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giovedì 26 giugno 2014

Turiel: aggiornamenti sulla situazione petrolifera

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR
























Di Antonio Turiel

Cari lettori,

nelle ultime due settimane sono venute fuori diverse notizie di grande impatto nel mondo dell'energia, tutte meriterebbero di avere una posizione di rilievo sulla prima pagina dei quotidiani e alcuni minuti nei notiziari televisivi, cosa che naturalmente o non è successa o o è stata mascherata da qualcos'altro. Tutte queste notizie comportano una crescente angoscia e preoccupazione per il futuro, non tanto dell'energia quanto dell'economia mondiale, e anticipano che il declino energetico può entrare in una nuova fase più rapida, in una caduta più precipitosa. Facciamo una revisione di questi fatti:

La Panoramica sull'Investimento Energetico Mondiale della IEA: Come 11 anni fa, l'Agenzia ha pubblicato un rapporto sulle necessità di finanziamento e sulle opportunità per gli investitori nel settore dell'energia globale. Il rapporto ha causato grande agitazione nella comunità delle persone consapevoli della crisi energetica per due motivi: perché indica che servirebbero 48 trilioni di dollari di investimento in energia da qui al 2035 e perché dice che il sistema europeo dei prezzi per l'elettricità garantiscono il fatto che la rete elettrica europea non è sostenibile. Rispetto alla prima delle minacce, bisogna contestualizzarla: 48 trilioni di dollari da spendere in 22 anni comportano una spesa media di 2,18 trilioni all'anno (cominciando da 1,5 trilioni quest'anno per finire con 2,5 trilioni nel 2035). Intendo dire che tutte queste cifre vengono fornite in dollari costanti. In confronto al PIL attuale (2012) del pianeta Terra (circa 71,8 trilioni di dollari) questa spesa media annuale rappresenta un 3% del PIL. Significativo ma non impressionante. Anche i 2,5 trilioni del 2035 rappresenterebbero solo il 3,5% del PIL di oggi. Il problema, come osserva Gail Tverberg, è che la IEA sta dando per scontata una crescita dell'economia mondiale del 3,6% all'anno, cosa che vedendo l'attuale rallentamento economico sembra sempre più difficile e, ciò che è peggio, tenendo conto dell'ormai indissimulabile tramonto del petrolio che comporta che questa crisi non finirà mai, in questo periodo tanto dilatato di tempo il PIL del pianeta comincerà a contrarsi. Il che è grave perché, a parte che le previsioni delle necessità di investimento della IEA sono sicuramente ottimistiche, in una situazione di PIL in declino il peso del costo energetico sarà sempre maggiore. Ricordiamo che, come indica James Hamilton, quando il costo finale dell'energia supera il 10% del PIL, un'economia entra in recessione. E i 48 trilioni che indica la IEA non sono il costo energetico, ma solo l'investimento totale necessario (secondo loro) perché continui a fluire (e questo assumendo che l'OPEC raccoglierà il gioco della avventura americana fallita del fracking, che il rapporto stesso mostra che ha le ali molto piccole). Per questo è facile supporre che il prezzo dell'energia sia una percentuale maggiore del PIL globale di quel 3% di costi di produzione e in una economia che non cresce sarà molto facile superare questa soglia del dolore del 10% del PIL, a partire dalla quale l'economia entrerà in una coclea irrecuperabile, visto che la recessione implicherà meno investimento in energia ed un aumento del prezzo della stessa che affonderà ancora di più l'economia in una spirale mortale e, per la prima volta, globale. Rispetto al secondo rischio che indica la IEA, non c'è molto da dire: il settore elettrico europeo (ricordiamo, tuttavia, che l'elettricità rappresenta una percentuale minoritaria e solo un 10% su scala globale) è in crisi e le compagnie elettriche non hanno troppo interesse ad investire nel loro mantenimento ed espansione. Sembra pertanto che i blackout saranno inevitabili nei prossimi decenni. Per un'analisi più approfondita consiglio l'eccellente articolo di Gail Tverberg su Our Finite Worldanche questo di Richard Heinberg.

Il documento sulla Strategia Europea di Sicurezza Energetica: Due settimane fa la Commissione Europea ha pubblicato un documento di strategia energetica il cui obbiettivo è quello di preparare l'Unione ad una possibile interruzione improvvisa della fornitura di gas naturale all'Europa. Anche se non viene detto apertamente, dietro a questa impostazione strategica c'è lo scontro fra Occidente e Russia per il caso Ucraina. La Commissione considera verosimile che ci possano essere problemi questo stesso inverno ed ha disposto che si facciano dele prove di stress (stress test) al più presto per verificare la capacità del sistema europeo di resistere a questa interruzione. Si parla anche molto di gas naturale, non si parla poco di petrolio, e in linea di principio le prove di stress sono per tutto il sistema energetico, cioè che si contempla anche un'interruzione della fornitura di petrolio: Anche se viene molto enfatizzato quanto l'Europa dipenda dal petrolio russo, viene data poca importanza a questa possibilità, chiarendo che finora la Russia è dipesa molto dai prodotti raffinati che le inviamo da qui – ma, è chiaro, oggigiorno i movimenti dei paesi sono sempre più imprevedibili. Per combattere questi rischi e nel breve periodo che rimane – mesi, da qui al prossimo inverno – i mezzi sono di favorire le interconnessioni, appellarsi alla solidarietà fra stati membri ed appoggiare la produzione energetica autoctona mediante rinnovabili (ignorando tutti i limiti di queste ultime e che di fatto non stanno funzionando troppo bene a livello europeo, non tanto nel caso molto particolare della Spagna, ma in Germania).

La produzione di petrolio greggio e di condensati vegetali, a parte il tight oil da fracking, sta già diminuendo: Matthieu Auzanneau si fa eco di questo fatto nell'ultimo articolo del suo blog, da dove ho preso questo grafico:


Come fa notare Matthieu nel grafico sopra, la diminuzione non si giustifica né togliendo i paesi dove si stanno osservando problemi seri (ora peleremo di quei paesi), per cui la conclusione è che davvero l'OPEC non ce la fa già più (cosa che viene mascherata dicendo che “il mondo è ben rifornito” nonostante l'abbondanza di prove del contrario). In particolare, l'Arabia Saudita ha messo in piena produzione il giacimento di Manifa, il cui petrolio fortemente contaminato da vanadio e molto solforoso è molto difficile da raffinare e colloca questo cattivo prodotto in miscele di prezzo più conveniente. Era la sua ultima pallottola, non le resta altro. Mal ipotizzato, il rapporto della IEA che abbiamo commentato all'inizio faceva poggiare sulle spalle finora grandi dell'OPEC la responsabilità di sostenere (a livello petrolifero) il mondo.

L'interruzione delle esportazioni del petrolio libico: Giorni fa è trapelata la notizia secondo la quale la Libia smetterebbe di esportare gli esigui 200.000 barili di petrolio al giorno che era ancora in grado di produrre per soddisfare le proprie necessità nazionali. La cosa certa è che dopo la guerra lampo di quasi 3 anni fa il paese non si è stabilizzato ma è andato progressivamente collassando, trasformandosi in un regno di Taifa, come evidenzia il seguente grafico di produzione petrolifera (quasi l'unica esportazione del paese), preso a sua volta dall'articolo di Matthieu Auzanneau:


Prima della guerra, il paese era in grado di produrre più di 1,6 milioni di barili di petrolio al giorno (Mb/g), ora praticamente niente. Le potenze occidentali non hanno la capacità di imporre la propria volontà su un tavolo di gioco sempre più grande e complesso e i paesi, anziché essere controllati, collassano. E in una situazione in cui la produzione di petrolio si trova alla sua capacità massima e sta diminuendo, gli 1,6 Mb/g della Libia non sono per nulla disprezzabili. O non lo erano.

La guerra civile in Iraq: Il paradigma del collasso incontrollato sta venendo dal paese che si trovava da più tempo sotto il nuovo ordine mondiale petrolifero: l'Iraq. L'eterno Eldorado del petrolio la cui produzione doveva passare dai 3 Mb/g attuali a 6 Mb/g in qualche anno e addirittura giungere a 12 Mb/g in futuro, risulta che stia a sua volta collassando. La guerra civile non è mai finita del tutto e col ritiro delle truppe degli Stati Uniti si è andata aggravando. Il conflitto civile nella vicina Siria ha favorito il fatto che un movimento jihadista che si muove fra i due paesi abbia preso forza, fino a conquistare la città di Mosul, città chiave per il controllo del petrolio del Kurdistan per la sua raffineria e per il passaggio dell'oleodotto Mosul-Haifa (situato piuttosto più a sud). Se il gruppo armato continua ad avanzare potrà prendere il controllo di una delle zone più produttive dell'Iraq ed il sogno di un'abbondanza petrolifera nel paese finirebbe per sempre. Come dimostra il caso della Libia e la storia dello stesso Iraq, ci vogliono decenni per cancellare le impronte della guerra in un'industria tanto delicata come quella petrolifera.

L'instabilità generale di alcuni produttori: La produzione continua a diminuire in Angola e in Venezuela (in quest'ultima, spinta dalle proteste e dagli scioperi); il disastro ecologico del Delta del Niger ha molto a che fare con la sollevazione dei gruppi come Boko Haram e fa scappare alcuni investitori dal paese, mettendo ancora di più a rischio la produzione. Lo Yemen è sul punto di collassare, Egitto e Siria lo hanno già fatto... l'elenco potrebbe diventare molto più lunga, ma credo che vi siate già fatti un'idea.

Il riconoscimento sempre più forte del fatto che gli sfruttamenti di gas di scisto e petrolio di scisto con la tecnica del fracking sono completamente rovinosi economicamente: Poco più di un anno fa qui abbiamo affrontato il tema del rendimento scarso (o negativo) del fracking e sette mesi fa circa, nel momento in cui cominciavano a manifestarsi i sintomi del crollo di questa bolla finanziaria. Bene: sembra che cominci ad essere una verità detta ad alta voce. Ora è la stessa Bloomberg che ha fatto un'analisi approfondita delle perdite delle imprese del settore, giungendo alla conclusione che molte di esse spariranno. Non ci sarà, pertanto, una soluzione del problema petrolifero da questa parte, anche se fosse provvisoria (fino al 2020, come ha riconosciuto la stessa IEA). Il modello di importazione di energia ed esportazione di miseria, propiziato dalla condizione di moneta di riserva del dollaro, non si sostiene più e il fatto è che le compagnie petrolifere non possono continuare ad investire in affari di rendimento dubbio si sono lanciati in un disinvestimento aggressivo con conseguenze nefaste per il nostro futuro immediato. Questo provocherà non l'aumento della produzione di petrolio in un futuro immediato, ma che il il tampone che ci garantiva attualmente il fracking svanisca nel giro di qualche mese. Sommato a tutto quanto abbiamo detto sopra, questo mette in una prospettiva nuova e più inquietante il rapporto della IEA e fa comprendere che il suo linguaggio moderato nasconde una realtà sempre più inquietante.

Dopo tale rassegna di notizie nefaste, con cattivi presagi per il nostro futuro, cose vediamo? Anziché suonare i logici segnali d'allarme, la sola cosa di cui si sente parlare da queste parti e da molte altre sono i clacson dei tifosi di calcio, che si godono come mai prima uno degli ultimi mondiali di questo sport. Essendoci il calcio, a chi interessa vedere che il mondo so sbriciola? E tuttavia, una parte della popolazione molto tifosa degli ospiti del campionato, il Brasile, scende in strada a dire che no, non va bene...


Non ci serve la coppa del mondo. Ci servono i soldi per gli ospedali e per l'educazione

Forse sono loro l'ultima speranza che non tutto è perduto.

Saluti.
AMT

domenica 8 giugno 2014

Sparisce il 96% del petrolio di scisto in California


 


Da “jeremyleggett.net” (12). Traduzione di MR (h/t Dario Faccini)


Shock per la revisione del 96% in meno del presunto tight oil statunitense.

LA Times: “Le autorità energetiche federali hanno tagliato del 96% la quantità stimata di petrolio recuperabile sepolto nel vasto deposito di scisto californiano di Monterey, sfonfiando il suo potenziale come 'miniera di oro nero' nazionale”. “Solo 600 milioni di barili di petrolio possono essere estratti con la tecnologia esistente, di gran lunga al di sotto dei 13,7 miliardi di barili che un tempo si pensava di poter recuperare dagli strati mescolati di roccia sotterranea distribuita lungo gran parte della California centrale, ha detto la EIA.

La nuova stima, attesa per la pubblicazione il prossimo mese, è un colpo al futuro petrolifero della nazione ed alle previsioni secondo le quali un boom petrolifero avrebbe portato 2,8 milioni di nuovi posti di lavoro in California e incrementare gli introiti delle tasse di 24,6 miliardi di dollari all'anno. La formazione di scisto di Monterey contiene circa due terzi delle riserve di petrolio di scisto nazionali. E' stato visto come un'enorme e ricco giacimento che avrebbe ridotto il bisogno nazionali di importazione di petrolio straniero, attraverso l'uso delle ultime novità in fatto di tecniche di estrazione, compresi i trattamenti acidi, la trivellazione orizzontale e il fracking. L'agenzia energetica ha detto che la stima precedente di petrolio recuperabile, pubblicata nel 2011 da una ditta privata sotto contratto col governo, ha sostanzialmente ipotizzato che i depositi nella formazione di scisto di Monterey fossero facilmente recuperabili quanto quelli trovati in formazioni di scisto altrove. … La nuova analisi della EIA si è basata, in parte, su una revisione della produzione dai pozzi dove sono state usate le nuove tecniche. … J. David Hughes, un geoscienziato e portavoce del no profit Post Carbon Institut, ha detto che la formazione di Monterey “è sempre stato il filone principale mitico gonfiato dall'industria petrolifera – non è mai esistito”.

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Non c'è gas di scisto nel bacino di Weald nel Regno Unito e poco petrolio recuperabile, conclude un'indagine. 

Guardian: “Le speranze che il governo britannico possa emulare gli Stati Uniti cominciando una rivoluzione del gas di scisto sono state deluse dopo un rapporto a lungo atteso che ha inaspettatamente concluso che non c'è alcun potenziale nel fracking per il gas nella regione di Weald, nel sud dell'Inghilterra”. “Michael Fallon, il ministro dell'energia, ha insistito di non essere “né deluso né felice” rispetto alle scoperte della British Geological Survey (BGS) ed ha negato che il governo abbia gonfiato il potenziale per estrarre il gas di scisto in Gran Bretagna. Ha preferito concentrarsi sulle scoperte più positive della BGS secondo le quali potrebbero esserci 4,4 miliardi di barili di petrolio nelle rocce di scisto dell'area, che si estendono da Salisbury a Tunbridge Wells – anche se in pratica le riserve recuperabili è probabile che siano solo una parte di queste.

… Il governo ha cominciato una consultazione di 12 settimane sulla nuova legislazione che aggirerebbe la legge di sconfinamento per il lavoro sotterraneo che è di 300 metri o più al di sotto della superficie e per i pagamenti volontari della comunità di 20.000 sterline per ogni pozzo laterale trivellato. … Ma la conclusione della BGS che “è improbabile che ci sia un qualsiasi potenziale di gas di scisto” nell'area di Weald è un forte colpo alle più ampie speranze del ministro di poter trovare scisto lungo tutto il paese. L'uso di nuove tecnologia come il fracking potrebbe significare volumi maggiori, la la BGS ha detto che servono più trivellazioni e più test per “ridurre quella cifra di 4,4 miliardi di barili”. Anche così, la quantità di petrolio di scisto portato in superficie potrebbe essere solo “una piccola percentuale” di tutte le riserve recuperabili”.

giovedì 29 maggio 2014

Sta per scoppiare la bolla del gas di scisto

Da “NEO”. Traduzione di MR

Di F. William Engdahl

A leggere i titoli dei giornali sembra che gli Stati Uniti siano emersi dal nulla al punto da diventare il gigante mondiale della produzione di gas e petrolio. Tutto grazie alla Rivoluzione dello Scisto. Di recente il presidente Obama ha fatto molto rumore secondo il quale gli Stati Uniti potrebbero risolvere la dipendenza dell'Ucraina dal gas russo a causa della crescita spettacolare dell'estrazione di gas naturale e, più di recente, del petrolio dalle formazioni rocciose di scisto in tutti gli Stati Uniti. C'è solo una cosa sbagliata in questo quadro: “Non succederà...”.

I numeri apparenti in effetti sono impressionanti per un profano o per un politico. Secondo i dati della IEA del governo statunitense, fra il 2005 e il 2010 il contributo del gas di scisto al totale della produzione di gas di mercato è salita da meno del 2% a più del 20%. E il 2011 ha costituito un record assoluto per la produzione statunitense, grazie alla crescita del gas di scisto.

Tuttavia, il gas di scisto proviene da un numero ridotto di aree con formazioni di pietra di scisto significative e sfruttabili che hanno intrappolato gas e petrolio negli interstizi delle rocce di scisto sedimentarie. Le principali aree del gas di scisto sono nella formazione di Barnett in Texas. Il bacino di Fort Worth; le formazioni di Fayetteville e Woodford del bacino di Arkoma in Arkansas e Oklahoma; la formazione Haynesville al confine fra Texas e Louisiana; la formazione Marcellus nel bacino degli Appalachi e quello sfruttato più di recente, la formazione di Eagle Ford nel Texas sudoccidentale.

Due parametri largamente usati nel descrivere le prestazioni dei pozzi di scisto sono il tasso di produzione iniziale (PI) e il tasso di declino della produzione, che insieme determinano la sostenibilità economica. Un gruppo dell'università del MIT in Massachusetts ha effettuato un'analisi dei dati di produzione delle grandi regioni di scisto statunitensi. Ciò che hanno scoperto è sorprendente. Mentre la produzione iniziale da gran parte degli impianti di gas di scisto erano insolitamente alti, una componente essenziale della campagna pubblicitaria della bolla del gas di scisto di Wall Street, le stesse regioni del gas sono declinate drammaticamente entro un anno. Hanno scoperto che “in generale, la produzione di un pozzo di scisto tende a diminuire del 60% o più rispetto ai livelli del tasso di Produzione Iniziale nell'arco dei primi 12 mesi. La seconda cosa è che i dati della produzione a più lungo termine disponibili suggeriscono che il livelli di declino della produzione negli anni successivi sono moderati, spesso meno del 20% all'anno”.

Tradotto, ciò significa in media che dopo solo quattro anni si ha solo il 20% del volume di gas iniziale disponibile da un dato investimento in trivellazione orizzontale col fracking. Dopo sette anni, solo il 10%. Il volume reale del boom del gas di scisto è apparso nel 2009. Ciò significa che i giacimenti in cui erano presenti trivellazioni significative dal 2009 sono già drammaticamente esauriti del 80% e presto del 90%. Il solo modo in cui i trivellatori di petrolio e gas sono riusciti a mantenere il volume di produzione è stato trivellare sempre più pozzi, spendendo sempre più soldi, incamerando sempre più debito nella speranza di un netto aumento del depresso prezzo interno del gas statunitense. Complessivamente, le aziende di energia da scisto hanno speso più di quanto stiano facendo di profitto netto, creando una bolla di debito obbligazionario “spazzatura” per mantenere in piedi il gioco dello schema Ponzi. Quella bolla scoppierà nel momento in cui la FED suggerirà che i tassi di interesse devono crescere, o persino prima.

L'industria cerca forsennatamente di pompare le prospettive della rivoluzione dello scisto. Uno dei più espliciti di recente è stato Ryan Lance, AD di Conoco/Philips. Facendo un'analogia col baseball, ha recentemente detto ad una conferenza sull'energia a Houston che la “rivoluzione” del gas di scisto nel paese è solo all'inizio e che dovrebbero esserci rimasti diversi decenni di produzione energetica di successo: “Siamo al primo inning di una partita di 9 inning sulla rivoluzione dello scisto negli Stati Uniti. Non ha chiarito quale collegamento scientifico ci fosse fra il baseball e il gas di scisto.

La realtà del boom del gas di scisto viene sempre più mostrata essere molto diversa. Secondo Artur Berman, un geologo petrolifero con 34 anni di esperienza che ha studiato la produzione ed altri aspetti del boom del gas e del petrolio di scisto, “le previsioni mostrano che la produzione negli impianti di scisto, da Bakken nel Nord Dakota a Eagle Ford in Texas, raggiungerà il picco intorno al 2020. Coloro che investono con l'aspettativa che il boom durerà per decenni sono 'parecchio fuori strada'”.

Per essere concreti, le maggiori formazioni di scisto negli Stati Uniti, e non ce ne sono tantissime geologicamente parlando, cominceranno un declino assoluto della produzione in meno di sei o sette anni. A differenza dei giacimenti di gas e petrolio convenzionali, lo scisto è un modo non convenzionale e difficile di estrarre energia attraverso la fortemente controversa e tossica pratica del “fracking”, o fratturazione idraulica delle formazioni di scisto. Visto che lo scisto è disposto orizzontalmente, il perfezionamento delle nuove tecniche di perforazione orizzontale negli anni 90 hanno per la prima volta aperto prospettive commerciali al gas di scisto.

Il fracking sulla Formazione di Bakken in Nord Dakota

La fratturazione idraulica è composta dal pompaggio di un fluido di fratturazione – tipicamente fortemente tossico ed esentato, grazie all'influenza sul Congresso dell'allora vice presidente Cheney, dai vincoli dalla Legge sull'Acqua Pulita dell'EPA – nel pozzo ad un tasso sufficiente ad aumentare la pressione in fondo al foro nella zone designata. La roccia si spacca e il fluido di fratturazione procede ulteriormente nella roccia, estendendo ulteriormente le spaccature e così via. Spesso fino al 70% del fluido del fracking tossico fuoriesce e in molti casi in Pennsylvania e altrove è filtrato nelle acque di falda.

Persino la EIA prevede che la produzione di petrolio statunitense raggiungerà il picco a 9,61 milioni di barili al giorno nel 2019. Vedono il tight oil o il petrolio da scisto raggiungere i 4,8 milioni di barili nel 2021. E' solo fra sette anni. E se il governo degli Stati Uniti sta cercando di accelerare l'approvazione dei terminal per l'esportazione del GNL (Gas Naturale Liquefatto) sui porti della costa per permettere alle aziende degli Stati Uniti di esportare il loro gas, il completamento di tali complessi terminal includono le approvazioni degli impatti ambientali, che di solito richiedono sette anni. Hmmmm.

I soldi facili di Wall Street

Nessuno si aspetta che il presidente degli Stati Uniti abbia il tempo o il retroterra scientifico per approfondire le complessità geofisiche dell'energia da scisto. Naturalmente si affida a consiglieri competenti. E se i consiglieri, al posto di essere competenti, come in molte agenzie governative oggi, sono sotto l'influenza (e forse a volte sono anche pagati) delle aziende di energia da scisto e dei loro banchieri di investimento di Wall Street che hanno centinaia di miliardi di dollari in gioco nel promuovere la montatura dello scisto?

L'attuale boom dello scisto statunitense è stato pompato con gli steroidi, altrimenti conosciuti come "infiniti alleggerimenti quantitativi e politica di interessi a tasso zero", una situazione che non mostra segni di voler tornare a livelli di tassi di interesse normali, in quanto l'economia continua ad essere depressa dal collasso della cartolarizzazione dei mutui dell'edilizia del 2007. Infatti, i trivellatori dello scisto sono capaci di mantenersi nell'affare solo perché Wall Street ed altri investitori continuano a tirar loro dei soldi come se cadessero dagli alberi. Tim Gramatovich, responsabile degli investimenti per la Peritus Asset Management LLC, un fondo di 800 milioni di dollari, osserva: “C'è molto aiuto finanziario ora che viene bevuto dagli investitori. Le persone perdono la propria disciplina. Smettono di fare i calcoli. Smettono di fare i conti. Stanno semplicemente sognando il sogno ed è questo che sta accadendo col boom dello scisto”.

Dato l'infinito regime di tasso di interesse zero della FED, i fondi di investimento sono alla disperata ricerca di investimenti che rendano un interesse maggiore. Sono così disperati che versano soldi nelle aziende di gas di scisto, o nel petrolio di scisto o nel tight oil, come mai prima. Le aziende lavorano in perdita, cariche di debiti e le agenzie di rating valutano il loro debito come “spazzatura”, che in una recessione di mercato sono a rischio di default. Un'azienda di questo tipo, la Rice Energy, ha venduto le sue azioni in aprile con un rating di CCC+ da parte di Standard & Poor’s, sette gradini al di sotto del Investment Grade. Ciò è al di sotto del livello di rischio/qualità che è permesso comprare ai grandi investitori, come fondi pensione e compagnie di assicurazione. S&P dice che il debito valutato nella gamma CCC è “attualmente vulnerabile al non pagamento”. Nonostante questo, la Rice Energy è stata in grado di ottenere prestiti ad un tasso sorprendentemente basso del 6,25%.

“Questo è un affare da cubetto di ghiaccio che si scioglie”, ha detto Mike Kelly al Global Hunter Securities di Houston. “Se non aumenti la produzione, muori”. Delle 97 aziende di esplorazione e produzione energetica valutate da S&P, 75 sono “spazzatura” o al di sotto dell'Investment Grade. La “rivoluzione” dello scisto non è che uno Schema Ponzi mascherato da rivoluzione energetica.

F. William Engdahl è un consulente strategico del rischio e docente, ha una laurea in Scienze Politiche all'Università di Princeton e scrive con successo di petrolio e geopolitica, esclusivamente per la rivista online “New Eastern Outlook” 


giovedì 24 aprile 2014

Rilascio di metano dalle trivellazioni: Nuovi dati indicano che era stato fortemente sottostimato

DaLos Angeles Times”. Traduzione di MR

La torre di un pozzo nella Pennsylvania sud-occidentale. Un nuovo studio scopre che i livelli di metano sopra i pozzi di gas di scisto durante la fase di trivellazione sono fino a 1000 volta più alti di quanto stimato dalla EPA. (Foto, per gentile concessione di Dana Caulton)


Di Neela Banerjee

Questo post è stato aggiornato, Vedi la nota sotto per i dettagli.

Le operazioni di trivellazione di diversi pozzi di gas naturale nella Pennsylvania sud-occidentale hanno rilasciato metano nell'atmosfera a tassi che erano da 100 a 1000 volte maggiori di quanto stimato dalle autorità di regolamentazione federali, come mostra una nuova ricerca.

Usando un aereo che è stato attrezzato specificamente per misurare le emissioni di gas serra nell'aria, gli scienziati hanno scoperto che le attività di perforazione di sette torri di di pozzo nella formazione Marcellus in forte espansione hanno emesso 34 grammi di metano al secondo, in media. L'Agenzia per la Protezione Ambientale (Environmental Protection Agency – EPA) ha stimato che tale trivellazione rilascia fra 0,04 e 0,30 grammi di metano al secondo.

Lo studio, pubblicato lunedì negli Atti dell'Accademia Nazionale delle Scienze, si aggiungono ad un corpus di ricerca che suggerisce che l'EPA stia gravemente sottostimando le emissioni di metano dalle operazioni di petrolio e gas. Ci si attendeva che l'agenzia pubblicasse le proprie analisi delle emissioni di metano dal settore del petrolio e del gas per questo martedì, cosa che darebbe agli esperti esterni una possibilità di valutare quanto abbiano capito bene il problema le autorità di regolamentazione federale.

Il biossido di carbonio rilasciato dalla combustione dei combustibili fossili è il più grande contributo al cambiamento climatico, ma il metano – il componente principale del gas naturale – è circa 20 o 30 volte più potente quando si stratta di intrappolare calore nell'atmosfera. Le emissioni di metano contano per il 9% delle emissioni di gas serra del paese e stanno aumentando, secondo la Casa Bianca.

Lo studio della Pennsylvania è stato lanciato nel tentativo di capire se le misurazioni del metano aereo combaciavano con le emissioni stimate basate sulle letture prese al livello del suolo, l'approccio che l'EPA e le autorità di regolamentazione federale hanno storicamente usato.

I ricercatori hanno fatto volare il loro aereo a circa un chilometro di altitudine al di sopra di un'area di 2.800 chilometri quadrati nella Pennsylvania sud-occidentale che comprende diversi pozzi di gas attivi. In un periodo di due giorni nel giugno del 2012, hanno rilevato da 2 a 14 grammi di metano al secondo per chilometro quadrato sull'intera area. Le stime della EPA di quell'area sono da 2,3 a 4,6 grammi di metano al secondo per chilometro quadrato.

Visto che le misure in quota sono state così tanto più grandi delle stime dell'EPA, i ricercatori hanno cercato di seguire il pennacchi di metano fino alle loro fonti, ha detto Paul Shepson, un chimico dell'atmosfera all'Università di Purdue che ha aiutato a condurre lo studio. In alcuni casi, sono stati in grado di quantificare le emissioni dai singoli pozzi.

I ricercatori hanno determinato che i pozzi che perdono più metano erano in fase di trivellazione, un periodo che non era conosciuto per le alte emissioni. Gli esperti avevano pensato che fosse più probabile che il metano venisse rilasciato durante le fasi successive di produzione, comprese la fratturazione idraulica, il completamento del pozzo o il trasporto lungo i gasdotti.

Le letture aeree sono state un'istantanea su due giorni, ha avvertito Shepson, servono ulteriori ricerche su un periodo più lungo per sapere se le misurazioni della Pennsylvania siano tipiche. Gran parte delle trivellazioni di gas naturale nella Pennsylvania sud-occidentale passano attraverso letti di carbone, che contengono metano che potrebbe fuoriuscire, secondo lo studio. I ricercatori hanno ipotizzato che i metodi di “underbalanced drilling” - nei quali la pressione nel foro di pozzo è inferiore a quella della geologia circostante – favorisce l'entrata nel foro di pozzo stesso di fluidi e gas che arrivano alla superficie. I produttori di energia usano l'underbalanced drilling perché permette loro di recuperare preziose forniture di etano e butano, ha detto Shepson.

La disparità fra le misurazioni dei ricercatori e i dati dell'EPA illustra i limiti del metodo usato dalle autorità di regolamentazione, ha detto Shepson. L'approccio dell'EPA mette le autorità di regolamentazione alla mercé delle compagnie energetiche, che controllano l'accesso ai pozzi, ai gasdotti, agli impianti di lavorazione e alle stazioni di compressione, dove dovrebbero essere fatte le misurazioni. “E' difficile”, ha detto Shepson.

Lo scorso anno, ricercatori da Stanford, Harvard e da altrove hanno riportato su PNAS che le emissioni di metano negli Stati Uniti continentali potrebbero essere del 50% maggiori delle stime ufficiali dell'EPA. Un altro studio di ricercatori di Stanford, pubblicato a febbraio nella rivista Science, hanno a loro volta concluso che l'EPA sottostimi le perdite di metano da parte dell'industria del gas naturale e da altre fonti.

[Aggiornato alle 10 del 10 aprile: L'EPA ha detto che era consapevole che scienziati non governativi erano giunti a “conclusioni diverse sui livelli di emissioni di metanodal settore del petrolio e del gas”. Alcune di quelle stime sono più alte di quelle dell'EPA ed alcune più basse, ha detto l'agenzia in una dichiarazione. Una moltitudine di nuovi dati sul metano e le trivellazioni è atteso per i prossimi anni e i funzionari dell'EPA revisioneranno tutto aggiornando le proprie stime sulle emissioni se necessario, secondo la dichiarazione.]

Il nuovo studio arriva due settimane dopo che la Casa Bianca ha ordinato all'EPA di identificare dei modi per tagliare il metano dalla produzione di petrolio e gas. Se l'agenzia decide di emettere nuove regole, devono essere operative per la fine del 2016.

A febbraio, il Colorado è diventato il primo stato a regolare le emissioni di metano da parte del settore del petrolio e del gas, richiedendo all'industria di rilevare e riparare le perdite e di installare delle apparecchiature per catturare il 95% delle emissioni di metano. La scorsa settimana, l'Ohio ha adottato regole per indurre le compagnie a ridurre la perdita di metano dalle apparecchiature in superficie usate nello sviluppo del gas naturale, come valvole e gasdotti. Quelle regole non sembrano affrontare le perdite durante la trivellazione.

venerdì 11 aprile 2014

Il picco del petrolio non è morto, puzza così di suo

Questo articolo è dell'anno scorso ed è stato generato dall'annuncio della chiusura di "The Oil Drum", uno dei siti più importanti e conosciuti dedicati al picco del petrolio. Ci sembra il caso di proporlo qui in traduzione dato che è ancora validissimo e spiega molte cose di quello che sta succedendo (U.B.)
 

Da “Smartplanet”. Traduzione di MR

L'analista energetico Chris Nelder risponde agli ultimi commenti infondati sul picco del petrolio



The Oil Drum, un sito Web dedicato alla discussione informata sul picco del petrolio e sull'energia, ha annunciato il 3 luglio 2013 che sta chiudendo. (Per una breve introduzione sul picco del petrolio vedi la mia conversazione con Brad Plumer sul Washington Post). Coloro che odiano la storia del picco del petrolio non si sono preoccupati di nascondere la loro gioia alla notizia. Alcuni hanno persino visto l'occasione per dichiarare la vittoria della loro parte nel 'dibattito' sul futuro dei combustibili fossili. “Potremmo dire 'Ve l'avevamo detto', non come epiteto da campetto scolastico, ma semplicemente come un fatto”, ha trionfato Mark Mills, co-autore di un libricino intitolato Il pozzo senza fondo, che Publishers Weekly ha descritto come “Lungo in retorica Nietzscheana ma breve su alcune specifiche cruciali”.

David Blackmon, un consulente con sede a Houston con una carriera di 33 anni nell'industria del petrolio e del gas che è uno dei 1.300 "collaboratori" redazionali di Forbes’ ha chiamato The Oil Drum “un sito dedicato ad una teoria basata sulla mancanza di immaginazione ed una irrilevanza crescente” nel suo articolo da pallonaro.

L'economista Karl Smith, un altro collaboratore di Forbes, si è fatto beffe della distinzione cruciale fra petrolio greggio e “tutti i liquidi” nella sua confusa insalata di parole, asserendo che “liquidi come il butano, il propano e l'etano sono importanti prodotti del petrolio” senza spiegare perché dovrebbero essere conteggiato come petrolio greggio, quando invece non lo sono.

Imbaldanziti dalla recente esuberanza sul fracking negli Stati Uniti, questi esperti ora dichiarano che la sola cosa che ha raggiunto il picco “è stata la capacità di discutere sul fatto che l'era del petrolio, e degli idrocarburi, fosse finita”.

Non uno di loro ha detto una sola parola sul tasso globale di produzione, che è l'essenza della questione del picco del petrolio. Perché inoltrarsi nei dati quando il mero lancio di fango sugli avversari e proclamare la tua fede funziona?

Un pugno di altri scrittori hanno offerto punti di vista meno ideologici. Matt Yglesias ha confessato di aver “sempre trovato il dibattito sul 'picco del petrolio' un po' confuso” ma ha riconosciuto che c'è stata una profonda rivoluzione dei prezzi: “I bei giorni passati dei combustibili liquidi realmente abbondanti sembrano essere alle nostre spalle”, ha scritto. Noah Smith ha scritto il post più informato del lotto, notando che la transizione al petrolio non convenzionale è una grossa parte del perché i prezzi sono saliti e che “non c'è sostituto all'orizzonte” per il buon vecchio greggio. Ma nemmeno loro hanno menzionato il tasso di produzione di petrolio.

Keith Kloor ha preso in prestito un grafico della EIA della produzione statunitense da un articolo della BBC che ripeteva tutti i punti di discussione preferiti dell'industria su come la nuova tecnologia ha prodotto “una nuova corsa al petrolio”. Apparentemente, né Kloor né l'autore della BBC si sono resi conto che il grafico rappresentava la produzione di “tutti i liquidi” negli Stati Uniti, non solo il petrolio greggio, né si sono disturbati ad esaminare i dati dettagliati della EIA da soli, né hanno cercato di spiegare in che modo questo recente boom della produzione statunitense possa respingere lo spettro di un picco globale. Kloor ha concluso che The Oil Drum stava chiudendo perché “i numeri non sono in vostro favore adesso”. Ma come gli altri, non ha realmente menzionato alcun numero.

In breve, tutti questi autori hanno usato la notizia di The Oil Drum per commentare sul dibattito sul picco del petrolio – le previsioni imprecise, l'atteggiamento demagogico e eccessivamente ottimista e gli insulti, che hanno macchiato entrambe le parti della questione, bisogna dire la verità – ma nessuno di loro ha discusso di picco del petrolio. Non pensavo davvero di dover dire dirlo di nuovo, ma il picco del petrolio è questione di dati, specialmente di dati sul tasso di produzione del petrolio. Se si vuol dichiarare che il picco del petrolio è morto (o vivo), bisogna parlare di dati sui tassi di produzione. Non c'è altro modo per discuterne.

Tanto per la cronaca

Che cosa sta realmente succedendo allora?

Primo, ciò che è successo a The Oil Drum è stata una chiusura volontaria, una diminuzione del traffico di visitatori e un flusso insufficiente di lavoro originale di alta qualità e di collaboratori. E' una sfortuna, perché negli ultimi 8 anni The Oil Drum è stato il sito gratuito migliore sul Web per del buon lavoro rigoroso e per la discussione informata sui dati dell'energia. Ho col sito un grosso debito per l'educazione, i contatti e la visibilità che ho acquisito attraverso di esso.

Ho appreso della sua chiusura lo stesso giorno della morte di Randy Udall. E' stata davvero un giorno triste e buio per i picchisti, uno di quei momenti spartiacque che è sembrato un vero e proprio punto di svolta nella discussione sul picco del petrolio. Usare questa occasione per ballare sulla loro tomba, come hanno fatto alcuni oppositori del picco del petrolio, è stato un colpo basso.

Ma la ragione per cui The Oil Drum era carente di contenuti originali non era che aveva perduto la discussione e non c'era altro da dire. Lungi da questo. Il flusso di contenuti si è semplicemente spostato dove i buoni analisti e scrittori sul tema potessero essere pagati per il proprio lavoro. Questo era inevitabile, perché un modello di pubblicazione che si affida ad un flusso costante di articoli gratuiti la cui redazione richiede giorni, settimane o persino mesi di lavoro duro e altamente qualificato, non era semplicemente sostenibile. Gli scrittori freelance come me sono passati a pubblicazioni che pagano come SmartPlanet dove ci si può guadagnare da vivere. Consulenti e fondi speculativi hanno cominciato a restringere il proprio lavoro ai loro clienti privati ed abbonati, forse con un teaser di materiali gratuito postato nei propri blog e newsletter. Gli investitori e le compagnie di petrolio e gas assumono analisti competenti per fare il loro lavoro in forma privata, dopo aver fatto parte per molti anni  dell'intelligenza collettiva su The Oil Drum (e scambiandola in modo molto redditizio, aggiungerei) gratuitamente. I volontari che hanno dato così tanto tempo al sito in tutti questi anni, hanno scoperto che dovevano spendere le proprie energie altrove. E la gente si è abituata a prezzi più alti, quindi i media hanno smesso di parlare di picco del petrolio, il che ha portato ad un crollo del traffico. Oh, questo è lo show biz.

E' anche vero che molti di noi, avendo fatto la nostra prima esperienza sui dati e la discussione su The Oil Drum, sono passati ad altro. Una volta che si è imparato qualcosa, non c'è bisogno di continuare a reimpararla. Parlando per me, io sono passato a cimentarmi con le soluzione al problema del picco del petrolio: aumenti di efficienza, finanziamento, problemi di policy, paradigmi di trasporto e la transizione alle rinnovabili. Rivisitare semplicemente il problema del picco del petrolio non mi sembrava un buon uso del mio tempo, anche se ho continuato a scriverne come contesto. So che altri ex collaboratori del sito hanno cambiato le loro linee di condotta in modo analogo.

Secondo, la mania del fracking è stata piuttosto ben confinata agli Stati Uniti, perché è lì che si sta manifestando. Uscite dagli Stati Uniti per un po', come ho fatto io quest'anno, e scoprirete rapidamente che la gente è ancora preoccupata dal futuro di petrolio e gas. Probabilmente perché i prezzi del loro petrolio e gas non sono scesi e le loro riserve non sono aumentate. Non ci sono assolutamente prove che il fracking produrrà volumi significanti di petrolio al di fuori degli Stati Uniti in tempi brevi.

Terzo – e so che questo farà male a qualche scrittore là fuori, ma va detto – pochissime persone che hanno scritto del picco del petrolio al di fuori di siti come The Oil Drum, non hanno mai compiuto il duro studio richiesto per comprenderlo realmente. Hanno semplicemente preso una parte, di solito su basi di appartenenza o ideologiche, ed hanno cominciato a difenderla. Molti di loro non hanno un'idea, persino ora, di quale differenza ci sia, diciamo, fra riserve provate e risorse, o cosa sia un rapporto riserve/produzione, o cosa rappresenti realmente una stima P50, o i costi di produzione e il contenuto energetico di liquidi non-greggio. Nemmeno un'idea. Sarei disposto a scommettere che il 95% di loro non ha mai fatto un foglio elettronico dei dati di petrolio e gas e cercato di analizzarlo.

Gran parte di quanto avete letto sul picco del petrolio nella stampa generica è stato scritto da giornalisti generici. E' un tema follemente complicato che richiede davvero migliaia di ore di studio per comprenderlo. Ma gran parte di loro non ha compiuto questo studio e gran parte di quello che scrivono è sbagliato. Di solito si limitano a riscrivere il riassunto di un rapporto tecnico e lungo scritto da qualcuno dell'industria. Non leggono la cosa per intero; non hanno tempo, oppure potrebbero non avere gli strumenti per capirlo. Non fanno analisi originali o controllo dei fatti. E troppo spesso sembrano non capire il contesto dei dati, quindi non ve ne danno. Cosa significano 7, 19 o 91 milioni di barili al giorno per la persona media? Niente. Quindi non ne parlano. Ma possono sicuramente scrivere la centesima variazione di una storia sulla incipiente “indipendenza energetica” degli Stati Uniti e come questo sconvolgerà la geopolitica, bla, bla, bla, mentre giocano coi miti dell'eccezionalità americana, senza capire i dati.

Analogamente, è facile speculare sul fatto che la soluzione du jour, etanolo, biocombustibili dalle alghe, “l'economia dell'idrogeno”, l'energia solare nello spazio, le celle a combustibile, gli idrati di metano e così via – ci salveranno, se non si scava realmente fra i dati. I giornalisti generici amano farlo. Quegli articoli generano un sacco di traffico e nessuno li riterrà mai responsabili per aver scritto di una fantasia popolare.

In realtà, sono generoso qui attribuendo la loro inattenzione al fatto di essere generici in tempi stretti. Dopo un decennio di queste innumerevoli sciocchezze, ho cominciato a sospettare o del disinteresse o della pigrizia, o peggio. Specialmente da parte degli scrittori di scienza ed economia che chiaramente hanno gli strumenti per ricercare e capire i dati. Come Robert Bea, un esperto che ha studiato uno dei più grandi disastri ingegneristici civili della storia recente, ha recentemente osservato, il fallimento di solito è il risultato di tracotanza, miopia e indolenza, non dell'ingegneria. Il nostro fallimento nel preparare per il picco del petrolio non è diverso.

La sola cosa che gran parte degli scrittori sembra aver afferrato è la dura realtà del prezzo. Questo è abbastanza semplice, viene pubblicato tutti i giorni da diverse agenzie. Una rapida ricerca su Google lo troverà. Non richiede alcun studio. Tutti se ne interessano. E' la torta. Quando i prezzi sono alti, come lo sono ora, coloro che capiscono solo il prezzo lo vedono come prova del fatto che la spiegazione del picco del petrolio ha qualche merito. Ma il prezzo è mutevole. Quando i prezzi sono crollati a 30 dollari al barile alla fine del 2008, tutti scrivevano di come questo fosse la prova che la teoria del picco del petrolio fosse sbagliata.

Coloro che capiscono gli aspetti tecnici dei dati sono generalmente all'interno dell'industria del petrolio e del gas. La maggior parte non parla di questo perché i dati raccontano una storia che non vogliono che venga raccontata. Quindi cercano di spostare il focus lontano dai dati verso gli atteggiamenti di chi partecipa al dibattito. O parlano solo dei dati che favoriscono il loro punto di vista, come le risorse tecnicamente recuperabili in aumento e il boom della produzione in Nord Dakota e Texas. Il più delle volte lo stratagemma funziona.

Quindi lo sfiancante “dibattito” sul picco del petrolio va avanti, ripetuto come un teatro Kabuki senza fine di Malthusiani contro Cornucopiani, ignorando i dati a favore di altre mille parole sugli atteggiamenti e le credenze.

E in mezzo, cari lettori, ci siete voi. Presi fra innumerevoli giornalisti imprudenti da un lato e da una propaganda accuratamente costruita da coloro che “promuovono i loro libri” dall'altro. Pagare 4 dollari a gallone per la benzina un giorno, quindi 2 il mese successivo, poi ancora 4 dollari quattro anni dopo. Non sapete il perché, perché la stampa non ve lo spiega mai veramente, l'industria cerca deliberatamente di confondervi e i politici vi dicono qualsiasi cosa pur di prendere il vostro voto.

Tutto ciò che posso dire su questo è: mi dispiace. E' triste. Ho cercato di far emergere i fatti per anni. Non sembra che sia di aiuto.

I dati

Ora parliamo di qualche dato.
Il mondo attualmente produce circa 91 milioni di barili al giorno (mb/d) di 'petrolio', nella definizione della IEA che sta per tutti i liquidi. Negli ultimi due anni, la produzione reale di greggio (che comprende il condensato lease nella definizione della EIA) si è aggira sui 75 mb/g su base annuale, appena poco sopra il plateau di 74 mb/g stabilito nel 2005.

Il momento della verità per il picco del petrolio sarà quando il declino dei vecchi giacimenti alla fine sopravanzerà le aggiunte di nuova produzione e l'offerta globale comincia a scendere verso sud. (Un'alternativa di moda è che raggiungeremo prima il “picco della domanda”, in cui il petrolio sostituito da altri combustibili e la domanda crollano a causa di una maggiore efficienza, ma al momento trovo le prove che questo si avvenuto, o che avverrà, non convincenti).

Quel momento della verità non è ancora arrivato. Il fracking, insieme a tutti gli altri metodi che il mondo sta usando per strizzare un po' più di petrolio dalla Terra, ha a malapena spostato la produzione globale di petrolio. Ecco il grafico:


Grafico: Peak Fish. Dati: EIA

Cosa ci vedete? La fine ignominiosa di una storia senza fantasia perpetrata da cani sciolti con interessi personali che cercano di incrementare i loro profili e vendere qualche libro, o un plateau di produzione che è appena aumentato negli ultimi due anni dopo uno sforzo assolutamente eroico che ha richiesto centinaia di miliardi di dollari di investimento ed una quadruplicazione dei prezzi del petrolio?
Ora guardiamo la produzione non OPEC, senza la produzione americana:


Fonte: Peak Fish

Vedete come la produzione è scesa negli ultimi anni? Ciò accade perché il tasso aggregato di declino di tutti i giacimenti è intorno al 5% all'anno. In altre parole, il mondo perde circa da 3,0 a 3,8 mb/g di produzione ogni anno (a seconda dei numeri che si usano). Gran parte della “ondata di marea di petrolio” di 2 mb/g proveniente dal fracking degli Stati Uniti è stata assorbita dal declino nel resto dei paesi non OPEC, come si può vedere dalla produzione aggregata non OPEC in questo grafico:


Fonte: Peak Fish

La domanda non è “Può il fracking salvare il mondo dal picco del petrolio?” ma “Per quanto tempo l'America può mascherare il declino nel resto del mondo?” La risposta probabilmente è non ancora per molto. Il tasso di crescita della produzione del tight oil si è considerevolmente raffreddato negli ultimi anni e la produzione per pozzo sta crollando. 

Ora, guardiamo la produzione degli Stati Uniti da sola. Ecco il grafico di “tutti i liquidi” che Kloor ha ristampato, presumibilmente senza rendersi conto che non era solo per il petrolio:


Eccezionale, vero? Un enorme inversione di tendenza. Siamo tornati ai livelli del 1985! 
Ora guardiamo il grafico della reale produzione statunitense di greggio e condensato, senza tutti i liquidi del gas naturale, i biocombustibili ed i miglioramenti di raffinazione:


Fonte: EIA

Oh, ma che è successo a quell'enorme picco di produzione che ci aveva riportati ai livelli del 1985?

Ora guardate l'articolo dove ho spiegato la differenza fra quei numeri e perché i numeri di “tutti i liquidi” esagerano l'offerta vera di petrolio degli Stati Uniti di circa un terzo. Credete ancora a Karl Smith, che non ha spiegato di tutto questo e che non ha fornito dati ma ha semplicemente asserito che “ 'liquidi' non è un termine subdolo” e che dovremmo contare ugualmente tutti i liquidi “perché iniziano le Primarie Presidenziali in Iowa”?

Alcuni altri dati sul petrolio statunitense, visto che è stata disseminata così tanta confusione su questo negli ultimi mesi: l'America consuma 19,5 mb/g di petrolio e ne produce 7,4. Su base annuale, per tutto il 2012 è stata la più grande importatrice di petrolio del mondo, ma è stata probabilmente superata da allora dalla Cina su base mensile. Esporta più prodotti raffinati come benzina e diesel di quanti ne importi, ma questo è semplicemente perché ha un complesso di raffinazione molto ampio e una domanda interna in diminuzione, non perché è sulla strada dell'indipendenza energetica. Gli Stati Uniti non saranno mai degli esportatori netti di petrolio, né supereranno l'Arabia Saudita nella produzione di petrolio, a prescindere da quanto potreste aver letto sull'America “Saudita”.

Ora parliamo del prezzo. Dal 2003, chi prevede meglio il riprezzamento globale del petrolio, i picchisti che ipotizzavano un picco record dei prezzi o i Cornucopiani che coerentemente prevedevano che i prezzi del petrolio sarebbero tornati ai livelli storici? La risposta è indiscutibile: i picchisti. 

Per il decennio passato, i Cornucopiani ci hanno raccontato che stava arrivando una nuova abbondanza dal petrolio di alto mare, dalle sabbie bituminose, dal miglioramento del recupero di petrolio, dai biocombustibili e da altre fonti non convenzionali. La produzione globale di petrolio sarebbe aumentata fino a 120 mb/g e i prezzo sarebbero tornati ai 20 o 30 dollari a barile. Quelle storie erano completamente sbagliate. I picchisti lo avevano detto.

Ecco cos'è accaduto: il petrolio è stato riprezzato in risposta alla scarsità. I prezzi a tre cifre sono stati responsabili del nuovo afflusso di produzione non convenzionale. Quella produzione, compreso il fracking per il tight oil negli Stati Uniti, aumenta i prezzi, non li diminuisce. Negli ultimi sei anni, abbiamo raggiunto il prezzo tollerabile dai consumatori e siamo tornati indietro ripetutamente. 

Per un'ultima parte di dati, guardate questa previsione dall'ultimo post che l'ingegnere petrolifero Jean Lahèrrere ha scritto per The Oil Drum:


(Ho usato un altro grafico di Laherrère nel mio post di marzo)*

Laherrère conclude: “Coi pochi dati disponibili oggi, sembra che la produzione di petrolio mondiale (tutti i liquidi) raggiungerà il picco prima del 2020, nei paesi non-OPEC molto presto a in quelli OPEC intorno al 2020. l'OPEC smetterà di esportare petrolio greggio prima del 2050”. 

Guardando da vicino i dati di Laherrère, sembra essenzialmente in linea con la mia visione secondo la quale in altri 18 mesi o giù di lì avremo il segnale che il petrolio dev'essere riprezzato ancora di più per mantenere ancora la produzione. Questo sarà molto difficile da digerire per i consumatori di Stati Uniti ed Europa. Se il riprezzamento porterà più petrolio nel mercato, o ucciderà semplicemente la domanda, rimane da vedere. 

Questo è ciò che i dati – non le credenze o la retorica – mi dicono. 

Qual è la vostra scommessa?

Quindi ecco ciò che sappiamo.
Il petrolio greggio di valore alto – la roba buona con 5,8 BTU per barile che possiamo trasformare in diesel, benzina ed un milione di altre cose – è stato generalmente mantenuto in un plateau produttivo dal 2004. La produzione globale diminuirà quando il declino dei giacimenti vecchi subisserà le nuove aggiunte. Quando, precisamente, questo accadrà, nessuno può dirlo per certo. Ma è quasi sicuramente prima del 2020. 

Gran parte dei liquidi non-greggio non equivalgono al greggio. A parte le sabbie bituminose e il petrolio pesante, questi contengono meno energia e sono di gran lunga meno utili. Alcuni non possono essere trasformati in benzina e diesel. Ma con la produzione regolare di greggio intrappolata a 75 mb/g, questi altri liquidi devono soddisfare tutti i futuri aumenti della domanda di petrolio. Mentre occupano una quota in aumento del mercato dei combustibili liquidi, aumentano gradualmente il prezzo del “petrolio”. Niente di visibile all'orizzonte cambierà questo. 

Alla fine, il prezzo diventerà troppo alto e avremo il “picco della domanda”, bene, ma sarà principalmente a causa del prezzo, non dei guadagni in efficienza e porterà ala contrazione economica, non alla crescita. Quel prezzo lo dovremo alle prospettive sempre più marginali e difficili – quindi care. In quel senso, è un problema dal lato dell'offerta, un concetto che è al centro del picco del petrolio. E' chiaro perché l'argomentazione “picco della domanda” contro “picco dell'offerta” non sia poi così interessante?

Se i consumatori statunitensi sono in grado di tollerare, diciamo, 5-7 dollari a gallone per la benzina nel 2020, allora è possibile che il plateau produttivo si possa estendere un po' di più e mia ipotesi che l'offerta globale comincerà a slittare verso il 2015 potrebbe essere sbagliata. Non sarà sbagliata di molto e nel grande schema di cosa significhi questo per l'economia globale, un anno o tre in più o in meno sono di fatto irrilevanti. Ma anche se mi sbagliassi di sei mesi, potete stare sicuri che i miei detrattori usciranno allo scoperto per dire che ho detto una cavolata e che la produzione sta andando alle stelle.  

Ma la mia scommessa è che i consumatori di Stati Uniti ed Europa non possano tollerare prezzi significativamente più alti. La tolleranza di prezzo è qualcosa di cui i Cornucopiani non parlano mai, quindi non sentirete queste argomentazioni da loro. Se ho ragione su questo punto, allora la produzione avrà un declino quando i prezzi diventano intollerabili. In virtù della sua pressione verso l'alto sul prezzo, la produzione di petrolio non convenzionale contribuisce al picco del petrolio, non lo cura. 

Mi aspetto che la produzione mondiale di petrolio aumenti, debolmente, per altri due anni, più o meno, mentre l'America cade in un sonno più profondo credendo che il fracking abbia curato tutto. I media rinforzeranno quella credenza. E quando arriverà, il campanello d'allarme sarà severo. Nel frattempo aspetteremo la battuta finale.

Quindi, per coloro che possono comprendere i dati, ecco il mio pensiero finale: come prepararsi per La Grande Contrazione? Probabilmente rimangono due anni buoni di business as usual e forse altri tre o quattro ancora prima che le cose diventino davvero difficili. Vi esorto ad usarli bene e fate quello che potete per rendervi resilienti ed autosufficienti. Cosa farete fra 10 anni se il prezzo della benzina è di 10 dollari a gallone?

Sì, dobbiamo parlare seriamente dei nostri valori, speranza, credenze, mitologie e ambizioni; del paradigma atavico della crescita, dell'abisso del debito e della teoria economica in un'era di ritorni marginali decrescenti. Quelle sono tutte discussioni importanti. Ma facciamole dopo aver capito lo stato di fatto dell'energia. Non prima.  

Qualsiasi cosa facciate, non pensate che il picco del petrolio sia morto solo perché qualche tipo che non sa di cosa parla lo ha detto in un post senza dati. Sta arrivando. Più tardi di quanto qualcuno aveva pensato, ma prima di quanto pensiate. 

Foto: Mark Rain (AZRainman/Flickr)

*Correzione del 25 luglio 2013: nella versione originale di questo post, ho detto che il grafico di Laherrère “lascia fuori i volumi del petrolio super pesante che potrebbe materializzarsi o meno dal Venezuela e dal Canada”. Laherrère ha risposto che questo grafico di fatto include i volumi di petrolio pesante. Il testo è stato corretto di conseguenza.