di Gail Tverberg
I leader mondiali sembrano avere idee chiare riguardo a come sistemare i problemi delle emissioni di CO2. La loro lista comprende tasse sul consumo di benzina, carbon tax più generiche, programmi di limitazione e scambio, aumento dell'efficienza delle automobili, grande concentrazione sulle rinnovabili e maggior uso di gas naturale.
Sfortunatamente, viviamo in un'economia mondiale con forniture di petrolio limitate. A causa di questo, gli approcci scelti hanno la tendenza a ritorcersi contro se alcuni paesi le adottassero ed altri no. Ma anche se tutti li adottassero, non è affatto chiaro se questo porteranno i benefici promessi.
Figura 1. Emissioni di anidride carbonica reali da combustibili fossili, come mostrato nella Revisione Statistica dell'Energia Mondiale della BP del 2012. Le linee misurate sono le tendenze delle emissioni attese, basate sulle tendenze reali delle emissioni dal 1987 al 1997, pari a circa l'1% all'anno.
Il Protocollo di Kyoto è stato adottato nel 1997. Se le emissioni fossero aumentate al tasso medio al quale lo hanno fatto nel periodo 1987-1997 (circa l'1% all'anno), le emissioni nel 2011 sarebbero state del 18% più basse di quanto siano realmente state. Mentre c'erano molte altre cose in corso allo stesso tempo, il più alto aumento nelle emissioni in anni recenti non è un segno incoraggiante. Le misure standard non funzionano per diverse ragioni:
1. In un mondo dalle forniture di petrolio limitate, se pochi paesi riducono il loro consumo, l'impatto più grande è quello di lasciare più petrolio per i paesi che non lo fanno. Il prezzo del petrolio potrebbe diminuire leggermente ma, su scala mondiale, verrebbe estratta praticamente la stessa quantità di petrolio e verrebbe consumato praticamente tutto.
5. Anche usare più biomassa come combustibile non sembra essere una soluzione. Un recente lavoro di noti scienziati suggerisce che aumentare l'uso di biomasse corre il rischio di spingere il mondo oltre un punto di non ritorno climatico.
E' una vera sfortuna che le misure standard funzionino in questo modo, perché molte delle misure proposte hanno lati positivi. Per esempio, se la fornitura di petrolio è limitata, il petrolio disponibile può essere suddiviso in modo molto più equo se la gente guidasse veicoli piccoli ed efficienti. Il bilancio di una nazione che importa petrolio è migliore se i cittadini della nazione conservano il petrolio. Ma stiamo prendendo in giro noi stessi se pensiamo che queste misure faranno realmente molto per risolvere il problema delle emissioni mondiali di CO2.
Se vogliamo realmente ridurre le emissioni mondiali di CO2, abbiamo bisogno di occuparci della riduzione della popolazione mondiale, di ridurre il commercio mondiale e di rilocalizzare i beni ed i servizi più “essenziali”. E' incerto il fatto che molti paesi useranno volontariamente questo approccio, tuttavia. E' probabile che alla fine sarà la Natura a fornire la propria soluzione, probabilmente operando sotto forma di alti prezzi del petrolio e di debolezze del sistema finanziario mondiale.
Offerta elastica vs. offerta inelastica
Mi pare che siano state prese molte decisioni sbagliate a causa del fatto che molti economisti hanno tralasciato il fatto che l'offerta di petrolio greggio tende ad essere molto inelastica, mentre gli altri combustibili lo sono abbastanza. Lasciate che vi spieghi. L'offerta elastica è la condizione abituale di gran parte dei beni. Un sacco di prodotto è disponibile, se il prezzo è abbastanza alto. Se invece c'è una carenza, i prezzi salgono e in non molto tempo il mercato è di nuovo ben fornito. Se l'offerta è elastica, se voi o io ne usiamo meno, alla fine viene prodotto meno prodotto. Il carbone ed il gas naturale vengono normalmente considerati essere elastici nella loro offerta. In qualche misura, sono prodotti ancora “estratti quando ti servono”. L'offerta di liquidi del gas naturale (spesso raggruppati con petrolio greggio, ma che si comporta più come il gas, quindi è meno adatto come combustibile da trasporto) è a sua volta abbastanza elastico. Il petrolio greggio è uno dei prodotti che scarseggia proprio, su scala mondiale. La sua offerta non sembra aumentare oltre una piccola percentuale, non importa quanto cresca il prezzo. Questa è una situazione di offerta inelastica.
Figura 2. Produzione mondiale di petrolio greggio (compreso il condensato) basata principalmente su dati della EIA degli Stati Uniti, con linee di tendenza misurate dall'autrice.
Anche se i prezzi del petrolio sono stati molto alti dal 2005 (mostrati nella figura 3, sotto), la quantità di petrolio greggio è aumentata solo dello 0,1% all'anno (Figura 2, sopra).
Figura 3. Media storica annuale dei prezzi del petrolio, (“Brent” o equivalente) in dollari del 2011, dalla Revisione Statistica dell'Energia Mondiale della BP.
Nel caso del petrolio, sia l'offerta sia la domanda sono molto inelastiche. Non importa quanto sia alto il prezzo, la domanda di petrolio non diminuisce di molto. Analogamente, non importa quanto sia alto il prezzo del petrolio, l'offerta mondiale non aumenta molto. 1
In una situazione di offerta inelastica, le azioni normali che si potrebbero intraprendere sembrano funzionare se viste su base locale, ma si rivolta contro su base mondiale, se non partecipano tutti. Quando un paese tenta di conservare il petrolio greggio (o con una carbon tax, o con una tassa sulla benzina o con requisiti di consumo migliori per le automobili), potrebbe ridurre il proprio consumo, ma ci sono ancora un sacco di altri compratori sul mercato per il petrolio risparmiato. Quindi il petrolio viene usato da qualcun altro, forse ad un prezzo leggermente inferiore. La produzione mondiale di petrolio rimane virtualmente immutata. Così, una riduzione di uso del petrolio in un paese dell'OCSE si può trasformare in un maggior consumo di petrolio da parte di Cina e India e in definitiva più sviluppo di tutti i tipi da parte di quei paesi.
Aggiungere sostituti si aggiunge alle emissioni di carbonio
Se non abbiamo abbastanza petrolio greggio, un approccio è quello di creare sostituti. Siccome l'offerta di petrolio è inelastica, comunque, questi sostituti non sono dei veri sostituti, comunque. Sono “aggiunte” all'offerta mondiale di petrolio e questa è una fonte del nostro problema con le emissioni mondiali in aumento.
Cosa usiamo come sostituti? Fondamentalmente gas naturale, carbone e in una certa misura petrolio (perché non possiamo evitare di usare petrolio). Il fatto è che per fare i sostituti, abbiamo bisogno di bruciare gas naturale e carbone più rapidamente di quanto faremmo se non facessimo i sostituti del petrolio. Siccome l'offerta di carbone e gas naturale è elastica, è possibile estrarli più rapidamente. Così, fare i sostituti tende ad aumentare le emissioni di anidride carbonica oltre a quanto sarebbero state se non ci fosse venuta in mente l'idea dei sostituti.
L'aumento dell'uso di carbone e gas naturale è molto chiaro se si pensa ai liquidi da carbone o da gas. Qui, abbiamo prima bisogno di costruire gli impianti usati per la produzione e poi con ogni barile di sostituto fatto dobbiamo usare più gas naturale o carbone. Quindi è molto chiaro che stiamo estraendo molto carbone e gas naturale aggiuntivi per fare una quantità relativamente più piccola di sostituto del petrolio. Spesso c'è anche un bisogno consistente di acqua per far funzionare il processo, aggiungendo altro stress al sistema. Ma lo stesso problema emerge coi biocombustibili e con altre rinnovabili. Anche questi sono aggiunte all'offerta mondiale di petrolio, non sostituti. Mentre in teoria questi potrebbero produrre energia con meno CO2 per unità rispetto ai sistemi a combustibili fossili, in termini assoluti essi portano a tirare fuori gas naturale e carbone dal sottosuolo più rapidamente per essere usati per fare fertilizzanti, elettricità, cemento e altra energia in ingresso alle rinnovabili. 2
Carbon tax e competitività
Ogni paese compete con gli altri nel mercato mondiale. Aggiungere una carbon tax rende i prodotti fatti da un'azienda locale meno competitivi nel mercato mondiale. Ciò segnala anche ai potenziali utilizzatori di carbone che i paesi che adottano le carbon tax sono disposti a lasciare una quota maggiore delle esportazioni mondiali di carbone a coloro che non adottano le carbon tax, contribuendo così a mantenere bassi i costi del carbone importato. I paesi asiatici hanno già margine competitivo sui paesi OCSE in termini di salari e costi del carburante inferiori (a causa della loro miscela di carbone pesante), quando si tratta di produzione. Aggiungere una carbon tax tende a sommarsi al margine competitivo asiatico. Ciò tende a spostare la produzione all'estero e con essa i posti di lavoro.
Figura 4. Consumo energetico cinese per fonti, basato su dati della Revisione Statistica dell'Energia Mondiale della BP.
La Cina si è unita al World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio) nel 2001. La Figura 4 mostra che il suo consumo di carburante è salito rapidamente da allora. Sembra probabile che in numero di posti di lavoro nella produzione e le spese in infrastrutture cinesi siano aumentate in modo analogo. Gli economisti sembrano aver dimenticato il grave deterioramento nel mondo delle emissioni di CO2 negli ultimi anni guardando principalmente alle indicazioni dei singoli paesi, comprese le emissioni di CO2 per unità di PIL. Sfortunatamente, questa visione ristretta non vede il quadro completo, cioè che le emissioni complessive di CO2 stanno aumentando, e che le emissioni di CO2 relative al PIL mondiale hanno smesso di diminuire (vedete i miei post E' davvero possibile disaccoppiare la crescita del PIL dalla crescita energetica? e Pensieri su come l'uso di energia e le emissioni di CO2 stanno crescendo rapidamente quanto il PIL (vedete anche la Figura 1 all'inizio del post).
Il collegamento con l'impiego
Ho mostrato che negli Stati Uniti c'è uno stretto collegamento fra consumo di energia e numero di posti di lavoro (per maggiori informazioni, compreso uno sguardo a periodi passati, vedete il mio post Lo stretto legame fra consumo di energia, impiego e recessione).
Figura 5. Impiego è il numero totale di persone che lavorano in lavori non agricoli come riportato dal Census Bureau degli Stati Uniti. Il consumo di energia è la quantità totale di energia di tutti i tipi consumata (petrolio, carbone, gas naturale, nucleare, eolico, ecc.) in British Thermal Units (Btu), come riportato dalla statunitense EIA.
Ci sono diverse ragioni per le quali c'è da aspettarsi una connessione fra consumo di energia e numero di posti di lavoro:
(1) Il lavoro in sé, quasi in ogni situazione, richiede energia, anche se è solo elettricità per alimentare i computer a combustibile per scaldare gli edifici.
(2) Ugualmente importante, i salari che gli impiegati guadagnano permettono loro di comprare beni che richiedono uso di energia, come una macchina o una casa (la “domanda di energia” è ciò che la gente si può permettere; i posti di lavoro favoriscono la crescita della “domanda”).
(3) C'è da aspettarsi che le persone con salari più bassi spendano la gran parte di essi in servizi collegati all'energia (come cibo e benzina per il pendolarismo). Quelle ricche spendono i loro soldi in beni e servizi costosi, come servizi di pianificazione finanziaria e vestiti alla moda che richiedono molta meno energia per dollaro di spesa.
La cosa che trovo preoccupante è la stretta correlazione temporale fra l'ascesa dell'uso di carbone in Asia, e quindi i posti di lavoro che utilizzano carbone, e la diminuzione dell'impiego negli Stati uniti come percentuale della sua popolazione, come illustrato nella Figura 6 sotto. Probabilmente, l'ascesa del commercio mondiale è altrettanto importante, ma alcuni aspetti dei programmi intesi a risparmiare CO2 sembrano a loro volta incoraggiare il commercio mondiale.
Figura 6. Numero di impiegati/Popolazione negli Stati Uniti, laddove il Numero di Impiegati è il totale dei Lavoratori non agricoli secondo le attuali Statistiche dell'Impiego dell'Ufficio del Lavoro, Statistiche e Popolazione sulla Popolazione Residente negli Stati Uniti secondo il Censimento Americano. Il 2012 ha una stima di una sola parte dell'anno.
Naturalmente , gli Stati Uniti non hanno firmato il Protocollo di Kyoto o promulgato una carbon tax e quelli che mostro sono i suoi posti di lavoro, che crollano come percentuale della popolazione. Sembra più che le soluzioni per la CO2 agiscano come un ulteriore modo per incoraggiare il commercio internazionale e con esso più “crescita” e più CO2.
Nemmeno usare più biomasse è una soluzione
Bruciare più legno come combustibile e creare biocombustibili di “seconda generazione” dalla biomassa sembra una soluzione, finché non ci si rende conto che stiamo raggiungendo i limiti anche lì. Nel giugno del 2012, 20 noti scienziati hanno pubblicato uno studio dal titolo Ci stiamo avvicinando ad un cambiamento di stato della Biosfera terrestre. Questo rapporto indica che gli esseri umani hanno già convertito il 43% della superficie terrestre ad uso urbano o agricolo. In totale, dal 20 al 40% della produttività primaria della Terra è stata rilevata degli esseri umani. Gli autori sono preoccupati del fatto che potremmo aver raggiunto un punto di non ritorno che ci conduce ad un cambiamento di stato, a causa della perdita di servizi ecosistemici come mentre aumenta l'uso di materiali biologici. Con questo cambiamento di stato arriverebbe un cambiamento nel clima. Le simulazioni indicano che questo punto di non ritorno potrebbe avvenire anche solo con il 50% dell'uso di superficie terrestre. Questo punto di non ritorno potrebbe essere anche ad un livello percentuale più basso se hanno luogo sinergie a livello mondiale.
Sulla nostra strada attuale – Mancanza di buone soluzioni
La lista di problemi in relazione alle attuali soluzioni proposte non è completa, fa comunque un accenno ai problemi con la riduzione delle emissioni di CO2 usando gli approcci suggeriti finora. Ci sono molti problemi che non ho toccato. Un problema da notare è il fatto che il costo dell'integrazione di rinnovabili intermittenti (come eolico e solare FV) è aumentato rapidamente aggiungendone sempre di più in rete. Ciò accade perché c'è più necessità di trasportare l'elettricità per lunghe distanze e di mitigare la sua variabilità attraverso l'immagazzinamento di energia o il bilanciamento attraverso combustibili fossili (vedete, per esempio,I progetti a bassa emissione di carbonio necessitano un nuovo modello di trasmissione e distribuzione, L'instabilità della rete ha generato un rimescolamento nell'industria per le soluzioni,e L'esplosione dell'energia solare alle Hawaii).
Mentre i problemi indicati in questi articoli sono probabilmente risolvibili, i costi di queste soluzioni non sono stati esaminati nelle analisi di bilancio energetico. I bilanci energetici (o stime dell'EROEI) per come vengono attualmente riportati non variano con la percentuale di rinnovabili intermittenti aggiunte alla rete. Se le analisi del bilancio energetico fossero adattate per riflettere gli alti costi dell'aggiungere una percentuale crescente di eolico o fotovoltaico alla rete, mostrerebbero probabilmente un rapido declino del bilancio energetico, sopra una certa soglia. Questo indicherebbe che mentre aggiungere un po' di rinnovabili intermittenti (come fatto finora) può essere una parziale soluzione, aggiungerne molte è probabile che abbia seri problemi di costi e di bilancio energetico.
Un altro problema col quale è difficile da affrontare è il fatto che non abbiamo a che fare con un problema temporaneo con le emissioni di CO2. L'idea non è quella di rallentare nel bruciare combustibili fossili e di bruciarne di più in seguito. Quello che abbiamo davvero bisogno di fare è di lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo per tutto il tempo. Questo è un problema, perché non c'è modo di imporre il nostro volere a persone che vivranno fra 10 o 50 anni, Il Principio di Potenza Massima di H. T. Odum sembrerebbe indicare che qualsiasi specie farà uso di qualsiasi fonte energetica sia a sua disposizione e nella misura in cui può. Anche se sconfiggessimo temporaneamente questa tendenza riguardo all'uso dei combustibili fossili da parte dell'essere umano, non vedo alcun modo di sconfiggere questa tendenza sul lungo termine. Considerati tutti questi problemi, non sembra che gran parte delle soluzioni “standard” funzioneranno realmente. 3 Quali altre opzioni abbiamo?
Soluzioni della Natura.
La Terra ha sempre avuto a che fare col problema del cambiamento delle condizioni per oltre 4 miliardi di anni. La Terra è un sistema finito. La natura fa in modo che i sistemi finiti, come la Terra, passino ciclicamente a nuovi equilibri di stato nel tempo, man mano che cambiano le condizioni. Mentre a noi piacerebbe sconfiggere questa tendenza della Terra a questo proposito, non è del tutto chiaro se possiamo farlo. Il cambiamento nel clima è probabile che sia parte di questo passaggio ciclico a nuovi stati.
Un cambiamento di stato è motivo di preoccupazione per gli esseri umani, ma non necessariamente per la Terra in sé. La Terra è passata da stato a stato molte volte durante la sua esistenza e continuerà a farlo in futuro. I cambiamenti riporteranno la Terra ad un nuovo equilibrio. Per esempio, se i livelli di CO2 sono alti, è probabile che diventino dominanti le che specie possono fare uso di livelli di CO2 più alti (come le piante), piuttosto che gli esseri umani.
Come possano avvenire esattamente questi cambiamenti di stato è oggetto di diversi punti di vista. Uno è che il cambiamento dei livelli di CO2 sia un fattore primario. L'articolo di Nature cui ho fatto riferimento prima suggerisce l'aumentato disturbo degli ecosistemi naturali (come un più ampio uso di biomasse) possa forzare un cambiamento di stato. Personalmente credo che un collasso finanziario collegato ad alti prezzi del petrolio potrebbe essere parte dell'approccio della Natura nel muoversi verso un nuovo stato. Potrebbe portare ad una riduzione del commercio mondiale, un ridimensionamento delle emissioni di CO2 ed una contrazione generale dei sistemi umani. [4] Tuttavia il cambiamento che ha luogo potrebbe essere improvviso. Non piacerà a molte persone, visto che molti non saranno preparati ad esso.
Passi che potrebbero funzionare per rallentare l'emissione di CO2
Sarebbe utile se potessimo rallentare le emissioni di CO2 lavorando per produrre energia con meno CO2. Questa opzione non sembra funzionare bene comunque, quindi direi che abbiamo bisognao di lavorare in un'altra direzione: riducendo il bisogno umano di energia esterna. Per fare questo, suggerirei due grandi passi:
(1) Riduzione della popolazione mondiale, attraverso politiche di un figlio a coppia ed accesso universale a servizi di pianificazione famigliare. Questo passo è necessario perché l'aumento di popolazione si va ad aggiungere alla domanda. Se dobbiamo ridurre la domanda, diminuire la popolazione deve giocare un ruolo.
(2) Spostare la nostra enfasi nel produrre localmente beni essenziali, piuttosto che esternalizzarli in parti del mondo che usano probabilmente carbone per produrli (senza contare i trasporti, ndt.). Consiglierei di partire da cibo, acqua, vestiario e dalla filiera necessaria per produrre questi articoli.
Spostare la nostra enfasi nel produrre localmente beni essenziali avrà benefici multipli. (a) aggiungerà posti di lavoro locali e (b) porterà ad una minore crescita nel mondo nell'uso di carbone, (c) risparmierà nei combustibili per il trasporto e (d) aggiungerà protezione all'impatto negativo del declino dell'offerta mondiale di petrolio, se questo dovesse avvenire in un futuro non troppo lontano. Questo aiuterebbe anche a ridurre le emissioni di CO2. I costi dei beni sarebbero probabilmente maggiori usando questo approccio, portando così meno “cose” per persona, ma anche questo è parte del raggiungimento della riduzione di emissioni di CO2.
E' difficile vedere come i passi sottolineati sopra sarebbero accettabili ai leader mondiali o alla maggioranza della popolazione mondiale. Così, ho paura che finiremo per ricadere nel piano della Natura discusso sopra.
[1] Michael Kumhof e Dirk Muir hanno recentemente preparato un modello della domanda e offerta del petrolio (saggio del FMI: Petrolio ed Economia Mondiale: Alcuni Futuri Possibili). Al suo interno, essi assumono un'elasticità del prezzo del petrolio sul lungo periodo di 0,03 e ribadiscono che un saggio di Benes ed altri indica una gamma da 0,005 a 0,02 per questa variabile. L'elasticità del prezzo a lungo termine della domanda di petrolio si assume sia di 0,08 nell'analisi di Kumhof eMuir.
[2] Direi che le misurazioni standard dell'EROEI sono definite in modo troppo restrittivo per dare una vera misura della quantità di energia usata nel fare un particolare sostituto. Per esempio, le misure dell'EROEI non considerano i costi energetici associati al lavoro (anche se i lavoratori spendono i loro salari in vestiario e costi per il pendolarismo e moli altri beni e servizi che utilizzano combustibili fossili), o coi costi di finanziamento o con gli impatti indiretti come l'usura delle strade nel trasportare mais per il biocombustibile. Altri tipi di analisi hanno dei modi per fa fronte a questa mancanza. Per esempio, quando il numero dei posti di lavoro che un nuovo datore di lavoro si può aspettare di aggiungere ad una comunità viene valutato, l'approccio usuale sembra essere di prendere il numero di posti di lavoro che possono essere direttamente contati e moltiplicati per tre, per stimare l'impatto pieno. Io direi che con i sostituti, un qualche adattamento simile è necessario. Questo adattamento agirebbe per aumentare l'uso di energia associato alle rinnovabili e ridurre l'EROEI. Per esempio, l'aggiustamento potrebbe dividere direttamente l'EROEI calcolato per 3. Un calcolo del reale beneficio netto delle rinnovabili necessita anche di riconoscere che quasi l'intero costo energetico viene pagato in anticipo e solo nel tempo viene recuperato in produzione di energia. Quando la produzione rinnovabile cresce rapidamente, la società tende a in una posizione di deficit a lungo termine. Tipicamente, è solo quando la crescita rallenta che la società raggiunge una posizione energetica netta positiva.
[3] Ovviamente non ho trattato tutte le potenziali soluzioni. A volte si parla di nucleare, come del solare spaziale. Ci sono nuove soluzioni che vengono proposte regolarmente. Anche se se queste soluzioni funzionassero, farle decollare richiederebbe tempo e l'uso di combustibili fossili, quindi è saggio considerare anche altre opzioni.
[4] Il modo in cui il petrolio limitato può interferire col commercio mondiale è questo: gli alti prezzi del petrolio causano il taglio dei beni voluttuari da parte dei consumatori. Questo porta a licenziamenti nei settori voluttuari dell'economia, come i viaggi per le vacanze. Esso porta anche ad effetti secondari, come default del debito e abbassamento dei prezzi degli immobili. Gli effetti finanziari si “concentrano” verso i governi delle nazioni che importano petrolio, perché incamerano meno introiti dalle tasse da parte dei lavoratori licenziati nello stesso momento in cui essi pagano di più per gli ammortizzatori sociali, gli incentivi ed i salvataggi bancari (a questo punto ci siamo già). Alla fine, i paesi scopriranno che il deficit di spesa sta sfuggendo di mano. Se i paesi aumentano le tasse e tagliano gli aiuti, questo è probabile che porti a più licenziamenti e fallimenti. Una possibile conseguenza è che i cittadini diventeranno sempre meno contenti e rimpiazzeranno i governi con nuovi governi che ripudieranno il vecchio debito. I nuovi governi potrebbero avere difficoltà a stabilire relazioni finanziarie con altri governi, visto che la gran parte sono grandi insolventi. Problemi del genere potrebbero ridurre il commercio mondiale in modo sostanziale. Dalla caduta del commercio internazionale ne deriverebbe un capacità molto più limitata di mantenere i nostri attuali sistemi, come l'elettricità ed i trasporti a lunga distanza.