di Bruno
Sebastiani
Una leggenda assai
diffusa anche nel mondo ambientalista è che la devastazione della natura da parte
dell’uomo sia di origine piuttosto recente.
Lo sfruttamento intensivo
e sconsiderato delle risorse naturali del pianeta sarebbe iniziato un paio di
secoli or sono o poco più, allorquando il progresso tecnologico e il sistema
produttivo capitalista sfociarono nella rivoluzione industriale.
La rischiosità di
una simile impostazione ideologica consiste nel fatto che la colpa di quanto
accaduto sembrerebbe imputabile a particolari contingenze storico – filosofico –
scientifiche e non ad Homo sapiens in
quanto tale.
Per sfatare questa
leggenda e ristabilire l’esatta catena delle responsabilità mi sembra pertanto
utile riferire, seppur succintamente, dei misfatti compiuti dai nostri lontani antenati
già all’alba dei tempi.
Sono solo alcuni
esempi che ho rintracciato tra le mie letture. Ognuno di voi potrà effettuare
ricerche più approfondite e sono certo che, ahimè, troverà ulteriori prove a
sostegno della tesi che il genere umano iniziò a distruggere irrimediabilmente il
mondo della natura sin da quando il nostro cervello si evolse in modo abnorme.
IL RACCONTO DI
CLIVE PONTING
Un grande storico
del comportamento distruttivo del genere umano è stato l’inglese Clive Ponting.
Nel suo libro “Storia verde del mondo”
(Torino, S.E.I., 1992) ha raccontato dettagliatamente le stragi e devastazioni compiute
dall’umanità ai danni della natura.
Uno dei suoi meriti
maggiori, a mio avviso, è stato proprio quello di riferire non solo dei
disastri recenti, ma anche di quelli più antichi, a riprova che l’atteggiamento
di Homo sapiens nei confronti dell’ambiente
è stato di cinico e prepotente sfruttamento sin da quando lo sviluppo del suo
cervello gli ha consentito di passare da habilis
ad erectus e poi per l’appunto a sapiens.
Questo atteggiamento, di cui finalmente
iniziamo a renderci conto, consiglierebbe di cambiare l’aggettivo che ci
contraddistingue da “sapiens” a “vastator” (devastatore): chi vorrà farsi
promotore di tale modifica?
Ma lasciamo
direttamente la parole a Clive Ponting:
«La riduzione degli habitat naturali e l’estinzione delle
specie su scala locale si può notare dal tempo dei primi insediamenti umani.
Nella valle del Nilo l’estensione della zona coltivata, la bonifica delle
paludi e la caccia sistematica degli animali portò all’eliminazione di molte
specie originariamente native della zona. Al tempo del Regno Antico (2950 –
2350 a.C.) animali come gli elefanti, i rinoceronti e le giraffe erano
scomparsi dalla valle. Il diffondersi della colonizzazione nel Mediterraneo
produsse gli stessi risultati … Nel 200 a.C. il leone e il leopardo erano
estinti in Grecia e nelle zone costiere dell’Asia Minore … La consuetudine
romana di uccidere deliberatamente animali selvatici nel corso di giochi e
altri spettacoli aumentò il massacro. Si può dedurre l’entità della continua
distruzione perpetrata per divertire le folle di tutto l’impero romano, anno
dopo anno, per secoli, dal fatto che a Roma furono uccisi 9000 animali nel
corso delle celebrazioni durate 100 giorni per l’inaugurazione del Colosseo, e
11.000 per festeggiare la conquista della nuova provincia della Dacia da parte
di Traiano.»
«I grandi spettacoli dell’impero romano cessarono in Europa
Occidentale dopo il V secolo, ma la distruzione del patrimonio naturale
continuò in altri modi.»
«L’ultimo avvistamento di un lupo di cui si ha notizia
avvenne nel 1486 in Inghilterra, nel 1576 in Galles, nel 1743 in Scozia e in
Irlanda nel primo Ottocento. Anche l’orso bruno era comune in tutta l’Europa
Occidentale medievale (pur essendosi estinto in Gran Bretagna entro il X
secolo). Tuttavia il numero di esemplari diminuì costantemente in seguito alla
caccia e alla distruzione dell’habitat e ora l’animale sopravvive solo in
alcune remote zone montuose. La stessa sorte toccò al castoro, anch’esso comune
nell’Europa medievale e catturato con le trappole per la sua pelliccia, che si
estinse in Gran Bretagna già nel XIII secolo e in seguito in quasi tutto il
resto d’Europa.» (pp. 180 – 182)
Queste brevi frasi
estrapolate da un discorso più articolato riguardano i danni inferti alla
fauna. Ma l’accanimento contro selve e foreste non fu da meno. Nel capitolo “Distruzione e sopravvivenza” del libro
citato vi è un dettagliato resoconto dei danni ambientali provocati circa
10.000 anni fa con l’introduzione dell’agricoltura. I cacciatori – raccoglitori
si nutrivano di ciò che trovavano o di ciò che riuscivano a catturare. La loro “impronta
ecologica” era pertanto minima, insignificante. Ma per far spazio ai campi
occorreva disboscare e poi irrigare, operazioni che furono tra le prime a
modificare in modo sensibile il panorama e l’habitat dei territori popolati
dall’uomo. Ovviamente queste perturbazioni crebbero di intensità e di ampiezza
con il trascorrere del tempo, man mano che la comunità umana diveniva più
numerosa. Ma la linea di tendenza era tracciata e di lì in avanti non fece che
crescere. Per i dettagli rinvio il lettore al capitolo del libro di Ponting.
IL RESOCONTO DI
RICHARD LEAKEY
Il famoso paleoantropologo
keniano di origine britannica Richard Leakey nel suo libro “La Sesta Estinzione” dedica un apposito
capitolo, il decimo, a “L’impatto dell’uomo
nel passato”.
Qui esamina i casi
di estinzione
- della megafauna in America alla fine del Pleistocene (13 / 12.000 anni fa),
- dei moa giganteschi della Nuova Zelanda (circa 1.000 anni fa),
- dell’avifauna delle isole Hawaii.
1. Il primo caso è
ben noto anche e soprattutto per gli studi condotti da un altro famoso
paleontologo, Paul Martin, autore di “Preistoric
Overkill”. Più recentemente Stefano Mancuso parla di questa strage nel suo
libro “L’incredibile viaggio delle piante”
citando uno studio del 2009 di tre studiosi americani “Quantifying the Extent of North American Mammal Extinction Relative to
the Pre-Anthropogenic Baseline” (reperibile in rete).
In estrema sintesi:
i primi rappresentanti di «Homo sapiens,
abilissimo cacciatore, le cui capacità predatorie si erano affinate per decine
di migliaia di anni in Africa e in Eurasia» giunsero in America dall’Asia
(passando dal ponte di terra dello stretto di Bering) in coincidenza con la
fine dell’ultima era glaciale. Si trattò di una «espansione esplosiva … facilitata da una illimitata disponibilità di
risorse – terre e prede». Risultato di questa «inesorabile avanzata» fu lo sterminio di tutti i mastodonti che
popolavano in gran numero il continente americano e, conseguentemente, dei loro
predatori («leoni, orsi giganteschi,
tigri dai denti a sciabola …») a cui venne meno la principale risorsa
alimentare.
Una vera estinzione
di massa provocata dall’uomo.
2. Le isole che
oggi fanno parte della Nuova Zelanda ebbero il privilegio di non essere
intaccate dalla presenza umana sino a circa 1.000 anni fa, quando furono
raggiunte e colonizzate da un popolo di origine polinesiana, i ben noti “maori”.
La fauna locale
era formata esclusivamente da uccelli «ma
dei tipi più straordinari, molti dei quali inetti al volo. Protagonisti di
questo palcoscenico furono i moa giganteschi, creature simili a struzzi alte
più di tre metri e pesanti oltre 250 chilogrammi».
Inutile dire che
anche in questo caso i moa e gli altri uccelli fecero una brutta fine: «I resti dei moa dimostrano che i maori
sfruttavano gli uccelli come fonte di cibo – li cuocevano in forni a terra – e per
ricavarne materiali come le pelli, con le quali si vestivano, e le ossa, che
lavoravano per fabbricare armi e gioielli. Gusci d’uovo svuotati servivano come
contenitori per l’acqua. Finora nei siti archeologici sono stati rinvenuti gli
scheletri di mezzo milione di moa … i maori devono aver macellato i moa per
molte generazioni prima che gli uccelli si estinguessero.»
3. Il caso delle
Hawaii è emblematico. Trattandosi di uno degli arcipelaghi più isolati del
mondo, ospitava specie animali e vegetali uniche, non presenti altrove. Tutta
questa varietà scomparve per colpa dell’uomo, come sempre. Ma «fino a poco tempo fa gli studiosi davano …
per scontato che la devastazione ecologica … fosse una conseguenza della
colonizzazione europea, avvenuta alla fine del Settecento.» E invece a
partire dal 1970 furono compiuti studi approfonditi da parte di più di un naturalista
ed emerse che il patrimonio di biodiversità tipico delle Hawaii «si era estinto a distanza di qualche secolo
dall’arrivo dei primi coloni polinesiani».
IL MISTERO DELLE
NAVI VICHINGHE
Per concludere
questa nostra breve carrellata sui delitti ecologici commessi da Homo sapiens ben
prima dell’era contemporanea, può essere di un qualche interesse svelare il
segreto dei “drakkar”, le famose navi con le quali i Vichinghi navigarono dalla
Scandinavia sino al nord America superando le tempeste dell’Atlantico.
Ce lo racconta il
professor Andreas Hennius, direttore della sezione Archeologia dell’Università
di Uppsala in un suo studio dal titolo “Produzione
di catrame in età vichinga e sfruttamento del territorio” citato da un
articolo di Repubblica del 19 novembre 2018 dove si dice che:
“Il segreto dei vichinghi era il catrame: i
drakkar erano resi totalmente impermeabili da molti strati di catrame che
proteggevano lo scafo. I vichinghi usavano per ogni nave una quantità di
catrame fino a dieci volte superiore a quella impiegata normalmente all'epoca,
e a tal fine deforestarono e costruirono presso le loro città e villaggi pozzi
per la produzione di catrame con il legname, per poi trasportarlo nelle città
costiere e nei loro porti.”
“… senza i passi avanti per l'epoca
rivoluzionari compiuti dai vichinghi nella tecnica e tecnologia di produzione
del catrame, le loro spedizioni transoceaniche non sarebbero state possibili
…”
“ Prima di allora, la produzione di catrame
era svolta, in Nord Europa e altrove, su base artigianale. ... A partire
dall'VIII secolo d.C. … aumentò drasticamente in Scandinavia.”
“I vichinghi riuscirono a raggiungere una
produzione di catrame pari a quella industriale costruendo molti pozzi per
bruciare le sostanze vegetali e produrre catrame presso i villaggi vicini alle
foreste di pini, ampiamente disboscate.”
Per inciso è
appurato che anche i Fenici, i Greci e tutti gli altri grandi popoli navigatori
dell’antichità disboscarono a man bassa per realizzare le loro navi e le loro case.
I cedri del Libano furono le prime vittime illustri di questo sterminio.
Altro che visione
idilliaca dell’antichità contrapposta alla nostra voracità odierna: da quando
abbiamo iniziato a ragionare ci siamo rapportati al mondo della natura in modo
brutale e sopraffatorio.
E per giustificare
questo nostro atteggiamento ci siamo persino attribuiti presunte investiture divine
che ci avrebbero autorizzato a disporre del creato a nostro piacimento e
volontà.
Oggi i risultati sono
sotto gli occhi di tutti, ma l’origine della devastazione viene da molto
lontano ed è tragicamente coeva dell’abnorme evoluzione patìta dal nostro cervello.