sabato 4 gennaio 2014

Gaia, la sposa che non c'è

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Il libro di Toby Tyrrel “A proposito di Gaia” è un libro interessante sotto molti aspetti, ma tralascia alcune caratteristiche importanti del meccanismo di autoregolazione planetario che mantiene in vita la Terra:  Gaia. (immagine da  Alternative Energy Action Now )


Immaginate che un amico vi inviti al suo matrimonio. Ci andate e trovate tutto ciò che vi aspettate di vedere: la chiesa, i fiori, il prete, lo sposo e così via. Ma, mentre la cerimonia procede, notate che il vostro amico ha trascurato qualcosa di importante: la sposa non c'è.

Col libro di Toby Tyrrel, “Su Gaia” si ha un'impressione simile. E' ben fatto per molti aspetti e un sacco di dettagli sono al posto giusto: evoluzione, vita, clima e molto altro. Ma, continuando a leggerlo, si nota che l'autore sembra aver trascurato qualcosa di importante: manca Gaia stessa.

Si dice che i matrimoni falliscano a causa delle eccessive aspettative degli sposi. Lo stesso problema sembra affliggere più di uno studio su Gaia, compreso questo. Alcuni sembrano aspettarsi davvero troppo dalla povera signora e finiscono per concludere che non esista neanche – come Tyrrel fa col suo libro. La sua conclusione è del tutto negativa: non c'è nessun sistema di retroazione stabilizzante chiamato Gaia e il fatto che la Terra abbia conservato condizioni favorevoli alla vita per circa 4 miliardi di anni è dovuto a “rischio e casualità” (pag. 206 del libro).

Il problema delle eccessive aspettative è apparso presto nella storia degli studi della stabilità dell'ecvosistema terrestre. James Lovelock, l'iniziatore dell'idea di Gaia (insieme a Lynn Margulis), ha proposto che Gaia possa “ottimizzare” l'ecosistema a beneficio della vita. Questo era troppo. L'ecosistema terrestre è un sistema complesso di cicli biologici e geofisici che interagiscono fra loro – alcuni tendono a stabilizzare il sistema, altri a destabilizzarlo. Il risultato finale è quello tipico di ogni sistema complesso: la tendenza del sistema di opporsi alle perturbazioni. Non è ottimizzazione – è omeostasi; qualcosa che tende a mantenere i parametri del sistema entro certi limiti.

Ci sono molti esempi di questo comportamento, per esempio il nostro corpo è un sistema complesso che fa proprio questo: persegue l'omeostasi. Se la temperatura del nostro corpo diventa troppo alta, il nostro termostato interno la abbasserà sudando. Ma non possiamo aspettarci che il termostato sia perfetto ed onnipotente: se cadiamo in un tino di olio bollente, il sudore non ci aiuterà più di tanto. La stessa cosa è vera per Gaia che è – principalmente – un termostato planetario che tende a mantenere la temperatura planetaria entro i limiti richiesti perché l'acqua liquida (e quindi per la vita) esista. Non dobbiamo aspettarci che il termostato sia perfetto  ed onnipotente e, infatti, la storia della Terra ha visto accadere ogni sorta di catastrofe, quando il pianeta è diventato molto caldo o molto freddo, quasi distruggendo tutta la vita che vi era contenuta. Ma il sistema ha sempre recuperato ed ha contrastato ogni sorta di perturbazione. Ciò include il graduale aumento dell'irraggiamento solare negli eoni che, se non fosse stato bilanciato da una diminuzione nella concentrazione di gas serra nell'atmosfera, avrebbe dovuto avere un effetto deleterio sulla vita sulla Terra.

Curiosamente, tuttavia, Tyrrel non riesce proprio a vedere il termostato in azione. Una ragione è che è molto difficile capire il sistema di retroazioni della Terra senza tenere conto della geologia e l'autore ha chiaramente dei problemi ad integrare la geologia nella discussione. La geologia, infatti, è la vera e propria “sposa che non c'è” del libro. I cicli dell'ecosistema terrestre coinvolgono scambi continui di materia dalla superficie al mantello e viceversa. Questi cicli rinnovano la composizione atmosferica e forniscono gli elementi chimici necessari alla vita. Senza un nucleo caldo che fornisce energia per questi scambi, la Terra non potrebbe essere un pianeta vivo – sarebbe morto come Marte.

Non che i fenomeni geologici non siano discussi nel libro di Tyrrel, ma spesso lo si fa in modo frettoloso ed insufficiente. Ciò è vero in particolare per il meccanismo principale del termostato terrestre: la degradazione dei silicati. E' parte del ciclo planetario del carbonio, una reazione chimica che rimuove biossido di carbonio dall'atmosfera. Il tasso di reazione dipende dalla temperatura, quindi ha capacità regolatrici della temperatura (vedete questo mio post per un'introduzione e il rif. (1) per una discussione approfondita). Tyrrel menziona la degradazione dei silicati per la prima volta solo a pagina 141, arrivando rapidamente alla conclusione che è solo un fattore negativo per la vita a causa del suo effetto raffreddante (2). A parte qualche menzione nelle note finali, si deve arrivare quasi alla fine del testo principale (pagine 191-192) per trovare una breve esposizione del fatto che la disgregazione dei silicati possa essere parte di un meccanismo che stabilizza la temperatura. La conclusione di Tyrrel è negativa, apparentemente su nessun'altra base se non un generico scetticismo.

Ora, naturalmente si può dissentire su tutte le attuali interpretazioni scientifiche, ma considerato che la reazione dei silicati è un elemento centrale di tutta la questione del termostato, meriterebbe sicuramente un po' più di esposizione prima di respingere Gaia come non esistente. Questo problema non è il solo legato alla geologia del libro. Altri fattori, per esempio l'effetto della luminosità del Sole in aumento, mancano o vengono appena citati. Così, è molto deludente che il libro fallisca così miseramente l'obbiettivo dichiarato – Gaia – specialmente considerando che ha diverse parti che sono ben fatte e che vale la pena leggere, come la discussione sugli effetti delle temperature sulla produttività biologica.

Alla fine, penso che ci sia un problema di fondo nell'approccio di Tyrrel. Nella sezione “Conclusioni”, dichiara che accettare o rifiutare l'ipotesi Gaia ha un forte effetto su “come decidiamo di gestire il Sistema Terra”  e che “Gaia, per la natura stessa dell'ipotesi, inculca una predisposizione a sospettare che le retroazioni naturali siano stabilizzanti”. In altre parole, Tyrrel enfatizza che Gaia potrebbe generare un pericoloso sentimento di compiacimento nella gente e ostacolare i suoi tentativi di combattere il cambiamento climatico.

Mi permetto di dissentire su questo punto. Non che non condivida le preoccupazioni di Tyrrel sul riscaldamento globale, ma nella mia esperienza personale ho notato l'atteggiamento opposto. Il concetto di Gaia come fattore stabilizzante sul clima è normalmente alieno alla mente del tipico negazionista della scienza. Piuttosto, gran parte di loro sembra usare il meme esattamente opposto: “il clima è sempre cambiato”, normalmente senza mostrare il benché minimo interesse su cosa esattamente causi il cambiamento del clima. Naturalmente, internet è così vasto che possiamo trovarci praticamente tutto e, come prova della propria posizione, Tyrrel cita un sito specifico che va sotto il nome di “The Resilient Earth” (La Terra resiliente). Tuttavia, a parte il titolo, i contenuti del sito sembrano essere il solito polpettone di meme negazionisti: "nessun riscaldamento durante gli ultimi 15 anni", "Al Gore è grasso" e cose del genere. L'opinione generale che si può leggere nei siti negazionisti su Gaia è che il concetto è la prova vivente che il cambiamento climatico non è scienza ma una religione – intesa in senso dispregiativo (la figura sotto sembra riassumere l'opinione negazionista di Gaia. Da thepeoplescube.com)


Così, credo che l'ultima cosa di cui dovremmo preoccuparci è che il concetto di Gaia possa ingenerare un pericoloso atteggiamento di “lasseiz faire”. Al contrario, capire i fattori che determinano la temperatura della Terra può solo generare una dose salutare di rispetto per l'equilibrio delicato che ha mantenuto il clima stabile durante gli ultimi 10.000 anni circa. L'omeostasi non è garanzia di assoluta stabilità; ciò vale per l'intero pianeta così come vale per le biciclette (e le seconde sono una cosa che tutti capiscono).

Alla fine, Gaia non è una Dea (di sicuro non una Dea benevola). Non è onnipotente, non ha la capacità di ottimizzare l'ambiente della Terra per la vita e non è affatto una garanzia che possiamo continuare a comportarci come degli hooligan planetari senza subire le conseguenze delle nostre azioni. Gaia è un sistema enorme e complesso, un groviglio gigantesco di retroazioni geologiche e biologiche. Stiamo appena cominciando a capire come questo sistema generi la sua tendenza generale alla omeostasi e come si sia evoluto nel corso di miliardi di anni della sua esistenza (3). Continuerà ad evolvere finché, fra centinaia di milioni di anni, "morirà" quando il Sole diventerà troppo caldo perché i meccanismi omeostatici continuino a funzionare. Nel frattempo dobbiamo continuare a vivere su questo pianeta (se ci riusciamo). Gaia potrebbe non essere la sposa perfetta, ma non possiamo continuare a comportarci come se non esistesse.

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1. Per una panoramica sugli effetti climatici della disgregazione dei silicati, vedete Lee R. Kump, Susan L. Brantley e Michael A. Arthur, Disgregazione Chimica, CO2 Atmosferico e Clima, Rivista Annuale della Terra e delle Scienze Planetarie vol. 28: 611-667 (data di pubblicazione del volume maggio 2000) DOI: 10.1146/annurev.earth.28.1.611

2. Questo punto illustra i problemi che questo libro ha con la geologia. A pagina 142, Tyrrel attribuisce una delle “5 grandi” estinzioni di massa, quella del tardo Devoniano, all'eccessivo raffreddamento causato dalla disgregazione dei silicati. Ma non dice nulla sull'opinione comune che le estinzioni di massa sembrano essere causate dall'eccessivo riscaldamento (compresa quella del Devoniano). Vedete per esempio David L. Kidder, Thomas R. Worsley “Le grandi province eruttive del Fanerozoico (LIPs), episodi di Trasgressione Termica Alina, Acida, Euxinica (HEATT) ed estinzioni di massa” Paleogeografia, Paleoclimatologia, Paleoecologia, volume 295, numeri 1-2, 1 settembre 2010, pagine 162-191

3. per una descrizione completa dei cicli di retroazione del sistema Terra, farete bene a leggere il libro di Tim Lenton e Andrew Watson “Rivoluzioni che hanno Fatto la Terra”. Attenti: non è un libro facile da leggere, ma vale sicuramente lo sforzo.

Su Gaia, vedete anche questi post del sottoscritto Ugo Bardi:

La grande reazione chimica: Vita e Morte di Gaia
Man Vs. Gaia
I prossimi 10 miliardi di anni

martedì 31 dicembre 2013

2014: la chiave per sopravvivere al cambiamento climatico

Da “New Scientist”. 27 dicembre 2013. Di Fred Pearce. Traduzione di MR




State pronti – per qualunque cosa. Sarà questo il messaggio del prossimo rapporto del Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) , il suo primo tentativo in 7 anni di prevedere l'impatto del cambiamento climatico su regioni geografiche specifiche .Uscirà in marzo ed enfatizzerà la versatilità al di sopra di ogni misura di mitigazione ben messa a punto. Costruito sul rapporto del IPCC di ottobre sulla più recente scienza del clima, Impatti, Adattamento e Vulnerabilità  è studiato per prevedere come quelle tendenze globali cambieranno le aree in cui viviamo – così come la natura selvaggia, le disponibilità d'acqua, le alluvioni, il cibo e le economie nazionali. In altre parole, le cose delle quali interessa davvero alla gente.

Le bozze del rapporto suggeriscono quello che, in alcuni casi, esprimerà. Ora c'è una sicurezza maggiore che le siccità peggioreranno nell'Europa meridionale, nel Medio Oriente, nel sud ovest degli Stati Uniti  e probabilmente nell'Australia meridionale. Le latitudini più alte a nord – Scandinavia e Canada, diciamo – possono aspettarsi più pioggia e neve. E si sono intensificati gli avvertimenti sulla la vulnerabilità delle disponibilità mondiali di cibo e del riscaldamento dei tropici. Altrove, comunque, risulta più duro del previsto dare un senso alle tendenze future. Visto che i vari modelli climatici che stanno alla base del rapporto sono migliorati, non convergono sulle previsioni concordate ma sono più in disaccordo e trovano nuove imprevedibilità, particolarmente in Asia e Africa. Una bozza dice semplicemente: “L'impatto del cambiamento climatico sulla disponibilità d'acqua in Africa è incerto”. Per l'Asia è analogamente vago: “C'è una bassa certezza sulle proiezioni dell precipitazioni future”. In parte, questo potrebbe dipendere dal fatto che l'IPCC è rimasto scottato  nel 2010, dopo aver fatto la dichiarazione errata secondo la quale l'Himalaya sarebbe stato senza ghiaccio dal 2035, denominata “glaciergate”. (ma era solo un errore di stampa - NdE)

Ma la cautela è in gran parte giustificata: gli scienziati semplicemente non lo sanno. In assenza di specifiche, come si dovrebbero preparare i paesi per il cambiamento climatico? Non possiamo più aspettarci di avere previsioni dettagliate che ci permettono di perfezionare le nostre risposte – costruire dighe più grandi, diciamo, o investire in aria condizionata. Invece, dobbiamo pensare di più alla riduzione delle nostra vulnerabilità a qualsiasi cambiamento climatico ci si potrebbe scagliare contro, per esempio riproducendo colture che possano gestire sia siccità che alluvioni, o costruendo barriere di difesa dalle alluvioni per far fronte ad ogni evenienza.






lunedì 30 dicembre 2013

Fondi neri contro la scienza del clima

Da “Daily climate”. Traduzione di MR

Il Campidoglio degli Stati Uniti di notte: Un passaggio a donazioni da parte di organizzazioni che negano il cambiamento climatico mina la democrazia, secondo l'autore di un nuovo studio che traccia i contributi di tali gruppi. Foto di Rik Koenig/flickr .

21 dicembre 2013

Scavando fra le basi del movimento di negazione del clima, uno studio dell'Università di Drexel scopre una grande fetta di donazioni incanalate attraverso organizzazioni di passaggio che nascondono il finanziatore originale. Le Koch Industries e la ExxonMobil scompaiono dai database pubblici tracciabili dal 2007.

Di Douglas Fischer

I più grandi e consistenti finanziatori che alimentano il movimento negazionista del cambiamento climatico sono alcune fondazioni conservatrici ben finanziate costruite col cosiddetto “denaro nero”, o donazioni nascoste, secondo un'analisi  uscita venerdì pomeriggio. Lo studio, del sociologo dell'Università di Drexel Robert Brulle, è il primo tentativo accademico di provare le basi organizzative e finanziarie che stanno dietro al movimento negazionista. Questo ha scoperto che la quantità di soldi che fluiscono attraverso terze parti, fondazioni di passaggio come Donors Trust o Donors Capital, i cui finanziatori non possono essere rintracciati, è salito drammaticamente negli ultimi 5 anni.

In tutto, 140 fondazioni hanno incanalato 558 milioni di dollari a quasi 100 organizzazioni negazioniste dal 2003 al 2010. Nel frattempo il flusso di contante tracciabile da fonti più tradizionali, come le Koch Industries e la ExxonMobil, sono scomparse. Lo studio è stato pubblicato venerdì nella rivista Climatic Change. “il contro-movimento sul cambiamento climatico ha avuto un vero e proprio impatto politico ed ecologico sullla mancata azione del mondo rispetto al riscaldamento globale”, ha detto Brulle in una dichiarazione. “Come in un dramma di Broadway, il contro-movimento ha le sue star sotto i riflettori – spesso prominenti scienziati contrari o politici conservatori – ma dietro alle star c'è una struttura organizzativa di direttori, sceneggiatori e produttori”. “Se si vuol capire cos'è che guida questo movimento, si deve guardare a quello che succede nei retroscena”.

Finanziatori consistenti 


Per scoprire tutto questo, Brulle ha sviluppato un elenco di 118 influenti organizzazioni negazioniste negli Stati Uniti. Poi ha codificato i dati sul finanziamento filantropico di ogni organizzazione, mettendo insieme le informazioni del Foundation Center, un database della filantropia globale, coi dati finanziari forniti dalle organizzazioni all'Agenzia delle Entrate. Secondo Brulle, i più grandi e consistenti finanziatori erano alcune fondazioni che promuovono “idee di mercato ultra liberista” in molti campi, fra le quali ci sono la Searle Freedom Trust, la fondazione John Williams Pope, la fondazione Howard Charitable e la fondazione Sarah Scaife. Un'altra scoperta chiave: dal 2003 al 2007, le fondazioni affiliate a Koch e ExxonMobil sono state “fortemente coinvolte” nel finanziamento dei tentativi di nagazionismo climatico. Ma La Exxon non ha fatto contubuti pubblicamente tracciabili dal 2008 e gli sforzi di Koch sono drammaticamente diminuiti, ha detto Brulle. In coincidenza con un declino dei finanziamenti tracciabili, Brulle ha scoperto un drammatico aumento nel flusso di contante alle organizzazioni negazioniste da parte di Donors Trust, una fondazione diretta dai donatori i cui finanziatori non possono essere tracciati. Questa fondazione, ha scoperto la valutazione, ora conta per il 25% di tutte le fondazioni di finanziamento tracciabili usate dalle organizzazioni per promuovere il negazionismo sistematico del cambiamento climatico. Una chiamata ed una e-mail a Donors Trust venerdì sera non hanno ricevuto risposta.

Questione di democrazia

Alla fine, Brulle ha concluso che le registrazioni pubbliche identificano solo una frazione dei centinaia di migliaia di dollari che sostengono gli sforzi negazionisti. Il 75% circa degli introiti di quelle organizzazioni, ha detto, provengono da fonti non identificabili.


E, per Brulle, questa è una questione di democrazia. “Senza un flusso libero di informazioni precise, le politiche democratiche e la responsabilità del governo diventa impossibile”, ha detto. “I soldi amplificano certe voci al di sopra delle altre e, di fatto, danno loro un megafono nella piazza pubblica”. Finanziatori potenti, ha aggiunto, stanno sostenendo la campagna per negare le scoperte scientifiche sul riscaldamento globale e soillevare dubbi su “radici e rimedi” di una minaccia sulla quale la scienza è chiara. “Perlomeno, gli elettori americani meritano di sapere chi c'è dietro questi tentativi”.



domenica 29 dicembre 2013

Il petrolio e lo scoppio della bolla economica mondiale

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Di Nafeez Ahmed 

I grandi settori industriali sono a rischio senza una transizione rapida ad un'economia post petrolio più resiliente

I prezzi della benzina sono continuati a salire mentre i prezzi del petrolio raggiungono nuovi picchi. Foto: Lewis Whyld/PA

Uno studio multi-disciplinare condotto dall'Università del Maryland chiede un'azione immediata dai settori di governo, privati e commerciali per ridurre la vulnerabilità all'imminente minaccia del picco del petrolio globale, che potrebbe mettere l'intera economia statunitense ed altre grandi economie industriali a rischio. Lo studio peer- review contraddice le recenti dichiarazioni dell'industria petrolifera secondo le quali i picco del petrolio è stato compensato a tempo indeterminato dal gas di scisto ed altre risorse di petrolio e gas non convenzionale. Un rapporto del World Energy Council (WEC) dello scorso mese, per esempio, dichiarava che era improbabile il picco del petrolio si realizzasse entro i prossimi 40 anni almeno. Questo è dovuto alle riserve globali che sono del 25% più alte che nel 1993. Secondo il rapporto del WEC, l'80% dell'energia globale è attualmente prodotta da petrolio, gas e carbone, una situazione che è probabile che continui nel prossimo futuro.

Il nuovo studio dell'Università del Maryland, al contrario, conduce una revisione della letteratura scientifica sulla produzione globale di petrolio e obbietta che la massa degli studi credibili e indipendenti indica indica che un “picco di produzione del petrolio convenzionale [è] probabile prima del 2030”, con un “rischio significativo” che possa avvenire “prima del 2020”. Il petrolio non convenzionale come le sabbie bituminose canadesi è “Improbabile che si espandano a sufficienza da compensare il divario” e questo vale anche per il “petrolio e il gas di scisto”.I pozzi di scisto, sostiene lo studio, “raggiungono il loro livello di produzione massimo (picco) molto prima di quelli convenzionali e sono pertanto difficili da gestire con profitto”.Anche se l'USGS (United States Geological Survey), la IEA (Energy Information Administration) e la IEA (International Energy Agency) stimano priezione secondo le quali il declino del petrolio convenzionale sarà più che compensato da giacimenti “ancora da sviluppare” o “ancora da scoprire”, altri studi scientifici trovano che queste “proiezioni sono eccessivamente ottimistiche”. Il nuovo studio è pubblicato nellla rivista Global Environmental Change (GEC) dall'eminente editore accademico Elsevier. GEC è la più influente rivista di studi geografici e ambientali del mondo. Facendo una mappatura dei settori chiave più vulnerabili all'impatto del picco del petrolio, il saggio conclude:

“Dato che ci sono prove sostanziali del fatto che il Picco del Petrolio sia imminente, la scarsità di ricerca che guardi ai potenziali impatti economici di questo fenomeno è sorprendente”. 

Lo studio nota che “la scarsità di petrolio pone un rischio molto alto per le economie” e indicano le prove secondo le quali gli alti prezzi del petrolio sono stati una “causa parziale” della crisi finanziaria globale del 2008. Per concentrarsi sull'economia statunitense – la più grande consumatrice di petrolio e di prodotti a base di petrolio del mondo – lo studio ha scoperto che tutti i grandi settori industriali erano a rischio, compreso quello alimentare e dalla trasformazione del cibo, dell'agricoltura primaria, dei metalli e dalla loro lavorazione e dei trasporti:

"Siccome tali settori contribuiscono in modo sostanziale al PIL statunitense e siccome sono collegati molti altri settori, potrebbero mettere l'intera economia a rischio in caso di Picco del Petrolio o di altre interruzioni della fornitura. L'attuale sistema economico dipende fortemente da essi e la loro produzione potrebbe diventare significativamente più costosa a causa degli aumenti del prezzo del petrolio".

Il FMI (Fondo Monetario Internazionale) ha calcolato che perché l'economia globale cresca del 4% nei prossimi 4 anni, la produzione di petrolio deve aumentare del 3% all'anno. Questo sembra sempre più improbabile.

Lo scorso anno, in un saggio su Nature scritto insieme a Sir David King, l'ex capo consigliere scientifico del governo britannico ed attualmente delegato del governo per il cambiamento climatico, ha concluso che un “punto di non ritorno” nella fornitura globale di petrolio è stato raggiunto sin dal 2005, con la produzione globale convenzionale che ha toccato il tetto di circa 75 milioni di barili al giorno (Mb/g) nonostante l'aumento dei prezzi del 15% all'anno. Questo saggio ha anche notato che la produzione nei pozzi di gas di scisto può crollare dal 60 al 90% nel primo anno di operazioni. Ci sono due modi principali per adattarsi a questo rischio potenziale, secondo il nuovo studio. Uno è di diminuire la vulnerabilità dei settori critici:

“Fra gli esempi potrebbe esserci il contenimento della forte dipendenza dai fertilizzanti promuovendo le tecniche di agricoltura biologica o ridurre la distanza complessiva percorsa da persone a beni incoraggiando economie locali e decentralizzate”. 

L'altra è identificare dei sostituti per i settori vulnerabili con produzioni da settori meno vulnerabili.
Il problema col secondo approccio è che “la nostra società sta raggiungendo i limiti del flusso di produzione globale possibile di molte risorse naturali”, compresi carbone, fosforo, uranio ed altri minerali. Tuttavia, i rischi mappati qui potrebbero aiutare a “progettare una tabella di marcia verso un'economia post petrolio”.

Il Dr Nafeez Ahmed è direttore esecutivo dell'Institute for Policy Research & Development e autore di Guida alla crisi della Civiltà: e come salvarla, fra gli altri libri. Seguitelo Twitter@nafeezahmed


venerdì 27 dicembre 2013

François Roddier: oltre l'effetto "Regina Rossa"

Da “Oil Man”. Traduzione di MR


Tutti s'inchinano di fronte alla Regina Rossa di “Alice nel paese delle Meraviglie” (Disney, 1951)


Di Matthieu Auzanneau

Un astrofisico francese reinterpreta l'evoluzione dell'universo della vita e delle società umane a partire dalla termodinamica e scopre la mostruosa trappola che ci è stata tesa. Rivoluzionario?

“Qui, vedete, bisogna correre il più velocemente possibile per rimanere nello stesso posto”, dice la Regina Rossa in “Attraverso lo specchio e quel che alice vi trovò” di Lewis Carrol.

Per affrontare l'esaurimento dei giacimenti di petrolio entrati in declino, l'industria dell'oro nero deve incessantemente mettere in produzione delle risorse nuove intatte: l'equivalente di quattro Arabie Saudite supplementari da trovare in soli 10 anni, secondo la compagnia Shell, sono niente di meno che la metà della produzione mondiale attuale. Sfida vertiginosa, forse impossibile, al centro degli argomenti discussi su questo blog.

Ho preso l'abitudine di confrontare questa necessità implacabile ad una corsa sul tapis roulant. Più o meno, la stessa corsa fatidica è quella di impegnarsi per tutte le risorse finite alle quali siamo ricorsi. Dal suo successo o fallimento dipende senza dubbio la sorte dell'economia della crescita.

Quando l'ambiente si evolve più rapidamente di quanto una specie vivente vi si possa adattare, questa specie è destinata ad estinguersi. E' ciò che il biologo americano Leigh Van Valen ha chiamato nel 1973 l'effetto “della regina rossa”.

François Roddier, fisico francese conosciuto per i suoi lavori in astronomia, ha fatto di questo effetto “della Regina Rossa” il fulcro di un notevole saggio sul futuro della specie umana pubblicato nel 2012. Il suo titolo: Termodinamica dell'evoluzione.

Mettete dei cubetti di ghiaccio e dell'acqua calda in un Termos, otterrete dell'acqua che rimarrà tiepida; chiudete una mosca in un piccolo contenitore ermetico e lei morirà molto rapidamente: un sistema chiuso, privato di qualsiasi apporto esterno, tende inevitabilmente all'immobilità. Esso vede crollare le sue strutture organizzate. I fisici lo chiamano “l'equilibrio termodinamico”.

L'evoluzione di un sistema aperto, alimentato da un apporto esterno di energia, è più sorprendente, ma non per questo meno familiare.

Quando un sistema riceve un flusso continuo di energia, questo flusso permette la comparsa di “strutture dissipative di energia” messe in evidenza da Ilya Progogine, premio Nobel per la chimica nel 1977.

Il mondo è pieno di tali strutture.

Le stelle sono delle strutture dissipative d'energia, che trasformano l'energia gravitazionale attraverso delle reazioni nucleari e la dissipano sotto forma di irraggiamento. Un ciclone è un'altra forma di struttura dissipativa, si dispiega grazie alla differenza di calore fra l'equatore e i poli. Gli esseri viventi sono in tutta evidenza delle strutture dissipative di energia, così come le società umane, a maggior ragione.

Tutte queste forme molto diverse si strutturano grazie ad una stessa affascinante proprietà: le strutture dissipative si mantengono  producendo dell'energia interamente gratuita convertibile in lavoro meccanico. Per fare questo, esse utilizzano al massimo il flusso di energia nel quale appaiono.

”Le strutture dissipative si auto organizzano in modo tale da massimizzare il flusso di energia che le attraversa”, scrive François Roddier. Di colpo, esse ”massimizzano la velocità alla quale l'energia si dissipa” attraverso di loro.

Ed è là che cominciano i problemi.

Le strutture dissipative obbediscono tutte alle leggi fisiche che regolano il comportamento dell'energia: le leggi della termodinamica. L'energia si conserva (prima legge della termodinamica), ma finisce sempre per dissiparsi sotto forma di calore (seconda legge). Questa dissipazione è irreversibile. L'energia – elettrica, chimica, ecc. - una volta trasformata in calore, non è più gratuita: essa è più o meno “persa”, nel senso che il calore non non può essere interamente riconvertito in lavoro meccanico. In termodinamica, la misura della dissipazione dell'energia sotto forma di calore, altrimenti detta la misura della disorganizzazione dei sistemi, del disordine irrimediabilmente crescente del mondo, si chiama entropia.

Le strutture dissipative massimizzano la velocità alla quale dissipano l'energia, si può dire che esse massimizzino il tasso di produzione dell'entropia: esiste una legge di produzione massima di entropia (MaxEP, secondo l'acronimo inglese). Questa legge, empirica, non è stata perfettamente dimostrata dai matematici.

“Essa tuttavia si conforma all'esperienza”, insiste François Roddier in uno scambio via email. “Essa ha il merito di collegare la biologia alle leggi della fisica. Essa si applica anche alle scienze umane. Le società umane si auto organizzano per massimizzare il loro tasso di dissipazione di energia”.

Secondo Roddier, la comparsa nel corso della storia dell'universo di forme di strutture dissipative che massimizzano intorno a sé l'entropia in modo sempre più efficacie, costituisce il senso stesso dell'evoluzione, “dal Big Bang alle scienze sociali”.

A 77 anni, l'astrofisico giudica lui stesso la sua teoria “ardita”, ma non per questo non la difende con serenità.

L'idea non è del tutto nuova. Nel 1922, l'americano Alfred Lotka, celebre per i suoi lavori sulla dinamica delle popolazioni, ha affermato che la selezione naturale tende a massimizzare il flusso di energia che attraversa le strutture organiche. Nel corso degli anni sessanta, l'ecologista americano Howard Odum ha suggerito che la proprietà identificata da Lotka sarebbe una legge termodinamica ribattezzata “principio di potenza massima”. In un articolo pubblicato nel 1997, l'americano Rod Swenson ha stimato che una legge di produzione massima d'entropia ”spiega perché, invece di vivere in un mondo altamente improbabile, noi viviamo e siamo il prodotto di un mondo da cui ci si può infatti aspettare che produca tanto ordine quanto è capace di produrne”.

Dopo diversi decenni, dei fisici, dei chimici, dei biologi e dei cibernetici esplorano e mettono in dubbio questa legge empirica, ipotetica, di produzione del massimo dell'entropia.

François Roddier, osa presentare la produzione massima di entropia delle strutture dissipative come l'autentica ”terza legge della termodinamica”. Nella misurazione di questa “legge”, l'astrofisico francese reinterpreta l'evoluzione del cosmo e della vita, fino alla storia dell'economia, della politica e anche della religione! Impossibile riassumere qui tutto il percorso, mi accontento delle sue trame e delle sue conclusioni, terribili, per il mondo di oggi. Diciamo che questo percorso è mozzafiato, a volte sconcertante ma molto più spesso convincente, sempre accattivante e soprattutto... perfettamente coerente con l'ipotesi di partenza.

Alcuni parleranno senza dubbio di un guazzabuglio di analogie. Non è ciò che sento io, ma io non sono che un giornalista: approfondite.

Esplorando un'intuizione condivisa con altri, Roddier non esita a seguire il suo ragionamento fino a molto lontano sul terreno della speculazione e della congettura. E' il privilegio del saggista.

Opportunità senza precedenti (e senza dubbio discutibili) vengono così aperte. Eccone la trama.

Auto organizzandosi, una struttura dissipativa – stella, organismo vivente, ecc. - riesce a diminuire la sua entropia interna, in cambio di un aumento del flusso di entropia che la attraversa. Essa “esporta la propria entropia”, scrive François Roddier. Tutti dicono che la natura aborrisce il vuoto. Sembrerebbe anche che ogni volta che può, la natura fa comparire queste strutture che lottano contro l'aumento inesorabile dei propri livelli di entropia massimizzando l'entropia dei loro ambienti.

L'astrofisico americano Eric Chaisson ha mostrato nel 2001 che nel corso della storia dell'universo sono apparse delle strutture capaci di dissipare l'energia in modo sempre più efficace, rapportando la loro produzione di energia gratuita alla loro massa:

François Roddier, ”Termodinamica dell'evoluzione”, Edizione Parole 2012, p. 50.

”E' impressionante constatare che un essere umano dissipa per unità di massa diecimila volte più energia del Sole”, nota François Roddier, che afferma:

“La terza legge della termodinamica implica che l'Universo si auto organizzi in modo tale da massimizzare il suo tasso di produzione di entropia. Esso crea delle strutture dissipative capaci di produrre dell'energia gratuita e di dissipare questa energia in modo sempre più efficacie”. (p. 50.)

L'entropia permette di misurare il livello di organizzazione o di disorganizzazione di un sistema. Dai lavori già vecchi dei fisici americani Willard Gibbs poi di Claude Shannon, sembra che un aumento dell'entropia possa essere considerato come una perdita d'informazione. L'entropia che esportano le strutture dissipative “equivale a una importazione di informazione” sul loro ambiente, riassume François Roddier (... che fornisce i dettagli su questo punto decisivo e delicato nel forum riportato qui).

Più una struttura dissipativa sarà in grado d'acquisire dell'informazione sul suo ambiente, più essa massimizzerà la sua produzione di entropia.

Con la comparsa della vita, l'efficacia della dissipazione di energia ha accelerato, afferma Roddier, all'inizio grazie alla trasmissione dell'informazione genetica, poi grazie all'emergere dell'intelligenza, infine grazie all'evoluzione culturale, la quale tende  mettere in comune le intelligenze in modo incessantemente più vasto e più intenso, fino alla comparsa dell'Internet di oggi.

Dove ritroviamo l'effetto della Regina Rossa e del tapis roulant: più una struttura dissipa efficacemente l'energia, più rapidamente essa altera il suo ambiente, più rapidamente questa deve acquisire dell'informazione su quell'ambiente e più evolve di conseguenza al fine di restarvi adattata!

L'umanità sarebbe impegnata in una corsa fra l'accrescimento dell'entropia che essa stessa genera e l'accrescimento dell'informazione che è in grado di aggregare in quanto massimizza la propria produzione di entropia. Là si ritrova precisamente l'idea di “spirale energia-complessità” che propone l'antropologo americano Joseph Tainter, presentata su questo blog nel 2011. In Roddier, l'idea stavolta è radicata nella storia intera dell'evoluzione.

Questa evoluzione tende necessariamente, secondo François Roddier, all'emergere di un “cervello globale che ha cominciato a costituirsi col secolo dei Lumi e dovrebbe portare ad una “simbiosi di tutti gli esseri umani”.

In attesa di realizzare questo antico sogno (quello di Lovelock, Azimov, Deleuze e Guattari, Teilhard de Chardin, Spinoza oppure del profeta Micah), “il cervello globale dell'umanità attraverserà ineluttabilmente un periodo da incubo” , profetizza a sua volta François Roddier :

“Le società umane (…) si auto organizzano formando un “cervello globale” capace di memorizzare sempre più informazioni. Queste informazioni permettono loro di dissipare sempre più energia. E' ciò che chiamiamo progresso scientifico e tecnico”. (p. 36.)

”Nutrita fin qui dalle energie fossili, una specie di latte materno fornito dalla Terra che l'ha generato, l'umanità si è potuta sviluppare. E' quasi la prova di recesso. Divenuta adulta, essa dovrà apprendere a nutrirsi da sola. L'umanità si renderà allora conto che solo l'energia solare può assicurare la sua sopravvivenza a lungo termine. (…) Tutte le altre forme di energia  - specialmente nucleare – sono escluse, perché, aumentando irreversibilmente la loro entropia, esse portano necessariamente l'umanità alla sua condanna”. (p. 164.)

Il petrolio, “latte materno” delle società moderne? (D.R.)

Non sorprende che François Roddier unisca gli obbiettori della crescita. Egli offre alla loro battaglia etica contro l'avidità una giustificazione fisica e biologica, vale a dire ecologica:

“La selezione naturale ha favorito la cultura liberale, perché è la specie culturale più adattabile ai cambiamenti. Favorendo la competizione e le disuguaglianze, essa facilita l'adattamento della società ad un progresso tecnico sempre più rapido”. (p. 138.)

“Non possiamo né ridurre le disuguaglianze sociali, né proteggere il nostro ambiente senza rallentare la nostra crescita economica. Ma siamo tutti in competizione per massimizzare la dissipazione d'energia”.  (p. 153.)
“Il PIL (Prodotto Interno Lordo) di una società è una misura del suo tasso di produzione di entropia. (…) Massimizzando il suo profitto, il produttore massimizza il suo tasso di produzione di entropia”. (p. 176 & 177.)

“La produzione di energia gratuita è massima quando tutte le operazioni effettuate sono reversibili. Tutti i fisici dicono che una trasformazione è particolarmente più vicina alla reversibilità di quella che è effettuata lentamente. Quindi dobbiamo rallentare la velocità dei cicli, cioè aumentare la durata di vita di tutti i prodotti che fabbrichiamo”. (p. 165.)

... La sospensione ieri da parte del governo Ayrault della tassa ambientale sui veicoli pesanti non è un'incidenza della legge di massimizzazione dell'entropia, allo stesso tempo un indice della trappola che ci tende la regina Rossa? In un contesto diverso e pertanto di tutte le altre premesse ideologiche, il presidente boliviano Evo Morales stesso ha dovuto rinunciare a sopprimere gli aiuti al trasporto su gomma;  quanto all'esperienza nel vicino stato dell'Ecuador per preservare il parco naturale di Yasuni dalle perforazioni petrolifere.

(pubblicata dal mensile “La Décroissance” - La Decrescita)

L'81,6 % dell'energia prodotta nel mondo è sempre di origine fossile, finita, esauribile (petrolio, carbone e gas naturale). La percentuale è pressoché la stessa che durante lo shock petrolifero del 1973; nel frattempo, la produzione mondiale di energia è più che raddoppiata.  

Continuiamo a dissipare quell'energia sempre più velocemente, mentre il nostro “cervello globale” fa dei nodi e dei cerchi. Non si è vinto, ma bisogna essere giocatori. 

François Roddier, Thermodynamique de l'évolution, Edizioni Parole, Artignosc-sur-Verdon, 2012, €19.


Conferenza nella quale Roddier condensa in modo brillante la sua tesi (2010):




martedì 24 dicembre 2013

Buon Natale senza carbone!


I bambini cattivi ricevono il carbone, quelli buoni i pannelli fotovoltaici!

venerdì 20 dicembre 2013

Il pianeta saccheggiato: un rapporto al Club di Roma

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR (Peak & Transition Translators Team)


Questa è una versione testuale di un discorso che ho tenuto al forum sulle Risorse Mondiali di Davos il 7 ottobre 2013. Per una descrizione più dettagliata dello stesso tema vedete questo post su un precedente discorso a Dresda.

Signore e signori, è un piacere essere qui ed oggi il mio compito è quello di raccontarvi una cosa che sta alla base di qualsiasi cosa facciamo: le risorse minerali. E' il tema di un libro che è il risultato di un programma di ricerca sponsorizzato dal Club di Roma e che ha coinvolto me ed altri 16 coautori. Ecco la copertina de “Il Pianeta Saccheggiato”.


Al momento esiste solo una versione tedesca, stiamo lavorando su quella inglese, ma ci vorrà un po' di tempo – alcuni mesi. In ogni caso, il titolo dovrebbe esservi chiaro anche se non parlate tedesco e potete notare che diciamo “Il Pianeta Saccheggiato”, non “Il Pianeta Migliorato” o “Il Pianeta Sviluppato”. No, il concetto è questo: saccheggiato. Come esseri umani, ci siamo comportati con le risorse minerarie come se fossimo pirati che saccheggiano un galeone catturato, arraffando tutto ciò che possono e più velocemente che possono.

Ora, naturalmente, c'è un problema con l'idea di saccheggiare il pianeta Terra. Cioè quanto a lungo possiamo andare avanti a farlo. A livello di base, è questione di buon senso: sappiamo che una volta che abbiamo bruciato il petrolio, questo finisce. Sappiamo che dopo che abbiamo disperso il rame in piccoli pezzetti sparpagliati non lo possiamo recuperare. Sappiamo che i diamanti sono per sempre, forse, ma sappiamo anche che, una volta che li abbiamo estratti da una miniera, non cene saranno più in quella stessa miniera.  Le risorse minerarie non sono infinite. 

Così, c'è questa domanda fastidiosa: per quanto a lungo possiamo continuare ad estrarre? E' una domanda che ci siamo cominciati a porre nel 19° secolo e la risposta è sia facile sia difficile. E' facile dire “non per sempre”, ma è difficile dire esattamente per quanto tempo. Quindi, che forma assumerà l'esaurimento? Come verrà percepito nell'economia? E, visto che pensiamo di essere tanto intelligenti, possiamo trovare qualche trucco per evitare, o perlomeno ritardare, il problema?

Il primo studio che ha tentato di quantificare questa domanda è il rapporto che è stato sponsorizzato dal Club di Roma già nel 1972, "I Limiti dello Sviluppo". Ne avrete sicuramente sentito parlare: ecco la copertina di quel libro:


Ora, avrete probabilmente sentito dire anche che questo studio era “sbagliato”, cioè, che aveva fatto previsioni errate, che era basato su dati e modelli errati e accuse simili. Ciò è stato il risultato di un'ondata di critiche, un vero e proprio tsunami direi, che ha fagocitato il libro ed i suoi autori dopo la pubblicazione dello studio. Gli autori sono stati accusati non solo di aver sbagliato, ma di far parte di una cospirazione globale che puntava a rendere schiava la razza umana e a sterminare le razze di colore (non sto scherzando, è stato detto diverse volte). 

Tuttavia, se c'è stata una reazione così aspra al libro è stato anche perché esso andava al cuore di alcune assunzioni fondamentali della nostra società, della nostra credenza più profonda che, in qualche modo, non solo la crescita è sempre buona, ma che possiamo continuare a crescere per sempre. Ma il libro diceva che questo era impossibile. E non diceva solo questo, diceva che i limiti della crescita sarebbero apparsi in un lasso di tempo che non era di secoli, ma solo di decenni. Sotto potete vedere i principali risultati dello studio del 1972, lo scenario chiamato “caso base” (o “scenario standard”). I calcoli sono stati rifatti nel 2004, dando risultati analoghi:

Quindi potete capire le ragioni della rabbiosa reazione negativa allo studio. E' la stessa cosa che sta accadendo oggi per il Cambiamento Climatico. Siamo umani, se vediamo qualcosa che non ci piace tendiamo a cercare modi per ritenerla sbagliata. E' normale, ma a volte diventa patologico, come è accaduto nel caso dello studio del 1972. Ho descritto questa storia in un mio libro: “I Limiti dello Sviluppo Rivisitati”.

Sono sicuro che fra voi stiate confrontando queste curve con l'attuale situazione economica e vi chiediate se questi vecchi calcoli possano risultare essere sorprendentemente buoni. Ma mi piacerebbe anche dire che queste curve non sono – e non sono mai state – da considerarsi come previsioni. No, gli autori dello studio hanno detto chiaramente che non volevano che questa fosse una profezia. Queste curve, produzione, estrazione, ecc..., hanno detto, sono i risultati dell'azione umana e che potevamo agire – avremmo potuto agire – in modo tale da evitare che il collasso mostrato nello scenario si verificasse. Sfortunatamente, non è stato fatto nulla e questo scenario si sta pericolosamente dimostrando essere una profezia.  

Allora, come mai questo modello ha descritto così bene il comportamento dell'economia mondiale (e potrebbe descriverne il futuro)? Be', ho parlato di questo in un mio discorso più ampio, ma qui posso solo dirvi che il modello era basato su ipotesi ragionevoli, in gran parte sul buon senso e sull'idea che la gente cerca di massimizzare i propri profitti a breve termine, che è un assunto tipico della maggior parte dei modelli negli studi economici. Ma, piuttosto che scendere nei dettagli, vi mostrerò qui come si confronta il modello coi dati storici e come può essere considerato, entro certi limiti, uno strumento predittivo. 

Per prima cosa, lasciate che riassuma il “cuore” dei risultati del modello. Questi risultati, naturalmente, cambiano a seconda delle ipotesi iniziali, ma c'è un risultato di fondo che continua a ritornare. Ciò che otteniamo da parametri come la produzione o l'accumulo di capitale, a prescindere da come organizzate i loro elementi, è una curva a campana, quella che Hubbert aveva già proposto nel 1956:


Questa curva potrebbe essere o meno inclinata, potrebbe essere irregolare, ma questo cambia poco sul fatto che la parte in discesa non è piacevole come la parte in salita per coloro che la vivono. Ora, ci sono molti esempi della tendenza dei sistemi del mondo reale a seguire la curva a campana, ma lasciate che ve ne mostri solo uno, un grafico fatto recentemente da Jean Laherrere: 


Questi sono i dati della produzione mondiale di petrolio. Come potete vedere, ci sono delle irregolarità e delle oscillazioni. Ma notate come, dal 2004 al 2013, cioè 9 anni, abbiamo seguito la curva: ci muoviamo su strade prevedibili. Questo è un modello molto semplice; la sua sola ipotesi è che la produzione seguirà una curva a campana. E lo fa, naturalmente entro certi limiti. Ma notate come già 9 anni fa avremmo potuto prevedere ragionevolmente bene la produzione di petrolio di oggi.  Abbiamo dei buoni metodi di previsione, apparentemente.

Naturalmente, ci sono altri elementi in questo sistema. Nella figura sulla destra potete vedere anche l'apparizione delle cosiddette risorse petrolifere “non convenzionali”, che seguono la propria curva e che stanno mantenendo la produzione di combustibili liquidi (un concetto leggermente diverso da quello di “petrolio greggio”) piuttosto stabile o leggermente in aumento. Ma, vedete, il quadro è chiaro e la capacità predittiva di questi modelli è ragionevolmente buona. Dobbiamo solo prestare loro un po' di cura: i fattori politici possono cambiare molto queste curve e se cercate una curva a campana nella produzione dell'Arabia Saudita non ne troverete una. Ma questo ci dice semplicemente una cosa che sappiamo già: il governo saudita controlla la produzione sulla base di fattori politici piuttosto che sulla base della ricerca dei profitti immediati. 

Quindi, il modello rivela una tendenza. Mostra cosa accade normalmente in un sistema in cui la gente cerca di sfruttare una risorsa non rinnovabile ottenendone il massimo profitto. E c'è una ragione per questo comportamento. Ciò che fa la gente, ovviamente, è sfruttare prima le risorse “facili”. Meno sforzo fai per estrarre ed elaborare una risorsa, più alto è il profitto che puoi trarne. Immaginate quindi di trovare un blocco di carbone appena sotto la superficie. Lo prendete, lo portate a casa e lo bruciate. Fare questo non vi costa quasi niente in energia – è questo più o meno che la gente faceva agli albori della “rivoluzione del carbone”; raccoglieva semplicemente il carbone a livello del terreno. Ma poi, naturalmente, ha esaurito questo carbone facile. Dovevano scavare tunnel sotterranei e questo comportava molto lavoro. Oggi, siamo giunti a una cosa del genere:


Questa immagine proviene dalla copertina de “Il Pianeta Saccheggiato” e mostra una ruota gigante usata per estrarre il carbone; sta da qualche parte in Germania. Ora, pensate un attimo a quanta energia serve per fare una ruota simile. Dovete estrarre minerale di ferro da una miniera, fonderlo, trasformarlo in acciaio e alla fine trasformarlo in quella cosa enorme. E questo non è tutto – è tanta l'energia di cui avete bisogno per far funzionare la ruota, per portare via il carbone dalla miniera e così via. E' difficile pensare che potremmo essere così intelligenti da trovare modi per estrarre carbone senza usare questo tipo di attrezzatura. Pensate a come si potrebbe sostituire quella ruota gigante con un iPad!

Ecco, c'è questo problema fondamentale. State estraendo carbone per ottenerne energia. Ma dovete spendere energia per estrarre carbone. Quindi è uno scambio. Potete misurare quanto sia buono l'affare prendendo il rapporto fra l'energia ottenuta e l'energia spesa (EROI o EROEI). Più alto è il rapporto, più siete felici. Questo vale per tutti i minerali che producono energia: petrolio, gas e simili e non sarete sorpresi di sapere che questo rapporto tende a scendere mentre continuate a sfruttare la vostra risorsa. Cioè mentre impoverite la vostra risorsa, i vostri rendimenti scendono. Ciò è mostrato in questa figura (di David Murphy):


Vedete che la percentuale di energia “netta”, cioè l'energia che guadagnate, scende mentre esaurite le risorse “buone”. Per EROEI al di sotto di 20, il problema è significativo e al di sotto di 10 diventa grave. E, come vedete, ci sono molte risorse energetiche che stiamo usando negli ultimi tempi che hanno questo tipo di basso EROEI. 

Ora, il problema dei ritorni decrescenti esiste anche per i minerali che non vengono estratti per produrre energia. Dobbiamo ancora spendere energia per estrarre i minerali e, mentre comincia l'esaurimento, dovete usare sempre più energia. Ciò rende la risorsa più costosa. E non c'è dubbio che questo processo sia in corso. Servono enormi quantità di energia per estrarre la quantità di beni minerali di cui ha bisogno la società industriale. Lasciate solo che vi mostri un esempio: 


Questa è la miniera di rame di Morency, in Australia; potete farvi un'idea della dimansione dell'operazione quando capite che qui puntini bianchi sulla sinistra sono degli edifici. Questa è la misura tipica dell'industria mineraria moderna – la quantità di energia che impiega è a sua volta enorme. Si può stimare che sia sull'ordine del 10% dell'energia primaria totale prodotta nel mondo.  

A questo punto, penso che possiate capire le ragioni della curva “a campana”. L'impoverimento non è un fenomeno del tipo “tutto o niente”. E' un'evoluzione graduale nella quale l'estrazione mineraria diventa sempre più costosa; ciò significa sia in termini di energia necessaria sia in termini di soldi. Mentre il vostro profitto diminuisce lentamente, vi rimangono sempre meno risorse da investire in ulteriore estrazione mineraria. Così, non è possibile continuare a crescere, si arriva a un picco e ad un declino. Naturalmente, ci sono molti più fattori che influenzano la curva: i prezzi, gli interventi politici, la tecnologia, eccetera. Ma il cuore del modello, il declino dell'energia netta, rimane un fattore potente nella formazione delle curve di produzione che, a loro volta, condizionano l'economia e generano un declino globale. 

Quindi, dato che questo è il modello, dove ci troviamo in termini reali? Ecco alcuni dati complessivi:

(Da un saggio di Krausmann et al, 2009 http://dx.doi.org/10.1016/j.ecolecon.2009.05.007)

Questi dati arrivano fino al 2005; da allora, queste tendenze si sono mantenute anche se la crescita sembra rallentare. Ma, se ci deve essere un picco, non ci siamo ancora arrivati. Tuttavia, abbiamo prove chiare che l'industria mineraria globale si trovi sotto un grande stress. Lo deduciamo principalmente dalla tendenza dei prezzi. Ecco alcuni dati che riguardano alcuni beni minerali selezionati, metalli importanti per l'industria:


(Adattato da un grafico riportato da Bertram et al., Resource Policy, 36(2011)315))

Ed ecco alcuni dati sul petrolio. Qui ci sono i dati sia dei prezzi sia della produzione (dal blog “Early Warning” di Stuart Staniford:


E vedete che, anche se siamo capaci di gestire una produzione leggermente in crescita per quanto riguarda il petrolio greggio, possiamo farlo solo a prezzi sempre più alti. Questo è un effetto degli investimenti sempre più alti nell'estrazione di risorse difficili – l'energia costa denaro, dopo tutto.

Ora, alcuni dati sul cibo. Naturalmente, il cibo non è una risorsa minerale, anche se in realtà parzialmente lo è, perché l'agricoltura moderna 'estrae” suolo fertile. Ma il punto principale è che la moderna produzione agricola ha bisogno di energia che proviene dal petrolio ed anche di fertilizzanti ed altri elementi che vengono prodotti usando combustibili fossili. Quindi, se i prezzi del cibo aumentano è a causa dell'esaurimento del petrolio e del aumento generale dei prezzi di tutti i beni minerali, come potete vedere sotto: 


Ciò che che vedete qua è un grosso problema perché tutti sappiamo che la domanda di cibo è fortemente inelastica – in parole povere, abbiamo bisogno di mangiare, o si muore. Diversi episodi recenti nel mondo, come le guerre e le rivoluzioni in Nord Africa e nel Medio Oriente, sono state collegate a questi aumenti dei prezzi del cibo. 

Tutto questo è già piuttosto preoccupante, ma il vero disastro è un altro. Nonostante il fatto che la produzione di petrolio si trovi in uno stato di plateau, non vediamo alcun plateau nelle emissioni di CO2. Stiamo creando un disastro climatico. Come vedete dai dati più recenti, il CO2 sta ancora aumentando in modo pressoché esponenziale: 


Quindi, ciò che stavo dicendo all'inizio sta accadendo: lo scenario de "I limiti dello Svilupp"o non doveva diventare una profezia ma, sfortunatamente, lo sta diventando. Ecco gli ultimi calcoli sulla traiettoria mondiale, fatti con una versione aggiornata del programma usato per “I Limiti dello Sviluppo” del 1972, con anche degli aggiornamenti nei dati storici, naturalmente. E, sfortunatamente, sembra che ci stiamo avvicinando sempre di più all'inizio di un declino irreversibile: 


Notate una cosa su questa figura. Vedete, il Club di Roma è stato spesso accusato di presentare solo problemi, non soluzioni. Ma guardate la figura sopra: vedete qual è il problema, ma vedete anche qual è la soluzione. Pensateci: perché avremo un collasso? Perché siamo cresciuti troppo. Non c'è modo di eludere questo fatto: se si cresce al di sopra del limite di sostenibilità allora ci si ritrova in ciò che viene definito “superamento (overshoot)” - si va oltre l'impronta ambientale consentita. Non c'è nulla che si possa fare se non tornare al di sotto del limite, ma nel superamento si sono consumate delle risorse che non possono essere ricreate se non in tempi lunghissimi. Così, si è condannati al declino, di fatto ad un rapido declino, potete chiamarlo collasso, se preferite, è la stessa cosa. 

Quindi, se il problema è il superamento, vedete immediatamente quale può essere e quale non può essere la soluzione. Di sicuro non può essere quella di inventare qualche gadget ingegnoso che produce più energia o ci permette di continuare senza usarne tanta. Se producete più energia dai combustibili fossili, allora questa energia extra sarà usata da qualcun altro per altri scopi e tutto rimane com'è – compresa la produzione di inquinamento. Finché continuiamo a dire che la soluzione a tutti i mali dell'economia è la crescita, non c'è nulla che possiamo fare per evitare di andare in superamento. E ad un certo momento dovremo pagare per le conseguenze. La crescita è il problema; fermare la crescita è la soluzione. La sola possibile (potrebbe non essere sufficiente, comunque!)

Così, la prima cosa alla quale dobbiamo puntare se vogliamo mitigare il problema è di rallentare. Naturalmente, questo non è facile da fare, perché tutto la nostra dialettica politica, oggi, è basata sulla crescita. Ma alla fine, se non troviamo un modo per frenare la crescita con la nostra azione, allora il sistema stesso (o la “Natura”) ci costringerà a rallentare e quindi a declinare. Sarà la stessa cosa, solo un po' più veloce e doloroso. 

Un ultimo punto, ma certo non il meno importante. Nel modello, il declino della società industriale è il risultato non solo dell'esaurimento ma anche dell'inquinamento. E' un altro elemento del modello; col primo studio del 1972, gli autori non sono riusciti ad individuare esattamente quale fosse il fattore principale che generava questo problema, ma ora sappiamo che è l'emissione di gas serra, principalmente di CO2. E non ho bisogno di dirvi che il cambiamento climatico ha un risvolto negativo ulteriore in confronto all'esaurimento delle risorse; è ciò che chiamiamo “punto di non ritorno”. Con l'esaurimento, non possiamo fare peggio che esaurire qualcosa. Col cambiamento climatico, possiamo innescare una serie di retroazioni che crescono fuori controllo completamente da sole. E il rischio è quello di arrivare ad una quantità di danno davvero orribile, compresa la distruzione dell'ecosistema terrestre. 

Alla fine, c'è un punto fondamentale che mi piacerebbe enfatizzare: il cambiamento climatico e l'esaurimento delle risorse non sono problemi separati. Sono due lati dello stesso problema. L'esaurimento non ci salverà dal cambiamento climatico, mentre il cambiamento climatico non fermerà il nostro saccheggio del pianeta. 

Penso che il problema principale che abbiamo sia un problema di comunicazione. Vedete, negli anni 70, il Club di Roma e gli autori de “I Limiti dello Sviluppo” sono stati accusati di avere modelli sbagliati per le loro previsioni. Questo non era vero, ma essi hanno fatto lo stesso un errore fondamentale. Hanno pensato che il loro lavoro fosse enunciare il problema e che qualcuno, in qualche modo, avrebbe fatto qualcosa per risolverlo. Non è andata così. Enunciare il problema ha semplicemente portato le persone a screditare il Club di Roma e lo studio de “I Limiti dello Sviluppo”.

Questo è ciò che sta succedendo oggi con l'IPCC e i suoi rapporti sul clima. L'IPCC sembra pensare che il suo lavoro sia quello di presentare il problema e che quindi qualcuno farà qualcosa per risolverlo. Questo non funziona. Lo abbiamo visto col Club di Roma e lo stiamo vedendo con l'IPCC che sta attraversando lo stesso processo di diffamazione e demonizzazione che è stato scatenato contro il Club negli anni 80. 

Così, non penso che sia una questione di mancanza di soluzioni per i problemi gemelli di esaurimento e cambiamento climatico. Abbiamo le soluzioni ed abbiamo anche soluzioni eccellenti: sia l'esaurimento sia il cambiamento climatico sono problemi che abbiamo creato con le nostre azioni. Se invertiamo la nostra azione possiamo almeno ridurre enormemente la dimensione dei problemi. Il punto, naturalmente, è come farlo e, in questa fase, la priorità è trovare un accordo sul fatto che certe cose devono essere fatte. Penso che non sia impossibile e, alla fine, possiamo essere del tutto felici anche senza un grosso SUV, come la mia giovane amica, la signorina Ruza Jankovich, mostra in questa foto:


h/t Ruza Jankovich – l'automobile mostrata qui è una vecchia Fiat “500” che è stata prodotta negli anni 60 e che può spostare le persone senza bisogno di nessun SUV .