Traduzione da "Cassandra's Legacy" di Massimiliano Rupalti
Questo post di George Mobus, pubblicato su " Question Everything", va al cuore del problema; correttamente definito come “dilemma irrisolvibile" ("predicament" in inglese). Semplicemente non siamo attrezzati per affrontare la complessità che abbiamo creato. Ora, sembra che non possiamo fare altro che guardare il banchetto delle conseguenze
Troppo intelligente per il nostro bene;
di Craig Dilworth
Recensione di George Mobus
Un paradosso
Molti anni fa credevo, come la maggior parte della gente oggi, che l'intelligenza fosse la chiave per risolvere tutti i problemi dell'umanità (leggi innovazione, che supererà ogni problema, come danno per scontato i "tecnocornucopiani"). Ho passato un parte non breve della mia vita cercando di capire cosa sia l'intelligenza e come il cervello produca le capacità di risolvere i problemi complessi. Ho passato la mia infanzia guardando l'esplosione della scienza che si dispiegava e che è culminata, per esempio, nel portare degli uomini sulla Luna. Sono cresciuto sapendo che c'erano questi cervelli elettronici chiamati computer. Più tardi, ad un'età in cui si è ancora impressionabili, una volta che i prezzi e le dimensioni dei computer sono diminuiti, ho avuto la mia opportunità di giocarci. Mi sono immediatamente innamorato di una macchina che potevo programmare per risolvere rapidamente problemi per risolvere i quali avrei impiegato giorni. E mi sono imbattuto nei lavori di Alan Turing sull'idea che un dispositivo computazionale potesse essere capace di emulare l'intelligenza umana, soprannominata “Intelligenza Artificiale” (AI). Il “Test Turing” ha postulato che dovremmo attribuire intelligenza alle macchine se in una conversazione alla cieca con un vero umano, il secondo possa non accorgersi che sta parlando ad una macchina. Ho cominciato a vedere come una tale meraviglia possa essere realizzata.
Molti anni più tardi sono riuscito ad ottenere un dottorato in scienza del computer programmando un computer non ad emulare l'intelligenza umana, ma l'intelligenza di un neurone con le sue connessione sinaptiche adattative. Queste le ho assemblate in un modello computazionale di un cervello di lumaca, certamente poco evoluto, ed ho mostrato come tali cervelli possano controllare il comportamento e, più importante, emulare l'apprendimento (biochimico) di tipo animale attraverso un condizionamento in stile Pavlov. Mettendo questo cervello in un computer che controlla un piccolo robot Braitenberg ho potuto mostrare come il cervello abbia imparato caratteristiche dal suo ambiente sperimentato e come abbia adattato il proprio comportamento per conformarlo agli stimoli di quell'ambiente (gestito da stimoli causanti dolore e da stimoli di approccio gradevoli). Questo esercizio accademico mi ha fatto cominciare a scavare più a fondo su come funzionino le reti neurali biologiche nei cervelli reali. Ho letto ogni libro che ho potuto trovare e molti articoli di riviste sui vari aspetti delle neuroscienze cercando di capire come funzionavano. L'obbiettivo ovvio di AI era quello di riprodurre un'intelligenza di tipo umano in una macchina. La versione forte di questo programma contemplava anche la produzione di una macchina conscia (per esempio HAL 9000 di "Odissea nello Spazio")
Il campo di AI si è evoluto dai primi giorni ed ha prodotto alcuni prodotti computazionali utili. Ed anche se un programma come Deep Blue (IBM) ha battuto il maestro di scacchi Garry Kasporov e Watson (pure IBM) ha battuto i campioni d'azzardo di tutti i tempi a quel gioco, il fatto è che i computer ancora stimolano solo alcuni aspetti dell'intelligenza e quindi in settori di competenza limitati.
Attraverso l'evoluzione del campo, l'idea di un'intelligenza delle macchine ha generato un interesse considerevole da parte di psicologi, neurobiologi e filosofi. Innanzitutto, i dibattiti su cosa fosse l'intelligenza venivano generati ogni volta che AI sembrava far progressi. Forse uno dei più importanti contributi a questo campo è stato il mostrare come i cervelli reali fossero diversi da come i computer processano i dati. E con ogni nuova realizzazione dei computer, cercando di padroneggiare compiti che in precedenza erano stati pensati per richiedere intelligenza, diventava sempre più chiaro che il tipo di intelligenza umana era molto più complessa e sfumata dei nostri primi modelli. La mia stessa affermazione che il mio robot emulasse una “stupida” lumaca avrebbe potuto essere valida per un livello molto basso di intelligenza, ma è servita solo a sottolineare come i nostri approcci computazionali siano lontani dalla realtà del livello di intelligenza umano.
In ogni caso, le mie incursioni iniziali in AI attraverso fenomeni di apprendimento simulati in strutture simili ai neuroni, mi hanno tenuto agganciato all'idea di capire la realtà. Psicologia e neurobiologia hanno fatto passi così importanti per afferrare la natura dell'intelligenza e della consapevolezza umana che ho essenzialmente smesso di preoccuparmi di AI ed ho rivolto la mia attenzione più pienamente alla ricerca della vera intelligenza umana come oggetto di studio.
Per quanto è stato chiarito, specialmente negli ultimi decenni, sull'intelligenza umana, gran parte del mondo ritiene ancora che l'intelligenza sia la nostra più grande realizzazione mentale. In coppia con la capacità mentale gemella della creatività, l'intelligenza è vista come la quintessenza della cognizione; un genio è uno che ha grandi porzioni di entrambe in confronto agli umani ordinari. Il cervello umano è ritenuto fornire abilità nel risolvere problemi complessi. Noi identifichiamo spesso l'intelligenza con il pensiero razionale (per esempio la logica deduttiva) e portiamo i talenti matematici o scientifici come prova che siamo veramente una specie intelligente. Il solo fatto dell'esistenza della nostra abilità, prova che siamo più intelligenti di una qualsiasi scimmia.
Ma c'è un inconveniente in questo pensiero palliativo. Se provate a spiegare oggettivamente lo stato del mondo oggi come il risultato del nostro essere così intelligenti vi dovete porre una domanda molto importante: se siamo così intelligenti, perché noi umani ci troviamo in una situazione così terribile oggi? La nostra specie sta affrontando una costellazione di problemi straordinari e complessi per le quali nessuno può consigliare soluzioni fattibili (vedete sotto). Ironicamente, questi problemi esistono perché la nostra abilità, la nostra intelligenza, li ha creati. Le nostre attività, intelligenti come abbiamo pensato che fossero, sono le cause dei problemi che, collettivamente, minacciano l'esistenza stessa dell'umanità! Questo sembra un paradosso. Siamo intelligenti abbastanza da creare i problemi, ma non siamo intelligenti abbastanza per risolverli. La mia conclusione è che forse l'intelligenza non è abbastanza. Forse qualcosa di più importante della cognizione è andata perduta permettendo lo sviluppo di questa situazione difficile. Questo è stato il pensiero che ha motivato la mia ricerca di una risposta.
Craig Dilworth, docente di Filosofia Teoretica all'Univerisità di Uppsala in Svezia, si è fatto la stessa domanda da una prospettiva leggermente diversa, ma è arrivato ad una conclusione simile riguardo il ruolo dell'intelligenza nel creare la situazione difficile. In Troppo intelligenti per il nostro bene Dilworth ricostruisce magistralmente la storia di come gli umani, essendo cosi abili ma ancora motivati dai propri istinti e meccanismi animali, abbiano fatto un vero casino. Detto semplicemente, conclude che l'esperimento evolutivo chiamato Homo Sapiens è intrinsecamente insostenibile. Egli costruisce le prove con cura e sapientemente, anche se ho qualche preoccupazione per quanto riguarda alcuni particolari di poca importanza (che esporrò in seguito). E non lesina le frecciate, quando necessario.
Il dilemma e le cause più probabili.
Buona parte del libro di Dilworth tratta dell'evoluzione dell'attuale specie umana e, in particolare, delle componenti residuali di comportamento umano ereditate dai nostri predecessori animali. In breve, chiarisce i vari meccanismi che stanno sotto a tutte le attività umane e questo dimostra solo quanto gli esseri umani siano realmente delle creature biologiche. Egli trae accuratamente un gruppo di principi dalla fisica, chimica e biologia che spiegano la traiettoria evolutiva che porta molto naturalmente alle scimmie abili. E quindi dichiara che è stata superata una soglia. Lungo le linee dei generi Australopithecus e Homo le loro abilità mentali hanno prodotto comportamenti che nessun altro animale precedente è stato capace di adottare, almeno all'estensione alla quale queste scimmie abili sono state in grado di portarli. In particolare i primi umani (il termine copre diverse specie) hanno imparato a controllare il fuoco, a diventare cacciatori e raccoglitori più efficienti con strumenti fatti da loro stessi e a proteggere sé stessi dalle bizze del clima costruendosi dei ripari e dei vestiti. Questa capacità di inventare e costruire li ha posti in una nuova relazione biologica con il resto del mondo biofisico. Li ha posti sulla strada di quello che Dilworth descrive come il “circolo vizioso”. Gli esseri umani possono estrarre risorse, non rinnovabili e rinnovabili, dall'ambiente ad un tasso crescente, sia pro capite quando cresce la popolazione, sia in termini assoluti. Consumiamo anche queste risorse dopo averle trasformate in forme utilizzabili, come i vestiti. Il nostro consumo, oltre alle devastazioni dell'entropia, significa che stiamo producendo uno spreco di prodotti a tassi crescenti nello stesso quadro dinamico dei tassi di estrazione. E non in grado di aiutarci da soli. Siamo guidati da mandati biologici a consumare come individui ed a procreare.
La parte sul fatto che non siamo in grado di aiutarci da soli è realmente il dilemma, la causa alla radice di tutti i nostri misfatti e dei seguenti problemi. Più prossimo al nostro attuale rompicapo, è un insieme di cause e delle loro conseguenze.
Le minacce su scala globale sono tantissime. Ecco una lista parziale di alcuni dei problemi più minacciosi, il ruolo umano nel causarli e le loro possibili conseguenze. Ognuno di questi potrebbe essere incredibilmente preoccupante per l'umanità, ma presi insieme, perché sono tutti in relazione fra loro e si nutrono l'un l'altro, sono convinto che significhino disastro certo, come crede anche un numero crescente di scienziati.
Sovrappopolazione
A parte in poche culture, che generalmente sono società di cacciatori-raccoglitori, e certamente fra le cosiddette civiltà della storia, il sentimento generale di “siate fecondi e moltiplicatevi” sembra aver prevalso. Gli umani, come gli animali, hanno alcuni, sebbene deboli, meccanismi interni per verificare la dimensione della popolazione relativa alla capacità di carico dell'ambiente. Molte culture hanno praticato varie forme di controllo della popolazione ed alcune lo fanno ancora oggi con diversi gradi di successo. Queste pratiche posso essere generalmente viste come parte delle cultura e sono state solo di recente viste come meccanismi biologici sottostanti. Alcune di queste pratiche sono considerate barbare ed immorali per i sentimenti civilizzati. Ma quando funzionano sembrano funzionare bene.
Dilworth argomenta, tuttavia, che questi controlli interni vengono facilmente sovvertiti dai più ampi istinti biologici di guida quando la popolazione percepisce che 1) l'ambiente può sopportare più persone e 2) servono più persone per fare il lavoro necessario all'estrazione delle risorse. Il punto di svolta nella preistoria umana è stato probabilmente l'invenzione dell'agricoltura. Quest'ultimo, ironicamente, non ha in realtà incrementato l'energia netta pro capite guadagnata rispetto alla caccia e alla raccolta, almeno quando quest'ultima è fatta in ambienti che forniscono una abbondanza rinnovabile di piante alimentari. Piuttosto, tende a diminuire l'incertezza della disponibilità di risorse alimentari, che sembra che noi umani apprezziamo. Anche, ironicamente, l'agricoltura necessita di più lavoro per unità di tempo per ottenere risultati affidabili, quindi una effettiva riduzione nel guadagno netto di energia per unità di tempo pro capite, spesa nella produzione di cibo.
In altre parole, Dilworth sembra argomentare che l'aumento della popolazione che è stato attribuito all'agricoltura non è avvenuto a causa di una maggiore di disponibilità di cibo, di per sé, ma dalla diminuzione della forza del segnale che avrebbe dovuto attivare i naturali controlli interni sull'espansione della popolazione permesso dalle tecnologie di produzione del cibo. Alle classi lavoratrici era meramente consentito di sussistere e procreare sufficientemente per assicurare una costante, o addirittura crescente, classe operaia per sostenere le classi più alte. E, più alta era la gerarchia di classe, più ampia era la base di classe operaia di cui aveva bisogno. Ma una tale espansione significava portare più terra a coltivazione in modo da sostenere la popolazione crescente e continuare a fornire un flusso costante di beni alle più alte sfere della gerarchia. La crescita della popolazione e l'attività “economica” - in origine l'agricoltura – sono così diventate una necessità e non solo una conseguenza.
Diminuzione dell'energia netta pro capite
Naturalmente, il problema è che c'è solo una certa quantità di terra che può essere coltivata. Viviamo in un mondo finito. Le risorse, terra compresa, sono finite. Mentre la crescita consuma sempre di più l'area intorno ai centri delle gerarchie della civiltà, si scontra o con altre gerarchie o con terreni marginali che alla fine non potranno sostenere la quantità di produzione necessaria. C'è un ulteriore ed interessante fenomeno che accade mentre l'espansione continua, anche se la terra è produttiva. Nelle condizioni in cui si viaggiava con carri a trazione animale, c'era una distanza naturale dal centro oltre la quale il ritorno netto di energia cominciava a diminuire geometricamente con l'aumento lineare (aritmetico) della distanza. Cavalli e buoi hanno bisogno di essere nutriti e possono portare solo un certo peso. La strategia della crescita come modo per mantenere l'impresa attiva dev'essere sembrata una buona idea ai supervisori, ma di fatto è arrivato un momento in cui ogni unità di crescita ha prodotto benefici decrescenti e alla fine negativi. Questo ha a che fare con l'idea avanzata per la prima volta da Joseph Tainter riguardo al collasso delle civiltà dovuto all'aumento della complessità. [1]
Il fenomeno di una popolazione che eccede le capacità di carico del proprio ambiente, definita come la capacità dell'ambiente di ricostituire i livelli di risorse richieste ad un tasso che possa sostenere un numero medio di individui (o più correttamente la quantità di biomassa rappresentata in una determinata specie) e di assorbire i prodotti di scarto di quella popolazione senza un sovraccarico tossico, è stato più volte documentato negli studi ecologici. Il mondo funziona principalmente su uno stabile ma limitato flusso di energia dal Sole. Alla fine, quel flusso determina il tasso di ricostituzione delle risorse biologiche (a parità di tutti gli altri fattori). Tutti gli altri animali sono costretti a capacità di carico relativamente fisse, almeno nei tempi di un normale ciclo di vita. Ma gli umani, con loro capacità di sfruttare fonti exosomatiche (al di fuori del proprio corpo) di energia e la loro capacità di inventare, hanno trovato una soluzione a questo limite di fondo. Hanno sviluppato modi per appropriarsi di risorse per sé stessi, lasciando alle specie non umane di meno per i loro bisogni. L'agricoltura, dopotutto, richiede di impiegare grandi appezzamenti di terreno con lo scopo di seminare poche colture di interesse per gli umani, generalmente in monocoltura. Troppo spesso questo finisce per essere una perdita di habitat per altre specie.
Una volta che gli umani hanno scoperto e cominciato ad attingere al conto bancario della luce solare fossile conosciuto come combustibili fossili, l'esplosione della popolazione era inevitabile. Negli ultimi due secoli, grazie all'alto contenuto energetico degli idrocarburi combustibili, l'energia netta pro capite usata per estrarre le altre risorse naturali e sostenere un maggior consumo sono andate crescendo. L'energia ottenuta dall'energia investita (EROEI) estraendo combustibili fossili era così alta all'inizio che l'inventiva umana nel trovare modi per consumare di più è stata apparentemente liberata da qualsiasi impedimento. La moderna società tecnologica è emersa come risultato.
Sfortunatamente i combustibili fossili sono esattamente il tipo di risorsa non rinnovabile che costituisce un limite superiore sull'estensione della popolazione. No, veramente è peggio di così. Perché noi abbiamo raggiunto un punto in cui quei combustibili stanno diminuendo in toto e quello che stiamo estraendo ora richiede più energia per farlo. Abbiamo l'equivalente di ciò che le prime civiltà hanno affrontato quando hanno raggiunto il limite geografico per il guadagno netto di energia. Ci stiamo avvicinando al punto di guadagno zero (se non lo abbiamo già superato) e da adesso in poi ogni essere umano sul pianeta affronterà un declino nell'energia netta disponibile per sopravvivere. Le disuguaglianze di reddito fanno sì che le variazioni causino un aumento della fame fra le classi più povere, mentre le classi più alte cercano di appropriarsi della ricchezza per sé.
La specie umana, come altre specie in condizioni simili, ha superato i limiti. La conseguenza tipica di tale condizione, principalmente perché le dinamiche non sono lineari, è un collasso, una cancellazione della maggior parte della popolazione [2]. Dilworth, nella sua conclusione, concorda con un crescente numero di ricercatori che questa è la conseguenza più probabile per l'umanità. Siamo animali, dopotutto.
Problemi derivati
La sovrappopolazione , cioè il superamento e la diminuzione dell'energia netta pro capite portano ad un gran numero di problemi secondari che anche giocheranno un ruolo in un futuro insostenibile per l'umanità. Stiamo esaurendo l'acqua potabile in molte regioni. Questo in parte a causa del superamento ma anche in parte a causa dei cambiamenti climatici che, a loro volta, sono aggravati, se non direttamente causati, dalla combustione dei combustibili fossili che aggiungono anidride carbonica, un gas serra, in atmosfera e negli oceani a tassi senza precedenti. Il globo si sta scaldando e questo porta al caos climatico di cui cominciamo ad essere testimoni. Ciò porta anche l'innalzamento dei livelli degli oceani che inonderanno molte regioni abitate del globo in un futuro non troppo lontano.
Dai tempi della prima agricoltura e della riorganizzazione della società, gli umani hanno avuto bisogno di qualche metodo conveniente per rappresentare astrattamente la ricchezza. All'inizio avevano bisogno di un modo per contare i cereali immagazzinati ed altri beni che sarebbero stati scambiati. In seguito hanno avuto bisogno di un modo conveniente di trasportare le rappresentazioni della ricchezza che controllavano e scambiare queste rappresentazioni piuttosto che trasportare la ricchezza stessa. I soldi sono stati inventati per svolgere questo compito. Non molto tempo dopo è stata inventata una forma di prestito per fungere da investimento in nuove imprese. Derivato probabilmente dalla distribuzione delle granaglie da utilizzare come sementi dai nuovi giovani agricoltori per iniziare, l'idea di prestare la ricchezza per generare più ricchezza in futuro ha preso piede. Oggi abbiamo il debito che finanzia tutto, dalle case alle scommesse (Wall Street). Quest'idea di usare soldi basati sul debito per investire su un futuro aumento della produzione di ricchezza era praticabile, anche se abusata, come è divenuto chiaro in anni recenti. Finché la fornitura di energia netta era in aumento, c'era sempre un'aspettativa che l'economia si sarebbe allargata e questo avrebbe permesso di saldare i debiti. Questo è stato il caso della rivoluzione industriale ed anche nel 1950 dell'espansione del petrolio e di altre forniture di combustibili fossili, che stavano sostenendo la capacità di fare più lavoro fisico nel futuro. Ciò significava che ci poteva essere più ricchezza prodotta nel futuro, abbastanza per ripagare sia il debito sia l'interesse (il costo del noleggio dei soldi per il rischio corso) e anche per ottenere un profitto. Ma ora che la fornitura di energia netta comincia a diminuire, la strategia della crescita e della finanza basata sul debito sta fallendo (al contrario di quella basata sul risparmio, come era il caso del prestito dell'eccesso di cereali ad un agricoltore sotto forma di seme). E siccome la società si è spinta molto lontano nella costruzione del debito, nell'aspettativa che la crescita continuasse per sempre, il conseguente scoppio della bolla che ne è seguita (e che è ancora in corso) ha avuto effetti devastanti sulle economie globali. E andrà solo peggio. Noi umani siamo stati incredibilmente intelligenti ad elaborare macchine, metodologie ed astrazioni che hanno sfruttato la disponibilità di risorse naturali, specialmente le risorse energetiche esosomatiche. Troppo intelligenti.
Ma non intelligenti abbastanza, pare, di pensare in anticipo alle conseguenze del consumo di risorse finite. Siamo stati e siamo molto abili. Ma non siamo saggi.
Cosa significa essere intelligenti?
Tutti i problemi di cui sopra potrebbero avere una soluzione se solo inventassimo le giuste tecnologie e le applicassimo in tempo per evitare dolore e sofferenza. Dovremmo essere in grado di farlo, visto che siamo scimmie intelligenti, giusto?
Questo è precisamente il punto di svolta dell'argomento. Siamo intelligenti. Intelligenti abbastanza da creare tecnologie come l'agricoltura e le macchine che sembrano risolvere certi problemi immediati. Cerchiamo una maggiore sicurezza nella nostra fornitura di cibo, quindi piantiamo e ci prendiamo cura delle nostre colture. Ci dobbiamo stabilire in un luogo per farlo, ma questo, all'inizio, sembra un effetto secondario benefico. Vogliamo avere spazi velocemente e lavoriamo duramente e più velocemente, così inventiamo strumenti basati sulle macchine che richiedono delle fonti di energia esterna per funzionare. Risolviamo un problema, il problema dell'aumento della domanda di prodotti, producendoli più rapidamente. Ad ogni svolta, la scimmia intelligente ha risolto un problema immediato e lo ha fatto con risultati straordinari. Ciò che questa scimmia ha anche fatto è ignorare il meta-problema. Ogni soluzione di un problema porta con sé i semi di un altro problema di più grande portata. Dilworth vede lo schema chiaramente. Risulta che la versione entropica della Seconda Legge della Termodinamica spiega la situazione [3].
Nel processo umano di invenzione di modi quello che per loro è lavoro utile (a risolvere problemi), essi hanno effettivamente ridotto l'entropia locale nelle loro vicinanze. Cioè, hanno aumentato l'ordine (per esempio costruendo attrezzature e strutture funzionali) per sé stessi. Ma la Seconda Legge ci dice che ogni guadagno in ordine in un sistema può venire solo a spese di un più grande aumento di disordine (entropia) del sistema più grande che lo contiene – l'ambiente. Quindi anche quando gli umani hanno aumentato il “valore” del proprio mondo costruito, lo hanno fatto a scapito maggiore dell'ambiente. Ordine ed organizzazione sulla Terra sono diminuiti complessivamente (pensate, ad esempio, alla biodiversità – una delle misure dell'organizzazione/complessità), come richiede la Seconda Legge, ma ad un tasso accelerato dalle attività umane. Il sistema Terra ha operato vicino ad un equilibrio dinamico (il primo capitolo di Dilworth fornisce intuizioni sul significato di ciò) precedentemente all'evoluzione degli umani. Questo perché il flusso di energia in arrivo dal Sole sì è stabilizzato ed anche se la Terra ha vissuto dei cicli (per esempio le ere glaciali) di alti e bassi, nel complesso la biosfera è stata adattativamente capace di mantenere le sue attività precisamente perché il tasso di fluttuazione ha corrisposto al tasso di cambiamenti evolutivi fra le specie. Dopo che gli esseri umani hanno cominciato, questo stato dinamico è stato interrotto per sempre, con grande dissipazione di energia e riaggiustamenti di molti dei cicli geochimici di lungo corso e di larga scala come i cicli del carbonio e quello idrologico. Tutto questo ora è testimoniato su scala globale. E questa è molto probabilmente la causa più immediata di tutti gli altri nostri problemi.
Così questa è la parte cruciale della questione. Siamo abbastanza intelligenti da aver creato questa situazione in virtù della nostra capacità di aumentare l'entropia nell'intero sistema Terra. Ma non siamo così intelligenti da rimetterlo a posto. Questo è a causa di un semplice fatto. L'intelligenza è per l'invenzione e la soluzione di problemi locali. L'intelligenza e la creatività sono grandi per trovare nuovi modi di aumentare l'entropia. In una spirale perversa, questo è esattamente ciò che è stata l'evoluzione biologica! E noi, umani intelligenti, abbiamo semplicemente adempiuto a questo mandato biologico. Sfortunatamente, dal mio punto di vista, questo significa che neanche il più grande dei controlli naturali, un controllo di retroazione negativa per cui gli umani distruggono gli stessi sistemi di supporto di cui hanno bisogno per esistere, correggerà la situazione. Ogni volta che un qualsiasi sistema va fuori controllo, si rompe. Perché il sistema costruito dagli umani dovrebbe essere diverso?
Il principio del circolo vizioso
Così arriviamo al principio del circolo vizioso di Dilworth (VCP – Vicious Circle Principle). L'uomo diventa abbastanza intelligente da diventare inventivo. Inventa cose che gli permettono di sopravvivere e, per via di una forma fisica migliorata, produce più prole. Ma spesso crea qualcosa di simile ad un surplus e la natura aborrisce sia il vuoto che la concentrazione, così l'uomo genera più uomini per sistemare il surplus. Oppure inventa una qualche variazione su uno strumento utile che produca qualcosa che l'uomo possa desiderare, anche se non in stretta relazione con la sopravvivenza. Dopo un po', soddisfatti quei desideri, l'uomo si abitua ad avere un qualcosa che poi diventa effettivamente un nuovo bisogno. Ma poi il superamento dei limiti della popolazione riduce la disponibilità di qualsiasi cosa ed ecco un nuovo problema. Quindi si torna al tavolo da disegno per inventare qualcos'altro che soddisfi il nuovo bisogno. E risiamo d'accapo. Non ho reso giustizia alla spiegazione di Dilworth, qui. Ho solo voluto dare al lettore un senso della direzione che prende l'autore. Naturalmente potreste leggere il suo lavoro per entrare nei dettagli. E ci sono molti più dettagli che egli analizza in modo superbo.
Questo VCP, secondo le tesi di Dilworth, è la penultima causa alla radice di tutti i problemi che stiamo vivendo. E' il processo dove sarebbe necessario un intervento per fermare e invertire la situazione difficile. Ma in questo sta il problema più grande. Il VCP esiste a causa della nostra natura umana e non c'è nessun cambiamento a breve termine che consenta un intervento che possa fermare la dinamica del circolo vizioso.
Penso che Dilworth abbia veramente puntato il dito sul problema centrale per l'umanità. Siamo presi in un circolo di attività che è “vizioso” nel senso che crea e peggiora tutti i problemi che affrontiamo. Ma ho delle riserve su questo modo di presentarlo.
“Vizioso” è un termine intriso di significato. Questo cerchio, che aumenta l'entropia generale della Terra, sembra vizioso precisamente perché siamo vittime e non ci aiuta avere una prospettiva antropocentrica. Ma, visto dalla prospettiva dell'evoluzione, non c'è proprio nulla di vizioso. Infatti il termine vizioso non ha affatto senso nell'evoluzione. Avremmo pensato alla cometa che si è schiantata sulla Terra 65 milioni di anni fa e che sembra essere stata determinante nell'uccisione dei dinosauri come viziosa? I cambiamenti climatici associati alle antiche glaciazioni, che sembrano essere state determinanti nell'evoluzione del genere Homo, sono da considerarsi viziosi perché hanno creato le condizioni per cui le specie primitive di umani si sono estinte?
Ho preferito pensare al fenomeno dell'abilità umana come all'emergenza di un nuovo fenomeno esattamente allo stesso modo in cui ora pensiamo all'emergenza della vita dalla chimica pre-biologica. Naturalmente, abbracciare questa prospettiva significa che la distruzione della civiltà ed il potenziale evento a collo di bottiglia per l'umanità [4] sono fondamentalmente necessari. E questa è la parte difficile da buttare giù. Come esseri umani nessuno potrebbe “volere” la morte della nostra specie, è certo. D'altra parte, se siamo davvero così intelligenti come da capire tutte le implicazioni dell'evoluzione in sé, forse potremmo arrivare ad accettare l'inevitabilità delle sue conseguenze.
Conclusione
Complessivamente, penso che il libro di Dilworth abbia aggiunto una prospettiva importante alla comprensione delle difficile situazione dell'umanità. Questo per dire che, una volta riconosciuto che l'umanità sta fronteggiando una situazione difficile che potrebbe non avere una soluzione ma un collasso e una morte, almeno Dilworth fornisce una spiegazione per come questo sia accaduto.
Ho solo un problema tecnico con il lavoro ed una differenza filosofica. Il problema tecnico ha a che fare con la forte fiducia dell'autore nel concetto di cariotipologia per spiegare la speciazione. Lui usa il cariotipo come se lo equiparasse al marcatore di speciazione, cioè, due specie diverse all'interno di un singolo gene avrebbero diversi cariotipi. Gli evoluzionisti ed i genetisti ai quali ho parlato di questo, hanno espresso perplessità a questo uso. I cariotipi si riferiscono alla forma strutturale dei cromosomi, specialmente per come appaiono nella metafase della divisione cellulare mitotica. E' il caso che diverse specie all'interno di un dato genere possano avere numeri e forme diverse di cromosomi che si pensa interferiscano con l'ibridazione (almeno praticabile), ma non è sempre così. Si pensa che la differenziazione delle specie sia più generalmente su base genetica. Alcune diversità genetiche, naturalmente, potrebbero essere la cause delle differenze dei cariotipi, ma questo è un effetto collaterale della speciazione, non la causa. Anche con questa possibile interpretazione errata di causa ed effetto nella speciazione, la narrazione complessiva di Dilworth è funzionalmente corretta, quindi l'affidamento alla cariotipologia non toglie materialmente nulla alla storia.
Sono d'accordo con l'autore per quanto riguarda il percorso attraverso il quale abbiamo raggiunto questo punto di incontro. Sono d'accordo sul fatto che siamo troppo intelligenti per il nostro bene. Ma il mio punto di vista è che questo non è un'accusa all'intelligenza ed alla creatività, quanto un riconoscimento di un'inadeguatezza, ad oggi, per l'evoluzione di una mentalità che potrebbe essere più adatta a gestire la nostra intelligenza. Siamo intelligenti, ma non adeguatamente saggi. E non siamo adeguatamente saggi perché la struttura cerebrale che gestisce il nostro giudizio di ordine superiore non si è ancora evoluto a sufficienza per gestire la nostra intelligenza. Avrete sentito il vecchio detto: “Solo perché possiamo fare una cosa non significa dovremmo farla”. Solo perché abbiamo capito come dividere l'atomo per generare energie inimmaginabili non vuol dire necessariamente che dovremmo costruire bombe atomiche o reattori nucleari. Lo abbiamo fatto perché potevamo e non c'era alcuno giudizio di ordine superiore che ci ha fornito le intuizioni sui pericoli del progresso in quella direzione.
La base del cervello per un giudizio di ordine superiore ed intuitivo, guida imparziale per prendere decisioni, è quello che ho chiamato saggezza. E' la capacità del cervello più nuova in termini evolutivi ed è profondamente connessa alla capacità degli umani di formare rappresentazioni astratte, specialmente il linguaggio. Si è evoluta insieme con l'intelligenza ma ha iniziato “più tardi” nella storia evolutiva, così non è in fase con la prima. Deve recuperare. La mia storia finisce in modo un po' diverso da quella di Dilworth. Vedo lo stallo incombente come l'opportunità evolutiva perché questo accada. In altre parole, piuttosto che scrivere semplicemente che il genere Homo ha fallito perché era troppo intelligente, preferisco immaginare che il collo di bottiglia sia un'opportunità per la saggezza di espandersi ed arrivare a fornire un'adeguata capacità mentale di gestione della nostra abilità. Ho sviluppato uno scenario per l'ulteriore evoluzione delle strutture del cervello coinvolte nella saggezza che richiedono un'aggiunta di materia cerebrale sorprendentemente piccola – è più un problema di leggera riorganizzazione e connessione. Naturalmente ciò è altamente speculativo. Ma ha basi nella neuroscienza e nella teoria dell'evoluzione. Non è una vana speculazione. E il valore del partecipare alle conseguenze sta in ogni cosa che possiamo scongiurare per diminuire il dolore e la sofferenza – essere avvisati è essere preparati. Il vero valore del lavoro di Dilworth è di trovare almeno qualche soddisfacente spiegazione intellettuale (anche se inquietante) sul perché siamo dove siamo.
Note bibliografiche
[1] Tainter, J. (1988). The Collapse of Complex Societies, Cambridge University Press.
[2] Catton, William (1982). Overshoot: The Ecological Basis of Revolutionary Change, University of Illinois Press.
[3] See: Schneider, E. D. & Sagan, D. (2006). Into the Cool: Energy Flow, Thermodynamics, and Life, University of Chicago Press.
[4] See: Catton, William (2009). Bottleneck: Humanity's Impending Impasse, Xlibris.
Vedi anche il review del libro: Question Everything: Humanity's Impending Impasse.