giovedì 17 gennaio 2013

Semplicità Radicale


Da “Permaculture News” (h/t The Oil Crash). Traduzione di Massimiliano Rupalti


Una delle tante “Bidonville” durate la grande depressione

Di Samuel Alexander, co-diretore del Simplicity Institute e docente nell'ufficio per i programmi ambientali dell'Università di Melbourne, Australia.

1. Introduzione

Come potrebbe un consumatore medio – dovrei dire cittadino di classe media – passare ad uno stile di vita di semplicità radicale? Per semplicità radicale intendo dire, fondamentalmente, un livello di vita molto basso ma biofisicamente sufficiente, un modo di vivere che descriverò in seguito più nel dettaglio. In questo saggio voglio suggerire che la semplicità radicale non sarebbe tanto male come sembra e fossimo preparati per essa e se avessimo previsto il suo arrivo con intelligenza, sia come individui sia a livello di comunità.

Di fatto, mi viene da suggerire che la semplicità radicale è esattamente ciò di cui hanno bisogno le culture consumistiche per svegliarsi dal loro torpore, che la semplicità radicale sarebbe nei nostri interessi immediati. Tuttavia, in questo saggio difenderò soltanto la tesi più modesta secondo la quale la semplicità radicale “non sarebbe tanto male”. Dimostrare questo fatto dovrebbe già essere abbastanza impegnativo.

Naturalmente, se uno standard di vita radicalmente più basso venisse imposto improvvisamente a causa delle circostanze e senza anticipo né preparazione, riconosco che gran parte della gente troverebbe un tale cambiamento drastico terrificante e doloroso – un disastro esistenziale. Una tale reazione sarebbe del tutto naturale e comprensibile. Ma io sosterrò che se tale cambiamento drammatico dovesse essere stoicamente anticipato e ci si dovesse preparare per esso, non sarebbe così male. Se questo argomento è corretto, sembrerebbe che la classe media potrebbe beneficiare grandemente dall'anticipare e prepararsi per la semplicità radicale, anche se non dovesse mai arrivare, e potrebbe non arrivare nell'arco delle nostre vite o anche in quelle dei nostri figli. Poi potrebbe, a causa di un numero illimitato di ragioni ecologiche, economiche, politiche e sociali e questa possibilità qualsiasi sia la sua verosimiglianza, è alla fine la ragione per cui affronto il soggetto della semplicità radicale. 

E' mia ipotesi che lo stile di vita dei consumatori abbia un limite di tempo e che questo limite di tempo sta finendo rapidamente. Se il sistema finanziario globale non collassa sotto il peso del suo stesso debito, forse indotto dall'aumento dei prezzi del petrolio, allora ad un certo punto collasseranno i nostri ecosistemi traballanti, portandosi via con loro la civiltà industriale. In entrambi i casi, il consumismo ed il paradigma della crescita che lo sostiene non hanno futuro, una diagnosi che non cercherò di difendere qui ma piuttosto di considerare come dato di fatto (Alexander, 2012a-f). Quando il tempo del consumismo è finito, vivremo tutti molto più semplicemente, a livelli variabili, che lo vogliamo oppure no. 

Nessuno può essere sicuro riguardo a quando esattamente il tempo finirà o come suonerà la campanella di chiusura, ma che sia il prossimo anno, il prossimo decennio o il prossimo secolo, l'inevitabile morte del consumismo è un soggetto che merita la nostra considerazione oggi, perché il tempo alla fine scadrà e probabilmente prima di quanto piaccia pensare a molti. Dovrebbe andare da sé, naturalmente, che sarebbe di gran lunga meglio abbracciare la semplicità progettandola che lei abbracci noi per mezzo del disastro. 

1.1. Della classe media, rivolgersi alla classe media

Sarà già chiaro che sto scrivendo questo saggio dalla prospettiva di un 'insider', un membro della cosiddetta classe media, una cosa che ammetto con un certo disagio. Nonostante dedichi gran parte delle mie energie nel sostenere stili di vita post consumistici (per quanto si possa fare all'interno delle costrizioni di una società consumistica), sono molto consapevole di rimanere un membro della classe media, che usufruisce di molti dei comfort essenziali che questo stile di vita porta con sé. Per esempio, ho un computer, ovviamente, ed energia solare per alimentarlo; c'è un frigorifero nella stanza accanto con un po' di cibo dentro ed un orto produttivo sotto casa, quindi non sono affamato ed ho vestiti sufficienti ed un tetto sopra la mia testa, quindi sto al caldo. Non solo questo, ho il tempo libero, la salute, l'educazione e la sicurezza per studiare i problemi del mondo, quini, senza dire altro sul mio standard di vita, ho detto già abbastanza per piazzarmi decisamente nella classe media. Mentre mi guadagno a malapena da vivere come accademico part-time, nel contesto globale so di essere favolosamente ricco.  

Presumo, siccome il lettore è sua volta di fronte a un computer, con tutta la ricchezza ed il privilegio che ciò implica generalmente, che io stia anche scrivendo per la classe media, nella sua accezione più ampia. Potrebbero esserci alcuni lettori che realmente non rientrano in questa dichiaratamente vaga categoria socio-economica, ma solo pochi, probabilmente nessuno. Siamo, presumerò, sulla stessa barca o, come lo ha espresso una volta Henry David Thoreau (1982: 314): ‘Non dovrei quindi pubblicare il mio senso di colpa senza arrossire se non sapessi che gran parte dei miei lettori sono ugualmente colpevoli e che le loro gesta non risulterebbero migliori'. Sento che il soggetto di questo saggio richieda queste ammissioni preliminari, visto che pochi di noi potrebbe realmente dichiarare di aver sperimentato la semplicità radicale che questo saggio proverà a descrivere e comprendere. Ciononostante la vita, essendo quella che è, di tanto in tanto ci richiede di comprendere cose che non abbiamo mai sperimentato. Credo che questo sia uno di questi casi. 

2. Le implicazioni del“Grande Collasso” per lo stile di vita

Per inquadrare la presente analisi, voglio porre un “scenario di collasso” con lo scopo di capire cosa potrebbero diventare gli stili di vita consumistici della classe media nel caso avvenga quella che Paul Gilding (2011) chiama un “Grande Collasso”. Lasciate che cominci fornendo un po' di contesto a questo esperimento mentale. Gilding sostiene, come molti prima, che “la Terra è piena” (Gilding, 2011: 1). Questo pone un grande problema all'umanità, specialmente quando ci rendiamo conto che la crescita continua rimane il paradigma economico dominante globalmente. Anche se l'economia globale supera già di gran lunga la capacità di carico sostenibile del pianeta (Global Footprint Network 2012, Meadows et al, 2004), ogni nazione sul pianeta cerca ancora la crescita economica continua.

 La caccia alla crescita, in alcune forme, potrebbe essere giustificabile per le nazioni più povere, i cui bisogni fondamentali non sono adeguatamente soddisfatti, ma su una Terra già 'piena', l'aumento di consumo di energia e risorse nei paesi più ricchi non ha semplicemente giustificazione. Quello che serve, specie nelle nazioni più ricche, è un'economia della sufficienza (Alexander, 2012a). Questo comporterebbe che le nazioni ricche intraprendessero una fase di contrazione economica pianificata, o 'decrescita', per creare spazio ecologico per prosperare ai più poveri dell'umanità così come per lasciare spazio per fiorire alla diversità della vita sul pianeta (Alexander, 2011a-c; 2012b). Questa strategia economica radicalmente non convenzionale è tanto più necessaria dato che ci si attende di avere 9 miliardi di abitanti sul pianeta entro pochi decenni, ognuno dei quali desidererà, in modo del tutto giustificato, uno standard di vita degno. Questa espansione della popolazione, tuttavia, porterà ulteriore domanda in una biosfera già sovraccarica.  

Non c'è bisogno di dire che le prospettive di decrescita volontaria nel mondo ricco sono magre se non del tutto inesistenti e che questa è la ragione per la quale possiamo aspettarci che il capitalismo cresca fino ad una crisi fatale. In questo senso, il capitalismo della crescita sembra un serpente che si mangia la coda, un serpente apparentemente inconsapevole che sta consumando il suo stesso supporto vitale. I problemi del cambiamento climatico e della fornitura di petrolio sono probabilmente i segni più chiari che questa crisi del consumo sconsiderato si sta già dispiegando, una situazione esacerbata dalla crisi finanziaria globale in corso, che minaccia ogni giorno di intensificarsi. Tutto questo significa che i cambiamenti drastici si trovano sicuramente di fronte a noi. Le cose cambieranno, osserva Gilding (2011: 1), 'non perché sceglieremo di cambiare a causa di preferenze filosofiche o politiche, ma perché se non trasformiamo la nostra società ed economia rischiamo un collasso sociale ed economico e di sprofondare nel caos'. Per metterlo in forma di proverbio, se non cambiamo direzione, è probabile che finiremo dove siamo diretti. 

Sotto la forza del suo slancio storico, tuttavia, e accecato dalla proprio feticcio della crescita, il capitalismo marcia come se tutto fosse a posto. Ma non è per niente a posto, per metterla giù leggera, ed è solo questione di tempo prima che i cosiddetti beneficiari del capitalismo della crescita si rendano conto che non può esserci un'economia sana senza un pianeta sano. La mia opinione è che ogni transizione ad un'economia giusta e sostenibile è improbabile che sia dolce e che se una tale economia dovesse mai emergere, sarebbe probabilmente innescata non da una qualche rivoluzione nella coscienza, ma da qualche crisi o serie di crisi che essenzialmente costringano l'umanità ad uno stile di vita radicalmente alternativo e post consumistico. Credo che la rivoluzione della coscienza necessaria per prosperare in un'economia di sufficienza arriverà in massa, se arriverà, solo dopo una crisi. Questo, perlomeno, è un percorso che ci troviamo di fronte e forse è il migliore che possiamo sperare.  

Siccome montagne di prove a sostegno del cambiamento radicale non hanno persuaso il modo ricco a ripensare la propria traiettoria economica, sembrerebbe che ora il solo percorso che ci rimane sia di essere persuasi, per così dire, da un “Grande Collasso” di qualche tipo. Questo è lo scenario che farà da cornice alla seguente discussione. Questo esperimento mentale colpirà probabilmente alcune persone in quanto piuttosto drammatico, ma credo che possa provare di essere un'analisi utile anche per gli ottimisti che credono che ci sarà una transizione dolce ad un'economia sostenibile. 

Non desidero speculare su quale forma potrebbe prendere il Grande Collasso (per esempio economico, ecologico, militaristico, un misto di questi, eccetera) o la sua probabilità. Ma per coloro che accettano, come faccio io, che un Grande Collasso di qualche tipo è certamente possibile e potenzialmente imminente, le sue implicazioni sullo stile di vita dovrebbero essere di interesse e preoccupazione considerevoli. E se risultasse che non vedremo mai un Grande Collasso durante la durata delle nostre vite, ciononostante il seguente esperimento mentale potrebbe dare frutti mettendo meglio a fuoco la nostra relazione col mondo materiale. La mia ipotesi è che un miglior focus potrebbe dar luogo all'intuizione che il benessere del consumatore sia molto meno importante di quanto gran parte della gente della classe media pensa che sia. 

3. Immaginare e valutare la semplicità radicale

Supponiamo, quindi, che ad un certo punto nel futuro prossimo qualche tipo di Grande Collasso porti vaste porzioni dell'economia globale ad una fermata repentina. Come potrebbe questo evento destabilizzante, o serie di eventi, condizionare gli stili di vita della classe media consumista? Presupponiamo che questo imponga una qualche forma di semplicità radicale sul mondo sviluppato, come si presenterebbe a quanto sarebbe grave? Queste sono le domande principali che prenderò in considerazione. Esorto i lettori ad adattare l'analisi perché si adatti alle proprie circostanze nella misura in cui potrebbe essere necessario. Strutturerò la seguente discussione considerando, a loro volta, vari aspetti di una tipica vita della classe media e immaginerò e valuterò i cambiamenti che potrebbero venire da un Grande Collasso. 

3.1. Acqua

Ha senso cominciare dall'acqua, essendo questa una delle necessità fondamentali della vita. Accedere all'acqua apparentemente senza limiti semplicemente aprendo un rubinetto è una di quelle cose che vengono più facilmente date per scontate nel mondo sviluppato. Questo è talmente dato per scontato che in molti posti l'acqua del rubinetto viene grandemente sottopagata e a volte non costa proprio nulla. Se, a causa di un qualche Grande Collasso, le reti idriche dovessero smettere di funzionare, quasi tutti i centri urbani verrebbero in un attimo gettati nel caos più totale e, in assenza di un qualche programma civile di emergenza ben coordinato, molta gente morirebbe entro una settimana. Le conseguenze sarebbero così orribili infatti, che dobbiamo assumere che la prima cosa che una società che si trova nel mezzo di un collasso dovrebbe fare, sarebbe assicurare il funzionamento del suo approvvigionamento d'acqua. I governi dovrebbero essere consapevoli delle proprie responsabilità qui ed essere preparati sufficientemente a coordinare ogni riparazione necessaria o manutenzione alla rete idrica, anche in un contesto di turbolenza sociale. Se il governo fallisce, le comunità locali agirebbero da sole e farebbero qualsiasi cosa necessiterebbe di essere fatta, o altrimenti perire.  

Supponiamo, tuttavia, che anche nel caso di un Grande Collasso, le reti idriche rimanessero funzionanti, o al più essere fuori uso per un giorno o due alla volta, che dovrebbe essere gestibile da parte di coloro che hanno una scorta moderata di acqua in bottiglia o una cisterna d'acqua ed alcune pasticche per purificarla. E' abbastanza facile essere preparati in questo senso, quindi ha senso che sia così. Potrebbe essere che qualche tempo dopo il Grande Collasso, a seconda della gravità dello stesso, i governi non abbiano più la capacità di gestire servizi idrici centralizzati, ma da quella fase possiamo immaginare che qualche sistema alternativo e localizzato di captazione e purificazione dell'acqua sarebbe stato sviluppato. Gli esseri umani sono pieni di risorse, un punto che molti teorici del collasso ignorano (ma che i tecno-ottimisti esagerano fino al punto di illudersi). Dovrebbe anche essere ricordato che le infrastrutture esistenti, come tetti e strade, sono notevolmente adatti a raccogliere acqua e non sarebbe difficile catturarne grandi quantità in questi modi, sempre che ci sia sufficiente pioggia. Se questi mezzi possano realmente fornire quantità d'acqua sufficienti per un insediamento urbano e suburbano, tuttavia, è una questione aperta sulla quale al momento non farò ipotesi. 

Piuttosto che preoccuparsi del collasso della rete idrica, credo che sarebbe un esperimento mentale più utile quello di considerare cosa accadrebbe se la fornitura di acqua rimanesse relativamente sicura ma diventasse più scarsa e di conseguenza molto più costosa. Supponiamo, per esempio, che dopo un qualche collasso economico, o dopo una qualche aberrazione climatica, nuove limitazioni finanziarie o di regolamento significassero che gran parte della gente fosse in grado solo di prelevare dalla rete circa 50 litri di acqua al giorno a persona. Per mettere questo quadro in qualche contesto, il consumo medio d'acqua di una famiglia negli Stati Uniti è di circa 370 litri. In Australia è di circa 230 litri al giorno ed in Gran Bretagna di circa 150 litri. Dall'altro lato dello spettro, istituzioni come le Nazioni Unite e l'Organizzazione Mondiale della Sanità, ritengono che 20 litri a persona al giorno sia il minimo necessario per la mera sussistenza e questa cifra viene a volte adottata come dato di base nei campi profughi. 

Sulla base di queste figure possiamo dire che avere 50 litri al giorno arriverebbe come un grande shock per gran parte della gente nel mondo sviluppato, specialmente quelle persone abituate a livelli di consumo di molte volte superiori. Sia come sia, desidero suggerire che la vita con 50 litri di acqua pulita al giorno non sarebbe tanto male, se vi si approcciasse con il giusto atteggiamento. Infatti, dopo un periodo di adattamento culturale e personale, credo che diverrebbe rapidamente una “nuova normalità” molto tollerabile e in gran parte indolore. Naturalmente, l'atteggiamento e lo stato d'animo di ognuno, al momento di affrontare una tale e significativa riduzione del consumo d'acqua, sarà un fattore chiave. Se la gente confrontasse la “nuova normalità” con le cose com'erano, probabilmente si sentirebbe terribilmente impoverita e ne soffrirebbe di conseguenza. Ma se la gente ricordasse che diversi miliardi di persone nel mondo oggi non hanno accesso sicuro a quantità minimamente sufficienti di acqua pulita, allora avere 50 litri di acqua pulita al giorno sembrerebbe all'improvviso come uno straordinario privilegio per il quale la gente dovrebbe essere immensamente grata; lamentarsi sarebbe volgare spirito di contraddizione. Il punto critico da osservare è che le stesse circostanze di semplicità radicale verrebbero vissute in modi completamente diversi, a seconda della mentalità che va a vivere l'esperienza. Fortunatamente, la mentalità è sotto il nostro controllo, anche le se circostanze non sempre potrebbero esserlo.  

Con un approvvigionamento giornaliero di 50 litri d'acqua, l'acqua da bere avrebbe ovviamente la priorità ed il resto dovrebbe essere distribuito fra cose come cucinare, lavare, pulire e igiene. Sarebbe possibile usare meno acqua per cucinare, se la gente fosse più attenta; i vestiti potrebbe essere lavati meno di frequente, il che probabilmente porterebbe un qualche equilibrio ad una cultura che è probabilmente eccessivamente preoccupata dalla pulizia; i prati non verrebbero annaffiati e gli ortaggi verrebbero annaffiati dalle cisterne o dal sistema delle acque grigie e così via e così via. Ci sono innumerevoli strategie per il risparmio dell'acqua che potrebbero provare che il consumo di acqua è veramente un prodotto dello spreco e questo fa sì che quella grande riduzione non ci porterebbe via nulla che sia realmente necessario per una buona vita. Anche se dovessimo smettere di fare la doccia o il bagno come siamo abituati, credo che staremmo tuttavia bene. Il fatto di essere in grado di lavarsi regolarmente potrebbe essere un'esigenza di una vita degna – ottenibile con un secchio d'acqua e del sapone – ma si potrebbe vivere con dignità senza farsi la doccia o il bagno nel modo in cui siamo abituati. 

Quest'idea di lavarsi con un secchio d'acqua esemplifica, con una certa chiarezza e specificità, l'impegnativa tesi che propongo in questo saggio. La semplicità radicale rispetto al consumo d'acqua sarebbe uno shock culturale, non c'è dubbio, se fosse considerata attentamente non dovrebbe risultare essere così male, ammesso che avessimo l'approvvigionamento minimo sufficiente. Cioè, potremmo vivere una vita piena, dignitosa e significativa anche se dovessimo lavarci con un secchio – e se pensassimo di non poterlo fare peccheremmo sia di enfasi sia di mancanza di immaginazione. 

3.2. Servizi Sanitari

Proprio come nel caso che le reti idriche smettessero di funzionare, i centri urbani verrebbero gettati nel disordine molto rapidamente se i nostri sistemi di servizi igienico-sanitari collassassero per qualsiasi lasso di tempo. Se all'improvviso non potessimo tirare l'acqua nel water, ci sarebbe un rischio significativo che i centri urbani vengano rapidamente colpiti da malattie originate dai rifiuti, quindi sistemi sanitari appropriati a loro volta da considerarsi come una delle necessità di base della vita. Ma cos'è esattamente un sistema sanitario 'appropriato'? E' necessario, per esempio, che si defechi in acqua potabile come è costume nel mondo sviluppato? Sicuramente questa pratica è fra le più grandi vergogne ed indulgenze. Nello Stato di Vittoria, Australia, dove vivo, il governo sta investendo milioni di dollari in impianti di desalinizzazione, apparentemente per far sì che gli abitanti di Vittoria continuino a defecare in acqua potabile. Si sarebbe potuto pensare che che sarebbe stato più sensato cominciare a buttare nel water acque grigie, il che ci farebbe risparmiare milioni di litri di acqua ogni giorno e costerebbe quasi nulla (per esempio raccogliere l'acqua della doccia in un secchio), ma apparentemente gran parte della gente nel mondo sviluppato lo troverebbe un inconveniente intollerabile. Come se non ci fossero cose più importanti per le quali spendere soldi! Mentre il nostro sistema fluviale si degrada, sembra che pensiamo ancora che i nostri escrementi borghesi meritino l'acqua potabile, un problema sul quale è improbabile che i posteri ci giudicheranno con clemenza. Se avessimo soltanto 50 litri di acqua potabile al giorno, tuttavia sospetto che non ci defecheremmo dentro e sono sicuro che i nostri escrementi starebbero bene ugualmente. Inoltre, scopriremmo che non sarebbe la fine del mondo. 

Mentre non penso che i nostri sistemi sanitari attuali siano sull'orlo del collasso, potrebbe essere che in tempi economicamente duri (o illuminati) la gente si allontanerebbe dalla dipendenza da infrastrutture sanitarie centralizzate per ragioni di interesse personale. Vale a dire che la gente lo farebbe non perché gli verrebbe richiesto di sviluppare un sistema non centralizzato, come le compost toilet, ma perché diventerebbe consapevole dei molti vantaggi di fare in questo modo. Non solo fare compost toilet non richiede acqua ed evita processi che usano molta energia necessari nei sistemi centralizzati, ma conservano per l'uso famigliare i nutrienti da escrementi umani che al momento vengono buttati, coi metodi attuali. L'apparato digerente umano è lontano dall'essere perfetto, il che significa che urina e feci contengono molti nutrienti – nutrienti di valore per arricchire i suoli, come azoto, fosforo, potassio, carbonio e calcio. Quando gli escrementi umani vengono compostati in modo appropriato (mescolandoli ad altro materiale di carbonio come carta o segatura) non puzzano e nel tempo i processi biologici naturali distruggono i patogeni pericolosi, rendendo il prodotto finale un tipo di letame sicuro e ricco di nutrienti – o, come viene a volte chiamato, 'humanure' (gioco di parole che tradotto perde di senso, ndt) (Jenkins 2005). In uno scenario di collasso tutti quanti coltiveremo di più del nostro cibo (ne parlo sotto) e ciò richiederà di migliorare e mantenere la qualità del suolo il più economicamente ed efficacemente possibile. In tempi del genere, e senza un discreto salario col quale comprare compost e fertilizzanti, la compost toilet diventerà una scelta ovvia. Lungi dall'essere un passo indietro, questo sarebbe un progresso positivo e al quale ci abitueremmo molto in fretta.

Nella società educata di oggi non si deve parlare di deiezioni umane. Nel mezzo di un Grande Collasso, tuttavia, immaginare come costruire una compost toilet potrebbe diventare la conversazione da fare a tavola. Mi scuso se la discussione ha offeso la sensibilità borghese. 

3.3. Cibo 

Di tutti i nostri bisogni , il cibo diviene la necessità più pressante ed immediata nel contesto di un Grande Collasso. Ciò avviene perché attualmente ci affidiamo ad una linea di produzione e distribuzione del cibo incredibilmente complessa, il che significa che il sistema manca di resilienza – vale a dire, manca della capacità di sostenere gli shock . Manca di resilienza perché quando ogni collegamento nella catena di produzione e distribuzione si rompe, l'intero sistema può smettere di funzionare. Un esempio di ciò può essere visto nelle conseguenze dello sciopero dei camionisti del 2000 nel Regno Unito. La nazione si è resa conto molto rapidamente quanto fosse dipendente dal sistema alimentare industriale, perché quando i camionisti non consegnavano, il cibo non arrivava ai supermercati. Ben presto i responsabili dei supermercati hanno chiamato i membri del parlamento avvertendoli che senza le linee di trasporto per rifornire gli scaffali, i supermercati avevano cibo da distribuire per 3 giorni. Nelle parole di un commentatore, la nazione era a soli 'nove pasti dall'anarchia' (Simms 2008). Chiedo al lettore/lettrice di considerare come farebbe se dovesse trovare il cibo per sé e per la famiglia in assenza di un sistema industriale alimentare funzionante.    

E' improbabile, dovrei pensare, che quel sistema alimentare industriale collassi immediatamente e completamente quindi, per gli scopi attuali, essere strettamente autosufficienti è un obbiettivo troppo estremo da giustificare altre analisi, ed è probabilmente impossibile. Persino in uno spaventoso scenario di collasso, possiamo aspettarci che le nostre famiglie 'importino' diversi alimenti in varie forme, se non da tutto il mondo, sicuramente dal contesto rurale. Questa, di fatto, sarebbe una necessità assoluta in contesti urbani, perché gli spazi coltivabili semplicemente non permettono da nessuna parte una stretta autosufficienza. Un recente studio condotto su Toronto, Canada, per esempio, ha concluso che la città potrebbe probabilmente produrre il 10% della propria frutta e verdura, se convertisse gli spazi entro i confini della città per l'agricoltura (MacRae et al, 2010). Ciò implica che anche se si abbracciasse entusiasticamente l'agricoltura urbana, la città avrebbe ancora bisogno di importare il 90% della sua frutta e verdura, per non dire niente di carne, minerali ed altri beni. Mentre alcune città potrebbero essere in grado di fare in qualche modo meglio (ad esempio l'Avana), lo studio di Toronto mostra chiaramente che gli abitanti delle città nel mondo sono estremamente dipendenti da sistemi di produzione e distribuzione alimentare funzionanti. Cosa succederebbe se questi sistemi subissero uno shock? O se gli alti prezzi del petrolio rendessero il cibo molto più caro?

Queste domande sono intese a provocare qualche auto-riflessione su come noi abitanti delle città ci alimentiamo. Perlomeno, in un Grande Collasso tutte le famiglie e le comunità massimizzerebbero la propria produzione di cibo – sostanzialmente allo stesso modo in cui sono spuntati gli 'orti del sollievo' durante la Grande Depressione o gli 'orti della vittoria' durante la Seconda Guerra Mondiale. Il bisogno è una grande motivazione. Aumentare la produzione urbana di cibo comporterebbe la lavorazione dei prati per trasformarli in orti produttivi e per piantare alberi da frutto (che, si dovrebbe osservare, impiegano anni per apportare una produzione sostanziale). In tutti gli spazi disponibili. Ogni striscia di verde verrebbe coltivata, i parchi verrebbero trasformati in piccole fattorie, i tetti adatti diventerebbero produttivi e, in generale, tutto il potenziale di produzione di cibo verrebbe presto utilizzato. Questo è ciò che è essenzialmente accaduto a Cuba quando l'Unione Sovietica è collassata e all'improvviso ha smesso di fornire i cubani di significative percentuali di petrolio necessario a mantenere il loro sistema alimentare industrializzato. Quasi in una notte, Cuba è diventata un baluardo della produzione biologica di cibo (non basata sul petrolio), compreso il suo contesto urbano, e ci si può aspettare che questo tipo di risposta sarebbe immediatamente replicata qualora e laddove il sistema alimentare industriale subisse un Grande Collasso. Quando c'è il rischio della fame, l'estetica borghese che apprezza un rigoglioso 'prato inglese', all'improvviso sembra banale o persino ripugnante (letteralmente). 

Assumere, tuttavia, che parti considerevoli del consumo urbano di cibo avrebbero sempre bisogno di essere importate – una sfida che dovrebbe essere ridotta in qualche misura, non c'è dubbio, da un grande ritorno alle campagne o “volo urbano” - il problema diventa quale tipo di dieta ci si dovrebbe aspettare in caso di un Grande Collasso del sistema alimentare industriale. Per prima cosa, dovremmo abituarci a shock nell'approvvigionamento di vari beni; il lusso di fare un salto al supermercato per prendere un po' di [inserite il prodotto alimentare desiderato qui] potrebbe diventare una cosa del passato. Immaginate, per esempio, di fare a meno di riso, o delle arance o del caffè per mesi o anni alla fine. Un pensiero terribile, forse, ma sopravviveremmo alla perfezione senza questi ed altri lussi simili (non locali). Poi, i prezzi del petrolio più alti o la contrazione economica potrebbero rendere molti cibi che attualmente possiamo permetterci inaccessibili, con conseguenze simili sulle abitudini dell'ordinario consumo di cibo. Potremmo semplicemente non essere in grado di permetterci prodotti che alcune persone danno per scontati oggi, anche se fossero disponibili. Inoltre, in tempi di ristrettezze economiche, take away e ristoranti potrebbero ben scomparire. 

Nuovamente, queste eventualità, se non venissero previste, sarebbero vissute probabilmente come terribili shock culturali e molti potrebbero pensare di essere tornati al medioevo. Ma lo scopo di questo saggio è quello di suggerire che tali shock del prezzo o della fornitura, purché siano ancora disponibili diete sufficientemente nutrienti, non sarebbero così male. Potremmo non mangiare più al ristorante, ma delle cene alla buona fra amici e vicini potrebbero tornare ad essere comuni. Inoltre, mentre avere 10.000 prodotti che ci aspettano nei supermercati potrebbe sembrare una comodità desiderabile, la vita sarebbe ben tollerabile (anche se molto diversa) se ci fossero solo 100 prodotti alimentari disponibili, anche se fossero due, tre o quattro volte più cari di quanto lo siano oggi. In tali circostanze, le nostre diete cambierebbero sicuramente e probabilmente mangeremmo di meno; di sicuro mangeremmo meno carne. Ma in generale staremmo bene e probabilmente anche meglio di adesso. Questo è il messaggio generale che questo saggio cerca di portare alla vostra considerazione. Se fossimo mentalmente preparati, la semplicità radicale nei termini delineati sopra non sarebbe così male. Ma cosa succederebbe se si spegnesse improvvisamente la luce?

3.4. Elettricità

Una fornitura di elettricità ininterrotta, fornita a prezzi realmente abbordabili è, con l'acqua potabile dal rubinetto, gli scarichi del water e il supermarket, una delle caratteristiche che definiscono lo stile di vita opulento preso in considerazione in questo saggio. L'elettricità è così centrale per la nostra concezione della buona vita che siamo a malapena in grado di immaginare la vita senza di essa per qualsiasi periodo di tempo. Durante quelle rare occasioni in cui ci sono dei black out e viene tolta la corrente, è vero che ce la caviamo abbastanza bene, anche se di solito è solo per pochi minuti o al massimo qualche ora. Forse nel bel mezzo di un disastro naturale particolarmente grave – che gran parte di noi non ha vissuto – l'elettricità va via per qualche giorno o per una settimana. Ma parte della ragione per cui ci riusciamo così bene è che presupponiamo (con qualche giustificazione) che sia un problema temporaneo nel sistema e che nel tempo che impieghiamo a trovare la pila le luci si riaccenderanno di nuovo. Quando immaginiamo la vita senza elettricità, pensiamo all'Africa. Ma cosa succederebbe se, nel mondo sviluppato, un Grande Collasso dovesse avere un impatto sulle forniture di elettricità alle quali siamo abituati in modo imprevedibile? Sarebbe la catastrofe che potremmo inizialmente pensare che sia?  

Ipotizzare un collasso improvviso e permanente della fornitura di corrente nel mondo sviluppato spingerebbe il nostro esperimento mentale oltre il regno della credibilità. E' altamente improbabile. Ma se l'economia globale dovesse continuare a schiantarsi per un motivo o per l'altro – il che è almeno una possibilità reale – le nazioni sviluppate che si basano sulla crescita continua, si ritroverebbero probabilmente ad affrontare decisioni davvero difficili su come spendere i propri fondi molto più limitati. Potrebbe anche essere che la manutenzione della rete elettrica non riceva il supporto finanziario che richiederebbe e questo potrebbe portare ad interruzioni nella fornitura elettrica a livelli che la gente non ha mai visto per molte generazioni. In un'area in cui così tante attività economiche sono facilitate dai computer, interruzioni regolari e prolungate della fornitura elettrica creerebbero certamente molte difficoltà, almeno all'inizio, e molte famiglie sarebbero irritate se regolari black out interrompessero mentre si cuoce la cena o si guarda il programma preferito in TV. Ma nel più grande schema delle cose – e quando ricordiamo che gran parte della gente sul pianeta non ha per niente l'elettricità – le interruzioni costanti di elettricità sarebbero poi così male? Siamo così delicati?

Vorrei dire che non lo siamo, anche sé, ancora una volta, dipende dalla mentalità con la quale si vivono le cose. Se persistiamo con l'assunto che l'elettricità ininterrotta è un nostro diritto divino, allora vivremo un Grande Collasso come se cadesse il cielo. Ma se consideriamo un tale collasso come una possibilità (tuttavia improbabile) e ci prepariamo per questo, almeno mentalmente, allora le cose non sarebbero così tragiche come abbiamo pensato in un primo momento. Immaginate, per esempio, che lunghe interruzioni di pochi giorni o più diventino una cosa normale, e immaginate ancora che l'elettricità diventi così cara che il suo uso per qualsiasi elettrodomestico diventi un lusso. Anche in queste circostanze dichiaratamente impegnative, propongo che un atteggiamento forte e resiliente significherebbe che la gente potrebbe facilmente assorbire gli shock, senza tanti problemi. 

In termini pratici, l'elettricità cara ci renderebbe immediatamente più consci delle nostre abitudini di consumo casuale. Le luci verrebbero religiosamente spente quando lasciamo la stanza e l'uso di elettrodomestici, compresa la TV, sarebbe parsimoniosamente pensato in termini economici. Al posto di accendere il riscaldamento, ci metteremmo un maglione di lana. Questo cambiamento culturale, sicuramente, non porterebbe alcun reale disagio e certe sottoculture interne al mondo sviluppato hanno già sviluppato queste abitudini per scelta. Il soggetto di questo saggio, tuttavia, è un cambiamento culturale più radicale – ma forse cambiamenti culturali più radicali potrebbero anche essere assorbiti senza molto disagio. Supponete, per esempio, che le famiglie – la vostra famiglia – possano prelevare (o permettersi) solo un terzo dell'elettricità dalla rete, con black out prolungati che interferiscono regolarmente ma imprevedibilmente con la pianificazione. Sì, potremmo andare a letto prima durante i black out ed alzarci all'alba e, sì, diverse transazioni d'affari verrebbero cancellate con notevoli disagi. Ma drastiche riduzioni nella quantità e regolarità dell'elettricità diventerebbero abbastanza in fretta la nuova 'normalità', alla quale si abituerebbero in fretta anche le anime delicate. Gran parte delle aziende si adatterebbero (e andrebbero avanti come facevano prima, quando l'elettricità era data per scontata), così come farebbero le società opulente più in generale. La vita andrebbe avanti, sebbene in modo molto diverso. 

3.5. Vestiario

Il problema del vestiario è interessante da considerare nel contesto di uno 'scenario di collasso', perché porta alla luce il fatto che il consumo è una pratica sociale che dipende dal contesto. Con questo intendo dire che la gente consuma le cose (specialmente i vestiti) non solo per quello che fanno, ma anche per quello che simboleggiano e significano all'interno di un particolare contesto sociale. Chiaramente, la funzione primaria dei vestiti è quella di tenerci caldi e la funzione secondaria, almeno allo stato attuale della nostra società, per coprire le nudità. Tuttavia, quelle funzioni si sono quasi perse in un'epoca, come la nostra, dove lo scopo dei vestiti si è evoluto per diventare principalmente espressione dell'identità sociale o dello status. Anche le moltitudini di 'alternativi', che rifiutano esplicitamente 'l'alta moda', ciononostante sono impegnati nel posizionarsi socialmente abbracciando un'estetica alternativa dei propri vestiti. Nel contesto di un Grande Collasso, tuttavia, l'industria della moda sarebbe fra le prime a morire e direi che non sarebbe una gran perdita.

Considerate, per esempio, se non avessimo più l'opportunità o salari adeguati per comprare nuovi vestiti. Questo si potrebbe vivere facilmente come una grave crisi di identità da coloro che sono arrivati a definirsi attraverso vestiti alla moda. Ma la realtà è che se uno fosse mentalmente preparato per questa possibilità, indossare i colori della stagione passata o mettere toppe sulle ginocchia non porterebbe alcun danno (Thoreau, 1982). Infatti, suppongo che gran parte della gente potrebbe sopravvivere un decennio o anche di più e piuttosto felicemente senza aggiungere altro ai propri guardaroba, visto che probabilmente quasi tutti nel mondo sviluppato hanno vestiti in eccesso. In un Grande Collasso, indossare vestiti alla moda sarebbe fra le ultime nostre preoccupazioni, anche se probabilmente si svilupperebbe una nuova estetica, nella quale la gente proverebbe a fare il meglio dal poco che ha – chiamatela 'moda chic post-collasso'. Gli esseri umani sono una comitiva creativa e lo 'stile' non scomparirebbe del tutto all'evolvere di uno scenario di collasso. Ciononostante, gli esseri umani soddisfano in genere i propri bisogni più pressanti prima e nel mezzo di una profonda crisi economica, per esempio, essere di tendenza sarà una preoccupazione trascurabile. Conserveremmo diligentemente i vestiti e diventeremmo molto bravi a rattoppare e rammendare e, per quanto riguarda il tenerci al caldo e il coprire le nostre nudità, le nostre esigenze di vestiario verrebbero soddisfatte a sufficienza senza grandi problemi.  

Come ha scritto una volta Thoreau (1982: 278) : ‘Un uomo che che ha finalmente trovato qualcosa da fare non avrà bisogno di un vestito nuovo in cui farlo', aggiungendo che 'se la mia giacca e i miei pantaloni, il mio cappello e le mie scarpe, sono adatti per adorarci Dio, lo faranno, o no?' E' una domanda interessante da prendere in considerazione, se non in relazione all'adorazione di Dio, necessariamente, almeno in relazione al vivere con passione in circostanze di semplicità radicale. Dei vecchi vestiti lo farebbero, no?

3.6. Trasporti

La produzione di greggio globale è stabile del 2005 e questo è stato il motivo principale per il quale i prezzi del petrolio nell'ultimo decennio sono aumentati diverse volte. Mentre i nuovi giacimenti faticano a compensare il rapido declino dei giacimenti esistenti e mentre il mondo sviluppato continua ad aumentare la sua domanda sulle stagnanti forniture di petrolio, ci si attendono ulteriori aumenti dei prezzi. E come è stato detto altrove  (Heinberg, 2011; Rubin, 2012; Alexander, 2012f), le economie industriali globalizzate sono dipendenti dal petrolio a buon mercato e quando le spese in petrolio aumentano oltre una certa soglia – che alcuni sostengono sia il 5,5% del PIL  (Murphy e Hall, 2011a-b) – allora le economie dipendenti dal petrolio annaspano, spesso al punto di recessione o persino depressione. Questo potrebbe essere proprio quello che stiamo vedendo nel mondo oggi e le cose peggiori potrebbero essere in arrivo (Tverberg, 2012). Infatti, il petrolio caro potrebbe essere uno dei motori principali del Grande Collasso del quale stiamo speculando  in questo saggio. 

Quali sarebbero le implicazioni sui trasporti di un Grande Collasso portato da petrolio costoso? Prima di tutto, il viaggio aereo diventerebbe un lusso raro, alla portata solo di pochi privilegiati. Mentre molti insisteranno che questa sarebbe una grave perdita, io mi permetto di dissentire. Non ho dubbi sul fatto che viaggiare per il mondo e vedere culture diverse sia un'esperienza che espande la mente, ma pensare che non si possano avere ugualmente esperienze che espandono la mente nei luoghi dove ognuno di noi vive tradisce una mancanza di immaginazione. Uno potrebbe dire quanto è presuntuoso per la gente viaggiare all'altro capo del mondo quando non abbiamo nemmeno visto – realmente visto – i nostri giardini di casa, le nostre località. Forse meraviglie inimmaginabili aspettano coloro che osano andare a vedere più da vicino. Potrebbe essere che ci siano opzioni di viaggio economiche, a bassa emissione di carbonio ed ugualmente soddisfacenti che siano più vicine a casa più di quanto possiamo pensare, se solo guardassimo il mondo in modo diverso. 

Una seconda e presumibilmente più importante implicazione del petrolio caro sarebbero le conseguenze che avrebbe sulla guida. Non solo il petrolio sarebbe più caro, ma un Grande Collasso significherebbe che gran parte della gente avrebbe a disposizione redditi considerevolmente inferiori, o nessuno. Il trasporto pubblico, dove c'è, verrebbe usato molto più regolarmente, probabilmente spinto al limite della propria capacità ed oltre. Andare in bici o a piedi diventerebbe immediatamente la modalità predefinita di trasporto (che si porta con sé diversi benefici per la salute e l'ambiente) e, chi lo sa, forse anche il cavallo potrebbe tornare sulle nostre strade. Se guidare fosse necessario e praticabile, il car pooling diventerebbe la norma. Non si andrebbe più al negozio all'angolo in macchina per prendere un litro di latte. 

Un problema più complesso in relazione al trasporto – uno che non può essere esplorato in tutti i dettagli qui – concerne la rilocalizzazione dell'economia che il petrolio caro indurrebbe (Rubin, 2009). Attualmente molta gente è 'bloccata' al viaggio in macchina in virtù del fatto che vive lontano da dove lavorano e diverse aziende dipendono in modi diversi dal commercio globale. Ma è probabile che la produzione si sposti molto più vicino a casa – probabilmente che ritorni a casa – man mano che i prezzi del petrolio continuano a crescere e le economie dovrebbero continuare a contrarsi (Holmgren, 2012).E' probabile che questo porti vari disagi ed insicurezze, ma per gli scopi attuali il punto è che questo anche 'sbloccherebbe' la gente (e le imprese) dai lunghi viaggi. Quando le nostre comunità sono costrette a re-imparare le arti dell'autosufficienza, la cultura dell'auto scomparirà anche più rapidamente di quanto sia sorta. Il lato positivo è che tutto il tempo buttato nel pendolarismo può essere impiegato per scopi più utili ed appaganti, come tornare ad impegnarsi nelle nostre comunità e rivitalizzare le nostre economie locali.

3.7. Tecnologia

Un'altra caratteristica che definisce le società opulente sono le tecnologie avanzate che abbiamo a nostra disposizione, che generalmente sono a prezzi molto accessibili. In Australia, per esempio, il reddito prodotto lavorando meno di due ore col salario minimo consente di comprare un lettore DVD e televisori funzionanti vengono spesso lasciati per strada perché non sono dell'ultimo tipo con schermi piatti. In un contesto globale e storico, ci rendiamo conto di quanto siamo ricchi?

Nelle case delle famiglie della normale classe media c'è una schiera di tecnologie che avrebbe sconcertato la gente solo poche generazioni fa. Inoltre, oggi non è raro anche per i bambini avere (ed aspettarsi di avere) le tecnologie più avanzate, come iPod, Xbox e telefoni cellulari. Computer, forni a microonde, lavastoviglie, stereo, utensili da cucina, aspirapolvere, lavatrici, asciugatrici, aria condizionata – è possibile trovare tutte queste cose e molto di più nelle case tipiche di quella che chiamo la classe media. Queste tecnologie sono così facilmente a disposizione che potrebbe essere dura immaginare la vita senza di esse. Ma proviamoci. 

Fare senza computer è probabilmente la cosa più difficile da immaginare, perché la vita moderna è estremamente dipendente da questi strumenti. Ricordiamoci, tuttavia, che la gente sopravviveva piuttosto bene negli anni 50 senza computer, quindi non c'è ragione di pensare che la vita senza di essi significherebbe tornare all'Età della Pietra. Infatti, attualmente passiamo molto tempo davanti a un computer che la loro scomparsa ben potrebbe essere un progresso positivo che spinge la gente a coinvolgersi in una comunicazione più faccia a faccia e probabilmente a passare più tempo fuori. 

Le tecnologie dentro ai computer sono così sofisticate che probabilmente dipendono, per la loro produzione, da un'economia industriale funzionante, quindi è possibile che un Grande Collasso renda i computer o non disponibili o tremendamente cari. La stessa cosa è applicabile a molte altre tecnologie che attualmente diamo per scontate. Tuttavia, con un po' stoica resilienza, credo che ci possiamo in generale adattare alla loro mancanza senza grandi difficoltà. Sospetto che la lavatrice potrebbe rimanere un dispositivo di estremo valore per risparmiare lavoro ed i nostri frigoriferi sarebbero una delle ultime cose ad andarsene. Ma la vita andrebbe avanti anche se queste cose diventassero dei rari lussi, e la vita andrebbe sicuramente avanti se dovessimo fare a meno di telefoni cellulari, forni a microonde, aspirapolvere, lavastoviglie, ecc. Al posto degli stereo (anche se sono meravigliosi) ci godremmo probabilmente il piacere maggiore di più musica dal vivo. Sarebbe un'esistenza di gran lunga più 'semplice', non c'è dubbio, ma sopravviveremmo abbastanza bene se gestissimo la transizione in modo saggio. Nuovamente, essere mentalmente preparati è il primo passo verso un sano adattamento – un passo che vale la pena di fare, asserisco, anche se una tale semplicità radicale non arrivasse durante la durata delle nostre vite.

Forse l'aspetto più preoccupante di una vita senza capacità tecnologica riguarda i sistemi energetici rinnovabili. Come i computer, pannelli solari e grandi pale eoliche dipendono probabilmente da un'economia industriale e globalizzata per la loro produzione e funzionamento, quindi, in caso di un Grande Collasso non dovremmo pensare che la produzione di energia rinnovabile non ne venga condizionata, per quanto se ne trarrebbe beneficio. L'energia nucleare probabilmente dipende anche i misura maggiore da un'economia industriale funzionante, quindi in caso di un 'crollo', l'energia nucleare potrebbe non essere un'opzione (supposto che sia da considerarsi desiderabile). 

Per motivi di spazio non aprirò questi tappi ulteriormente, se non osservando che rispondere al cambiamento climatico dipende dal ridurre grandemente la quantità di energia che usiamo e che produciamo la poca energia che usiamo da fonti rinnovabili (Trainer, 2012a-b). In assenza di sistemi energetici hi-tech, le nostre alternative sarebbero probabilmente o vivere come gli Amish o continuare a bruciare combustibili fossili – e sappiamo tutti qual è l'alternativa che verrà scelta con più probabilità. Ormai il lettore potrebbe anche indovinare quale alternativa appoggerei, ma una strada ancora migliore sarebbe riuscire a portare le cose migliori di uno stile di vita Amish (aggiungendo una forte dose di edonismo alternativo, forse) mentre, allo stesso tempo, approfittiamo dei sistemi di energia rinnovabile hi-tech ed altre tecnologie 'appropriate' che siano disponibili ed accessibili. 

3.8. Televisione e Facebook

Il modo in cui una cultura passa il proprio tempo libero – la propria libertà – dice molto sulla natura della società. Attualmente, molti occidentali passano più tempo guardando la televisione che a fare qualsiasi altra cosa che non sia dormire o lavorare. Spesso si passano diverse ore in più ogni giorno su Facebook. Non c'è bisogni di far parte di una élite per mettere in discussione se questo sia l'uso migliore della nostra libertà. Tecnologie come la televisione e Facebook non sono buone in sé. Come il fuoco, entrambe sono sia buone sia cattive a seconda di quante ce ne sono e di come vengono usate. Se un Grande Collasso dovesse portarcele via, io sostengo che in questo senso almeno le nostre culture dovrebbero esserne decisamente arricchite. All'improvviso scopriremmo di dovere riempire il nostro tempo in altri modi meno passivi ma, lungi dall'essere annoiati, scopriremmo che c'erano cose, un lavoro molto più importante e significativo, da fare per costruire una nuova civiltà. 

3.9. Redditi voluttuari

Un punto più generico sulle implicazioni sullo stile di vita di un Grande Collasso attiene ai redditi voluttuari. Oggi, nelle nazioni sviluppate, i salari medi sono ben al di sopra dei livelli di sussistenza, il che significa che gran parte della gente ha redditi voluttuari da spendere in beni e servizi  non essenziali, come alcool, biglietti del cinema, cibo take-away, libri, riviste, vestiti alla moda, la vacanza occasionale, ecc. Le enormi conseguenze economiche di un Grande Collasso, tuttavia, significherebbero che il reddito voluttuario che diamo per scontato oggi potrebbe facilmente scomparire completamente o essere ridotto a livelli minimi. La gente non sarebbe più in grado di permettersi di pagare altri per 'servizi' come  pulizia, cucina, contabilità, riparazioni, ecc. Tale lavoro e molto altro tornerebbe in famiglia. La persona ordinaria diventerebbe un 'jolly', o almeno sarebbe in grado di barattare diverse capacità con altre in un'economia informale. Siccome l'attuale divisione del lavoro nelle economie di mercato ha lasciato molti di noi con una gamma di capacità molto ridotta, doversi fare le cose da soli richiederebbe una grande 'riqualificazione', un cambiamento culturale già in corso nel movimento di Transizione (Hopkins, 2008). Sembra proprio che gli esseri umani ricavino un piacere considerevole ad essere autosufficienti, perché imparare competenze di vita e metterle in pratica può essere un processo davvero soddisfacente. Ciò significa che l'impossibilità di pagarsi i servizi probabilmente ha un significativo lato positivo. 

Le stesse forze economiche che ridurrebbero i redditi voluttuari per i 'servizi' significherebbero anche che avrebbero poco o nessun reddito di riserva col quale comprare  'beni' non essenziali. Attualmente, se ci troviamo nel disperato bisogno di qualcosa, sarà probabilmente disponibile a un prezzo ragionevole in un qualche negozio vicino. In uno scenario di collasso, questo lusso scomparirà, con catene di fornitura distrutte e prezzi (relativamente ai redditi voluttuari) alle stelle. Questa situazione significherebbe l'alba della 'economia del riuso' e della 'economia della condivisione', entrambe le quali potrebbero già essere fra noi. Se dovessimo aver bisogno di qualcosa e non fossimo in grado di comprarlo, le nostre opzioni sarebbero: (1) riconsiderare se ne abbiamo davvero bisogno e forse farne a meno; (2) riusarlo o; (3) prenderlo in prestito da qualcuno nella nostra comunità (e forse prestargli qualcosa in cambio). Per esempio, piuttosto che possedere tutti nella via attrezzi per la potatura (o qualche altro bene), forse solo una o due persone li avranno, o forse verrebbe allestita una rimessa per gli attrezzi condivisa dalla comunità di modo che tutti abbiano accesso agli attrezzi anche se ce ne fossero molto pochi nella comunità. Questo aumenterebbe grandemente 'l'efficienza' del nostro consumo, perché attualmente molti, se non la maggior parte dei nostri beni acquistati se ne stanno dispendiosamente ad oziare per gran parte della loro vita. Condividere più delle nostre cose non sarebbe difficile. 

Analogamente, dovrebbe andare da sé che, in uno scenario di collasso, tutte le spese lussuose scomparirebbero essenzialmente del tutto e senza nessun vero disagio. Qualcuno potrebbe rimpiangere il fatto di non potersi permettere una nuova cucina, cambiare un tappeto logoro o di non poter fare le ferie in Thailandia, ma sarebbe responsabilità loro se considerassero queste delle buone ragioni per disperarsi. Di sicuro la buona vita consiste in qualcosa di diverso del mero consumo di beni di lusso? Per attingere ancora dalle parole di Thoreau (1982: 269): ‘Gran parte dei lussi e molti dei cosiddetti comfort di vita, non solo non sono indispensabili, ma ostacoli positivi all'evoluzione dell'umanità' e su questa base  Thoreau (1982: 290) sollecita le persone a non essere come l'uomo che si lamentava dei 'tempi duri perché non si poteva permettere di comprare una corona'. 

3.10 Servizi Pubblici

Concludendo l'analisi, alcune parole dovrebbero essere dedicate al declino dei servizi pubblici che senza dubbio seguirebbe un Grande Collasso. Ho presunto che un Grande Collasso avrebbe enormi implicazioni economiche, ne consegue che condizionerebbe la capacità dei governi di fornire molti servizi pubblici, almeno nella misura in cui siamo abituati oggi. Con una capacità di spesa molto inferiore (dovuta alla contrazione economica), i governi dovrebbero ripensare radicalmente i loro bilanci e questo potrebbe avere implicazioni significative per la gente comune. Molte disposizioni di carattere sociale  - come sussidi di disoccupazione o sanitari, investimenti in infrastrutture pubbliche o arte, ecc. - potrebbero facilmente scomparire o essere fortemente ridotte, proprio mentre se ne avrebbe più bisogno. Altri servizi pubblici o disposizioni potrebbero a loro volta ricevere molto meno sostegno finanziario, come i pompieri, le forze di polizia, le amministrazioni locali, i programmi di protezione ambientale, ecc. Questo, ovviamente cambierebbe grandemente la natura della società e non dirò che i cambiamenti verrebbero assorbiti senza sofferenza. Ma ma si può sostenere che la dipendenza da uno stato forte è stata una delle ragioni dell'indebolimento di molte comunità, in anni recenti. Dopotutto, ci si potrebbe sentire meno obbligati a prendersi cura di un vicino povero o anziano se ciò è considerato qualcosa che dovrebbe fare lo stato. Anche se non voglio dilungarmi su questo argomento, in assenza di un forte stato sociale, le comunità dovrebbero prendersi cura di nuovo di sé stesse e questa sfida potrebbe rivitalizzare lo spirito di vicinato e di solidarietà che è stato perduto in molte culture consumistiche oggigiorno (Lane, 2000). Dovrebbero essere fondate nuove organizzazioni e i sistemi della comunità per affrontare il crimine, i rifiuti del consumo, la riparazione di infrastrutture o per dar da mangiare a chi ha fame. Finiremmo per avere comunità molto diverse, molto localizzate e che si autogovernano, ma potrebbe valere la pena di vivere tutto il disagio che porterebbe questa transizione. Potrebbe solo darci una democrazia più diretta, autentica e partecipativa, che probabilmente è un passo necessario lungo la strada per creare una democrazia sostenibile.  

4. Conclusione

In questo saggio ho cercato di descrivere con qualche dettaglio come potrebbe essere una vita di semplicità radicale e di suggerire che la semplicità radicale non sarebbe così male, ammesso che la transizione venga anticipata e saggiamente negoziata. Infatti, il sottinteso di questo saggio è stato che una tale transizione sarebbe in realtà nel nostro interesse immediato, anche se ho a malapena provato a provocare delle considerazioni sulla tesi leggermente meno ambiziosa, cioè che la semplicità radicale non sarebbe tanto male.  

Per fare un riesame, gli elementi di semplicità radicale che ho sottolineato prima sono: Avere solo 50 litri di acqua potabile al giorno; usare una compost toilet; coltivare il cibo in ogni spazio disponibile ed avere a che fare con una minore varietà e cibo più caro; consumare circa un terzo della quantità di elettricità attualmente usata ed avere a che fare con black out regolari; non comprare mai nuovi vestiti; usare solo trasporti pubblici o biciclette per andare in giro e non volare mai; fare a meno di molte tecnologie, come cellulari, aspirapolvere, forni a microonde, stereo, lavastoviglie, asciugabiancheria e probabilmente anche lavatrici, computer e frigoriferi; non guardare la televisione e non avere tempo per Facebook; avere meno o nessun reddito voluttuario da spendere in beni o servizi non essenziali e, alla fine, avere a che fare con l'assenza di molti servizi pubblici che sono dati attualmente per scontati. Indubitabilmente, se i normali 'consumatori' occidentali si ritrovassero all'improvviso a vivere una vita di semplicità radicale, si sentirebbero grandemente impoveriti e di conseguenza ne soffrirebbero. Ma se la gente accettasse che il senso della vita non consiste nel consumo di cose materiali, allora la semplicità radicale non sarebbe un ostacolo ad una vita felice e soddisfacente. Dato che il consumismo è una pratica sociale, tuttavia, potrebbe essere estremamente difficile abbracciare volontariamente la semplicità radicale in anticipo rispetto ad un'imposizione esterna, ma ora abbiamo ragioni più che sufficienti per muoverci in direzione di una semplicità volontaria e di tentare di trascinare la cultura con noi (Alexander, 2009, 2010; Alexander e Ussher, 2012).

Posso anticipare almeno due obbiezioni a questa analisi, la prima proveniente dagli ottimisti e la seconda dai pessimisti. Dalla prospettiva ottimista, la gente potrebbe obbiettare che la mia analisi si basa su una prospettiva troppo cupa, cioè che le le possibilità che la semplicità radicale venga imposta al mondo sviluppato da un qualche Grande Collasso, sono così magre che non dobbiamo preoccuparci con esperimenti mentali come il mio. Questa obbiezione presume che avremo sempre cibo, acqua, elettricità, tecnologie, redditi voluttuari e servizi pubblici per vivere con lo standard di vita attuale. A questi ottimisti risponderei osservando che il nostro pianeta fatica a sopportare le conseguenze di un miliardo di 'consumatori' e quindi l'idea che questo modo di vivere possa essere globalizzato a 9 o 10 miliardi di persone nei prossimi decenni (il che sembra essere l'obbiettivo dello 'sviluppo') e pericolosamente irrealistico, persino assurdo. Ad un certo punto i nostri ecosistemi dichiareranno i loro 'limiti dello sviluppo' e di fatto stanno per farlo (Meadows et al, 2004). I prossimi decenni non saranno come i decenni passati, e se il mondo sviluppato non si avvia volontariamente verso uno stile di vita meno consumistico, allora sembra abbastanza ragionevole aspettarsi che tale stile di vita ci verrà imposto senza volerlo. E' solo una questione di tempo. Inoltre, anche se la semplicità radicale non dovessimo vederla nella nostra vita (o mai), spero che l'esperimento mentale qui sopra possa, in ogni caso, aver portato un maggiore focus sulla nostra relazione col mondo materiale. Se diamo un secondo sguardo alle nostre vite (Burch, 2012), potremmo scoprire che l'opulenza è molto meno importante di quanto abbiamo pensato che fosse e che le cose migliori della vita sono gratuite. 

Dalla prospettiva pessimista, un'obbiezione alla mia analisi potrebbe essere che un Grande Collasso è di fatto in serbo per noi, ma che gli impatti saranno di gran lunga più tragici di quelli che ho descritto. In altre parole, potrebbe essere obbiettato che io abbia romanzato la semplicità radicale e che la semplicità radicale di fatto significa sofferenza bella e buona. Questa obbiezione, tuttavia, è basata su un fraintendimento del mio progetto. Capisco molto bene che un Grande Collasso potrebbe mostrarsi in vari modi, compresa la possibilità che carestia, malattia e violenza ci porterebbero ad una diffusa povertà ed alla morte. In tali circostanze, naturalmente, non ci sarebbe nessun 'lato positivo' e sicuramente si sarebbe potuta fare un'analisi molto più nera. Ma sin dall'inizio ho distinto la semplicità radicale dalla povertà e non ho fatto tentativi di dipingere la povertà a colori. Nessuno vuole stare al freddo, affamato e malato. La semplicità radicale, tuttavia, per come l'ho descritta, significa uno standard di vita sicuro ma biofisicamente minimo ed il mio scopo è stato di difendere la tesi che la vita non sarebbe poi così male se ci trovassimo senza molte delle comodità della vita della classe media, ammesso che i nostri bisogni fondamentali siano ancora soddisfatti.   

Alla fine, la visione del mondo delineata sopra sorge da una concezione particolare di cosa significhi essere umani. Pone una domanda, 'Cos'è che rende la vita degna di essere vissuta?' e risponde a questa domanda dicendo 'Qualcosa di diverso dal consumo senza limiti di cose materiali'. Il consumismo semplicemente non soddisfa il nostro desiderio di senso universale e prima il mondo si rende conto di questo meglio sarà per tutti sul pianeta. 

Se non scegliamo di imparare questo, alla fine ci verrà comunque insegnato. 

Riferimenti:

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mercoledì 16 gennaio 2013

L'Australia aggiunge un nuovo colore alla mappa delle temperature mentre il caldo va alle stelle

Le temperature previste sono cosi' estreme che l'Ufficio Meteorologico ha dovuto aggiungere un nuovo colore alla sua scala. E' un segno dei tempi che verranno.


Di Damian Carrington
Da “The Guardian”. Traduzione di MR

La mappa dell'Ufficio Meteorologico australiano con un nuovo colore per i 52-54°C. Foto: BOM.


Il riscaldamento globale sta aumentando il livello del meteo estremo fino alle tacche più estreme della scala. La previsione delle temperature per il prossimo lunedì dell'Ufficio Meteorologico australiano e' talmente senza precedenti – oltre i 52°C – che questi ha dovuto aggiungere un nuovo colore al vertice della scala, un pertinente viola incandescente

La temperatura più alta mai registrata in Australia è stata di 50,7°C, stabilita nel gennaio del 1960 nel sud dell'Australia. Il record del giorno medio più caldo nel paese è stato stabilito di lunedì, a 40,3°C, che ha superato un record vecchio di 40 anni. “Ciò che rende questo evento molto eccezionale è quanto lo stesso è stato diffuso ed intenso”, ha detto Aaron Coutts-Smith, il manager dell'ufficio dei servizi meteorologici. “Abbiamo battuto i record in tutti gli stati ed i territori in Australia, durante il corso dell'evento fino a questo momento”. Gli incendi stanno divampando nel Nuovo Galles del Sud e in Tasmania. 

Il Pimo Ministro australiano, Julia Gillard, ha detto: “Anche se non dovremmo mettere il singolo evento in relazione al cambiamento climatico, il meteo non funziona così, noi sappiamo che nel tempo, come conseguenza del cambiamento climatico, vedremo più eventi e condizioni meteo estreme”. 

Un indicatore del pericolo di incendi che riporta l'indicazione su “catastrofica” manda un messaggio chiaro sulla situazione nei dintorni di Wandandian, a sud di Nowra, vicino Sydney, Nuovo Galles del Sud. In 4 nuove aree è stato data l'indicazione di pericolo di incendio “catastrofico”, il che significa che se gli incendi divampano saranno incontrollabili e si muoveranno velocemente, quindi i residenti dovranno andarsene. Foto: Dean Lewins/EPA



Naturalmente ha ragione ad essere cauta circa l'attribuzione di singoli eventi al riscaldamento globale, ma è ugualmente chiaro che dovremo aggiungere nuovi colori alle scale di tutto il mondo per le ondate di calore e gli altri eventi atmosferici estremi.

Sappiamo già che il cambiamento climatico sta imbrogliando sui dadi del clima. Gli scienziati hanno mostrato che l'ondata di calore europea del 2003, che ha causato oltre 40.000 vittime, è stata provocata con almeno il doppio delle probabilità dal cambiamento climatico. L'ondata di calore russa del 2010, che ha ucciso 50.000 persone e cancellato 15 miliardi di dollari di colture, è stata provocata con almeno il triplo delle probabilità dal riscaldamento globale ed ha portato all'estate più calda in Europa in 500 anni.

La previsione di meteo estremo è persino peggiore. Mega ondate di calore come queste diventeranno da 5 a 10 volte più probabili nei prossimi 40 anni, verificandosi almeno una volta a decennio, prevedono gli scienziati.

Il lavoro di più autorevoli gruppi di scienziati, l'IPCC dell'ONU, ha scoperto che è al 90% certo che le ondate di calore aumenteranno ulteriormente in lunghezza e gravità, così come le alte maree estreme. E' probabile al 66% che gli uragani e i tifoni saranno più veloci e che la pioggia intensa aumenterà, così come le frane. E' più probabile che le siccità si intensifichino in Europa, America Centrale e del Nord e, molto più pericolosamente vista la povertà, nell'Africa del Sud. Ci sono incertezze, naturalmente, ma la fisica di base è che le emissioni di carbonio che intrappolano il calore significano che viene pompata più energia nel sistema, aumentando il caos climatico.

Le due nazioni nella quali le opinioni marginali dei cosiddetti scettici del clima hanno strombazzato più forte – USA e Australia – ora sono stati colpiti da ondate di calore record e, negli Stati uniti, dalla Supertempesta Sandy. Gli scienziati stanno aumentando il volume dei loro avvertimenti, ma se questo porti ad un'azione politica più forte e chiara per frenare le emissioni o a più urla da parte degli scettici e degli interessi personali dei combustibili fossili che li sostengono rimane da vedere.



lunedì 14 gennaio 2013

2012: un altro anno di eventi meteorologici da record – "La normalità è cambiata. La normalità è estrema"

Da “Dasdemona Despair”. Traduzione di M R



  di Seth Borenstein
20 dicembre 2012

WASHINGTON (MSN News) – Quando è iniziato il 2012, l'inverno negli Stati Uniti se n'è andato senza permesso. La primavera e l'estate sono arrivate presto con incendi, calore ustionante e siccità. E l'autunno ha colpito il terzo orientale del paese con la ferocia della Supertempesta Sandy. Il tempo di questo anno appena trascorso è stato mortale, costoso ed ha battuto ovunque i record, ma specialmente negli Stati Uniti. Se questo suona famigliare è perché dovrebbe. Anche l'anno precedente è stato mortale per i record. “Abbiamo avuto due anni di venti rabbiosi”, ha detto Deke Arndt, capo del monitoraggio del Centro Dati Climatici Nazionale degli Stati Uniti. “Spero che il 2013 sia davvero noioso”.

Nel 2012, molti degli avvertimenti che gli scienziati hanno fatto sul riscaldamento globale sono passati da studi aridi su riviste scientifiche a video della vita reale riprodotti di fronte ai nostri occhi: fusione record del ghiaccio marino nell'Oceano Artico. Città americane cotte a 35°C o più. Siccità diffusa. Alluvioni. L'onda della tempesta che inonda i sobborghi di New York City. Tutto ciò è stato previsto anni fa dagli scienziati del clima e tutto ciò è accaduto nel 2012. “Quello che si era previsto era che ci sarebbero state più di queste cose”, ha detto Michel Jarraud, segretario generale per il World Meteorological Organization.

Globalmente, 5 paesi hanno stabilito dei record delle temperature più calde, ma nessuna di freddo. Il 2012 è sulla strada giusta per essere l'anno più caldo mai registrato negli Stati Uniti. Ne mondo, la media di novembre suggerisce che sarà l'ottavo anno più caldo dal 1880, anno dal quale vengono registrate le temperature globali. Luglio è stato il mese più caldo nella storia delle registrazioni americana, in media 25°C. Nell'arco dell'anno, sono stati stabiliti più di 69.000 – compresi 356 luoghi in 34 stati che hanno stabilito la loro registrazione più alta di sempre. Il cuore dell'America è balzata da un estremo all'altro senza fermarsi alla “normalità”. L'alluvione storica del 2011 ha fatto strada alla devastante siccità del 2012.

“La normalità è cambiata, immagino”, ha detto il direttore ad interim del Servizio Meteorologico Nazionale statunitense Laura Furgione. “La normalità è estrema”. Mentre gran parte degli Stati Uniti combattevano con una siccità che evocava il Dust Bowl, parti di Africa, Russia, Pakistan, Colombia, Australia e Cina avevano a che fare con l'altro estremo: micidiali e costose alluvioni. Ma lo sviluppo del clima più problematico di quest'anno è stato la fusione in cima al mondo, ha detto Jarraud. Il ghiaccio marino estivo dell'Artico si è ridotto del 18% in meno del precedente record minimo. I passaggi artici normalmente ricoperti di pack erano aperti alla navigazione per gran parte dell'estate , più di prima, e un enorme nave cisterna russa che trasportava gas naturale liquefatto ha fatto in quel modo una consegna, provando quanto sia diventata preziosa questa rotta, ha detto Mark Serreze, direttore del Centro Nazionale per i Dati su Neve e Ghiaccio (National Snow and Ice Data Center).

Anche in Groenlandia, il 97% del ghiaccio delle calotta glaciale di superficie ha subito una qualche fusione. I cambiamenti nell'Artico alterano il tempo meteorologico del resto del mondo e “la fusione del ghiaccio significa un'amplificazione del riscaldamento”, ha detto Jarraud. Ci sono stati altri estremi atmosferici che nessuno aveva previsto: un episodio repentino invernale che ha ucciso più di 800 persone in Europa. Una strana bufera di vento estiva chiamata 'derecho' nel centro dell'Atlantico statunitense  che ha lasciato milioni di persone senza elettricità. Il ghiaccio marino dell'Antartico che procedeva ad un record massimo. Più di 30 centimetri di pioggia seguita al Giorno del Ringraziamento è finita nel Super Tifone degli Stati Uniti occidentali Bopha, che ha ucciso centinaia di persone nelle Filippine ed era la tempesta più a sud mai vista di questo tipo.

Gli Stati Uniti hanno avuto “qualche anno di quiete, mentre il resto del mondo era impazzito”, ma non è il caso di quest'anno, ha detto Arndt. Il gigante assicurativo Munich Re in un rapporto di questo autunno ha concluso: “Il numero di catastrofi naturali annuali è più evidente in Nord America che in qualsiasi parte del mondo”. Nel 2011, gli Stati Uniti hanno stabilito un record con 14 miliardi di dollari di disastri dovuti al meteo. Il NOAA ha un conteggio preliminare di 11 disastri simili. E l'indice ufficiale del clima estremo del NOAA, che conta i disastri e gli eventi rari come i giorni super-caldi, sta per stabilire il suo nuovo record. Arndt indica il cuore geografico dell'America, il Mississippi, come emblematico.

Il 6 maggio 2011, il fiume Mississippi, a New Madrid in Montana, ha raggiunto il suo punto più alto mai registrato. Meno di 16 mesi dopo, il 30 agosto 2012, lo stesso indicatore sul fiume si trovava 19 metri più in basso, segnando il minimo di tutti i tempi. Gli Stati Uniti hanno attraversato gli stessi estremi altalenanti coi tornado: Quelle tempeste hanno ucciso 553 persone lo scorso anno, ha detto la Furgione. Quest'anno è cominciato con molti tornado, poi in aprile si sono semplicemente fermati. Da aprile a novembre la normale stagione dei tornado, ha visto il minor numero di F1 o più forti tornado di sempre. “Ogni anno porta tipi diversi di meteo estremo e di eventi climatici”, ha detto il capo del NOAA Jane Lubchenco. “ Oggi, tutte le tempeste in un mondo dal clima alterato”.

Non tutto è collegato al riscaldamento globale antropogenico, dicono gli scienziati del clima. Alcuni, come i tornado, non hanno nessuna connessione riconoscibile scientificamente. Altri, come le Supertempeste della Costa Est, saranno studiati per vedere se il cambiamento climatico sia una causa, anche se gli scienziati sostengono che l'aumento del livelli del mare ha peggiorato in modo chiaro le alluvioni. Sono più convinti che le ondate di calore della scorsa estate lo siano. Questi non sono “chiaramente eventi anomali” ma “cambiamenti sistemici”, ha detto lo scienziato climatico Stefan Rahmstorf del Potsdam Institute in Germania. “Con tutti questi estremi che, realmente, tutti gli anni negli ultimi 10 anni hanno colpito diverse parti del globo, sempre più gente si rende assolutamente conto che il cambiamento climatico è qui e ci sta già colpendo”.

Nel 1988, lo scienziato della NASA James Hansen, a volte chiamato il padrino della scienza del riscaldamento globale, ha fatto girare dei modelli computerizzati che prevedevano che gli anni 19 del 2.000 avrebbero visto molti più giorni con 35°C o oltre e molti meno giorni al di sotto dello zero. Quest'anno ha fatto sembrare le previsioni di Hansen come sottostimate. Per esempio, lui aveva previsto che nel 2010 Memphis avrebbe avuto in media 26 giorni con più di 35 gradi. Quest'anno sono stati 47. Gli scienziati – sia quelli che studiano il riscaldamento sia quelli che studiano gli uragani – hanno avvertito per più di un decennio riguardo ad un uragano con ondate di tempesta che avrebbe colpito New York City allagandone la metropolitana. E' accaduto con Sandy. Anche se non era un grande uragano, si è allungata per quasi 1.000 miglia negli Stati uniti, portando ondate di tempesta, interruzioni dell'elettricità a milioni di persone e perfino neve. Sandy ha ucciso più di 125 persone negli Stati uniti e almeno 70 nei Caraibi.

Per decenni, gli scienziati hanno previsto siccità estese causate dal riscaldamento globale. Quest'anno, la siccità del 2012 è stata così estesa che quasi 2.300 contee – quasi in ogni stato – hanno dichiarato disastri agricoli. Ad un certo punto quest'estate, più del 65% dei 48 stati meridionali stavano soffrendo la siccità. E con la mancanza d'acqua è arrivato il fuoco, cosa a sua volta menzionata nei rapporti scientifici sul riscaldamento globale. La stagione degli incendi negli stati uniti è arrivata prima del consueto ed è durata più a lungo, dicono gli ufficiali. Quasi 4 milioni di ettari – un'area più grande dello stato del Maryland – sono stati bruciati dagli incendi, al terzo posto da quando sono iniziate registrazioni più precise, cioè dal 1960.

“Prendete ognuno di questi eventi da solo e potrebbe essere possibile gridare 'è un caso!'. Prendeteli collettivamente e forniranno una conferma esattamente di quello che avevano previsto che sarebbe accaduto gli scienziati del clima decenni fa, se avessimo continuato a bruciare combustibili fossili come sempre e come abbiamo fatto”, ha detto in una email lo scienziato del clima dell'Università di Stato della Pennsylvania Michael Mann. “E quest'anno specialmente è d'ammonimento. Quello che vediamo oggi come un meteo estremo senza precedenti diventerà la nuova normalità nel giro di decenni se continuiamo come abbiamo fatto finora”.










mercoledì 9 gennaio 2013

Cambiamento Climatico: le misure standard non funzionano

Da “Our Finite World”. Traduzione di Massimiliano Rupalti



di Gail Tverberg



I leader mondiali sembrano avere idee chiare riguardo a come sistemare i problemi delle emissioni di CO2. La loro lista comprende tasse sul consumo di benzina, carbon tax più generiche, programmi di limitazione e scambio, aumento dell'efficienza delle automobili, grande concentrazione sulle rinnovabili e maggior uso di gas naturale.

Sfortunatamente, viviamo in un'economia mondiale con forniture di petrolio limitate. A causa di questo, gli approcci scelti hanno la tendenza a ritorcersi contro se alcuni paesi le adottassero ed altri no. Ma anche se tutti li adottassero, non è affatto chiaro se questo porteranno i benefici promessi.

Figura 1. Emissioni di anidride carbonica reali da combustibili fossili, come mostrato nella Revisione Statistica dell'Energia Mondiale della BP del 2012. Le linee misurate sono le tendenze delle emissioni attese, basate sulle tendenze reali delle emissioni dal 1987 al 1997, pari a circa l'1% all'anno.

Il Protocollo di Kyoto è stato adottato nel 1997. Se le emissioni fossero aumentate al tasso medio al quale lo hanno fatto nel periodo 1987-1997 (circa l'1% all'anno), le emissioni nel 2011 sarebbero state del 18% più basse di quanto siano realmente state. Mentre c'erano molte altre cose in corso allo stesso tempo, il più alto aumento nelle emissioni in anni recenti non è un segno incoraggiante. Le misure standard non funzionano per diverse ragioni:

1. In un mondo dalle forniture di petrolio limitate, se pochi paesi riducono il loro consumo, l'impatto più grande è quello di lasciare più petrolio per i paesi che non lo fanno. Il prezzo del petrolio potrebbe diminuire leggermente ma, su scala mondiale, verrebbe estratta praticamente la stessa quantità di petrolio e verrebbe consumato praticamente tutto. 

2. A meno che non ci sia una alta tassa sui prodotti d'importazione fatti con combustibili fossili, il grande impatto di una carbon tax sarebbe di spedire la produzione in paesi che non hanno la carbon tax, come Cina e India. Questi paesi è probabile che usino una proporzione di gran lunga maggiore di carbone nelle loro produzione di quanto farebbero i pesi OCSE e questo cambiamento tenderà a aumentare le emissioni mondiali di CO2. Tale cambiamento tenderà anche ad aumentare lo standard di vita dei cittadini in quei paesi, aggiungendo ulteriori emissioni di produzione. Questo cambiamento tenderà anche a ridurre il numero di posti di lavoro disponibili nei paesi OCSE.

3. Il solo momento in cui l'aumento nell'uso di gas naturale ha ridurrà effettivamente le emissioni di anidride carbonica sarebbe se e quando rimpiazzasse il consumo di carbone. Altrimenti si aggiunge alle emissioni di carbonio, ma ad un tasso inferiore degli altri combustibili fossili, relativamente all'energia fornita.

4. I sostituti del petrolio, compresi i combustibili rinnovabili, sono modi per aumentare il consumo di carbone e gas naturale oltre a quello che sarebbe in assenza di combustibili rinnovabili, perché agiscono come aggiunte alla fornitura mondiale di petrolio , piuttosto che come reali sostituti del petrolio. Anche nei casi dove siano teoricamente più efficienti, tendono ancora ad aumentare le emissioni di carbonio in termini assoluti, aumentando la produzione di carbone e gas naturale necessari a produrli.

5. Anche usare più biomassa come combustibile non sembra essere una soluzione. Un recente lavoro di noti scienziati suggerisce che aumentare l'uso di biomasse corre il rischio di spingere il mondo oltre un punto di non ritorno climatico. 
E' una vera sfortuna che le misure standard funzionino in questo modo, perché molte delle misure proposte hanno lati positivi. Per esempio, se la fornitura di petrolio è limitata, il petrolio disponibile può essere suddiviso in modo molto più equo se la gente guidasse veicoli piccoli ed efficienti. Il bilancio di una nazione che importa petrolio è migliore se i cittadini della nazione conservano il petrolio. Ma stiamo prendendo in giro noi stessi se pensiamo che queste misure faranno realmente molto per risolvere il problema delle emissioni mondiali di CO2. 

Se vogliamo realmente ridurre le emissioni mondiali di CO2, abbiamo bisogno di occuparci della riduzione della popolazione mondiale, di ridurre il commercio mondiale e di rilocalizzare i beni ed i servizi più “essenziali”. E' incerto il fatto che molti paesi useranno volontariamente questo approccio, tuttavia. E' probabile che alla fine sarà la Natura a fornire la propria soluzione, probabilmente operando sotto forma di alti prezzi del petrolio e di debolezze del sistema finanziario mondiale.

Offerta elastica vs. offerta inelastica

Mi pare che siano state prese molte decisioni sbagliate a causa del fatto che molti economisti hanno tralasciato il fatto che l'offerta di petrolio greggio tende ad essere molto inelastica, mentre gli altri combustibili lo sono abbastanza. Lasciate che vi spieghi. L'offerta elastica è la condizione abituale di gran parte dei beni. Un sacco di prodotto è disponibile, se il prezzo è abbastanza alto. Se invece c'è una carenza, i prezzi salgono e in non molto tempo il mercato è di nuovo ben fornito. Se l'offerta è elastica, se voi o io ne usiamo meno, alla fine viene prodotto meno prodotto. Il carbone ed il gas naturale vengono normalmente considerati essere elastici nella loro offerta. In qualche misura, sono prodotti ancora “estratti quando ti servono”. L'offerta di liquidi del gas naturale (spesso raggruppati con petrolio greggio, ma che si comporta più come il gas, quindi è meno adatto come combustibile da trasporto) è a sua volta abbastanza elastico. Il petrolio greggio è uno dei prodotti che scarseggia proprio, su scala mondiale. La sua offerta non sembra aumentare oltre una piccola percentuale, non importa quanto cresca il prezzo. Questa è una situazione di offerta inelastica.

Figura 2. Produzione mondiale di petrolio greggio (compreso il condensato) basata principalmente su dati della EIA degli Stati Uniti, con linee di tendenza misurate dall'autrice.

Anche se i prezzi del petrolio sono stati molto alti dal 2005 (mostrati nella figura 3, sotto), la quantità di petrolio greggio è aumentata solo dello 0,1% all'anno (Figura 2, sopra).

Figura 3. Media storica annuale dei prezzi del petrolio, (“Brent” o equivalente) in dollari del 2011, dalla Revisione Statistica dell'Energia Mondiale della BP.

Nel caso del petrolio, sia l'offerta sia la domanda sono molto inelastiche. Non importa quanto sia alto il prezzo, la domanda di petrolio non diminuisce di molto. Analogamente, non importa quanto sia alto il prezzo del petrolio, l'offerta mondiale non aumenta molto. 1

In una situazione di offerta inelastica, le azioni normali che si potrebbero intraprendere sembrano funzionare se viste su base locale, ma si rivolta contro su base mondiale, se non partecipano tutti. Quando un paese tenta di conservare il petrolio greggio (o con una carbon tax, o con una tassa sulla benzina o con requisiti di consumo migliori per le automobili), potrebbe ridurre il proprio consumo, ma ci sono ancora un sacco di altri compratori sul mercato per il petrolio risparmiato. Quindi il petrolio viene usato da qualcun altro, forse ad un prezzo leggermente inferiore. La produzione mondiale di petrolio rimane virtualmente immutata. Così, una riduzione di uso del petrolio in un paese dell'OCSE si può trasformare in un maggior consumo di petrolio da parte di Cina e India e in definitiva più sviluppo di tutti i tipi da parte di quei paesi. 

Aggiungere sostituti si aggiunge alle emissioni di carbonio

Se non abbiamo abbastanza petrolio greggio, un approccio è quello di creare sostituti. Siccome l'offerta di petrolio è inelastica, comunque, questi sostituti non sono dei veri sostituti, comunque. Sono “aggiunte” all'offerta mondiale di petrolio e questa è una fonte del nostro problema con le emissioni mondiali in aumento. 

Cosa usiamo come sostituti? Fondamentalmente gas naturale, carbone e in una certa misura petrolio (perché non possiamo evitare di usare petrolio). Il fatto è che per fare i sostituti, abbiamo bisogno di bruciare gas naturale e carbone più rapidamente di quanto faremmo se non facessimo i sostituti del petrolio. Siccome l'offerta di carbone e gas naturale è elastica, è possibile estrarli più rapidamente. Così, fare i sostituti tende ad aumentare le emissioni di anidride carbonica oltre a quanto sarebbero state  se non ci fosse venuta in mente l'idea dei sostituti. 

L'aumento dell'uso di carbone e gas naturale è molto chiaro se si pensa ai liquidi da carbone o da gas. Qui, abbiamo prima bisogno di costruire gli impianti usati per la produzione e poi con ogni barile di sostituto fatto dobbiamo usare più gas naturale o carbone. Quindi è molto chiaro che stiamo estraendo molto carbone e gas naturale aggiuntivi  per fare una quantità relativamente più piccola di sostituto del petrolio. Spesso c'è anche un bisogno consistente di acqua per far funzionare il processo, aggiungendo altro stress al sistema. Ma lo stesso problema emerge coi biocombustibili e con altre rinnovabili. Anche questi sono aggiunte all'offerta mondiale di petrolio, non sostituti. Mentre in teoria questi potrebbero produrre energia con meno CO2 per unità rispetto ai sistemi a combustibili fossili, in termini assoluti essi portano a tirare fuori gas naturale e carbone dal sottosuolo più rapidamente per essere usati per fare fertilizzanti, elettricità, cemento e altra energia in ingresso alle rinnovabili. 2 

Carbon tax e competitività

Ogni paese compete con gli altri nel mercato mondiale. Aggiungere una carbon tax rende i prodotti fatti da un'azienda locale meno competitivi nel mercato mondiale. Ciò segnala anche ai potenziali utilizzatori di carbone che i paesi che adottano le carbon tax sono disposti a lasciare una quota maggiore delle esportazioni mondiali di carbone a coloro che non  adottano le carbon tax, contribuendo così a mantenere bassi i costi del carbone importato. I paesi asiatici hanno già margine competitivo sui paesi OCSE in termini di salari e costi del carburante inferiori (a causa della loro miscela di carbone pesante), quando si tratta di produzione. Aggiungere una carbon tax tende a sommarsi al margine competitivo asiatico. Ciò tende a spostare la produzione all'estero e con essa i posti di lavoro. 

Figura 4. Consumo energetico cinese per fonti, basato su dati della Revisione Statistica dell'Energia Mondiale della BP.

La Cina si è unita al World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio) nel 2001. La Figura 4 mostra che il suo consumo di carburante è salito rapidamente da allora. Sembra probabile che in numero di posti di lavoro nella produzione e le spese in infrastrutture cinesi siano aumentate in modo analogo. Gli economisti sembrano aver dimenticato il grave deterioramento nel mondo delle emissioni di CO2 negli ultimi anni guardando principalmente alle indicazioni dei singoli paesi, comprese le emissioni di CO2 per unità di PIL. Sfortunatamente, questa visione ristretta non vede il quadro completo, cioè che le emissioni complessive di CO2 stanno aumentando, e che le emissioni di CO2 relative al PIL mondiale hanno smesso di diminuire (vedete i miei post E' davvero possibile disaccoppiare la crescita del PIL dalla crescita energetica? e Pensieri su come l'uso di energia e le emissioni di CO2 stanno crescendo rapidamente quanto il PIL (vedete anche la Figura 1 all'inizio del post).

Il collegamento con l'impiego

Ho mostrato che negli Stati Uniti c'è uno stretto collegamento fra consumo di energia e numero di posti di lavoro (per maggiori informazioni, compreso uno sguardo a periodi passati, vedete il mio post Lo stretto legame fra consumo di energia, impiego e recessione).

Figura 5. Impiego è il numero totale di persone che lavorano in lavori non agricoli come riportato dal  Census Bureau degli Stati Uniti. Il consumo di energia è la quantità totale di energia di tutti i tipi consumata (petrolio, carbone, gas naturale, nucleare, eolico, ecc.)  in British Thermal Units (Btu), come riportato dalla statunitense EIA.

Ci sono diverse ragioni per le quali c'è da aspettarsi una connessione fra consumo di energia e numero di posti di lavoro:

(1) Il lavoro in sé, quasi in ogni situazione, richiede energia, anche se è solo elettricità per alimentare i computer a combustibile per scaldare gli edifici.

(2) Ugualmente importante, i salari che gli impiegati guadagnano permettono loro di comprare beni che richiedono uso di energia, come una macchina o una casa (la “domanda di energia” è ciò che la gente si può permettere; i posti di lavoro favoriscono la crescita della “domanda”).

(3) C'è da aspettarsi che le persone con salari più bassi spendano la gran parte di essi in servizi collegati all'energia (come cibo e benzina per il pendolarismo). Quelle ricche spendono i loro soldi in beni e servizi costosi, come servizi di pianificazione finanziaria e vestiti alla moda che richiedono molta meno energia per dollaro di spesa.

La cosa che trovo preoccupante è la stretta correlazione temporale fra l'ascesa dell'uso di carbone in Asia, e quindi i posti di lavoro che utilizzano carbone, e la diminuzione dell'impiego negli Stati uniti come percentuale della sua popolazione, come illustrato nella Figura 6 sotto. Probabilmente, l'ascesa del commercio mondiale è altrettanto importante, ma alcuni aspetti dei programmi intesi a risparmiare CO2 sembrano a loro volta incoraggiare il commercio mondiale. 

Figura 6. Numero di impiegati/Popolazione negli Stati Uniti, laddove il Numero di Impiegati è il totale dei Lavoratori non agricoli secondo le attuali Statistiche dell'Impiego dell'Ufficio del Lavoro, Statistiche e Popolazione sulla Popolazione Residente negli Stati Uniti secondo il Censimento Americano. Il 2012 ha una stima di una sola parte dell'anno.

Naturalmente , gli Stati Uniti non hanno firmato il Protocollo di Kyoto o promulgato una carbon tax e quelli che mostro sono i suoi posti di lavoro, che crollano come percentuale della popolazione. Sembra più che le soluzioni per la CO2 agiscano come un ulteriore modo per incoraggiare il commercio internazionale e con esso più “crescita” e più CO2.

Nemmeno usare più biomasse è una soluzione

Bruciare più legno come combustibile e creare biocombustibili di “seconda generazione” dalla biomassa sembra una soluzione, finché non ci si rende conto che stiamo raggiungendo i limiti anche lì. Nel giugno del 2012, 20 noti scienziati hanno pubblicato uno studio dal titolo Ci stiamo avvicinando ad un cambiamento di stato della Biosfera terrestre. Questo rapporto indica che gli esseri umani hanno già convertito il 43% della superficie terrestre ad uso urbano o agricolo. In totale, dal 20 al 40% della produttività primaria della Terra è stata rilevata degli esseri umani. Gli autori sono preoccupati del fatto che potremmo aver raggiunto un punto di non ritorno che ci conduce ad un cambiamento di stato, a causa della perdita di servizi ecosistemici come mentre aumenta l'uso di materiali biologici. Con questo cambiamento di stato arriverebbe un cambiamento nel clima. Le simulazioni indicano che questo punto di non ritorno potrebbe avvenire anche solo con il 50% dell'uso di superficie terrestre. Questo punto di non ritorno potrebbe essere anche ad un livello percentuale più basso se hanno luogo sinergie a livello mondiale.

Sulla nostra strada attuale – Mancanza di buone soluzioni

La lista di problemi in relazione alle attuali soluzioni proposte non è completa, fa comunque un accenno ai problemi con la riduzione delle emissioni di CO2 usando gli approcci suggeriti finora. Ci sono molti problemi che non ho toccato. Un problema da notare è il fatto che il costo dell'integrazione di rinnovabili intermittenti (come eolico e solare FV) è aumentato rapidamente aggiungendone sempre di più in rete. Ciò accade perché c'è più necessità di trasportare l'elettricità per lunghe distanze e di mitigare la sua variabilità attraverso l'immagazzinamento di energia o il bilanciamento attraverso combustibili fossili (vedete, per esempio,I progetti a bassa emissione di carbonio necessitano un nuovo modello di trasmissione e distribuzione, L'instabilità della rete ha generato un rimescolamento nell'industria per le soluzioni,e L'esplosione dell'energia solare alle Hawaii).

Mentre i problemi indicati in questi articoli sono probabilmente risolvibili, i costi di queste soluzioni non sono stati esaminati nelle analisi di bilancio energetico. I bilanci energetici (o stime dell'EROEI) per come vengono attualmente riportati non variano con la percentuale di rinnovabili intermittenti aggiunte alla rete. Se le analisi del bilancio energetico fossero adattate per riflettere gli alti costi dell'aggiungere una percentuale crescente di eolico o fotovoltaico alla rete, mostrerebbero probabilmente un rapido declino del bilancio energetico, sopra una certa soglia. Questo indicherebbe che mentre aggiungere un po' di rinnovabili intermittenti (come fatto finora) può essere una parziale soluzione, aggiungerne molte è probabile che abbia seri problemi di costi e di bilancio energetico.

Un altro problema col quale è difficile da affrontare è il fatto che non abbiamo a che fare con un problema temporaneo con le emissioni di CO2. L'idea non è quella di rallentare nel bruciare combustibili fossili e di bruciarne di più in seguito. Quello che abbiamo davvero bisogno di fare è di lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo per tutto il tempo. Questo è un problema, perché non c'è modo di imporre il nostro volere a persone che vivranno fra 10 o 50 anni, Il Principio di Potenza Massima di H. T. Odum sembrerebbe indicare che qualsiasi specie farà uso di qualsiasi fonte energetica sia a sua disposizione e nella misura in cui può. Anche se sconfiggessimo temporaneamente questa tendenza riguardo all'uso dei combustibili fossili da parte dell'essere umano, non vedo alcun modo di sconfiggere questa tendenza sul lungo termine. Considerati tutti questi problemi, non sembra che gran parte delle soluzioni “standard” funzioneranno realmente. 3 Quali altre opzioni abbiamo?

Soluzioni della Natura. 

La Terra ha sempre avuto a che fare col problema del cambiamento delle condizioni per oltre 4 miliardi di anni. La Terra è un sistema finito. La natura fa in modo che i sistemi finiti, come la Terra, passino ciclicamente a nuovi equilibri di stato nel tempo, man mano che cambiano le condizioni. Mentre a noi piacerebbe sconfiggere questa tendenza della Terra a questo proposito, non è del tutto chiaro se possiamo farlo. Il cambiamento nel clima è probabile che sia parte di questo passaggio ciclico a nuovi stati.

Un cambiamento di stato è motivo di preoccupazione per gli esseri umani, ma non necessariamente per la Terra in  sé. La Terra è passata da stato a stato molte volte durante la sua esistenza e continuerà a farlo in futuro. I cambiamenti riporteranno la Terra ad un nuovo equilibrio. Per esempio, se i livelli di CO2 sono alti, è probabile che diventino dominanti le che specie possono fare uso di livelli di CO2 più alti (come le piante), piuttosto che gli esseri umani. 

Come possano avvenire esattamente questi cambiamenti di stato è oggetto di diversi punti di vista. Uno è che il cambiamento dei livelli di CO2 sia un fattore primario. L'articolo di Nature cui ho fatto riferimento prima suggerisce l'aumentato disturbo degli ecosistemi naturali (come un più ampio uso di biomasse) possa forzare un cambiamento di stato. Personalmente credo che un collasso finanziario collegato ad alti prezzi del petrolio potrebbe essere parte dell'approccio della Natura nel muoversi verso un nuovo stato. Potrebbe portare ad una riduzione del commercio mondiale, un ridimensionamento delle emissioni di CO2 ed una contrazione generale dei sistemi umani. [4] Tuttavia il cambiamento che ha luogo potrebbe essere improvviso. Non piacerà a molte persone, visto che molti non saranno preparati ad esso.
Passi che potrebbero funzionare per rallentare l'emissione di CO2

Sarebbe utile se potessimo rallentare le emissioni di CO2 lavorando per produrre energia con meno CO2. Questa opzione non sembra funzionare bene comunque, quindi direi che abbiamo bisognao di lavorare in un'altra direzione: riducendo il bisogno umano di energia esterna. Per fare questo, suggerirei due grandi passi:

(1) Riduzione della popolazione mondiale, attraverso politiche di un figlio a coppia ed accesso universale a servizi di pianificazione famigliare. Questo passo è necessario perché l'aumento di popolazione si va ad aggiungere alla domanda. Se dobbiamo ridurre la domanda, diminuire la popolazione deve giocare un ruolo.

(2) Spostare la nostra enfasi nel produrre localmente beni essenziali, piuttosto che esternalizzarli in parti del mondo che usano probabilmente carbone per produrli (senza contare i trasporti, ndt.). Consiglierei di partire da cibo, acqua, vestiario e dalla filiera necessaria per produrre questi articoli. 

Spostare la nostra enfasi nel produrre localmente beni essenziali avrà benefici multipli. (a) aggiungerà posti di lavoro locali e (b) porterà ad una minore crescita nel mondo nell'uso di carbone, (c) risparmierà nei combustibili per il trasporto e (d) aggiungerà protezione all'impatto negativo del declino dell'offerta mondiale di petrolio, se questo dovesse avvenire in un futuro non troppo lontano. Questo aiuterebbe anche a ridurre le emissioni di CO2. I costi dei beni sarebbero probabilmente maggiori usando questo approccio, portando così meno “cose” per persona, ma anche questo è parte del raggiungimento della riduzione di emissioni di CO2. 

E' difficile vedere come i passi sottolineati sopra sarebbero accettabili ai leader mondiali o alla maggioranza della popolazione mondiale. Così, ho paura che finiremo per ricadere nel piano della Natura discusso sopra. 

Note:

[1] Michael Kumhof e Dirk Muir hanno recentemente preparato un modello della domanda e offerta del petrolio (saggio del FMI: Petrolio ed Economia Mondiale: Alcuni Futuri Possibili). Al suo interno, essi assumono un'elasticità del prezzo del petrolio sul lungo periodo di 0,03 e ribadiscono che un saggio di Benes ed altri  indica una gamma da 0,005 a 0,02 per questa variabile. L'elasticità del prezzo a lungo termine della domanda di petrolio si assume sia di 0,08 nell'analisi di  Kumhof eMuir.

[2] Direi che le misurazioni standard dell'EROEI sono definite in modo troppo restrittivo per dare una vera misura della quantità di energia usata nel fare un particolare sostituto. Per esempio, le misure dell'EROEI non considerano i costi energetici associati al lavoro (anche se i lavoratori spendono i loro salari in vestiario e costi per il pendolarismo e moli altri beni e servizi che utilizzano combustibili fossili), o coi costi di finanziamento o con gli impatti indiretti come l'usura delle strade nel trasportare mais per il biocombustibile. Altri tipi di analisi hanno dei modi per fa fronte a questa mancanza. Per esempio, quando il numero dei posti di lavoro che un nuovo datore di lavoro si può aspettare di aggiungere ad una comunità viene valutato, l'approccio usuale sembra essere di prendere il numero di posti di lavoro che possono essere direttamente contati e moltiplicati per tre, per stimare l'impatto pieno. Io direi che con i sostituti, un qualche adattamento simile è necessario. Questo adattamento agirebbe per aumentare l'uso di energia associato alle rinnovabili e ridurre l'EROEI. Per esempio, l'aggiustamento potrebbe dividere direttamente l'EROEI calcolato per 3. Un calcolo del reale beneficio netto delle rinnovabili necessita anche di riconoscere che quasi l'intero costo energetico viene pagato in anticipo e solo nel tempo viene recuperato in produzione di energia. Quando la produzione rinnovabile cresce rapidamente, la società tende a in una posizione di deficit a lungo termine. Tipicamente, è solo quando la crescita rallenta che la società raggiunge una posizione energetica netta positiva. 
[3] Ovviamente non ho trattato tutte le potenziali soluzioni. A volte si parla di nucleare, come del solare spaziale. Ci sono nuove soluzioni che vengono proposte regolarmente. Anche se se queste soluzioni funzionassero, farle decollare richiederebbe tempo e l'uso di combustibili fossili, quindi è saggio considerare anche altre opzioni.
[4] Il modo in cui il petrolio limitato può interferire col commercio mondiale è questo: gli alti prezzi del petrolio causano il taglio dei beni voluttuari da parte dei consumatori. Questo porta a licenziamenti nei settori voluttuari dell'economia, come i viaggi per le vacanze. Esso porta anche ad effetti secondari, come default del debito e abbassamento dei prezzi degli immobili. Gli effetti finanziari si “concentrano” verso i governi delle nazioni che importano petrolio, perché incamerano meno introiti dalle tasse da parte dei lavoratori licenziati nello stesso momento in cui essi pagano di più per gli ammortizzatori sociali, gli incentivi ed i salvataggi bancari (a questo punto ci siamo già). Alla fine, i paesi scopriranno che il deficit di spesa sta sfuggendo di mano. Se i paesi aumentano le tasse e tagliano gli aiuti, questo è probabile che porti a più licenziamenti e fallimenti. Una possibile conseguenza è che i cittadini diventeranno sempre meno contenti e rimpiazzeranno i governi con nuovi governi che ripudieranno il vecchio debito. I nuovi governi potrebbero avere difficoltà a stabilire relazioni finanziarie con altri governi, visto che la gran parte sono grandi insolventi. Problemi del genere potrebbero ridurre il commercio mondiale in modo sostanziale. Dalla caduta del commercio internazionale ne deriverebbe un capacità molto più limitata di mantenere i nostri attuali sistemi, come l'elettricità ed i trasporti a lunga distanza. 














lunedì 7 gennaio 2013

Il petrolio russo e il futuro della chimica catalitica

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti.

Eccomi in Siberia con la Prof.ssa Irina Kurzina (a destra nella foto) e la Dott.ssa Tamara Kharlamova (al centro) del dipartimento di Chimica dell'Università di Tomsk. La Prof.ssa Kurzina ha organizzato a Tomsk una conferenza intitolata “Catalisi: dal laboratorio all'industria” ed è stata così gentile da invitarmi per fare una presentazione. Questo viaggio a Tomsk è stato interessante per varie ragioni e sono rimasto impressionato dall'entusiasmo e la dedizione dei giovani scienziati russi che ho incontrato. Ecco una versione del mio discorso all'incontro: è condensato e talvolta modificato per andare incontro ad un pubblico più vasto degli specialisti in catalisi, ma conserva la sostanza di quello che ho detto. 


Tomsk – 1 novembre 2012
di Ugo Bardi

Signore e signori, prima di tutto vorrei dirvi che è un piacere essere qui a Tomsk per discutere di catalisi eterogenea. E dico questo perché sono uno di voi, anche se non ho lavorato in questo campo per alcuni anni. Lasciate che vi mostri questa immagine:


E' stata scattata nel 1994 ed è la foto più vecchia che sono stato in grado di trovare che mi mostri in un laboratorio chimico a studiare la catalisi eterogenea (quello che vedete dietro me è un apparato per la spettroscopia di fotoelettroni). Ho studiato quel soggetto dal 1980, quando stavo facendo il post-dottorato a Berkeley. Come potete vedere, sono un po' più giovane in quell'immagine. Ero ancora più giovane nel 1980, ma meglio non farla troppo lunga su questo! Volevo solo mostrarvi da dove è partita la mia carriera da ricercatore che, attualmente, è cambiata molto. 

Oggi, mi interessa ancora molto la catalisi e la scienza delle superfici, ma sono portato ad avere una più ampia veduta del campo. Non studio più i processi specifici, ma tutto il soggetto della catalisi nella sua rilevanza economica. Sapete meglio di me che la catalisi è fortemente legata al petrolio che, insieme al gas naturale, fornisce la materia prima di base per gran parte delle reazioni catalitiche industriali. E' con le reazioni catalitiche che creiamo combustibile dal petrolio e non solo combustibili, creiamo tante cose, dalla plastica ai fertilizzanti e qualsiasi altra cosa possiate pensare in termini di chimica. 

Ora il punto è, naturalmente, che una volta che ci si rende conto di quanto sia importante il petrolio per così tante cose allora ci si chiede quanto durerà. Sono sicuro che vi sarete posti a questa domanda, almeno in modo inconscio. Di tanto in tanto mi facevo la stessa domanda quand'ero un giovane ricercatore che studiava chimica catalitica, ma devo dire che non gli davo mai molta importanza. E' stato solo col tempo che ho scoperto che non potevo più ignorare la questione e quindi ho cominciato a studiarla come se fosse un altro problema della chimica catalitica. E' questo di cui mi piacerebbe parlarvi oggi. 

Proverò a raccontarvi del petrolio in generale, ma anche del soggetto specifico del petrolio russo. Come premessa, lasciatemi dire che non sono uno specialista in petrolio russo. Ci sono persone che hanno passato la vita a studiare la produzione di petrolio russa e che sanno tutto riguardo a dove il petrolio viene prodotto, le risorse, le riserve, i pozzi, i giacimenti, gli oleodotti, le raffinerie e tutto il resto. Non posso sostenere di avere quel tipo di conoscenza, ma proverò ciononostante a raccontarvi alcune cose su questo tema che trovo interessanti e che potrebbero esservi sfuggite. 

Quindi, il mio discorso comincerà con una breve storia del petrolio, poi vi dirò qualcosa sui problemi causati dal petrolio, sul cambiamento climatico, quindi su alcune prospettive sulla produzione russa di petrolio ed infine su come la chimica catalitica può venire in soccorso di un mondo futuro in cui avremo molto meno petrolio da bruciare di quanto non abbiamo ora. Vale a dire “l'attivazione della CO2”, ma procediamo per ordine. 


1. Introduzione al petrolio



Come come chimici sapete bene che il petrolio spesso esce fuori come una stostanza appiccicosa nerastra che, così com'è, è quasi completamente inutile come combustibile. Brucia, sì, ma molto lentamente e in alcuni casi non brucia nemmeno. E' la catalisi, in particolare quello che chiamiamo “cracking catalitico” che trasforma il petrolio in combustibili. Ma anche prima del cracking industriale, la gente aveva imparato come distillare il petrolio per fare un bel fluido chiaro, chiamato “kerosene”, che poteva bruciare nelle lampade – ciò accadeva a metà del diciannovesimo secolo negli Stati Uniti. Qui vediamo una pubblicità per il kerosene in Russia. Non c'è data a questa immagine, ma dallo stile potrebbe essere del tardo diciannovesimo secolo. 



Forse non sapete che per qualche tempo la Russia ha importato kerosene dagli Stati Uniti, Ci suona strano perché sappiamo che la Russia ha vaste risorse petrolifere e probabilmente saprete che i giacimenti petroliferi del Caucaso venivano già sfruttati nel diciottesimo secolo. Ma la tecnologia per trasformare il petrolio greggio in combustibile per lampade impiegò un certo tempo per essere sviluppata qui, quindi per un breve periodo la Russia ha dovuto appoggiarsi agli Stati Uniti per il kerosene. Forse non sapete neanche che Dmitry Mendeleev –  famoso per la tavola periodica – è stato in Pennsylvania per studiare i metodi americani per elaborare il petrolio greggio. Ecco la sua pubblicazione, datata 1877. 


Naturalmente, i chimici russi hanno imparato rapidamente come fare kerosene e in seguito come elaborare il petrolio usando metodi moderni. Oggi, l'industria del petrolio russo probabilmente è la più grande del mondo, ma a che punto si trova la Russia in termini di prospettive? Per rispondere a questa domanda dobbiamo esaminare la produzione di petrolio in generale. 

2. Modelli di produzione del petrolio

Come dicevo, la Russia ha iniziato un po' più lentamente dell'America col petrolio ma, col tempo, la produzione russa è cresciuta rapidamente fino a superare quella Americana negli anni 70. Vediamo un confronto fra Stati Uniti e Russia (in realtà l'ex Unione Sivietica) in termini di produzione petrolifera. Questa è un'immagine fatta nel 1997 dall'esperto di petrolio francese Jean Laherrere (Link).


Questo è un gruppo di dati piuttosto vecchio, molte cose sono cambiate dal 1997. Ma volevo mostrarvi quest'immagine specifica per evidenziare come apparivano le cose durante il collasso dell'Unione Sovietica.

Vedete come la produzione sovietica ha cominciato a crescere rapidamente più tardi che negli Stati Uniti, ma questa alla fine ha superato la produzione americana negli anni 70 (il grafico non mostra la produzione dell'Alaska, ma il cambiamento non è grande). Notate come entrambe le curve mostrino lo stesso schema: prima crescono esponenzialmente, poi raggiungono il picco e declinano. C'è una differenza, comunque: il consumo degli Stati Uniti ha continuato a crescere con le importazioni dal Medio Oriente e da altre regioni. Invece, l'Unione Sovietica era relativamente isolata come sistema economico ed il consumo è declinato insieme alla produzione. Questa era una caratteristica del collasso dell'Unione Sovietica. 

Vi potrebbe interessare sapere che ci sono due scuole di pensiero su cosa ha causato il declino della produzione di petrolio nell'Unione Sovietica. Una dice che la produzione di petrolio è collassata a causa del collasso del sistema politico, l'altro che il sistema politico sovietico è collassato a causa del collasso della produzione di petrolio. La mia opinione è che non si può pensare di rispondere a questa domanda con un “o questo o quello”. La risposta giusta è “entrambe”. Serve un sistema economico e politico funzionante per produrre petrolio e serve il petrolio come fonte di energia per mantenere un sistema politico ed economico in funzione. Quindi, alla fine, il declino di entrambe le cose è arrivato insieme. Ma perché esattamente?

Come abbiamo visto, sembra esserci uno schema simile nei due casi, USA e URSS. Il primo a notare questo schema è stato un geologo americano, Marion King Hubbert. Nel 1956, Hubbert ha previsto quale sarebbe stata la forma della curva di produzione del petrolio negli Stati Uniti. Questo grafico è piuttosto famoso:


Hubbert ha visto questo modello come empirico, ma ogni qualvolta si abbia uno schema, una regolarità in un fenomeno, allora devono esserci delle ragioni profonde perché questo avvenga. Vale a dire, il fatto che due sistemi economici e politico molto diversi come USA e URSS mostrassero lo stesso schema ci dice che qualcosa alla base dell'economia crea questo schema. Cioè, non erano le scelte politiche del governo americano o di quello sovietico che generavano quello schema. E' un fenomeno generale di qualche tipo che appare ovunque ci sia una grande regione produttiva. 

Lasciate che vi faccia un altro esempio di questo schema. Lasciate che vi mostri alcuni dati sul campo petrolifero di Samotlor, nella Siberia dell'ovest. Non è molto lontano da dove ci troviamo qui a Tomsk. Bene, “non molto lontano” dev'essere preso in termini relativi. Qualcosa meno di 1000 chilometri comunque che, immagino, non sia così tanto per gli standard russi. 


Samotlor è un “supergigante”, uno dei più grandi giacimenti del mondo. Vedete come la reazione chimica si sia innescata, raggiungendo un livello di produzione massima di più di un miliardo di barili di petrolio all'anno. E' un valore enorme. A quel tempo Samotlor, da solo, produceva una percentuale significativa della produzione mondiale di petrolio. Ma poi, la reazione si è placata per mancanza di reagenti.

Il caso di Samotlor è interessante anche perché illustra come un un campo maturo possa essere rivitalizzato, almeno in parte. Nei tardi anni 90, le due compagnie che gestivano il giacimento, TNK e BP, hanno deciso di investire su Samotlor per ravvivare la produzione. Ciò significava “spremere” più petrolio dal vecchio giacimento con vari metodi; può essere fatto ed ha funzionato perché il declino è stato arrestato. Ma è stato impossibile riportare il giacimento ai livelli del suo apogeo. La produzione è rimasta pressoché costante fino ad ora, ma non c'è dubbio che declinerà ancora. Così, vedete, ci sono fattori molto forti che portano la curva ad assumere la forma "a campana" ed il fatto che la gente non voglia che la produzione declini non significa che il declino si possa fermare. Non facilmente, perlomeno. 

Quindi, cos'è che crea questo schema? Be', c'è una teoria che lo spiega, ma non posso entrare nei dettagli qui. Lasciatemi solo dire che l'economia deve, alla fine, obbedire alle leggi fisiche e le leggi fisiche dicono che serve energia per estrarre petrolio. Meno petrolio rimane, più energia serve per estrarlo. Questo si traduce in costi maggiori e, alla fine, nessuno estrae petrolio in perdita. Quindi, il petrolio viene estratto rapidamente quando è facile estrarlo, ma col tempo la produzione tende a declinare. Queste considerazioni possono essere messe in forma matematica ed il risultato è la “curva a campana” che avete visto. 

In un certo senso, l'estrazione di petrolio è una grande reazione chimica, dove il petrolio e l'ossigeno sono i reagenti e gli esseri umani sono il catalizzatore. E' impressionante che questi modelli funzionino così bene in certi casi storici – non tutti i casi, naturalmente: l'economia mondiale è un sistema complicato. Ma il fatto che sia un sistema complicato non significa che non debba obbedire alle leggi della fisica. Quando non ci sono più reagenti, la reazione deve finire. 

3. Petrolio: situazione attuale

Fin qui, abbiamo parlato del cosiddetto “modello di Hubbert”. E' un modello interessante, ma dovete ricordare che i modelli sono sempre approssimazioni della realtà. Questo è valido in chimica proprio come nella produzione di petrolio. Quindi, andiamo a vedere alcuni dati sul mondo reale, qui, per esempio questo (preso da wikipedia): 


Vedete che c'è una certa tendenza per l “reazione” della produzione a seguire il modello di Hubbert, cioè ad esplodere per poi placarsi. Ma la realtà è più complessa e c'è sempre la possibilità di far ripartire la crescita dopo un lungo periodo di declino. Potremmo dire che i reagenti non siano ben mescolati e quindi la reazione procede in modo irregolare. Vedete che la produzione nei paesi della ex Unione Sovietica hanno preso di nuovo velocità dopo aver raggiunto un minimo intorno al 1998 ed ora ha raggiunto livelli non lontani da quelli del picco al tempo dell'Unione Sovietica. Questo perché il sistema non è così semplice come i modelli vorrebbero che fosse e reagisce, fra le altre cose, ai prezzi, agli eventi politici, alle guerre, alle crisi e cose del genere. 

Quindi, cosa possiamo aspettarci per il futuro? Be', lasciate che vi mostri alcuni dati recenti sulla produzione di petrolio russa.



Vedete che la crescita di produzione è andata rallentando durante gli ultimi anni. Oggi non sembra essere in grado di crescere ulteriormente. In questo rispecchia le tendenze generali globali: la produzione di petrolio mondiale è piatta o cresce molto lentamente. Quindi cosa sta succedendo? Be', non è certo per mancanza di sforzi; cioè, il rallentamento della crescita non è un effetto pianificato. Dai dati che ho, è chiaro che l'industria russa del petrolio sta facendo uno sforzo tremendo per mantenere la produzione ai livelli attuali. Stanno investendo un sacco di soldi e di risorse alla ricerca di nuove aree, nuovi giacimenti, usando nuove tecnologie per ottenere più petrolio da vecchi giacimenti. Il problema è che molti giacimenti di petrolio, specialmente nella Siberia dell'ovest, sono “maturi” e rallentano – come possiamo vedere nel caso di Samotlor. C'è ancora tanto petrolio da estrarre nella Repubblica Russa, ma ci vuole uno sforzo sempre maggiore per farlo. 

Quindi, cosa accadrà? Di sicuro non vedremo un declino della produzione finché l'industria può mantenere lo sforzo di sviluppare le riserve disponibili. E questo dipende da diversi fattori, compresa la situazione finanziaria internazionale. Direi che, a breve termine, non dobbiamo preoccuparci del declino della produzione russa; forse nemmeno nel medio termine. Ma alla fine, come ho detto, la reazione deve esaurire i reagenti. Se questo avverrà sotto forma di un collasso o di lento declino non posso dirlo, ma posso dire che dobbiamo prepararci per un mondo dove, a lungo termine, ci sarà meno petrolio disponibile e questo sarà più caro. Lo stesso vale per il gas naturale, anche se le riserve di gas russe sono abbondanti, secondo i dati che abbiamo. 

Notate anche che gli alti costi di estrazione non sono il solo problema. Mentre si fa uno sforzo maggiore per estrarre risorse più costose, vediamo che produciamo più CO2 relativamente alle stesse quantità di energia generata. E questo ha un impatto sul clima. Anche qui in Russia. Lasciate solo che vi mostri gli incendi nella Siberia dell'est di quest'anno – una delle conseguenze del cambiamento climatico. 


Probabilmente la Russia non sarà colpita così duramente dal riscaldamento globale come gli altri paesi, ma sarà comunque un problema. Alcune persone dicono che la Russia avrà dei benefici da un clima più caldo, ma non sono sicuro di questo, specialmente se consideriamo questi incendi estivi. Il clima è un tema complicato e che causa grandi cambiamenti dovunque. In alcuni luoghi i cambiamenti potrebbero essere per il meglio, ma non ci scommetterei per quanto riguarda la Russia. Dobbiamo quindi prepararci non solo per un mondo con meno petrolio, ma per un mondo in cui non si vuole (o non si è in grado) di usare le risorse rimanenti. 

4. Attivazione catalitica della CO2 come materia prima

Così, se mi avete seguito fino a questo punto, sono sicuro che vi sarete chiesti come sopravviveremo senza petrolio. Naturalmente, questo sarà per il futuro, abbiamo ancora riserve, ma dobbiamo avere cura di non sperperarle. In altre parole, ci dobbiamo preparare per un futuro nel quale ci sarà meno petrolio (ed anche meno gas naturale). Dove saremo in grado di trovare le risorse di cui abbiamo bisogno.

Naturalmente da chimici, tutti voi sapete da dove viene il petrolio – è stata una scoperta del chimico russo Mikahil Lomonosov del diciottesimo secolo. Sappiamo che il petrolio greggio, proprio come carbone e gas naturale, è un prodotto della fotosintesi. E' una reazione dell'acqua con la CO2 che produce molecole organiche. Questa reazione è andata avanti per milioni di anni nel nostro pianeta ed alcuni dei prodotti sono sprofondati sottoterra e si sono lentamente trasformati in quello che chiamiamo idrocarburi e carbone “fossili”. 

Ora il punto è, naturalmente, se possiamo replicare questa reazione in laboratorio. E la risposta è “sì”, naturalmente possiamo. Possiamo costruire lunghe catene di idrocarburi in laboratorio. E' una cosa ben conosciuta e la chiamiamo la reazione di “Fischer-Tropsch”. Funziona in presenza di catalizzatori basati, normalmente, su ferro e cobalto. 


Ma per alimentare questa reazione abbiamo bisogno di monossido di carbonio e H2, che normalmente sono il prodotto della reazione dell'acqua con il carbone; è la cosiddetta reazione di “water shift”. Ma questo non ci aiuta più di tanto visto che anche il carbone è un combustibile fossile, inquina, genera riscaldamento globale e non è infinito. Così, possiamo alimentare questa reazione senza ricorrere al carbone?

L'idrogeno è qualcosa che possiamo ottenere dall'elettrolisi dell'acqua. L'acqua è abbondante e scinderla non produce gas serra, almeno se usiamo energia elettrica generata da energia rinnovabile o nucleare. Ma dove prendiamo il monossido di carbonio senza usare gli idrocarburi fossili? Be', è possibile, è una cosa che si chiama “attivazione della CO2”. L'anidride carbonica è un gas stabile, quindi ci serve energia per trasformarlo in una “materia prima” che possa reagire con l'idrogeno. 

Il principale metodo per l'attivazione della CO2 è qualcosa di simile alla fotosintesi, vale a dire basato sula fotochimica. L'attivazione si ottiene con la promozione di un elettrone ad un alto stato energetico in un semiconduttore. Questo elettrone quindi reagisce con la CO2, trasformandola in un composto attivo che può reagire con l'idrogeno. Tipicamente, TiO2 è il semiconduttore usato. Qui vedete i potenziali elettrochimici che possono essere usati per ottenere la reazione ed i prodotti ottenibili. 


La reazione di attivazione fotoelettrochimica della CO2 è ancora allo stadio di ricerca, ma è un'idea promettente. Vedete che c'è un sacco di interesse su questo concetto e quest'anno c'è stata una conferenza sull'attivazione della CO2 ad Essen, in Germania.


E' un campo enormemente interessante e molto nuovo: fateci caso perché è la “prima” conferenza sull'attivazione della CO2 – non ci sono molti i soggetti in chimica che non siano stati oggetto di studi estesi e dove possiate avere la “prima” conferenza mondiale. Quindi un area davvero interessante. Sfortunatamente non ho potuto assistere a quella conferenza per diverse ragioni, ma cercherò di essere presente alla prossima edizione nel 2013. Penso che il concetto di usare la CO2 come materia prima per l'industria chimica sia la vera frontiera della catalisi eterogenea e vi invito a considerarla per il vostro lavoro futuro. 


6. Energia ed attivazione della CO2

Abbiamo quindi visto che abbiamo bisogno di cominciare a lavorare nella direzione di ottenere le sostanze chimiche che ci servono dall'attivazione della CO2. In questo momento  è una strada più costosa e più complessa che non il modo tradizionale di ottenere sostanze chimiche dagli idrocarburi fossili, ma in futuro è probabile che diventi la strada scelta. Nel lungo periodo sarà l'unica. 

Naturalmente dobbiamo avere cura di quello che facciamo. Forse avete letto in qualche saggio che alcuni stanno dichiarando di “ottenere benzina dall'aria”. Fa riferimento ad un particolare percorso della reazione che comincia con l'attivazione della CO2 e che porta ai combustibili liquidi. In un certo senso è vero, ma è anche chiaro che c'è una differenza fondamentale. Quando si fa la benzina dal petrolio si usa l'energia contenuta nel petrolio (o forse nel gas naturale) per alimentare tutto il processo. Ma quando si fa la benzina dalla CO2 bisogna fornire l'energia necessaria. La CO2 è un composto chimico molto stabile e per attivarla è necessario salire termodinamicamente, non c'è modo di evitarlo. E non possiamo usare idrocarburi fossili per ottenere quell'energia: non avrebbe senso bruciare idrocarburi per ottenere idrocarburi!

Quindi, se vogliamo sostituire il petrolio con la CO2 come materia prima, dobbiamo fare attenzione al fatto che abbiamo bisogno di energia per alimentare tutto il processo e quest'energia non può venire dai combustibili fossili, altrimenti tutta la cosa sarebbe controproducente. Impianti nucleari o energia rinnovabile, probabilmente entrambe le cose, ma è essenziale che sviluppiamo ed installiamo nuove forme di energia in futuro. 

Questo è il punto cruciale della grande sfida che affrontiamo. O riusciamo a sviluppare ed usare questi nuovi metodi, o avremo problemi molto, molto grandi. E, come avete visto, la catalisi è un fattore fondamentale di queste nuove prospettive. E' un campo affascinante su cui lavorare. Lo è sempre stato ed ora ancora di più!

7. Conclusione

Vi ho detto all'inizio che era un piacere per me essere qua, ma ora vorrei dirvi esattamente il perché. Vedete, la prima volta che sono stato in Russia è stato nel 1993, quasi 20 anni fa. Era il periodo del collasso dell'Unione Sovietica. Molti di voi erano troppo giovani per ricordare quei tempi, ma sono sicuro che capite di cosa sto parlando. Quelli erano tempi tristi, specialmente per la ricerca scientifica: non c'erano soldi, nemmeno per gli stipendi dei ricercatori. Si aveva la sensazione che così tanto lavoro andasse perduto: competenza, cultura, storia, tutto stava scomparendo. Ma oggi, visitando l'Università di Tomsk e vedendo così tanti di voi così entusiasti, così coinvolti e che lavorate così bene, posso dirvi che è un grande piacere per me. Davvero, è qualcosa che non dimenticherò presto. 

Quindi, dopo aver visitato la Russia molte volte durante i 20 anni passati, ho un solo rimpianto: di non aver potuto fare questa conferenza in russo: Ma posso, perlomeno, ringraziarvi per la vostra attenzione in russo: Спасибо за внимание!