano, inviò il resto al Presidente (visto che mancava denaro e mio nonno non voleva abusare di lui) e avvisò la Corte che il suo debito era stato saldato.

Ma era ormai tardi. Molta gente, alla quale il Presidente doveva del denaro, vide alla Tv che il Presidente non aveva denaro per pagarli. Molti di loro erano di altre nazioni e in seguito andarono alla Corte, a molte Corti, a chiedere la stessa cosa che aveva fatto mio nonno e, anche se il Presidente cercò di evitarlo, le Corti diedero loro ragione e alla fine c'erano talmente tanti cortei, ognuno con la propria guardia, che andavano a casa del Presidente a recuperare quello che aveva, che lui si dovette ritirare in un altro luogo. Ma gli toglievano cose in tutto il paese. Dove c'era una cosa che apparteneva al Presidente o al Governo, apparivano guardie con ordini di sequestro e alla fine non rimaneva nulla. Addirittura, alcune guardie lottarono fra loro, a quanto mi ha raccontato mio nonno, per prendersi le ultime rimanenze. Alla fine, al Presidente rimase solo una pistola ed un'unica pallottola e fece l'ultima cose che un uomo possa fare, haha, mio nonno me lo disse proprio così, con voce grave; suppongo che il vecchio Presidente si sia sparato.

Dopo questi avvenimenti, mio nonno dice che arrivò il caos, che le città, nelle quali prima viveva molta gente, ci furono battaglie e incendi e, alla fine, rimasero solo le rovine che vediamo ora.

Mio nonno vide arrivare questo molti mesi prima; prese i suoi 100.000 dollari e i suoi risparmi di una vita e si diresse verso una vecchia fattoria che era stata di suo nonno e dove aveva trascorso la sua infanzia, qui. Sistemò la fattoria e comprò altra terra, tutta quella che poté comprare, e portò i suoi amici e operai. Impararono a fare i contadini ed a sopravvivere, mentre l'America crollava e, nel giro di pochi anni, smise di esistere. All'inizio venivano assaliti da gente che fuggiva dalle città, ma che in seguito smisero di venire. Forse si stancarono o morirono. E così nacque la nostra comunità, quando l'America morì.

Alla fine della sua storia mio nonno mi disse: “L'America era un paese meraviglioso. Temibile, sì, ma grandioso. E per colpa mia non esiste più”. Non pianse, ma la sua voce tremava.

Ed io gli dissi: “Non è vero, nonno, non è stata colpa tua. La colpa è stata di quel Presidente che spendeva un denaro non suo. L'America era grande, d'accordo, ma non poteva basarsi sul furto lla sua gente ed a popoli lontani. Ciò poteva durare solo finché qualcuno non si ribellasse contro una tale ingiustizia. Prima o poi qualcuno doveva dire basta! E questo sei stato tu. Non hai fatto niente di male, solo ciò che era giusto. Ti immagini quello che sarebbe successo se ti fossi lasciato derubare e basta? Oggi non avremmo questa fattoria, oggi non potremmo vivere, né noi né la nostra comunità. Hai fatto quello che dovevi fare e sono orgoglioso di te” e lo abbracciai.

Mio nonno mi guardò con gli occhi pieni di lacrime, mi abbracciò con molta forza – non sapevo che il vecchio avesse tanta forza – e mi diede un bacio sulla fronte.

Il giorno seguente mio nonno andò nel campo: mio padre dice che erano più di 10 anni che non ci metteva piede. Venne con me e mi insegnò molti trucchi che non conoscevo: dove sono le radici più profonde delle erbacce e come strapparle perché non rinascessero, dove si trova il curculione e come ucciderlo senza rovinare le ghiande e così mille altre cose. Per essere così vecchio si muoveva molto velocemente e mi raccontò molte cose della sua giovinezza; cose portentose che vi racconterò con calma un altro giorno che ci fermiamo a parlare – o rimarrete allucinati. Non avevo mai sentito parlare tanto mio nonno in tutta la mia vita. La sera tornammo insieme a casa ed io servii la cena a mio nonno. Non mi ero mai sentito tanto, non so, orgoglioso di lui. Sì, orgoglioso, è questa la mia parola. Non so se mio nonno distrusse l'America, ma so che è un grande uomo. Che è un uomo buono. Poi vi racconterò cosa mi raccontò quel giorno e tutti i giorni seguenti mentre lavoravamo. A volte ridevo con le storie che mi raccontava: io non avevo mai riso nel campo.

Bene, torniamo a casa, che si fa notte. Inoltre, non credo che al nonno piacerebbe sapere che stiamo qui; mi dice sempre: “Non avvicinarti alla pianta vecchia, è pericoloso”. Piante, di cosa? Qui non ci sono piante! (Planta in spagnolo significa si pianta sia impianto, ndt.). Qui ci sono solo pietre e questi segnali tanto carini con tre triangoli gialli che si toccano di punta. Mi piacerebbe saper leggere per sapere cosa dicono questi cartelli sulla parete. Senza dubbio, l'America doveva essere una grande nazione e questo luogo doveva contenere segreti meravigliosi.

Antonio Turiel

Figueres, 3 giugno 2013