di Jacopo Simonetta
I confini politici sono qualcosa di particolarmente complicato. La loro posizione e le loro caratteristiche cambiano infatti rapidamente (rispetto ai tempi storici) e dipendono da un insieme molto vasto di fattori fisici e geografici, ma anche storici, culturali, economici ecc.
La dinamica dei sistemi è solo uno dei molteplici approcci possibili alla questione, ma può essere utile per mettere in luce degli aspetti spesso trascurati. Tenterò di chiarire questo punto in una serie di post di cui questo è il primo.
Secondo la definizione di Ludwig von Bertalanffy, padre della teoria dei sistemi, "Un sistema è un complesso di elementi che interagiscono fra loro" (1968). Una definizione successivamente integrata da numerosi altri autori, fra cui James Grier Miller, che per primo focalizzò il punto essenziale in questa sede: “Un sistema è una regione delimitata nello spazio-tempo" (1971). Concetto ripreso ed ampliato da J. Gougen e F. Varela: “Un sistema origina attraverso una distinzione che divide il mondo in due parti, come quello e questo, oppure ambiente e sistema" (1979).
In altre parole, possiamo analizzare come un “sistema” qualunque cosa sia composto da vari elementi che interagiscono fra loro all’interno di un confine, anche immateriale, che permette di distinguere un “dentro” da un “fuori”.
Ovviamente, il “dentro” sarà spesso suddiviso in sotto-sistemi, ognuno dei quali delimitato in qualche modo.
Ed il “fuori” altro non è che il meta-sistema di cui il sistema che stiamo osservando è parte.
Se vogliamo essere pignoli, in realtà esiste infatti un unico sistema: l’universo (o, per essere ancora più pignoli: almeno un universo) e non sappiamo se ha dei limiti. Non lo sappiamo e non lo sapremo mai perché dei limiti li ha invece l’universo conoscibile. Per la felicità di S. Tommaso, questo è una sfera geocentrica, avente per raggio la distanza percorsa da un fotone in circa 13,7 miliardi di anni. Quello è infatti il limite, in espansione costante, da cui in via del tutto teorica ci possono giungere delle informazioni.
All’interno di questo sistema, entro certi limiti oggettivo, ci sono miliardi di sottosistemi rappresentati da galassie, nebulose e molto altro, ognuno dei quali contiene miliardi di stelle, molte delle quali con i loro sistemi di pianeti e così via, a scendere di scala fino ad arrivare alle cellule che compongono gli organismi. Ci sono altri livelli organizzativi più piccoli, ovviamente, ma il loro grado di complessità diminuisce e non è detto che siano definibili come “sistemi”. Men che meno come “sistemi complessi”.
Per fare un ragionamento su come sono fatti e come funzionano i sistemi, forse conviene partire proprio dall’estremo minimo della gamma, dalla matriosca più piccola e cioè dalla cellula. Non solo per omaggio a von Bertalanffy (che era un biologo), ma anche perché è più facile.
Una cellula è composta da diversi organuli che svolgono varie funzioni, immersi in un citoplasma delimitato da una membrana. Perlopiù contengono un sotto-sistema, il nucleo, ma non sempre e qui lo ignoreremo.
Dunque torniamo alla membrana cellulare: come è fatta e a che serve? La cellula, per restare funzionale, deve mantenere sotto il proprio controllo una serie di parametri interni, ad esempio la pressione osmotica. Se ci sono troppi ioni, la cellula si risecchisce e muore, se c’è troppa acqua la cellula scoppia. A questo serve la membrana: regolare gli scambi con il meta-sistema di cui la cellula fa parte secondo le necessità vitali di questa. Per questo la membrana è semipermeabile. Cioè consente il passaggio di alcune cose (ad esempio l’acqua), ma non altre (ad esempio ioni e virus). Ma per controllare l’ambiente interno e nutrire la cellula non basta. La membrana contiene dunque delle strutture specializzate che, dissipando energia, sono in grado di “mangiare”, oppure di espellere singoli ioni, acqua, molecole ed altro in modo da mantenere l’omeostasi necessaria. In altre parole, la membrana è una struttura funzionale che, dissipando energia, protegge la cellula, assicurandone l’integrità e la funzionalità.
Saliamo di scala. In una foglia, ad esempio, troviamo che le cellule non sono tutte uguali. Quelle esterne sono blindate e svolgono la funzione specializzata di proteggere il tessuto interno che, al contrario, è assai più tenero e biologicamente attivo. Anche a questo livello, abbiamo un confine che delimita il sistema foglia, costituito dall'epidermide (più eventuali elementi esterni) la cui funzione è quella di proteggere l’interno dall’esterno. Ma abbiamo visto che nessun sistema vivente può esistere se isolato. Dunque l'epidermide ha dei fori, gli stomi, controllati da strutture apposite che lasciano passare la quantità di aria necessaria per la fotosintesi. Nel frattempo, i pigmenti dell'epidermide fanno passare la quantità giusta di luce. Né tanta da bruciare le cellule, né poca da farle morire di fame. Cioè, la foglia è avvolta da qualcosa che, sempre dissipando energia, la mantiene funzionale.
Mutatis mutandis, lo stesso, identico schema si ripropone ai livelli crescenti di complessità a cui si organizzano la Vita ed il Pianeta nel suo insieme. La più esterna delle barriere protettive terrestri è la ionosfera, che ci protegge dai raggi gamma, ma lascia passare la luce ultravioletta, visibile ed infrarossa.
Un punto fondamentale è dunque questo: qualunque sistema, per esistere, necessita di una barriera che lo delimita e deve quindi dissipare energia per costruire e far funzionare tale barriera. Questo perché è necessario che le condizioni interne siano controllate. D’altronde, Carnot ci ha insegnato che un sistema isolato vedrebbe la sua entropia crescere fino ad un massimo, mirabilmente definito da Nietzsche “morte termica”.
Dunque, se nessun sistema può esistere se non delimitato, nessun sistema può esistere se isolato. In altre parole, ogni confine, dalla membrana di una singola cellula alla ionosfera ed oltre, ha la funzione non di isolare il sistema, bensì quello di controllarne gli interscambi con il sistema più ampio di cui fa parte, il quale a sua volta avrà i suoi propri confini e così via.
Questo è il secondo punto fondamentale: ad ogni livello di organizzazione corrisponde una diversa delimitazione, con differenti funzioni. Se ogni cellula avesse la permeabilità di quelle dell'epidermide foliare, la pianta morirebbe, anzi non esisterebbe neppure. Dunque è necessario che le cellule si differenzino per svolgere funzioni specializzate. In altre parole, per aumentare la propria efficienza, un sistema deve dissipare energia per aumentare la propria complessità. Cioè diventare un più ampio insieme funzionale di elementi e di relazioni.
Livelli superiori di complessità consentono di assorbire e dissipare maggiore energia. Dunque di prevalere nella competizione con altri sistemi e sotto-sistemi, ma richiede più risorse. Per questo su di una roccia nuda nascono dei licheni. Non appena si forma un po’ di suolo, le erbe sostituiscono i licheni e quando c’è abbastanza terra, gli alberi prevalgono sull’erba.
Si badi bene che tutto questo non ha niente a che fare con questioni etiche e scelte umane, ma solo con quello che Tommaso Campanella chiamava il “senso delle cose” e che noi chiamiamo “gradiente termodinamico”. (Ai fisici non piace sentirselo dire, ma buona parte del loro lavoro consiste nel mettere a punto e chiarire le intuizioni dei migliori maghi del rinascimento).
Ma se livelli superiori di organizzazione hanno maggiori potenzialità, necessitano anche di maggiori risorse e, di conseguenza, scaricano maggiore entropia nel meta-sistema di cui fanno parte. Vale a dire che erodono più rapidamente le riserve di energia ed informazione del loro ambiente. Riserve che possono essere reintegrate a scapito dei meta-sistemi via via sovraordinati, fino alla matrioska più grande: l’universo conoscibile.
Molto si discute del se e come, entro o fuori di questo, vi siano “fabbriche” di entropia negativa. Oppure se tutto esista ed evolva solo grazie alle scorte di bassa entropia che abbiamo ereditato dal “big bang”. Ma tutto questo, per quanto affascinante, ci riguarda molto poco. A noi basta sapere che sulla Terra abbiamo una sola “macchina” che pompa l’entropia al contrario: la vegetazione. Tutto il resto, compresi noi, dipende da lei. Ovviamente, ciò avviene a spese del Sole e fra un paio di miliardi di anni saranno guai.
Ma non credo siano in molti a preoccuparsene. Piuttosto, nei prossimi post vedremo invece di utilizzare questi concetti per capire come ha funzionato la globalizzazione e come, in grandissime linee, probabilmente funzionerà la de-globalizzazione.
I confini politici sono qualcosa di particolarmente complicato. La loro posizione e le loro caratteristiche cambiano infatti rapidamente (rispetto ai tempi storici) e dipendono da un insieme molto vasto di fattori fisici e geografici, ma anche storici, culturali, economici ecc.
La dinamica dei sistemi è solo uno dei molteplici approcci possibili alla questione, ma può essere utile per mettere in luce degli aspetti spesso trascurati. Tenterò di chiarire questo punto in una serie di post di cui questo è il primo.
Confini dei sistemi.
Secondo la definizione di Ludwig von Bertalanffy, padre della teoria dei sistemi, "Un sistema è un complesso di elementi che interagiscono fra loro" (1968). Una definizione successivamente integrata da numerosi altri autori, fra cui James Grier Miller, che per primo focalizzò il punto essenziale in questa sede: “Un sistema è una regione delimitata nello spazio-tempo" (1971). Concetto ripreso ed ampliato da J. Gougen e F. Varela: “Un sistema origina attraverso una distinzione che divide il mondo in due parti, come quello e questo, oppure ambiente e sistema" (1979).
In altre parole, possiamo analizzare come un “sistema” qualunque cosa sia composto da vari elementi che interagiscono fra loro all’interno di un confine, anche immateriale, che permette di distinguere un “dentro” da un “fuori”.
Matrioske
Ovviamente, il “dentro” sarà spesso suddiviso in sotto-sistemi, ognuno dei quali delimitato in qualche modo.
Ed il “fuori” altro non è che il meta-sistema di cui il sistema che stiamo osservando è parte.
Se vogliamo essere pignoli, in realtà esiste infatti un unico sistema: l’universo (o, per essere ancora più pignoli: almeno un universo) e non sappiamo se ha dei limiti. Non lo sappiamo e non lo sapremo mai perché dei limiti li ha invece l’universo conoscibile. Per la felicità di S. Tommaso, questo è una sfera geocentrica, avente per raggio la distanza percorsa da un fotone in circa 13,7 miliardi di anni. Quello è infatti il limite, in espansione costante, da cui in via del tutto teorica ci possono giungere delle informazioni.
All’interno di questo sistema, entro certi limiti oggettivo, ci sono miliardi di sottosistemi rappresentati da galassie, nebulose e molto altro, ognuno dei quali contiene miliardi di stelle, molte delle quali con i loro sistemi di pianeti e così via, a scendere di scala fino ad arrivare alle cellule che compongono gli organismi. Ci sono altri livelli organizzativi più piccoli, ovviamente, ma il loro grado di complessità diminuisce e non è detto che siano definibili come “sistemi”. Men che meno come “sistemi complessi”.
Il sistema minimo
Per fare un ragionamento su come sono fatti e come funzionano i sistemi, forse conviene partire proprio dall’estremo minimo della gamma, dalla matriosca più piccola e cioè dalla cellula. Non solo per omaggio a von Bertalanffy (che era un biologo), ma anche perché è più facile.
Una cellula è composta da diversi organuli che svolgono varie funzioni, immersi in un citoplasma delimitato da una membrana. Perlopiù contengono un sotto-sistema, il nucleo, ma non sempre e qui lo ignoreremo.
Dunque torniamo alla membrana cellulare: come è fatta e a che serve? La cellula, per restare funzionale, deve mantenere sotto il proprio controllo una serie di parametri interni, ad esempio la pressione osmotica. Se ci sono troppi ioni, la cellula si risecchisce e muore, se c’è troppa acqua la cellula scoppia. A questo serve la membrana: regolare gli scambi con il meta-sistema di cui la cellula fa parte secondo le necessità vitali di questa. Per questo la membrana è semipermeabile. Cioè consente il passaggio di alcune cose (ad esempio l’acqua), ma non altre (ad esempio ioni e virus). Ma per controllare l’ambiente interno e nutrire la cellula non basta. La membrana contiene dunque delle strutture specializzate che, dissipando energia, sono in grado di “mangiare”, oppure di espellere singoli ioni, acqua, molecole ed altro in modo da mantenere l’omeostasi necessaria. In altre parole, la membrana è una struttura funzionale che, dissipando energia, protegge la cellula, assicurandone l’integrità e la funzionalità.
Salendo di scala
Saliamo di scala. In una foglia, ad esempio, troviamo che le cellule non sono tutte uguali. Quelle esterne sono blindate e svolgono la funzione specializzata di proteggere il tessuto interno che, al contrario, è assai più tenero e biologicamente attivo. Anche a questo livello, abbiamo un confine che delimita il sistema foglia, costituito dall'epidermide (più eventuali elementi esterni) la cui funzione è quella di proteggere l’interno dall’esterno. Ma abbiamo visto che nessun sistema vivente può esistere se isolato. Dunque l'epidermide ha dei fori, gli stomi, controllati da strutture apposite che lasciano passare la quantità di aria necessaria per la fotosintesi. Nel frattempo, i pigmenti dell'epidermide fanno passare la quantità giusta di luce. Né tanta da bruciare le cellule, né poca da farle morire di fame. Cioè, la foglia è avvolta da qualcosa che, sempre dissipando energia, la mantiene funzionale.
Mutatis mutandis, lo stesso, identico schema si ripropone ai livelli crescenti di complessità a cui si organizzano la Vita ed il Pianeta nel suo insieme. La più esterna delle barriere protettive terrestri è la ionosfera, che ci protegge dai raggi gamma, ma lascia passare la luce ultravioletta, visibile ed infrarossa.
A cosa servono i confini
Un punto fondamentale è dunque questo: qualunque sistema, per esistere, necessita di una barriera che lo delimita e deve quindi dissipare energia per costruire e far funzionare tale barriera. Questo perché è necessario che le condizioni interne siano controllate. D’altronde, Carnot ci ha insegnato che un sistema isolato vedrebbe la sua entropia crescere fino ad un massimo, mirabilmente definito da Nietzsche “morte termica”.
Dunque, se nessun sistema può esistere se non delimitato, nessun sistema può esistere se isolato. In altre parole, ogni confine, dalla membrana di una singola cellula alla ionosfera ed oltre, ha la funzione non di isolare il sistema, bensì quello di controllarne gli interscambi con il sistema più ampio di cui fa parte, il quale a sua volta avrà i suoi propri confini e così via.
Questo è il secondo punto fondamentale: ad ogni livello di organizzazione corrisponde una diversa delimitazione, con differenti funzioni. Se ogni cellula avesse la permeabilità di quelle dell'epidermide foliare, la pianta morirebbe, anzi non esisterebbe neppure. Dunque è necessario che le cellule si differenzino per svolgere funzioni specializzate. In altre parole, per aumentare la propria efficienza, un sistema deve dissipare energia per aumentare la propria complessità. Cioè diventare un più ampio insieme funzionale di elementi e di relazioni.
Livelli superiori di complessità consentono di assorbire e dissipare maggiore energia. Dunque di prevalere nella competizione con altri sistemi e sotto-sistemi, ma richiede più risorse. Per questo su di una roccia nuda nascono dei licheni. Non appena si forma un po’ di suolo, le erbe sostituiscono i licheni e quando c’è abbastanza terra, gli alberi prevalgono sull’erba.
Si badi bene che tutto questo non ha niente a che fare con questioni etiche e scelte umane, ma solo con quello che Tommaso Campanella chiamava il “senso delle cose” e che noi chiamiamo “gradiente termodinamico”. (Ai fisici non piace sentirselo dire, ma buona parte del loro lavoro consiste nel mettere a punto e chiarire le intuizioni dei migliori maghi del rinascimento).
Ma se livelli superiori di organizzazione hanno maggiori potenzialità, necessitano anche di maggiori risorse e, di conseguenza, scaricano maggiore entropia nel meta-sistema di cui fanno parte. Vale a dire che erodono più rapidamente le riserve di energia ed informazione del loro ambiente. Riserve che possono essere reintegrate a scapito dei meta-sistemi via via sovraordinati, fino alla matrioska più grande: l’universo conoscibile.
Molto si discute del se e come, entro o fuori di questo, vi siano “fabbriche” di entropia negativa. Oppure se tutto esista ed evolva solo grazie alle scorte di bassa entropia che abbiamo ereditato dal “big bang”. Ma tutto questo, per quanto affascinante, ci riguarda molto poco. A noi basta sapere che sulla Terra abbiamo una sola “macchina” che pompa l’entropia al contrario: la vegetazione. Tutto il resto, compresi noi, dipende da lei. Ovviamente, ciò avviene a spese del Sole e fra un paio di miliardi di anni saranno guai.
Ma non credo siano in molti a preoccuparsene. Piuttosto, nei prossimi post vedremo invece di utilizzare questi concetti per capire come ha funzionato la globalizzazione e come, in grandissime linee, probabilmente funzionerà la de-globalizzazione.