giovedì 30 agosto 2012

Il Picco dei Negazionisti

Di Richard Heinberg. 

Da Energy Bulletin. Traduzione di Massimiliano Rupalti


In questi giorni, non si legge altro che “Tristi notizie per i Discepoli del Picco del Petrolio”, secondo il Financial Post.
L'ultimo esempio:Leonardo Maugeri, un membro del Geopolitics of Energy Project al Belfer Center for Science and International Affairs della Kennedy School — e critico di lungo corso dell'analisi del Picco del Petrolio – ha appena pubblicato un nuovo rapporto, “Petrolio: La Prossima Rivoluzione”, nel quale prevede un netto aumento della capacità produzione mondiale di petrolio e il rischio di un collasso del prezzo del petrolio. Il suo rapporto ha innescato una valanga di articoli di stampa con titoli come “Nessun Picco del Petrolio in Vista”, “Il potenzale boom petrolifero statunitense scuote le politiche energetiche,” e “Il Picco del Petrolio Semplicemente non è più una Minaccia”.

Queste seguono a ruota una serie di altri articoli che propagandano un aumento di produzione di petrolio da depositi di scisti “tight” negli Stati Uniti – pezzi con titoli tipo “Il  Picco del Petrolio ha raggiunto il Picco?” e “ L'idea del Picco del Petrolio è Morta?” E quelli che a loro volta cavalcano l'onda del largamente festeggiato libro di Daniel Yergin "The Quest", che ha foraggiato una frenesia contro il Picco del Petrolio nei media lo scorso anno.

Il recente diluvio di trionfalismo cornucopiano ha provocato alcune risposte riflessive, comprese “L'idea di Picco del Petrolio ha... raggiunto il picco?” e “Il Picco del Petrolio è Morto?”, entrambi i quali vagliano le prove e concludono che la produzione mondiale di petrolio si comprende meglio se visto attraverso le lenti dei “picchisti” piuttosto che da quelle degli occhiali rosei dei detrattori del Picco del Petrolio.

Non c'è dubbio che i picchisti continueranno a produrre articoli riflessivi, ben ragionati e pieni di fatti che delucidano la precarietà delle forniture globali di energia. Tuttavia, il gran numero e la loro prominenza mediatica dei pezzi “Niente Picco del Petrolio” (sul Wall Street Journal e New York Times, persino su NPR – National Public Radio) sta avendo effetto. I siti picchisti hanno un declino del traffico in rete. E mentre ora molta più gente ha sentito parlare del Picco del Petrolio che non pochi anni fa, molti credono, sbagliando, che la sua assunzione fondamentale sia stata in qualche modo “smontata”.

Coloro fra noi che sono stati dietro a questa discussione per più di un decennio – dai giorni nei quali il geologo petrolifero Colin Campbell ha coniato la frase “Picco del Petrolio” e il “movimento” consisteva più che altro in discussioni quotidiane su un'oscura mailing list – hanno visto crescere la cosa come un fenomeno di specie, con libri, newsletter, siti web organizzazioni dedite sia all'analisi sia all'attivismo come cittadini. Evidentemente la crescente preoccupazione del pubblico circa l'inevitabile declino della produzione mondiale di petrolio ha infastidito qualche personaggio potente che ha annodato le proprie corde in cerca di un po' di dati favorevoli (declino dei prezzi del petrolio, crescita della produzione) per usarli come pretesto per un linciaggio pubblico. La mentalità cornucopiana è sicuramente diffusa fra i leader nell'industria del petrolio  (Rex Tillerson, Amministratore delegato di ExxonMobil, recentemente ha detto su cambiamento climatico e sicurezza energetica “Noi [esseri umani] abbiamo passato la nostra intera vita ad adattarci. Ci adatteremo... è un problema di ingegneria e ci sarà una soluzione ingegneristica”). Ma una simile incapacità di immaginare null'altro che finali felici è diffusa anche fra molti ambientalisti, come ho avuto modo di imparare lo scorso fine settimana all'Aspen Environment Forum, dove ho avuto un dibattito con Mark Lynas, autore di "Sei Gradi" e di "Le Specie di Dio". Mentre gli ambientalisti vengono spesso accusati di essere allarmisti, essi possono anche manifestare un tratto di tecno-ottimismo 'si può fare'. Stewart Brand (fondatore di Whole Earth Catalog), che è stato un altro relatore alla conferenza si è trasformato in un futurista pro-nucleare, pro geo-ingegneria e verde brillante. Jim Kunstler, anch'egli ad Aspen, ha riassunto il suo punto di vista sull'evento: “Il tecno-narcisismo scorreva come uno Slurpee fuso (una specie di granita). . . .

Nel corso del dibattito, Lynas più di una volta ha citato una litania sulle previsioni sbagliate dei pessimisti, a cominciare da Malthus. Analogamente, Daniel Yergin ha guadagnato punti dichiarando che le profezie di un picco di produzione di petrolio nel mondo sono state provate come sbagliate ad ogni piè sospinto per un secolo o più. E' strano che le previsioni sbagliate degli ottimisti abbiano un'attenzione pubblica così insignificante al confronto, dato che sono almeno altrettanto numerose. L'esempio più rilevante: intorno al 1998, quando la discussione odierna sul Picco del Petrolio era appena agli esordi, la Intenational Energy Agency (IEA), il Dipartimento Americano per l'Energia e l'USGS (United State Geological Survey) avevano fatto tutti previsioni dicendo che la prosduzione mondiale sarebbe cresciuta costantemente fino a raggiungere i 120 milioni di barili al giorno nel 2020, mentre i prezzi sarebbero rimasti ad un livello di 20$ al barile (in dollari del 1998) anche oltre quella data. Nel 2004, quando era già chiaro che quelle previsioni non avevano alcuna opportunità di realizzarsi, Daniel yergin ha dichiarato che i prezzi del petrolio sarebbero rimasti a 40$ al barile per i successivi 15 anni, né l'IEA, né la DOE né l'USGS né Daniel Yergin hanno previsto una situazione nella quale la produzione di petrolio greggio avrebbe raggiunto un plateau per 7 anni a cominciare dal 2005 o nella quale i prezzi sarebbero schizzati fino ai 147$ a barile come hanno fatto nel 2008. Sì, alcune delle previsioni sul Picco del Petrolio della produzione mondiale secondo le quali il declino sarebbe cominciato fra il 2005 e il 2008 erano premature, ma è ovvio che i picchisti abbiano avuto punti di vista più precisi e utili sui livelli dei prezzi e della fornitura del petrolio mondiale durante lo scorso decennio. Quindi è umanamente comprensibile perché il risentimento si sia consolidato fra gli Yergin ed i Maugeri del mondo.

E così, uno zampillo di nuova produzione da depositi scistosi di “tight” ora serve da pretesto per dicharare vittoria. I picchisti avrebbero dovuto vederlo arrivare, dopotutto; gli alti prezzi del petrolio, infatti, innescano aumenti delle riserve e della produzione da risorse di qualità inferiore. Infatti, alcuni dei migliori analisti lo hanno visto arrivare. Ricordo Jeremy Gilbert, ex ingegnere petrolifero della BP, che parlava del potenziale della nuova tecnologia di produzione ad una conferenza dell'Association for the Study of Peak Oil (ASPO) un paio di anni fa. “Dei giacimenti che stiamo attualmente inseguendo ne eravamo a conoscenza da lungo tempo, in molti casi”, notava, “ma erano troppo complessi, troppo fratturati, troppo difficili da produrre. Ora la nostra tecnologia e comprensione [sono] migliori, il che è buono, perché questi giacimenti difficili è tutto ciò che ci resta”.

Il dibattito sul Picco del Petrolio non è un evento sportivo. Ciò che conta non è quale parte vince, ma quale realtà abbiamo di fronte. Vedremo il proseguimento di un plateau nella produzione globale di petrolio greggio? Quanto a lungo durerà? Quanto sarà grande in percentuale il contributo alla produzione di “tutti i liquidi” totali di sabbie bituminose, scisto ed altri non convenzionali? Quale sarà l'impatto climatico visto che il petrolio mondiale arriva da forniture sempre più derivate da risorse di qualità inferiore? E quale sarà l'impatto economico?

Noi del Post Carbon Institute speriamo di risolvere alcuni dei problemi relativi al petrolio non convenzionale in un rapporto (in uscita a settembre) di David Hughes, un seguito del suo rapporto del 2011 verifica sullo stato della produzione di gas di scisti negli Stati Uniti. Ma le più grandi domande ambientali ed economiche continueranno senza dubbio a generare incertezze per un po'.

Tuttavia, ci sono poche osservazioni che un analista energetico serio non possa contestare. I costi dell'esplorazione e della produzione petrolifera sono saliti alle stelle (la Bernstein Research stima che quest'anno l'industria abbia bisogno di prezzi nella gamma dei 100$ al barile per giustificare nuovi progetti). I giacimenti petroliferi super giganti che costituiscono ancora il 60% della produzione di greggio mondiale sono vecchi e quindi il modesto contributo di quelli non convenzionali, che ci si aspetta che siano sia cari che lenti da mettere in produzione, devono spingere contro una marea di esaurimento e declino. E' solo questione di quando il declino della produzione complessiva comincia, non se. Intanto, alcuni dei combustibili conteggiati dalla IEA nella categoria “tutti i liquidi” (etanolo, liquidi del gas naturale) hanno un'energia significativamente inferiore per unità di volume che non il petrolio greggio convenzionale. Così, un aumento in barili giornalieri di “tutti i liquidi” non necessariamente significa un aumento della quantità di energia consegnata alla società. Inoltre, tutti i combustibili liquidi non convenzionali (compresi i biocombustibili, sabbie bituminose, petrolio “duro”) offrono un basso ritorno energetico sull'energia investita per produrli (EROEI). Quindi, anche se il numero di barili di combustibili liquidi consegnati al mercato sta ancora gradualmente aumentando, la quantità di energia utile netta resa disponibile dalle industrie del petrolio e dei biocombustibili, se vengono conteggiati i costi per produrla, è probabilmente già in declino. E questo è quasi certamente vero negli Stati Uniti – la locandina promozionale per la produzione di petrolio non convenzionale. Infine, le quantità di greggio disponibili per l'esportazione stanno rapidamente declinando via via che i paesi produttori ne usano di più per il proprio consumo – lasciandone ogni anni di meno per i paesi importatori come Stati Uniti, Europa e Cina (questo tasso di declino è molto più alto che non il tasso di crescita relativamente inferiore della produzione mondiale di “tutti i liquidi”).

Intanto, l'impennata dei prezzi del petrolio ed il crollo dei rendimenti energetici reali dai combustibili liquidi hanno già lasciato una carneficina al loro passaggio, mentre un sistema finanziario globale arroccato su un monte di debito è stato affrontato colpo su colpo dal fallimento dell'economia reale nell'espandersi come ci si aspettava. Risulta che la produzione industriale ed il commercio globale dipendano dall'energia, non solo dal credito e dalla fiducia. In giugno si sono visti prezzi del petrolio più deboli, ma questo era dovuto ad un'erosione accelerata della forza economica mondiale (che porta all'aspettativa di una caduta della domanda di petrolio), non alla moderazione dei prezzi di produzione del petrolio o all'aumento della produzione sostanziale.

Come molti picchisti hanno continuato a dire, sapremo per certo quando la produzione globale di petrolio raggiungerà il picco (in termini di tasso di produzione in barili al giorno) solo quando possiamo vedere un declino costante nello specchietto retrovisore. Ma allora, sarà troppo tardi per la società per prepararsi agli impatti economici del picco del petrolio. Quindi, il “movimento” del Picco del Petrolio – non come esercizio di analisi, ma come sforzo per avvisare il mondo e prevenire la catastrofe – è destinato al fallimento? Forse. Ma per lo stesso motivo per cui lo è gran parte del movimento ambientalista, se non tutto. Non cambiamo sostanzialmente il nostro comportamento collettivo finché la crisi non ci arriva addosso.

Ma anche se non possiamo evitare una crisi, possiamo preparare una parte della popolazione alle sue conseguenze. Possiamo costruire la resilienza della comunità. Possiamo seminare le conversazioni pubbliche con l'informazione che minano l'inevitabile, riflessivo sforzo di incolpare il disfacimento economico con facili capri espiatori. Inoltre, il futuro sarà migliore se proteggiamo almeno qualche specie, qualche habitat, qualche zona selvaggia, un po' d'acqua e un po' di suolo prima del crollo dell'economia causato dall'energia, di modo da avere una base ecologica per l'attuale esistenza in assenza di macchine, aerei, iPads e di combustibile abbondante ed economico.

In breve, le cose andranno meglio per noi se resistiamo alla negazione piuttosto che se ci impegniamo in essa.

martedì 28 agosto 2012

Il futuro digitale (II)

Da The Oil Crash. Traduzione di Mssimiliano Rupalti


Immagine da http://debok.myweb.usf.edu




Dal blog di Antonio Turiel

Cari lettori,
prosegue la mia fatica nella capitale del Regno (Madrid) e ho poco tempo libero. Ma fortunatamente abbiamo un nuovo contributo, in questo caso di Carlos de Castro, che amabilmente ha accettato di scrivere un post che amplia quello precedente. Devo dire che è un onore ospitare su questo blog un'opinione tanto documentata come quella di Carlos. Vi lascio con lui.

Saluti.
AMT

Le TIC (Tecnologie di Informazione e Comunicazione): alcuni limiti e proposte

Energia.

L'energia (principalmente elettrica) che consumano le TIC  si attesta intorno al 10% dell'energia elettrica totale se si tiene conto del consumo energetico che richiede la fabbricazione dei dispositivi e dell'infrastruttura, che si prendono circa la metà di questi consumi. Solo i “ data centers” che sostengono internet contano già più del 1% di questa elettricità.



Questo, che ci può sembrare sostenibile, in realtà ci da una traccia di quando si fermerà la crescita. Il numero di computer che si connettono a internet decuplica ora circa ogni 5 anni, altre cose lo stanno facendo in meno tempo (per esempio i cellulari). Il traffico di internet decuplica circa ogni due anni. E' difficile stimare ogni quanto tempo il consumo energetico si moltiplica per 10, perché per ogni bit trasmesso consumiamo sempre meno energia. Direi che le nostre necessità energetiche per le TIC decuplicano in un lasso di tempo maggiore di 2 anni e minore di 10. Se decuplicano nei prossimi anni ogni 5 anni, significherebbe che nel 2022, circa il 40% dell'elettricità che produciamo ora si dovrebbe produrre per alimetare l'industria delle TIC entro 10 anni. E' possibile ciò?

La crescita del settore elettrico a livello mondiale è stata del 3% all'anno negli ultimi decenni ed ha risentito della sventura della crisi del 2008-9 con una decrescita (per la prima volta in molti decenni) del 1,5% nel 2009. In uno scenario BAU dovrebbe crescere del 5% all'anno per soddisfare la domanda “naturale” più la domanda delle TIC. Non sono a conoscenza di nessuna agenzia internazionale che preveda una crescita tanto rapida dell'elettricità, fondamentalmente perché si sono solite limitarsi a progettare il passato recente, quando le TIC, le auto elettriche ed altre tecnologie emergenti consumatrici di elettricità partono da una percentuale di consumo basso ora e che lo stesso BAU prevede che sfruttino. In scenari diversi dal Bau (di decrescita o di collasso), semplicemente le TIC non richiederanno tanto della domanda e pertanto smetterebbero di tendere al raddoppio in questo stesso decennio.

Materiali.

Alimentare le TIC richiede materiali. Molti e diversi. Oggi usiamo gran parte della tavola periodica nei nostri gadget elettronici. Negli anni 90 del secolo scorso, nella composizione di un circuito elettronico si usavano circa 15 elementi della tavola periodica, mentre ora ne usiamo 60. Se scartiamo alcuni gas nobili ed elementi radioattivi, le TIC stanno usando già praticamente tutta la tavola periodica, siamo giunti al picco della diversità possibile. Questo, che alcuni vedono come prova delle robustezza visto che diversificando sembriamo più resilienti, ha generato generato anche un aumento della diversità dei problemi. L'Indio, fondamentale oggi per tutti i nostri schermi e touch screen LCD, dovrà essere sostituito prima di quanto pensiamo. L'Indio è anche richiesto da altri settori energetici, come quello fotovoltaico, e risulta essere scarso. Le attuali tendenze triplicherebbero la produzione attuale per soddisfare le nuove industrie in uno scenario BAU, ma possiamo aspettarci il picco di produzione delle riserve seguendo la teoria di Hubbert (comprese quelle economiche), e dato il consumo attuale per 25 anni, entro il 2015 e se ricicleremo abbastanza lo potremmo ritardare al 2020. A partire da quel momento ci saranno meno produzione e meno schermi con questa tecnologia. Anche se l'Indio è il più critico, abbiamo anche l'Argento, il Germanio, il Gallio, il Tantalio... per tutti questi è richiesto almeno il raddoppio della produzione attuale per tutti gli usi, solo per soddisfare la domanda ulteriore prevista per le TIC da qui a 20 anni. E per molti di questi è previsto il picco di produzione molto a breve anche solo proiettando l'attuale domanda e senza tenere conto del forte incremento che avranno le TIC.


Elemento
R/P anni (2011)
% dedicata alle TIC nel 2011
Ag
20
4%
Au
20
4%
Zn
20-40
4%
Cr
20
2%
Ta
20-40
60%
Cd
30
2%
Co
75
8%


(R: Riserve; P: produzione)

La tabella è stata elaborata a partire dai dati di riserve e produzione del USGS (United States Geological Survey). La percentuale dedicata alle TIC suppone che i 400 milioni di personal computer venduti ogni anno abbiano nel complesso lo stesso contenuto di minerali dei 15 milioni di cellulari che si vendono ogni anno (Gatner.com). La massa di ogni minerale proviene da uno studio del USGS  (“Recycled Cell Phones—A Treasure Trove of Valuable Metals”). Esistono forze contrastanti; da un lato la sostituzione dei materiali critici libera pressione, e il riciclaggio anche, e le riserve cresceranno quando la scarsità porterà all'aumento del prezzo, ma, dall'altra parte, Riserve/Produzione è un quoziente ingannevole come sa il “piccopetrolista”. Il picco di questi materiali arriverà prima che lo indichi la relazione R/P. Nessuno si aspetta che l'argento, l'oro e la gran parte degli elementi dei quali la proporzione usata per le TIC non è alta, aumenteranno molto di più della produzione. Pertanto, un 2, 4 o 8% non produce molta pressione su questi minerali adesso, ma se le TIC raddoppiano o triplicano tenderebbero ad anticipare il picco di produzione di qualche anno. Inoltre, c'è la diminuzione della concentrazione del minerale nelle miniere. Come accade col petrolio, spenderemo sempre più energia per estrarre e produrre quei minerali, per cui la domanda energetica delle TIC tenderà a crescere da questo lato. 

In conclusione: un'elettronica con materiali più comuni ed elevati tassi di riciclaggio sarà quindi un imperativo in tempi molto brevi. Tanto brevi che dubito che la capacità di adattamento dell'industria possa essere tanto rapida (le stanno crescendo molti dei 60 nani tutti insieme). La scarsità di energia e materiali del BAU verrà di nuovo alimentata dalle TIC e, se cade il BAU, le TIC diventeranno un problema sociale ed economico (un'elettronica del 1990 nel 2020? Agli adolescenti di oggi provocherebbe una crisi di nervi).

Informazione.

Cosa accadrà all'informazione immagazzinata se non proseguiamo nel BAU?
Nella transizione di civiltà che avremo in questo secolo, cosa lasceremo alla civiltà che segue? Bisogna pianificarlo adesso. Io in un'isola deserta non mi porterei tre e-book, sceglierei tre libri cartacei. Se lo scenario di collasso non è ancora scartabile, allora bisogna cominciare a pensare a cosa lasciamo alle future generazioni che valga la pena. Che sistemi “informatici” sarabbero adeguati e non dipendenti da una elevata tecnologia e da un alto consumo energetico e di materie prime?

I militari nordamericani hanno TIC robuste, flessibili, non dipendenti dall'elettricità di rete, nelle loro missioni di guerra. Queste potrebbero essere parte della tecnologia del futuro (anche se non importa loro l'energia spesa in anticipo che è carissima). In uno scenario di transizione più dolce, si dovrà risparmiare molta energia e molte materie prime. La legge di Moore è una beffa in buona misura per questo testo che, scritto su Microsoft Word, può contenere venti volte più informazioni (e più materiali ed energia) di un .txt.

Quando si pensa a quello di cui era capace di fare la ZX Spectrum e lo confrontassimo con un computer attuale, semplicemente non che facciamo migliaia o milioni di volte più cose e più veloci. Gli informatici del futuro dovranno essere efficienti in termini di consumo di energia-materia prima-memoria come loro priorità maggiore e maneggiare meno in termini di prestazioni visive-economiche-quantitative di informazione

Qualcuno dovrebbe cominciare a preoccuparsi di cose, come e dove andiamo a mettre la “memoria” per le generazioni future. Il BAU (e le sue Scuole di Informatica e Telecomunicazione) non si preoccupa di questo perché presume passeremo dai Tera agli Zeta in un progresso infinito. Sarebbe un peccato che, ancora una volta, bruci la biblioteca di Alessandria, perché allora prederemmo 500 anni di cultura e tecnologia ci costerà altri 500 anni per poter essere recuperata.























Il Futuro Digitale

Da The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Immagine da http://www.tallerdecomputocancun.com/

Di Antonio Turiel


Cari lettori,

un paio di mesi fa un lettore del blog, professore molto impegnato nell'installazione delle Tecnologie di Informazione e Comunicazione (TIC) mi chiedeva per e-mail circa la possibilità che i sogni tecno-ottimisti di un futuro dominato da queste tecnologie possa un giorno vedere la luce. Risulta che da uno o due anni in Spagna il grande dibattito nelle aule fosse per l'installazione di lavagne digitali e delle nuove Tecnologie di Comunicazione, Solo un anno più tardi, la cruda realtà della crisi ha cancellato dalla mappa la prospettiva di marcia trionfante verso il nuovo Eldorado tecnologico e le proteste dei docenti, sempre più ridotta di numero e di efficacia, riempiono le strade un giorno sì e l'altro pure. Ma molti di coloro che allora hanno comprato questa propaganda credono che il sogno ipertecnologico sia ancora raggiungibile ed anche che un giorno le lezioni saranno online e non di presenza fisica – fra le altre cose perché non hanno capito che questa crisi non finirà mai.

Alla fine, questo lettore chiedeva una mia opinione sulle TIC. La verità è che e avesse saputo dove ci troviamo mentre avanziamo verso la Grande Esclusione, non sarebbe difficile supporre cosa avverrà alle TIC, che si ridurrebbero, se possibile, ad essere un prodotto per una minoranza di ricchi. Tuttavia, tale analisi è troppo banale per meritare un post specifico, così credo che sia più interessante adottare qui un altro punto di vista, anche se non è quello che può accadere con più probabilità. Supponiamo per un momento che avessimo un attacco collettivo di buon senso e ci sedessimo a pianificare in modo sereno e ragionevole la transizione a un mondo dove la quantità di energia disponibile sarà molto inferiore a quella attuale. Quale potrebbe essere il ruolo delle TIC durante la transizione ed eventualmente nello stato successivo? Qual è la dimensione ragionevole che può avere l'attuale elettronica di consumo?

L'argomento è abbastanza complesso e non posso fare una valutazione esaustiva della stessa, ma si possono indicare alcuni dati che ci permettono di immaginare come potrebbe essere, dove si riferisce ai limiti fisici, questo futuro. 

La fine della legge di Moore: dagli anni 70 del decennio passato si è osservato che la quantità di transistor che si poteva integrare in un chip decuplicava ogni 18 mesi circa: è la cosiddetta Legge di Moore. Ciò ha fatto sì che ogni 18 mesi, più o meno, uscissero CPU il doppio più veloci e che i chip di memoria e le capacità dei dischi seguissero dei ritmi analoghi. Tuttavia, la densità dei transistor era talmente alta che gli effetti quantici dovevano cominciare a manifestarsi, ponendo in breve fine a questa regola empirica. E anche se qualcuno pretende, come col picco del petrolio, che lo scarto della legge di Moore non sia importante o che la stagnazione attualmente osservata si debba alla paralisisi di varie fabbriche giapponesi a causa del terremoto e dello tsunami dello scorso anno, la realtà è che la Legge di Moore non è più quello che era, e che per compensare l'evidente incapacità di aumentare la miniaturizzazione dei circuiti integrati si ricorre a mettere sempre più microprocessori nei computer... ma senza tecniche adeguate di Calcolo Parallelo (che non sono per niente facili da attuare) è certo che buona parte di questa capacità extra di calcolo non si sfrutti e i nostri computer non sono, in pratica, sempre più potenti. La fine della Legge di Moore ha implicazioni anche in materia energetica, visto che un suo corollario è che nella misura in cui l'integrazione dei transistor avanzava, la quantità di energia e tempo necessari per fare un calcolo diminuiva. Ora non è più il caso e questi computer con nuclei multipli consumano come vari computer connessi fra loro, come di fatto sono. Per cui, il consumo di energia da parte del sistema informatico, che non è mai diminuito per la sua crescente proliferazione – una specie di paradosso di Jevons informatico – ora cresce a velocità doppia. Pertanto, non è il caso di aspettarsi molte migliorie, in quanto all'efficienza energetica dei nostri sistemi.

Consumo energetico di Internet: Uno studio dell'Università della California di Berkeley delllo scorso anno calcola il consumo di energia di internet (inteso non solo come rete fisica, ma tutti i dispositivi ad essa collegato e conteggiando l'energia di fabbricazione dei diversi apparati) fra l'1 e il 2% di tutta l'energia (attenzione, non solo elettrica, di tutta l'energia) che si consuma sul pianeta. La cifra è impressionante, perché, essendo realisti, a lungo termine l'essere umano potrà conservare una frazione di tutta l'energia che consuma adesso, forse il 10% e se si gioca bene le sue carte, per cui quello che consuma internet su questa scala avrebbe un grande peso. Si deve inoltre pensare che la maggiore domanda di internet si ha nei paesi più ricchi che sono anche quelli che in questo momento consumano più energia e quelli ai quali costerà di più mantenere tali livelli di consumo. Tutto indica che internet dovrà ridursi probabilmente di una o due ordini di grandezza, per cui molti dei servizi di streaming di oggigiorno saranno semplicemente impossibili. E questo senza parlare del 'cloud computing', che sta ancora in fasce e che non supererà ma la condizione di esperimento su piccola scala, a causa degli innumerevoli requisiti in termini di capacità di computazione, che alla fine sarebbero richiesti anche in energia.

Impatto del silicio nei microchip: i chip di microelettronica si fabbricano col silicio, che è uno dei minerali più abbondanti sulla crosta terrestre (la comune sabbia è fondamentalmente ossido di silicio). Tuttavia, le cialde di silicio con le quali si fabbricano devono avere una purezza di silicio estrema, del 99,9999%, il che richiede stanze speciali in condizioni di pulizia eccezionale (stanze bianche), il che obbliga ad una grande spesa energetica, che è tanto più grande quanto è meno puro il materiale di partenza. E' per quello che per produrre silicio puro si è soliti esigere minerali speciali, non la semplice sabbia di una spiaggia, e il quarzo di grande purezza è uno dei preferiti, ma questo è un materiale abbastanza più scarso della sabbia (potete consultare un riassunto abbastanza buono sulla produzione di silicio in rete, sul sito Connexions, in un articolo dal titolo “Semiconductor grade silicon”). Quando la produzione di questi minerali speciali comincia a diminuire (per l'esaurimento dei giacimenti e per l'aumento dell'energia richiesta per lo sfruttamento di quelli rimanenti) la produzione dei microchip di silicio ne risentirà, rendendoli più cari. L'effetto di rincaro sarà fortemente non lineare, visto che ci sono tre fattori che contribuiscono all'aumento dei prezzi: primo, la crescente scarsità dei materiali que richiedono meno energia per essere purificati, il che porterà ad usarne altri con un maggior costo energetico; secondo, il rincaro intrinseco dell'energia in un mondo con minore disponibilità della stessa, il che in un processo come questo, che ne richiede molta, è determinante; e terzo, all'aumentare del prezzo la domanda cadrà, anche, appesantita dal resto dei problemi di degrado sociale, per cui la produzione di chip non potrà sfruttare più di tanto dei benefici dell'economia di scala ed il prezzo schizzerà ancora di più per questo effetto. Una politica di riciclaggio intelligente potrebbe mitigare questi effetti, ma per queste sarebbe necessario cambiare i piani attuali che non facilitano l'estrazione facile delle cialde (wafer) di silicio usate.

Difficoltà di accedere alle terre rare: abbiamo già discusso qui, due anni fa, i problemi di accesso alle terre rare, materiali che, nonostante la loro abbondanza sulla crosta terrestre, si presentano in depositi con una concentrazione non sfruttabile economicamente, il che comporta forti limitazioni nella loro produzione e che, in combinzaione a certi movimenti del mercato, hanno fatto sì che la Cina sia giunta a controllare il 97% della produzione di questi materiali. Molte terre rare, come detto a suo tempo nel post, sono di un'importanza capitale nei dispositivi ad alta tecnologia che usiamo oggigiorno, dai colori degli schermi LCD ai materiali per drogare le proprietà semiconduttrici del silicio o e che servono per servono per affinare la frequenza di lavoro dei chip, aumentarne la miniaturizzazione e diminuirne il consumo. Terre rare a parte, ci sono altri metalli che hanno usi importanti nei nostri sofisticati dispositivi e che stanno cominciando a scarseggiare come oro e argento (sui quali spero di fare un post quest'estate) e, a breve, anche il rame.

Declino del capitale disponibile, collasso della complessità: il grande problema che quasi nessuno sembra in grado di vedere, è che la nostra società industriale è essenzialmente instabile. E' progettata per produrre una gran quantità di merci, distribuirle rapidamente e consumarle allo stesso ritmo. Ma siamo in una situazione in cui la produzione di nuove merci richiede quantità crescenti di capitale e sta arrivando ad un punto in cui i conti economici non tornano (in fondo, a causa del declino della redditività energetica) e la redditività non è sufficiente a mantenere il macchinario in funzione. I flussi di capitale diminuiscono e così anche il capitale disponibile. Il problema è che quanto più ci addentriamo in questo sentiero di perdita e distruzione di capitale verso una crescita già ora impossibile, più difficile è finanziare nuove imprese. E arriva un momento in cui non potremo neanche mantenere le strutture esistenti, perché la società non si autofinanzia, non produce sufficienti risorse per mantenere tutte le infrastrutture (è di nuovo il problema dell'EROEI decerscente: con meno energia netta si possono mantenere meno infrastrutture). Come abbiamo detto da poco, i problemi delle risorse vengono visti abitualmente come problemi intrinsecamente economici e non collegati all'energia, per cui non vien riconosciuto che la decadenza economica che stiamo vivendo non può cambiare internamente perché è limitata da fattori esterni (la mancanza di materie prime). 

Senza renderci conto, a poco a poco stiamo perdendo la capacità di fare le cose più complesse in primis (quelle che richiedono più capitale umano, nel senso di specializzazione, e di risorse) e progressivamente stiamo perdendo anche la capacità di fare le cose più semplici, fondamentali e necessarie. Essenzialmente, si produce una riduzione forzata della complessità della società (ciò che secondo Joseph Tainter – vedi anche qui, ndT. - è la causa del collaso della società). Non è necessario percorrere questo sentiero, almeno non fino alla fine, anche se disgraziatamente è ciò che stiamo facendo. E nel contesto della discussione di oggi, la perdita di complessità fa sì che le apparecchiature informatiche e ad alta tecnologia siano le prime a cadere. Un giorno chiudono le fabbriche di certi microchip disperse su tutto il pianeta finché non rimarranno che due o tre siti che possono fornire, a causa della loro grande dimensione, tutto il mondo. Poi, la diminuzione delle vendite fa chiudere tutte le fabbriche tranne una. Poi, questa fabbrica si vede obbligata a fare cambiamenti, aggiustamenti, a causa del crollo della domanda causata da una esclusione sociale crescente e dalla caduta del consumo di massa. Alla fine, si producono chip più semplici, più economici, meno funzionali, ma con una redditività maggiore adattata ai sempre meno apparecchi con elettronica digitale... Insisto, non è per forza il futuro, ma al momento è la direzione nella quale stiamo camminando. 

Alla fine, in uno scenario che assumesse anche le tinte più luminose, per noi sarebbe di scarsità e sarebbe naturale ripensare la scala sulla quale vogliamo usare l'informatica. Non dobbiamo rinunciare ad avere dei computer, di fatto sarebbe molto conveniente che non perdessimo questa tecnologia data la sua incredibile utilità nella gestione di un'infinità di sistemi complessi che per noi sono vitali. Tuttavia, quello che risulta abbastanza discutibile è se questi computer debbano essere personali. Il grande vizio della società industriale è quello di fomentare il consumo per accrescere il beneficio anche quando questo presuppone uno spreco ingiustificabile.  Mi risulta difficile capire perché in ogni casa debbano esserci due, tre, quattro o più dispositivi in grado di connettersi a internet e tutti con un'enorme capacità di elaborazione. Sì, è divertente, ma non necessario e in realtà non ce lo possiamo permettere per ciò che ho spiegato prima. Ciò implica anche che internet dovrebbe avere una dimensione più ridotta e meglio adattata alla circolazione di vera informazione (e non a tanto rumore, come ora). Dobbiamo ripensare il nostro concetto di proprietà ed evolvere verso quello di condivisione delle risorse che non si possono generalizzare per la loro scarsità, per il loro costo energetico e per il loro impatto ambientale, ma che conviene che siano accessibili a tutti, come lo sono le TIC. E' un diverso modello di proprietà, ma probabilmente non ci resta alternativa e sicuramente può essere ugualmente soddisfacente si viene gestito adeguatamente e senza abusi. Purtroppo, la cultura umana, soprattutto in Occidente, deve evolversi ancora molto per imparare a condividere senza abusare...

Saluti.
AMT




















domenica 26 agosto 2012

Preghiamo per la Pioggia!

Da “Cassandra's Legacy”.Traduzione di Massimiliano Rupalti

























La scritta “Preghiamo per la Pioggia” è stata attaccata col nastro adesivo alla porta di ingresso del santuario della Madonna del Sasso, non lontano da Firenze.


La siccità in Italia è così terribile che possiamo soltanto pregare per un po' di pioggia, la quale sembra non essere in arrivo, comunque. Per fare un esempio di quanto si terribile, non ho mai visto i fichi che si seccano sui rami, ma quest'anno sta accadendo. Guardate:


Potete trovare altre immagini della siccità in campagna questo link.

Ora, perché questa terribile siccità (direi “Biblica”)? Be', è un fenomeno in corso, chiaramente collegato al cambiamento climatico. Guardate questa immagine del NOAA (fonte).




















Guardate la zona del Mediterraneo: è previsto che sarà la più colpita dalla siccità di tutto il pianeta. Quindi, quello che stiamo vedendo oggi è solo un preludio a qualcosa di molto peggiore che potrebbe svilupparsi negli anni e nei decenni a venire.

Ora siamo ridotti a pregare per la pioggia e a sperare che il Buon Dio faccia il miracolo per noi. Ma non possiamo dire di non essere stati avvisati.



sabato 25 agosto 2012

Luca Mercalli risponde a Vaclav Klaus




Questo articolo di Luca Mercalli non sembra esistere on-line sul sito de "La Stampa". "Effetto Cassandra" lo ha ottenuto direttamente dall'autore e lo riproduciamo qui. Sul disgraziato sfogo di Vaclav Claus apparso qualche giorno fa, vedi anche il post precedente su "Effetto Cassandra"


I termometri europei bruciano i record. Ecco perché ridurre i gas serra conviene 


di Luca MERCALLI

LA STAMPA 22.08.2012

Il tifone «Tembin» minaccia Taiwan, fa molto freddo solo alla base di ricerca Vostok, in Antartide, con 78 gradi sottozero alla fine dell’inverno australe, ma è l’ondata di caldo africano sull’Europa a dominare la cronaca meteorologica di questa settimana.

A partire da venerdì 17 agosto l’ennesima struttura anticiclonica subtropicale di questa stagione si è espansa dal Marocco – dove lunedì 20 Marrakech boccheggiava a 47 gradi – alla Spagna, da giorni sotto una cupola d’aria ad oltre 40 C – giungendo in Francia, dove sabato Montgivray, nell’Indre, toccava i 42,4 C, un primato assoluto per la regione centro-settentrionale dell’Esagono, e anche Parigi non scherzava con 38 C. Domenica 19 oltre ai 41,5 C di Châtillon-sur-Seine (Côte-d’Or), cadevano i record termici del 2003 nelle Alpi francesi, con 35,8 C ai 1300 metri di Briançon, 37,4 C a Bourg Saint Maurice (865 m) e ben 13,4 C ai 3845 m dell’Aiguille du Midi, nel cuore del massiccio del Bianco. Poco più a ovest, 30 gradi a Zermatt, 7 ai 4560 metri della Capanna Margherita sul Monte Rosa e 12,8 all’osservatorio dello Jungfraujoch (3580 m), record assoluto della serie di misura dal 1959, mentre nelle città elvetiche a bassa quota i valori non hanno superato quelli del luglio 1983 e agosto 2003. Ma non è finita, lunedì 20 ha visto i record termici fioccare in Germania, con i 37,2 C di Lipsia e Dresda, i 38,7 C di Holzdorf e i 16,1 C sulla Zugspitze, a quasi 3000 metri.

Nuovi massimi termici assoluti pure su gran parte della Repubblica Ceca, culminati a Dobrichovice, presso Praga, dove il termometro ha toccato 40,4 C. Dati che dovrebbero far riflettere il presidente ed economista ceco Václav Klaus che su questo giornale se la prendeva con gli “adepti del riscaldamento globale” confondendo l’ideologia con la fisica dell’atmosfera, affetta beninteso da incertezze come tutte le scienze, ma non certo dottrinaria.

Mario Molina, docente all’Università della California e Nobel per la chimica insieme a Crutzen e Rowland per la scoperta del buco dell’ozono, ha dichiarato ieri a Filadelfia al meeting dell’American Chemical Society, che riguardo al riscaldamento globale: “non c’è dubbio che il rischio è molto alto e possiamo andare incontro a conseguenze anche molto dannose e, sia pure con bassa probabilità, perfino catastrofiche” perciò la riduzione delle emissioni di gas serra avrebbe “un costo per la società minore di quello dei danni climatici qualora la società non faccia nulla”.

Luca Mercalli

venerdì 24 agosto 2012

La testa nella sabbia: credere solo a chi è d'accordo con te






Pochi giorni fa, "La Stampa" ha pubblicato un pezzo di Vaclav Klaus il cui contenito si può riassumere in due righe come: "Io al cambiamento climatico non ci credo e solo quelli che sono d'accordo con me sono persone serie. Tutti gli altri sono dei fanatici pseudo-religiosi". Di fronte a un atteggiamento del genere da parte te di uno che non ha qualifiche di nessun tipo in scienza del clima, ti cadono le braccia e ti viene voglia di lasciar perdere. Tuttavia, Sandro Federici, esperto di mitigazione climatica nel settore agro-forestale , prova a rispondere riga per riga alle sciocchezze dell'articolo con una lettera al direttore de "La Stampa".



From: Sandro Federici
Date: 2012/8/21
Subject: Cambiamenti Climatici
To: mario.calabresi@lastampa.it


Egregio Direttore,

ho appena terminato di leggere l'articolo di Vaclav Klaus sul riscaldamento globale. Anzi sulla "dottrina del cambiamento climatico che minaccia la prosperita' della nostra societa".

Tale scritto mi ricorda letteratura di regime dove a prescindere dalle evidenze si esprimono opinioni basate a volte sull'ignoranza a volte sullo scientifico uso di argomenti che facciano presa sull'ignoranza del lettore. Mi rendo conto della necessita' di garantire liberta' di opinione a tutti ma le opinioni del sig Vaclav Klaus meritano una risposta per garantire, a sua volta, il diritto dei lettori di essere informati correttamente.

A questo link  http://www.giss.nasa.gov/research/news/20120806/) trova informazioni che chiariscono che quanto stiamo vivendo e' un profondo cambiamento del clima che sta determinando oltre che un riscaldamento globale una variazione della frequenza e dell'ampiezza degli eventi estremi. Per il nostro Paese le conseguenze sono estati calde e siccitose ed autunni molto pivosi (con conseguenti alluvioni).

Sul fatto che il cambiamento climatico sia conseguenza dell'alterata composizione chimica dell'atmosfera, dovuta all'immissione di gas ad effetto serra quale conseguenza delle attivita' umane, e di conseguenza delle sue qualita' fisiche c'e' totale congruenza di vedute per circa il 99.9% del mondo della scienza. In Italia c'e' un sito web http://www.climalteranti.it/ che si occupa di cio'.

Sul fatto che i costi dei cambiamenti climatici siano gia' ad oggi alti e' facile dimostrarlo. Si leggano i bollettini del costo delle alluvioni dello scorso autunno (e si preventivino quelli delle alluvioni di questo autunno) e si quantifichino i danni all'agricoltura di questa estate infuocata; ed i costi, anche energetici, delle misure che ognuno di noi sta prendendo per sfuggire al calore.
 Per non parlare dei costi che la siccita' (http://droughtmonitor.unl.edu/) impone agli USA e che se il Mississippi dovesse chiudere esploderebbero considerando che il 60% dei cereali, il 20% del petrolio e del carbone americani su quel fiume vengono trasportati (sempre che si trovi un sufficiente numero di trucks per movimentarle). http://usnews.nbcnews.com/_news/2012/08/15/13295072-drought-sends-mississippi-into-uncharted-territory?lite

Sui danni futuri, e' facile prevedere che un intensificazione nella freuenza, nell'intensita' e nella durata degli eventi estremi aumentera' esponenzialmente i costi. Costi molto piu' grandi di quelli necessari per decarbonificare oggi la nostra economia. Si veda ad esempio la Stern Review on the economics of climate change (allego l'executive summary).
Costi comunque che determinerebbero anche risposte di altro genere, essendo troppo costosi o non essendo l'economia in grado di affrontarli; si veda ad esempio questo articolo http://grist.org/climate-policy/2011-03-10-nicholas-stern-climate-inaction-risks-new-world-war/ o il piu' esplicito http://www.guardian.co.uk/commentisfree/cifamerica/2011/may/20/climate-change-climate-change-scepticism che lega la sicurezza nazionale al cambio climatico.

Se si considera poi che la vera unica ricchezza del nostro Paese e' ed e' stato il clima, si vede che l'Italia ha molto piu' da perdere di altri da un cambiamento del clima. Dovrebbe quindi essere una delle piu' attive nel combattere i cambiamenti climatici, ma cosi' non e'. Sarebbe meritorio se il suo giornale volesse impegnarsi in una simile battaglia.

Cordiali Saluti


Sandro Federici

giovedì 23 agosto 2012

Non si contratta lo spread con la natura!

di LUCA MERCALLI (da "La Stampa")

Ad aprile è stato inserito nella Costituzione italiana il pareggio di bilancio, ovviamente riferito al denaro. Ma c’è un bilancio estremamente più importante per la nostra vita. Vita che prima di essere soggetta ai capricci dell’economia è ferreamente dominata da flussi di energia e materia: è quello delle valute «fisiche» disponibili sul pianeta Terra. Un dato che, per quanto denso di conseguenze per il futuro dell’Umanità, nessuno considera strategico, né lo si inserisce nelle Costituzioni, salvo forse che in quella dell’Ecuador. In sostanza, non si possono prelevare dal conto terrestre più risorse di quante i sistemi naturali siano in grado di rigenerare né immettere rifiuti e inquinanti più di quanto la biosfera sia in grado di metabolizzare.

L’Overshoot Day di quest’anno, annunciato ieri, definisce la data nella quale il nostro conto corrente con l’ambiente è andato in rosso. Abbiamo speso tutti gli interessi in questi primi 234 giorni dell’anno, e da oggi al 31 dicembre dilapideremo una parte del capitale, con conseguenze talora irreversibili, come il riscaldamento globale o l’estinzione di specie viventi.

Il pareggio di bilancio mondiale è stato rispettato più o meno fino alla metà degli Anni 70, quando l’umanità contava 3,5 miliardi di individui. Oggi siamo 7 miliardi, consumiamo e inquiniamo come non mai e preleviamo l’equivalente di una terra e mezza. La biosfera è un sistema resiliente, e per brevi periodi può sopportare uno stress senza collassare, a patto che si rientri nei limiti imposti dalle leggi universali che governano i cicli biogeochimici, il clima, la riproduzione della fauna ittica, la rigenerazione delle foreste. Ma, come accade a un motore lanciato a folle corsa, quando la lancetta del contagiri entra in zona rossa, per non sbiellare bisogna ridurre la velocità.

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Continua a leggere su "La Stampa" del 23 Agosto 2012

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