sabato 28 settembre 2019

Una domanda capziosa: come tener conto del progresso tecnologico?

Un Post di Jacopo Simonetta




Sabato 21 Settembre scorso, presso le Officine Garibaldi in Pisa si è tenuto un convegno sulla crisi climatica ed ambientale in corso, organizzata dall’Associazione “Esperia”.  Non molta gente, ma interessata, tanto che in parecchi si sono attardati fin oltre l’ora di pranzo per discutere.

Vorrei qui tornare su una delle domande fatte perché ha riproposto uno dei miti fondanti della nostra civiltà, nonché uno dei principali ostacoli da superare se vogliamo affrontare la situazione in modo costruttivo.

La domanda è stata circa questa: “Nei vostri modelli previsionali, con quale algoritmo è integrata la variabile del progresso tecnologico?” 

Sul momento la risposta più sintetica ed esaustiva la ha data Luca Pardi (uno dei relatori) con queste parole: “Nella cultura odierna il progresso tecnologico ha preso il posto della Divina Provvidenza”.   

Non avendo la capacità di sintesi di Pardi, vorrei qui dilungarmi un poco sull’argomento, non per dire qualcosa di nuovo, ma per cercare di riassumere cose dibattute e risapute a beneficio, forse, dei giovani che si affacciano ora a questi temi e che si troveranno spesso a rispondere a domande simili.

Prima una piccola osservazione: la domanda era evidentemente capziosa, non mirava cioè ad avere una risposta, bensì a screditare l’avversario.  Mi sento di affermarlo perché ad averla posta è stato un universitario che deve (o dovrebbe) sapere che un sistema della complessità della Terra non è modellizzabile.  Quindi non esiste e non può esistere un “modello predittivo”.   Già vediamo quotidianamente le lacune dei modelli che cercano di simulare l’evoluzione del clima (che è solo uno degli elementi in gioco); per non parlare del puntuale fallimento di quasi tutti modelli economici.  

In realtà si lavora su indicatori, modelli parziali e dati empirici da cui si possono estrapolare delle tendenze evolutive che consentono di delineare degli scenari più o meno probabili.  Ma soprattutto conosciamo bene le leggi fondamentali dell’energia e della materia, le quali non ci dicono cosa succederà, ma ci dicono con assoluta certezza cosa NON succederà.   Ecco perché possiamo tranquillamente affermare che un salvataggio in extremis della civiltà industriale per via tecnologica è quanto meno estremamente improbabile.

Ma come essere così categorici?   Abbiamo appena detto che il sistema Terra non è modellizzabile ed è fuor di dubbio che lo straordinario miglioramento di strumenti e processi è esattamente ciò che oggi consente di vivere ad un numero di persone superiore alla somma di tutte le generazioni precedenti messe insieme, da quanto H. sapiens esiste; oltretutto con un livello ed una durata di vita mediamente assai superiori che in passato. 

Anzi, si può affermare che è proprio grazie allo sviluppo della tecnologia che la nostra specie esiste; se i nostri remoti antenati non avessero imparato prima a scheggiare sassi e poi a fare il fuoco oggi sulla Terra non ci sarebbe niente di simile a noi.  Dunque perché pensare che la tecnologia non potrà risolvere i problemi del presente e del futuro, come a fatto con quelli del passato?

Perché il progresso tecnologico non è una variabile indipendente, frutto esclusivamente dell’ingegno umano, bensì  il prodotto di un contesto che lo rende possibile e lo alimenta.  In particolare, dipende dalla disponibilità di energia e di servizi eco-sistemici.  Dissipare energia è infatti ciò che consente l’elaborazione, l’accumulo e la conservazione di informazione (sia sotto forma di bit che di pagine, di arte e di costruzioni, di computer e telefoni, di denaro e quant’altro).  I gli ecosistemi naturali compensano l’aumento di entropia che inevitabilmente deriva da questa dissipazione, evitando che la Vita si dissolva nel caos.  

In altre parole, da un lato il progresso tecnologico, da cui ci si aspetta una riduzione dei consumi energetici, è frutto di un aumento dei medesimi; dall’altro, la tecnologia ha consentito alla nostra nicchia ecologica di occupare oramai oltre la metà della Biosfera, minando alla base i processi di riduzione dell’entropia che solo la Biosfera e nessuna tecnologia, neppure teorica, potrà mai realizzare.   E di questo possiamo essere scientificamente del tutto certi dal momento che la temperatura media del pianeta aumenta e la biodiversità diminuisce.

Ma l’efficienza energetica?  La dematerializzazione?  Il disaccoppiamento?   Anche senza andare a spolverare le venerande ossa di Mr. Jevons e di Mr. Watt, abbiamo tutti visto come l’efficienza dei motori a scoppio sia migliorata enormemente nei 50 anni scorsi, mentre i consumi di carburante e l’inquinamento relativo crescevano in modo iper-esponenziale.   I computer di 20 anni fa pesavano 4-5 volte tanto quelli odierni ed avevano prestazioni oggi risibili; nel frattempo i consumi di elettricità e materie prime per costruirli e farli funzionare sono esplosi mentre la percentuale di riciclo è caduta assai vicina a zero, proprio perché oramai in ogni esemplare c’è troppo poco materiale perché valga la pena di recuperarlo. Intanto il numero di queste macchine è cresciuto tanto che le miniere sono ormai diventate dei mostri che devastano intere regioni e popoli.  Perfino il consumo di carta negli uffici è aumentato, anziché diminuire come annunciato, mentre Internet assorbe oramai qualcosa come il 5% circa dei consumi elettrici mondiali, un altro dato in crescita esponenziale.  

Quanto al disaccoppiamento fra PIL e consumi/emissioni, se andiamo a vedere i dati reali, troviamo che è stato verificato solo in pochissimi casi ed anche in questi è stato solo temporaneo e/o relativo (vale a dire c’è stato un aumento del PIL superiore a quello dei consumi/emissioni che, però, sono comunque aumentati).    Ma per essere utile a qualcosa, il disaccoppiamento dovrebbe essere permanente, generale e assoluto (cioè dovremmo avere un aumento o una stabilizzazione del Pil a fronte di una diminuzione dei consumi).   Soprattutto, il disaccoppiamento dovrebbe essere sufficiente.   L’IPCC, che finora si è sempre dimostrato molto prudente nelle sue stime, valuta che per sperare di contenere il riscaldamento al di sotto dei 2 C° di media globale i paesi “ricchi” dovrebbero ridurre le loro emissioni di qualcosa come il 5% annuo, mentre gli altri paesi le dovrebbero stabilizzare ai livelli attuali o poco più.   Al di fuori dei romanzi, non esistono tecnologie che possono fare questo e probabilmente non potrebbero neppure esistere.

Ma, si potrebbe obbiettare, l’Intelligenza Artificiale, il computer quantistico, i robot e le altre meraviglie della tecnologia prossima ventura?  Proprio perché è roba che funziona, nella misura in cui uscirà dai laboratori per entrare nella società, aumenterà i consumi.   Del resto, è esattamente questa la promessa di questi oggetti: mettere chi ne disporrà in condizione di fare cose finora impossibili.  Il che, tradotto in termini scientifici, significa estendere ulteriormente la già obesa nicchia ecologica umana, riducendo quindi lo spazio ecologico a disposizione di tutte le altre specie (e degli umani che non ne disporranno).  Cioè esattamente il contrario ciò che bisogna fare.

Insomma, i processi e gli strumenti sono migliorati e continuano a migliorare ed è fuor di dubbio che a scala locale possono mitigare ed anche risolvere molti problemi, ma a livello macro è proprio questo miglioramento che spinge la crescita dei consumi, della popolazione e, di conserva, anche dell’entropia. 

Bene, ma se non abbiamo dei modelli previsionali affidabili, che senso ha fare un’affermazione del genere?

Le ragioni sono molte e molte sono già state trattate su queste e su altre pagine.  Mi limiterò quindi a ricordare alcuni punti essenziali.

1. La crescita della popolazione, della tecnologia e dell’economia sono tre fattori strettamente correlati e largamente sinergici (anche se in modo complesso ed in parte tuttora discusso) e tutti e tre dipendono dalla quantità di energia che è possibile dissipare.  La qualità termodinamica delle fonti di energia disponibile sta diminuendo e continuerà a farlo, mentre la tecnosfera invecchia e la complessità dei sottosistemi socio-economici cresce.  Questo significa che la quantità di energia necessaria per estrarre e distribuire energia (anche rinnovabile), per manutenzionare la tecnosfera e per far funzionare le società sta aumentando e continuerà a farlo, lasciando sempre meno energia netta a disposizione dell’economia e della ricerca scientifica, anche se i consumi globali continueranno a crescere.  La tecnologia può mitigare tutto ciò, ma non impedirlo.

2. Il clima sta rapidamente peggiorando e continuerà a farlo comunque, generando sempre maggiori costi economici e sociali, ma soprattutto devastando quel che resta degli ecosistemi semi-naturali (ecosistemi del tutto naturali non esistono già più) riducendo ulteriormente i servizi ecosistemici.

3. I servizi eco-sistemici sono quelli che assicurano gratuitamente che il Pianeta rimanga abitabile e dipendono dall’integrità degli ecosistemi.  Stiamo distruggendo Biosfera ad un ritmo molto più rapido di quanto non stiamo incrementando le emissioni, anche nei paesi con emissioni di CO2 infinitesimali, sia totali che pro-capite.  Fra peggioramento del clima e perdita di servizi ecosistemici vi è una stretta sinergia dal momento che un clima relativamente temperato è proprio il principale fra questi “servizi.”

4. Già in parecchi paesi anche importanti la combinazione di sovrappopolazione e peggioramento delle condizioni di vita ha portato o sta portando al collasso totale o parziale delle società e degli stati, con quel che ne consegue in termini di morte e distruzione.

Ognuno di questi 4 fatti, da solo, sarebbe probabilmente sufficiente a far tramontare il sogno di una “rivoluzione tecnologica” capace di salvare lupi, capre e cavoli.  Ma non solo sono contemporanei, sono anche sinergici.

Insomma, la tecnologia risolve “problemi”, cioè trova soluzioni tecniche per fare cose che prima non si potevano fare.  Ma noi non abbiamo un “problema”, siamo piuttosto in una “brutta situazione” da cui non possiamo uscire facendo qualcosa che prima non potevamo fare, semmai il contrario. 

Il guaio è che ciò comporterebbe di pagare un conto salato in termini di benessere, di convinzioni, scelte etiche e modelli mentali, oltre che di vite.  Un conto che nessuno vuole pagare. 

La tecnologia ci aiuta moltissimo a rimandare il "redde rationem", ma a costo di far lievitare gli interessi passivi.  E su questo non c’è tecnologia che tenga: più tardi pagheremo il conto, più salato sarà; più difficile sarà ricominciare per chi sopravvivrà alla fase acuta. 

Anche di questo possiamo essere ragionevolmente certi, anche se non possiamo assolutamente prevedere quando, come e dove colpiranno le calamità.  

Personalmente, ho sempre trovato spassoso che proprio fra i cultori della scienza e della tecnica si trovino tante persone che, pur competenti e colte, nel loro intimo pensano in termini magici che avrebbero fatto sorridere Agrippa di Nettesheim.


mercoledì 25 settembre 2019

Lunacomplottismo come un effetto del caldo estivo



Questa mi era rimasta in coda da questa estate, quando mi era arrivata come risposta a un mio post sul "Fatto Quotidiano". E' carina per cui ve la passo. Potrebbe, in effetti, essere uno scherzo, ma mi sa che sia proprio vera! Insomma, un effetto del caldo estivo.(U.B.)


corporation@email.com
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Infatti il primo pagliaccio è lei

Lei dice di scrivere nel suo blog del FQ di esaurimento delle risorse e del cambiamento climatico ma scivola fuori tema su altri argomenti non di sua competenza e critica Ivo Mej di fare il pagliaccio per l'articolo sul falso allunaggio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/…/lunacomplottist…/5318741/

Lei dovrebbe sapere che un velivolo a tutt'oggi non è in grado di raggiungere una velocità di 40000 km l'ora quando il più veloce prodotto è il Lockheed sr 71 che ha stabilito il record di quasi 4000 km l'ora.

Anche quando si possa eventualmente confermare che lo Shuttle raggiungeva i 27000 km ma nel 69 non era in attivo, per cui andare sulla luna a piedi sarebbe indicato dire con ironia della sorte visto che il razzo e il lem e il resto non erano in grado di raggiungere la suddetta velocità come oteva essere fattibile?

Altresi lei grande esperto di materia mi dirà che il comburente era parte di un ultima ritrovata risorsa degna di nota volta a rendere fattibile la missione lunare...

Ribadisco nuovamente i missili militari raggiungono in pochi selcondi picchi di velocitàtra Mach 2 e i Mach 5 (ossia 2.400 - 6.000 km/h). Nello spazio la velocità dei razzi aumenta, perché lì non c'è attrito (lo SpaceShuttle, per esempio, vola a Mach 23, ossia la bellezza di 27.000 km/h).

Per conoscenza i primi ad andare nello spazio furono i Russi e sempre loro furono i primi a raggiungere l'altezza record su jet militare di 37 km, e piu di cosi non si potè superare eventualmente i 10 km mai confermati dai primati americani di cui lei ovviamente è un fan sfegatato.

A questo punto bisogna tenere in considerazione la fascia di Van Hallen, se lei crede ai globottisti americani della Nasa deve anche credere alle medesime fascie dato che loro stessi grandi scienziati come lei affermano l'esistenza di questo grave problema da girarrosto.

Per cui come fa a dire che Ivo Mej è un pagliaccio?

Lei non si sente in equal modo un pagliaccio? Ancora più grave il fatto di essere docente di università?

Per caso è anche ebreo di religione?

Sto inoltrando questa mail ad altri professionisti del settore fra cui Giulietto Chiesa, Claudio Messora, Maurizio Blondet, e molti altri chissà che non aprano un confronto sulla sua pagliacciata e il suo diritto di rendersi ridicolo sul FQ.

Saluti e ariveder le stelle.

Shalom!

Luca Marino

venerdì 20 settembre 2019

Il Caso e la Colpa: Una Risposta a Igor Giussani





di Bruno Sebastiani


Igor Giussani il 9 settembre 2019 ha dedicato un lucido e ben argomentato articolo al cancrismo (vedi http://www.decrescita.com/news/cancro-del-pianeta/).

A testimonianza del suo interessamento di vecchia data per questa teoria, nel rispondere ad un mio commento ha confessato che era “da un anno o più che quest’articolo bolliva in pentola”.

Ma l’interessamento di Giussani era ambivalente: da un lato respingeva istintivamente la premessa e le conclusioni della teoria, da un altro si sentiva “attanagliato dal dubbio che il rigetto per le tesi de Il cancro del pianeta fosse dettato essenzialmente dall’incapacità di accettarne le conclusioni dure e sconfortanti”.

Poi, all’improvviso, il dissolvimento del dubbio. “Ogni timore è stato spazzato via nel momento in cui, ragionando a mente fredda, mi sono accorto della curiosa somiglianza tra la strategia argomentativa di Sebastiani e quella che, sulla carta, dovrebbe rappresentare la sua perfetta nemesi (sic), ossia la mitologia umanista-progressista. A quel punto mi si sono drizzate le antenne perché, se questa è falsa e fuorviante (come abbiamo spesso ripetuto e dimostrato), non può essere riabilitata solo affibbiandole un giudizio opposto, degradandola cioè da ‘buona’ a ‘cattiva’ ma lasciandone inalterati i contenuti fondamentali. Ecco alcune singolari analogie tra i due pensieri: popoli, classi sociali, culture, individui, ecc. spariscono nel calderone dell’etichetta onnicomprensiva ‘umanità’; la narrazione di tale umanità, dall’età della pietra ai giorni nostri, si basa sul presupposto che essa abbia immancabilmente adottato la forma mentis della cultura occidentale-industriale …”

Premesso che non si capisce come una “mitologia” (quella “umanista-progressista”) possa essere riabilitata degradandola da ‘buona’ a ‘cattiva’, il resto del ragionamento di Giussani coglie nel segno: il progressismo ha vinto su tutta la linea e il cancrismo ne prende atto.

L’umanità ha immancabilmente adottato la forma mentis della cultura “occidentale-industriale”: come negarlo? Questo è un punto fondamentale. Certamente nel corso dei secoli vari popoli si sono dimostrati più rispettosi di altri nei confronti della natura, ma questi sono stati sempre sconfitti da noi “occidentali” e brutalmente sottomessi, fino a quando i pronipoti degli sconfitti si sono adeguati anch’essi alla forma mentis della cultura “occidentale – industriale”.

E i popoli che non sono stati sottomessi con la forza si sono adeguati spontaneamente al “nuovo ordine mondiale” rinnegando poco alla volta usi e costumi che avevano ereditato da antiche tradizioni. La Cina moderna mi pare l’esempio più calzante al riguardo, ma il continente asiatico offre molte altre palesi dimostrazioni. E che dire dello sgretolamento del muro di Berlino e del dissolvimento dell’impero sovietico in assenza (fortunatamente) di un conflitto bellico planetario?

Pensare che il corso della storia possa mutare seguendo l’esempio di qualche sparuta e sperduta popolazione (gli abitanti di Tikopia?) che si è ostinata a rifiutare i vantaggi materiali procurati dal progresso o “cercando di esaltare la fecondità naturale” è una pia illusione.

Nel mio blog https://ilcancrodelpianeta.wordpress.com/, passato attentamente in rassegna da Igor Giussani, vi sono due sezioni che tendono ad avvalorare l’ineluttabilità del cammino intrapreso dall’uomo. La prima ha per titolo “Le Grandi Metastasi”, la seconda “Il Villaggio Globale”.

Rimando i lettori a quelle sezioni per prendere atto di come, dalle strade consolari dell’antica Roma alle grandi esplorazioni geografiche e soprattutto al vergognoso capitolo del colonialismo, nel corso degli ultimi duemila anni il modello “occidentale” si sia diffuso in ogni angolo del pianeta, al punto da tendere ad uniformare il contesto urbano (dove vive oramai la maggioranza della popolazione mondiale).

Stiamo andando anche verso l’omologazione linguistica, del modo di vestire, di parlare, di mangiare ecc. Su questo tema si veda il mio articolo su Effetto Cassandra https://ilcancrodelpianeta.wordpress.com/2018/11/10/la-de-differenziazione-ovvero-lomologazione-globale-delle-cellule/.

Dei sette grattacieli più alti al mondo (compresa la erigenda Jeddah Tower, destinata a superare il chilometro di altezza) tre sono in Cina, due in Arabia Saudita, uno a Dubai ed uno a Taiwan (vedasi la sezione “Torri di Babele” di https://ilcancrodelpianeta.wordpress.com/). Il mio interesse per questi edifici nasce dal fatto che li ritengo la punta dell’iceberg della malattia che sta ricoprendo con asfalto e cemento il bel manto verde che una volta rivestiva il pianeta.

Il riconoscimento da parte del cancrismo di questa realtà così evidente ed incontrovertibile fa sorgere in Giussani “il sospetto che l’umanità-cancro possa servire da pretesto per qualche autoritarismo sedicente ecologico, che adduca la scusa di salvare il pianeta dalle ‘metastasi’”.

E qui si apre il capitolo del difficile futuro che ci aspetta. Come ho già precisato in altra sede, l’insieme di queste spinte “progressiste” prefigura la nascita dell’Impero del Cancro del Pianeta, argomento al quale ho dedicato un libro di imminente pubblicazione. E Giussani nel suo articolo riporta la mia frase in cui preciso che l’argomento principale sarà “la complessità dell’organizzazione sociale che abbiamo creato e l’ineluttabilità del suo continuo progresso sino alla crisi finale”.

Che il cammino dell’umanità vada in questa direzione è sotto gli occhi di tutti. Tra le “cellule – uomo” e le “cellule – macchine” si sta creando una rete sinaptica mondiale la cui gestione richiederà un controllo sempre più pressante e centralizzato.

Se ne è accorto anche il regnante pontefice che nella sua Lettera enciclica “Laudato sì” ha precisato come sia “indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate … dotate del potere di sanzionare”. Non solo: “… per il governo dell’economia mondiale; per risanare le economie colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell’ambiente e per regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale” (par. 175).

Ma un conto è prendere atto della realtà e della direzione di marcia del futuro, un altro conto è auspicarla ed approvarla. Papa Francesco forse auspica ed approva. Io, molto più modestamente, ritengo inevitabile l’accentramento dei poteri, ma condanno radicalmente la direzione di marcia del progresso tecno-scientifico che ci ha condotto in questo vicolo cieco. Credo che nessuna “condanna” possa essere più assoluta di quella contenuta nella dottrina cancrista: tu, uomo, ti sei trasformato in cellula maligna e stai proliferando in modo indiscriminato nel corpo dell’organismo che ti ospita, distruggendo tutte le cellule sane che incontri sul tuo cammino. Più espliciti di così!

Sennonchè Giussani, che ben conosce i danni da noi causati alla biosfera, non ritiene che sia giusto accusare di questi delitti l’intera umanità, perché “l’etichetta ‘uomo’ raggruppa indistintamente gli industriali che causano tale scempio, i politici che lo avallano, i comitati cittadini che lo combattono, le tante persone che usufruiscono di derivati del petrolio per lo più obbligate dalle circostanze e le altrettanto o più numerose che ne fanno scarsissimo uso: tutti bollati quali cellule maligne, malgrado i diversi gradi di responsabilità compromissione e nonostante gli individui maggiormente collusi siano poche decine. … La devastazione è logica conseguenza della ragione umana-cancro? Allora siamo tutti colpevoli, ma, si sa, tutti colpevoli = nessun colpevole.”

Effettivamente i concetti di colpa e di condanna ci riportano a quelle categorie morali secondo le quali si è andata strutturando la nostra ragione man mano che il numero dei neuroni e delle connessioni sinaptiche andavano crescendo. Ed anch’io mi ritrovo ad usarle, contro il mio stesso intendimento.

Proviamo a ragionare in altri termini.

L’evoluzione del nostro cervello, che io ho definito “abnorme” e che ci ha consentito di rompere l’equilibrio della natura, è conseguente a modifiche genetiche intervenute nella notte dei tempi all’interno della scatola cranica di alcune scimmie antropomorfe.

Tra i tanti studi in materia si veda anche quello della italiana Marta Florio (e altri) che ho riportato nel blog de Il Cancro del Pianeta (https://ilcancrodelpianeta.files.wordpress.com/2019/09/human-specific-gene-arhgap11b.pdf).

Non è corretto quindi parlare di colpa.

È stato il caso a dar vita alla neo-corteccia e a tutto ciò che ne consegue.

Per usare la metafora di un autore che mi è caro (Arthur Koestler), abbiamo ricevuto “the unsolicited gift”, il regalo non richiesto.

E, una volta ricevutolo, non potevamo restituirlo al mittente: aveva modificato per sempre la struttura del nostro cervello. Abbinato al preesistente istinto di sopravvivenza della specie, non poteva che mettere in moto la macchina della cosiddetta “civiltà” e del cosiddetto “progresso”.

È stato un caso, non una colpa.

Il libero arbitrio non esiste. È un’invenzione dialettica per far credere ai nostri simili che avremmo potuto restare buoni, saggi e in armonia con la natura se solo lo avessimo voluto, e che potremo farlo in futuro se lo vorremo.

I tentativi di innestare la retromarcia ai quali assisteremo prossimamente non saranno conseguenti a ravvedimenti virtuosi indotti dal libero arbitrio: saranno semplicemente azioni estreme atte a ritardare la catastrofe. Se fosse per la mente dell’uomo resteremmo per sempre sul trono di re del mondo a goderci i nostri privilegi ai danni di tutti gli altri esseri viventi. Ma la natura sta per presentarci il conto e non riusciremo nel poco tempo che ci resta a disposizione a ricostituire un equilibrio che ha richiesto milioni di anni per formarsi.

Il che non significa che i tentativi di innestare la retromarcia non vadano fatti e che non si debba cercare di ritardare il più possibile la catastrofe.

Significa che per farlo nel modo più efficace è bene guardare in faccia la realtà senza cercare alibi morali o scappatoie ideologiche: lo scempio non è stato causato da poche decine di industriali o di politici corrotti, né dagli scienziati e dai tecnici che lo hanno reso possibile, né dai militari o dai poliziotti che lo hanno difeso ed imposto.

La causa risiede nella nostra testa.

Come ho scritto in un recente post (in attesa di pubblicazione su Effetto Cassandra) è l’uomo il vero responsabile dello scempio (la “sesta estinzione di massa”), non Trump o Bolsonaro o qualche altro capo di stato privo di scrupoli.

Certo, esistono cellule maligne più aggressive ed altre meno. Come accostare un San Francesco a un Henry Ford o a un Elon Musk? Ma teniamo conto che i seguaci di San Francesco, quelli che si ispiravano alla sua predicazione di povertà e di amore per la natura, si sono gradualmente trasformati in frati missionari e sono andati in giro per il mondo a portare il pensiero occidentale (la cosiddetta “civiltà”) a milioni di poveri indigeni inconsapevoli, sino a trasformarli in altrettante cellule maligne che ora concorrono a devastare il pianeta in modo assai più violento di quanto non facevano i loro progenitori prima dell’incontro con i missionari.

Caro Igor, il tuo il rigetto per le tesi de Il cancro del pianeta è dettato dal non voler accettare conclusioni tanto dure e sconfortanti! La teoria è davvero spaventosa. Ma, una volta condivisa, non ci si deve lasciar prendere dallo sconforto. Si deve utilizzarla come un grimaldello per scardinare il convincimento che la nostra superiorità intellettuale ci dia diritto a esercitare un brutale predominio su tutti gli altri esseri viventi ed anche sulla stessa struttura fisica del pianeta sul quale ci siamo trovati a nascere.

sabato 14 settembre 2019

Il Potere della Biosfera: Anastassia Makarieva parla della "pompa biotica" a Firenze




https://www.bioticregulation.ru/

Tutto comincia con l'idea di un secolo e mezzo fa, quella dell'"evoluzione per selezione naturale" di Charles Darwin. Era un' "idea pericolosa" secondo Daniel Dennett, ma non c'era niente di pericoloso nel darwinismo, a meno di non capirlo male. E lo sappiamo come è stato capito male dai vari suprematisti, razzisti, bianco-superioristi, eccetera. Ma l'idea di Darwin era semplice e ovvia: la biosfera non è statica, ma si adatta ai cambiamenti dell'ecosistema. Tutto qui. Non c'è nessuna specie nella biosfera che sia superiore ad altre specie, non c'è nessun movimento collettivo verso un qualche tipo di "progresso" -- niente del genere. Tutto cambia per mantenere la biosfera viva.

Fra le altre cose, quello di Darwin è stato il primo tentativo di capire il funzionamento dei sistemi complessi -- fra i quali uno dei più complessi è l'ecosistema. Curiosamente, il cervello umano, esso stesso un sistema complesso, si trova spesso in difficoltà a capire i sistemi complessi, ci deve essere qualche ragione profonda ma non entriamo in questo argomento.

Piuttosto, i concetti proposti da Darwin si sono anche loro evoluti -- ovvero adattati -- alle conoscenze che via via si sono accumulate su come funziona l'ecosfera. E stiamo cominciando a capire che l'idea di Darwin - la biosfera si adatta ai cambiamenti -- è troppo semplice. Non è così che funzionano i sistemi complessi. Funzionano attraverso quei meccanismi che chiamiamo feedback, dove ogni elemento del sistema ne influenza altri.

Qui, il passo in avanti è arrivato da James Lovelock e Lynn Margulis con il loro concetto di Gaia. un nome che descrive il fatto che la biosfera si adatta ai cambiamenti dell'ecosistema e allo stesso tempo genera cambiamenti nell'ecosistema. L'adattamento è reciproco e biunivoco. Feedback, in sostanza.

Il concetto di Gaia è sotto certi aspetti ancora più pericoloso di quello dell'evoluzione Darwiniana, al solito se lo capisci al contrario. Lo si può usare come una facile scusa per dire che qualsiasi cosa di orribile facciamo all'ecosistema, tanto ci pensa mamma Gaia a rimettere tutto a posto. Eh, si, magari...  Ma, più che altro, sembra che l'idea sia totalmente aliena al dibattito corrente dove gli opinion leader sono del tutto incapaci di capire il concetto di autoregolazione dell'ecosistema (ovvero, Gaia). Il dibattito viene spezzettato in idee incoerenti e parzialmente (o totalmente) incompatibili l'una con l'altra. Un buon esempio è quello che si sta facendo in Toscana dichiarando l'emergenza climatica e allo stesso tempo promuovendo la costruzione di un nuovo aeroporto internazionale a Firenze. Proprio, non ce la facciamo. (Non gne a famo, usando un altro dialetto).

Ma se riuscite a capirle, queste idee sono potentissime. Se mai riusciremo a renderle parte della cultura corrente ci offrono la possibilità di manovrare l'azione umana all'interno della biosfera e dell'ecosfera, come minimo limitando i danni, se possibile in armonia reciproca. Al momento sembra totalmente impossibile, ma tutto cambia e chi non si adatta sparisce -- come ci ha insegnato Darwin per primo.

Veniamo ora al lavoro di Gorshkov, Makarieva, e altri, che nel corso di alcuni decenni hanno sviluppato il concetto che chiamano "regolazione biotica" -- è un concetto molto simile a quello proposto a suo tempo da Lovelock e Margulis, anche se Makarieva e Gorshkov ci tengono a far notare che non è la stessa cosa: certe volte (ma erroneamente) Gaia viene capita come un "superorganismo," una forma di vita biologica. Non lo è ma non entriamo in questo argomento.

Il concetto di biotic regulation è una profonda sintesi di come funziona la biosfera che enfatizza il potere di regolazione sull'ecosistema, tale da mantenere le condizioni planetari nei limiti che consentono alla vita biologica di sopravvivere. Da questo concetto arriva l'idea che lo squilibrio ecosistemico che chiamiamo "cambiamento climatico" è causato soltanto in parte dalle emissioni di CO2. Un altro fattore importante (forse anche più importante) è la deforestazione in corso.  

Questa è, ovviamente, una posizione controversa -- per non dire eretica. Giusto la settimana scorsa leggevo un commento di un climatologo italiano che diceva esplicitamente "La crisi climatica NON è causata dalla mancanza di alberi." Questa sembrerebbe essere tuttora l'opinione prevalente fra i climatologi in occidente, nonostante esistano studi (vedi per esempio questo articolo su Science del 2016) che dimostrano esattamente il contrario. Le foreste raffreddano la Terra non solo sequestrando carbonio in forma di biomassa, ma per un effetto biodinamico correlato all'evapotraspirazione. Ovvero, l'acqua evapora a bassa quota provocando raffreddamento. Restituisce il calore quando condensa in forma di nuvole, ma le emissioni in quota si disperdono più facilmente verso lo spazio perché il gas serra principale, l'acqua, esiste in concentrazioni molto ridotte.

Qui, si innesta il concetto sviluppato da Gorshkov e Makarieva nel 2012, quello della pompa biotica, ovvero che le foreste agiscono come "sistemi di pompaggio planetari" che portano l'acqua dall'atmosfera sopra gli oceani fino a migliaia di chilometri all'interno dei continenti. Il meccanismo proposto da Gorshkov e Makarieva è controverso, ma evidentemente ci deve essere per forza qualche cosa che porta l'acqua all'interno dei continenti.

Ora, tutto dipende da fattori quantitativi ancora poco noti. Ma se è vero che il clima è legato in modo importante alle foreste, e di conseguenza alla pompa biotica, deforestando, come sta succedendo in Amazzonia, stiamo distruggendo uno dei meccanismi fondamentali di autoregolazione dell'ecosistema terrestre. In altre parole, non è sufficiente tagliare le emissioni di CO2 da combustibili fossili, ma occorre anche ricostituire le foreste in una forma integra: altri tipi di piantagione non hanno lo stesso effetto.

Questo argomento preoccupa alcuni ricercatori russi che hanno prodotto un documento (completamente ignorato in Occidente) in cui raccomandano la cura e il mantenimento degli ecosistemi naturali, in particolare le foreste, come il modo principale per combattere la degradazione climatica e generalizzata dell'ecosistema terrestre dove prendono una posizione simile a quella del recente articolo di Franzen in the New Yorker, "what if we stopped pretending?" ovvero che non riusciremo a fermare l'uso dei combustibili fossili in tempo utile. I ricercatori russi sostengono invece che:

Nell'attuale situazione, è necessario un approccio complesso ai problemi climatici - quello non limitato ai tentativi di contenere le emissioni antropogeniche di anidride carbonica come una transizione verso fonti di energia rinnovabile, la rimozione dell'anidride carbonica già accumulata dall'atmosfera con mezzi tecnologici ecc. L'approccio complesso deve includere il ripristino e la protezione dei sistemi naturali come misura principale, poiché il loro degrado può portare a un collasso climatico indipendentemente dal fatto che la combustione di combustibili fossili continui o meno. Qualsiasi soluzione strategica considerevole richiederà enormi risorse all'umanità. Pertanto, tali soluzioni dovrebbero essere reciprocamente coerenti, altrimenti la situazione climatica si aggraverà (ad esempio, aumentare la produzione di biocarburanti può portare a un'intensificazione della deforestazione).

Qui c'è un problema ovvio. In questo momento, qualsiasi cosa arrivi dalla Russia viene considerata come propaganda, se non direttamente roba contaminata dal Novichok. Quindi, la prima reazione, a pelle, è di tipo ideologico: siccome ci hanno raccontato che la Russia è poco più di una stazione di servizio mascherata da stato, ne consegue che questo documento è solo un trucco per mantenere i profitti degli oligarchi petroliferi russi e del loro grande capo, l'arcicattivo Vladimir Putin.

Siamo sicuri però che non abbiano invece ragione loro? Ovvero che non è solo un problema di CO2 ma anche di altri fattori? Non è che abbiamo bisogno di un cambiamento radicale di strategia invece di insistere con le "soluzioni" proposte fino ad ora, tipo la carbon tax? Di questo, ne parliamo con Anastassia Makarieva a Firenze il 17 Settembre. E vediamo se riusciamo a capirci: ne va della sopravvivenza di un intero ecosistema planetario.





sabato 7 settembre 2019

Emergenza climatica, e poi?


di Jacopo Simonetta

Sull’onda delle proteste di piazza, un numero crescente di governi e di amministrazioni sta formalmente dichiarando la stato di “Emergenza Climatica”.  Bene, ma poi?

“Stato di Emergenza” significa che la collettività deve affrontare un pericolo troppo grande e immediato per potersi permettere di continuare a funzionare secondo le proprie consuetudini.  I normali processi decisionali ed i diritti individuali sono quindi ridotti o sospesi per permettere ad un autorità investita di poteri straordinari di prendere decisioni anche estreme senza doverle passare al vaglio degli organi istituzionali e dell’apprezzamento popolare.  Un po’ come quando nella Roma repubblicana si nominava un “dictator” che per un massimo di 6 mesi decideva il da farsi senza dover rendere conto a nessuno; nemmeno ai consoli ed ai senatori che lo avevano nominato.

Nel nostro caso, vorrebbe quindi significare che governi ed amministrazioni nominano dei commissari che dall’oggi al domani impongono provvedimenti atti a limitare il peggioramento del clima ed a ridurre le emissioni di CO2 e dintorni.  Ma non sta accadendo, anzi.   Molte delle amministrazioni che hanno formalizzato la dichiarazione di “Emergenza Climatica” stanno poi lavorando attivamente non per mitigare, ma per peggiorare il più rapidamente possibile la situazione.  Per esempio, l’ amministrazione regionale toscana sta alacremente smantellando le aree protette, sviluppando l’industria del cippato e delle cave, vuole ampliare l’aeroporto di Firenze e molto altro ancora.   In effetti, è nocivo al clima ogni sindaco che abbatta alberature invece di piantarne, che permetta di estendere la superficie urbanizzata invece di ridurla e via di seguito.

Dunque, se vogliamo evitare che l’intera faccenda si risolva in un nuovo giro di “greenwashing” analogo a quelli che, nei decenni scorsi, hanno svuotato di significato tutti gli slogan e le proposte degli ambientalisti, bisogna essere pronti a fare richieste precise agli amministratori ed a sbugiardarli pubblicamente se non le ottemperano.   Ma quali richieste si possono fare che siano ad un tempo utili e realistiche?

Ogni comune ed ogni regione ha le proprie peculiarità e priorità, ma in linea del tutto generale, suggerisco di puntare soprattutto alla salvaguardia di ciò che resta della Biosfera.   Non è una questione di “benaltrismo”, tutto è collegato ed importante, ma ci sono almeno 3 ragioni per cui il focus sulla biosfera è secondo me utile:

1 - La trama e l’ordito della Vita sono i cosiddetti “cicli bio-geo-chimici”, cioè i flussi dei vari elementi attraverso aria, acque, suoli, rocce ed organismi viventi, con questi ultimi che, in buona sostanza, svolgono il ruolo principale nel controllo di questi flussi.  Il Global Warming, per esempio, deriva sostanzialmente da un’alterazione nei cicli del carbonio e dell’acqua.   Proteggere/restaurare la Biosfera avrebbe quindi effetti indiretti e parziali, ma sicuri sul clima.  Di più:  tutte le forme di inquinamento sono, parimenti, modifiche della circolazione di elementi e molecole e,  sula Terra, esiste un unico processo in grado di ridurre la crescente entropia del pianeta: si chiama “fotosintesi”.  La Biosfera è insomma ciò che garantisce che sul pianeta vi siano condizioni compatibili con la vita.  E la biosfera è esattamente quella cosa che stiamo sistematicamente distruggendo in molti e immaginifici modi.

2 – Interventi di salvaguardia della Biosfera sono possibili a qualunque scala, dal balcone di casa propria agli accordi internazionali ed ad ogni livello è possibile registrare un miglioramento, magari minimo, ma apprezzabile.  Già smettere di fare danni (tipo demolire alberature, costruire a vanvera, tagliare boschi e manutenzionare fossi con criteri vecchi di 100 anni) sarebbe un miglioramento. Ogni singola amministrazione e governo, per quanto piccolo, può quindi fare la sua parte senza aspettare che Trump, Xi Jinping o altri “pezzi da 90” facciano la loro.  Certo parliamo di gocce nel mare, ma lo studio del passato ci insegna che molte specie, fra cui forse anche la nostra, sono sopravvissute ad immani catastrofi grazie a piccole popolazioni fortunosamente scampate in qualche posto.

3 – Sul piano politico, interventi di tutela o ripristino della biosfera possono essere relativamente
facili da far accettare alla popolazione e possono dare risultati parziali, ma visibili, anche in tempi brevi.   Per esempio la realizzazione di un’area protetta o di uno stagno sono poco costosi, sicuramente efficaci e immediatamente visibili.   Altri provvedimenti, come ad esempio un drastico cambio di rotta nelle pratiche agricole e nelle sistemazioni fondiarie,sarebbero più impegnativi, ma sempre meno di quelli che potrebbero riuscire a flettere la curva delle emissioni antropogeniche di CO2, metano, eccetera.

Dunque dovremmo abbandonare l’idea di ridurre le emissioni di CO2 e dintorni?  No, ma bisogna essere realistici su ciò che si può effettivamente ottenere dalle amministrazioni e dai governi.

Per essere minimamente efficaci, dei provvedimenti di riduzione delle emissioni dovrebbero comprendere, tanto per cominciare, il razionamento di carne, acqua, combustibili e molti altri generi di prima necessità, la sospensione di quasi tutti i cantieri pubblici in atto o previsti, la drastica riduzione dell’illuminazione pubblica e dei trasporti, eccetera.   Tutti provvedimenti che susciterebbero violente proteste che dovrebbero essere represse senza troppe discussioni perché, per l’appunto, siamo in emergenza e la sopravvivenza stessa dello stato, oltre che di molti cittadini, è in forse. (Già sento echeggiare “ecofascista” in lontananza, ne riparleremo).

Ovvio che non accadrà, al massimo vedremo qualche operazione di facciata e qualche  nuova tassa tesa non già a ridurre le emissioni, bensì  a tappare temporaneamente qualche buco negli stracciati bilanci pubblici.  Vedo almeno 4 ragioni per aspettarmi questo:

1 – I movimenti che chiedono provvedimenti drastici e rapidi in materia di clima sono una nicchia molto minoritaria, assurta agli onori della stampa solo in Occidente; nel resto del mondo sono assenti o politicamente insignificanti.  La netta maggioranza della popolazione mondiale rivuole la pacchia che aveva o vuole la pacchia che non ha mai avuto.

2-  Mentre azioni dirette sulla biosfera possono essere efficaci anche a livello locale, azioni dirette sulle emissioni climalteranti possono dare risultati solo se hanno effetti globali e, grosso modo, il 40% delle emissioni antropogeniche sono prodotte da due paesi: Cina e USA.  Circa un altro terzo collettivamente da UE (considerata nel suo insieme), Russia, India e Giappone.   Il rimanente dagli altri cento e passa paesi del mondo.  Questo significa che solo se USA e Cina si impegnassero a fondo sarebbe efficace anche un impegno da parte nostra, assieme a russi, indiani e giapponesi.  Tutti gli altri paesi potrebbero invece fare quel che gli pare o quasi (da questo specifico punto di vista). Dunque, sapremo che qualcosa si muove sul serio il giorno in cui smetteremo di perdere tempo con le “COP 21”, “22”, ecc, per fare degli accordi operativi fra 10 governi.

3 – Nessun paese ridurrà volontariamente le proprie emissioni perché ciò implicherebbe ridurre la propria dissipazione di energia, cioè rallentare il progresso tecnologico, indebolire l’industria, perdere posizioni nella scala geopolitica.   E’ una faccenda molto complicata che ci porterebbe ampiamente fuori tema, ma è un fatto che l’accumulo di ricchezza, potere ed informazione richiede di dissipare quantità crescenti di energia.

4 - Azioni di riduzione delle emissioni abbastanza incisive e rapide da avere un possibile effetto climatico provocherebbero una drastica riduzione degli standard di vita occidentali e non solo, oltre ad una crisi economica globale dagli incerti sviluppi a fronte di un risultato che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe un peggioramento meno sensibile di quello che altrimenti avremmo di qui a 30 anni.  Non ci sarebbe nessun successo visibile per un comune cittadino sia per effetto dell’inerzia del sistema Terra, sia per le retroazioni positive che oramai abbiamo scatenato (esalazioni dallo scioglimento del permafrost, incremento delle siccità e degli incendi, riduzione dell’albedo sui poli, ecc.).

In pratica, solo la crisi economica del 2008 ha portato ad una lieve e temporanea flessione delle emissioni e solo una eventuale e molto più severa crisi ventura le potrebbe ridurre in misura maggiore.  Aspettando con timore e trepidazione che ciò accada, occupiamoci quindi di salvare il salvabile della Biosfera perché il futuro del Pianeta, con o senza di noi dipende da cosa sopravvivrà all’estinzione di massa in corso.