“Le specialità di oggi sono: insalata di licheni, antipasti di scarafaggi e del topo arrosto”. “Quegli allarmisti degli ambientalisti dicevano che sarebbero rimasti solo gli scarafaggi”.
Di Antonio Turiel
Cari lettori,
pochi giorni fa ho potuto verificare intorno a me alcune strane reazioni, persino adirate, dopo che sono uscite certe notizie che contengono raccomandazioni un pochino sorprendenti da parte delle Nazioni Unite rispetto al tema dell'alimentazione umana, notizie diffuse dall'organizzazione che si dedica ad affrontare queste questioni, la FAO. Di fatto, se appena un paio di settimane fa la FAO lodava le eccellenze di una dieta basata sugli insetti per fornire proteine agli uomini, il giorno dopo ci veniva proposta una nuova delicatezza marina: le meduse.
Non sono stati pochi i commenti scherzosi che ridicolizzano queste proposte della FAO. Poca gente ha approfondito il problema per comprendere il perché di questi annunci tanto altisonanti e, apparentemente, fuori tempo e misura da punto di vista dell'Occidente. Tali messaggi, tuttavia, sono sintomatici di dove ci troviamo, verso dove stiamo andando e, soprattutto, dove possiamo arrivare se non cambiamo in tempo.
Vale la pena ricordare che stiamo soffrendo la terza crisi alimentare globale in quattro anni, propiziata in grande misura dalla dipendenza degli sfruttamenti agricoli occidentali dai combustibili fossili. Il professore David Pimentel, dell'Università di Cornell, ci ricorda spesso che per ogni caloria che arriva nel piatto di un occidentale se ne sono consumate 10 di combustibili fossili sotto forma di fertilizzanti, pesticidi e di energia usata per far muovere le macchine agricole, il trasporto degli alimenti e il mantenimento della catena del fresco e della conservazione. La produttività della terra nei paesi occidentali è molto alta, questo è sicuro, ma lo è grazie all'uso intensivo di macchine e prodotti chimici, senza di essi si abbasserebbe in modo radicale. Il fatto è che la FAO ha fatto ripetuti richiami di allarme sui bassi livelli delle riserve di grano e di alimenti in generale senza che si sia prodotta una concertazione internazionale apprezzabile, presi come sono gli occidentali con la crisi economica.
Due anni fa, analizzavamo in profondità come il grado di dipendenza dagli alimenti importati dei paesi del Nord Africa fosse uno dei fattori chiave che spiegavano l'esplosione delle rivolte conosciute come la Primavera Araba. Oggi, due anni più tardi, le condizioni che hanno dato luogo a quelle esplosioni di gennaio e febbraio 2011 si riproducono, con alcuni paesi come l'Egitto che si addentrano più profondamente e rapidamente nel caos, al di là delle speranze riposte nei nuovi governanti. La cosa certa è che l'Egitto ha smesso di essere un esportatore netto di petrolio ed è diventato un importatore proprio nel 2011 e, senza le ragalìe del petrolio, l'Egitto non può pagare per gli alimenti che ha necessità di importare. Pertanto si ritrova in un dilemma crudele: o restringe l'accesso della propria industria e della propria popolazione al petrolio o non mangia. Ed ora si muove sul filo del rasoio, fra l'esportare e il non esportare.
Altri paesi come la Tunisia ottengono un finanziamento sufficiente grazie agli introiti del turismo, ma si possono anticipare nuove esplosioni in paesi la cui industria principale è la produzione di petrolio e che difficilmente potrebbero adattarsi a perdere tale fonte di introiti. Uno dei più minacciati da una instabilità per niente lontana è l'Algeria, paese che solo 20 anni fa ha sofferto una sanguinosa guerra civile sponsorizzata dall'occidente. La produzione di petrolio dell'Algeria sta crollando in modo allarmante, con molti annunci di problemi molto gravi per le esportazioni e, come avviene in molti paesi, un'incapacità politica di accettare che la produzione di petrolio ormai può solo diminuire.
Una rivolta di grandi dimensioni in Algeria può portare molta instabilità nella regione, soprattutto fra i paesi confinanti, oltre a tagliare le due vie principali di approvvigionamento di gas naturale europee e fondamentali per la Spagna (acque agitate delle quali i campioni del fracking patrio cercheranno di approfittare, abusando della necessità per consumare questa truffa). E la cerchia dei paesi potenzialmente esplosivi in quest'area (Nord Africa e Medio Oriente) è abbastanza ampio: Yemen, Bahrein, persino l'Iran... Paesi con molti squilibri interni ed un'enorme dipendenza dall'esterno su una questione cruciale come l'alimentazione.
Ma i raccolti invernali dell'emisfero nord sono, proprio adesso, in pericolo. Ora tutto dipende dal fatto che le oscillazioni associate all'instabilità climatica crescente non le mandino in rovina. Quest'anno l'estate potrebbe essere relativamente fredda, tempestosa e instabile in Europa come conseguenza di un fenomeno abbastanza singolare come la destabilizzazione della Corrente a Getto atmosferica che ci da calore ed umidità. Singolare non perché tale destabilizzazione non si sia mai osservata, ma perché sembra un fenomeno persistente e crescente associato al rapido disgelo del Polo Nord. Perché mentre l'Europa del Sud si meraviglia di veder passare uno dopo l'altro fronti burrascosi spinti dal vento polare, nelle zone più a nord, già all'interno del Circolo Polare Artico, i termometri mostrano temperature incredibili di 30°. Eventi che, isolatamente, possono essere riportati negli annuari statistici meteorologici, ma mai in tanti posti allo stesso tempo e per tanti anni.
Anche se preoccupante, alla fine il fatto che quest'anno l'estate è frettolosa ed instabile non è la cosa peggiore; la cosa davvero grave è se a partire da adesso ogni anno la situazione si riproduce, perché è questione di tempo (e non molto) che vengano vari anni di seguito di cattivi raccolti. Cattivi raccolti in una delle zone più produttive, in quanto meccanizzate, del mondo, granaio del Nord Africa e del Medio Oriente. Il tempo sembra aver dato una piccola tregua nella zona della Spagna in cui vivo, anche se vedremo quanto durerà. Dovremo vivere appesi al cielo fin da ora (e finché non arrivi La Tempesta).
Mancano già alimenti e la loro mancanza si aggraverà nei prossimi anni, per l'eccesso di sfruttamento di alcune terre, per la mancanza di combustibili fossili e per il cambiamento climatico. In questo contesto, non c'è da stupirsi che la FAO parli di mangiare insetti (visto che il bestiame consuma molto grano). Ma, le meduse?
La stessa FAO avvertiva, da più di 10 anni, che le catture di pesci avevano iniziato il proprio declino per l'eccesso di pesca. Se si fosse mantenuta l'attuale pressione, l'essere umano avrebbe sterminato tutte le specie di pesci (quelle che non si usano per l'alimentazione umana si usano come farine di pesce per ingrassare i pesci negli allevamenti acquatici o nelle fattorie ittiche) fra il 2030 e il 2050. Nella misura in cui l'esaurimento della pesca si va facendo sempre più palpabile (con pescherecci spagnoli che pescano nelle coste della Somalia e delle Malvine (Falklands) il mare si va popolando di meduse, a causa della drastica caduta della popolazione dei loro predatori naturali (come il tonno rosso nel caso del Mediterraneo).
Stando le cose in questo modo, non c'è da stupirsi che ci siano alcune aziende che propongono di sfruttare proteine animali di origine, diciamo, inusuale; uno dei più vecchi è Edible-shop.com; andateci e sorprendetevi.
Ancora una volta, il libero mercato trionfante trova dei sostituti quando si presentano i problemi... Anzi no. C'è un problema di fondo: la capacità di produzione di biomassa di una rete trofica. La frase suona contorta, ma la cosa è semplice. Vogliamo mangiare gli insetti, ma, cosa mangeranno loro? Senza le attuali eccedenze, coi campi di coltivazione in decadenza, con un clima più instabile, la quantità di insetti totali sarà inferiore. Sarà ancora più costoso cacciarne una quantità sufficiente per mantenere gli uomini (basso EROEI). E una volta cacciati danno poco rendimento, col loro esoscheletro di chitina non sfruttabile e più difficile da digerire. Con le meduse succede qualcosa di simile: cosa mangiano le meduse? Plancton, crostacei, larve di pesce... a meno che non ci mettiamo a mangiare il plancton, con tutto il resto siamo già in competizione con esse. Alla fine, il problema è chiaro: gli animali formano una rete complessa di mutua dipendenza, chiamata catena trofica, e se distruggiamo troppi collegamenti di questa catena, questa può collassare completamente. Alla fine non potremo mangiare né insetti né meduse, perché non ce ne sarà a sufficienza e le stermineremo come la gran parte degli altri animali.
Le impostazioni discusse in questo post dimostrano che di base non c'è la benché minima voglia di cambiare, di variare la direzione. Viviamo in una continua fuga in avanti, incapaci di vedere la realtà come se i sottosistemi fossero indipendenti dal tutto. La sola cosa importante è mantenere ad oltranza un programma: quello del predatore ad oltranza, del predatore massimo. Per questo la risposta dei paesi più opulenti al crollo della produttività delle proprie terre è l'accaparramento di terre, o land grabbing, in altri paesi. La logica rapace che applichiamo agli alimenti è la stessa che stiamo applicando a qualsiasi altra risorsa, così inquiniamo fiumi e falde per sfruttare le sabbie bituminose del Canada da almeno un decennio:
I biocombustibili o il fracking sono semplicemente le espressioni ultime di questa follia crematistica, che non pensa di fermarsi di fronte a nulla, anche se finisse per lasciare il mondo come nella vignetta che apre il post.
Quando tutto dovesse scarseggiare, quando non ci sia nient'altro da depredare, resterà ancora una diga. L'ultima diga: L'Uomo. Nella conferenza di Barbastro di due anni fa, abbiamo menzionato il procedimento corpse-to-liquids (convertire cadaveri in succedanei del petrolio) come scappatoia dalla crisi energetica, anche se gli esseri umani si potrebbero sfruttare anche come alimenti. Visioni di uomini cacciati da uomini che ci vengono sempre più trasmessi dal cinema, prefigurando la nostra realtà, anche nei film più “seri”.
E' questo il finale logico del nostro sistema economico, il punto d'arrivo di una carriera che abbiamo intrapreso due secoli fa.
Saluti.
AMT