Di Jacopo Simonetta.
Questo articolo è già stato pubblicato sul n. 8 della rivista online "Overshoot". Il numero è scaricabile gratuitamente a questo link: http://www.rientrodolce.org/
La trappola della scimmia è un recipiente che contiene qualcosa di molto buono da mangiare; la scimmia vi infila la mano per prenderlo, ma il pugno chiuso non può uscire dalla bocca del vaso. In realtà niente impedisce all'animale di lasciare l’esca e andarsene, ma non vuole rinunciare alla sua leccornia e così continua a stringere. Ma più si agita, più monta il panico e più si stringono le dita, finché arriva il cacciatore che uccide la scimmia e se la mangia.
Oggetto reale o metafora dell’avidità umana poco importa. Qui vorrei utilizzarla come spunto per una riflessione su qualcosa che a noi umani è molto caro. Qualcosa da cui siamo abituati ad attenderci ogni bene e che può diventare una trappola mortale.
Per arrivarci vorrei partire da un modello economico proposto da Herman Daly per spiegare come l’incremento della produzione di beni e servizi non necessariamente giova all'economia; anzi può diventare la macchina che la distrugge. Sembra un paradosso, ma non lo è, come molti dei fenomeni che stanno condizionando il nostro presente ed il nostro futuro.
Partiamo da una semplice considerazione: ad ogni incremento della produzione corrisponde un aumento del vantaggio per il produttore. Se vendere 100 pizze al giorno porta un determinato vantaggio, poniamo 100 euro di guadagno netto, produrre 200 pizze dovrebbe dare un vantaggio maggiore. Di solito è così, ma di quanto? Non di altri 100 €. Perché? Perché incrementando la disponibilità di un bene diminuisce il desiderio per il medesimo, mentre aumentano le spese per produrlo e commercializzarlo.
Ad ogni attività commerciale, come ai processi biologici, si applica l’implacabile legge dei ritorni decrescenti. Qualunque cosa cresca, da un certo momento in poi, comincia ad incontrare una resistenza sempre maggiore al suo sviluppo finché questo necessariamente si arresta.
In termini termodinamici la faccenda si spiega col fatto che, man mano che qualcosa cresce, aumentano le sue necessità e, dunque, le sue difficoltà a reperire abbastanza energia per continuare a crescere.
Contemporaneamente, ogni accrescimento comporta anche un aumento dei costi, siano questi energetici, monetari o d’altro genere. Per fare più pizze è necessario non solo comprare più farina e mozzarella, ma anche ingrandire il forno ed assumere personale. Per reperire più cibo è necessario camminare di più. Per catturare più luce occorre mantenere tronchi e rami sempre più grandi e pesanti. Per pompare più petrolio è necessario perforare pozzi sempre più profondi eccetera. Finché le uscite equivalgono alle entrate e la crescita si ferma. Una legge che gli economisti conosco bene e che chiamano “legge del quando fermarsi”.
Quello che di solito non si dice è che, col tempo, le strutture realizzate per catturare energia si usurano ed aumenta quindi il bisogno di energia per la loro manutenzione. Man mano che il tempo passa, il fabbisogno di energia aumenta, aumentano le difficoltà a reperirne abbastanza ed i sistemi cominciano a diventare fatiscenti, finché collassano.
Tutte le strutture dissipative, di qualunque natura e dimensione, invecchiano e muoiono; dalle cellule alle galassie. Ed è un bene, perché è proprio questo che consente l’evoluzione. “La Morte è l’artificio mediante cui si mantiene la Vita” diceva Goethe.
Tornando alle nostre preoccupazioni economiche, se è assodato che i vantaggi marginali non possono che diminuire ed i costi marginali non possono che aumentare, come è possibile pensare che la crescita economica possa proseguire all'infinito?
Sostanzialmente per due motivi:
Il primo è che, comunemente, si ritiene che i ritorni decrescenti si applichino alle singole attività, ma non alle economie complessive. Si presume infatti che ci sia sempre la possibilità di inventare nuovi prodotti o servizi, man mano che quelli già disponibili raggiungono il fatidico livello d’arresto. Un’idea che era perfettamente ragionevole quando fu concepita un paio di secoli or sono.
All'epoca, sulla Terra c’era meno di un miliardo di persone, abbondanza di risorse e spazi apparentemente illimitati in cui disperdere i nostri rifiuti. Pensare la stessa cosa oggi, in un mondo in cui ogni giorno ci sono 300.000 persone in più a grattare il fondo del barile di risorse come l’acqua, il suolo, la biodiversità e l’aria; un mondo in cui le caratteristiche chimiche e fisiche dell’atmosfera e degli oceani sono state gravemente alterate dall'accumulo di rifiuti è semplicemente una stupidaggine.
Il secondo motivo è più interessante perché è vero che disponiamo di potenti mezzi in grado di spostare il famoso punto di equilibrio del “quando fermarsi” sia a livello di singole attività che di intere economie: la crescita demografica, la pubblicità (e tutti gli altri trucchi del consumismo), il progresso tecnologico.
Per capirne il ruolo dobbiamo osservare con più attenzione il modello di Daly.
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a) 1 = Limite economico; 2 = Limite di saturazione; 3 = Catastrofe. Da H. Daly modificato. |
Vediamo meglio i tre punti di possibile crisi.
1 - Il “ Limite economico” si raggiunge quando la curva dei benefici calanti incrocia quella dei costi montanti. E’ questo il famoso punto “quando fermarsi”. Qui è fondamentale tener presente che, parlando di intere economie e non di singole attività, la curva dei costi include necessariamente anche tutte le esternalità che, invece, non figurano nei bilanci delle imprese. Questo è uno dei motivi per cui spesso le imprese trovano vantaggioso spingere l’economia generale in territorio collettivamente negativo.
2 – Il “limite di saturazione” può trovarsi in qualunque punto della curva e corrisponde a quando la gente ne ha fin troppo di qualcosa. Smette di comprare, la curva dei vantaggi precipita e finisce il gioco. L’economia neoclassica nega formalmente l’esistenza di questo limite con il postulato di “non sazietà” la cui validità è però smentita dai fatti, oltre che dallo sviluppo iperbolico dell’industria pubblicitaria e, più in generale, tutto l’armamentario del consumismo.
Ma anche altre forzanti, in particolare la crescita demografica, possono facilmente spostare il limite economico ben addentro al territorio della crescita anti-economica. Cioè in posizioni in cui la somma dei costi, comprese le esternalità, supera i ricavi. Parlando di economie, il fatto di aver raggiunto od anche superato il punto di equilibrio non significa infatti che tutte le attività siano negative. Anzi, di solito alcune vanno meglio di prima ed altre nuove nascono, anche se si sviluppano a spese di altre che chiudono.
In pratica, l’economia diventa un gioco a somma negativa, ma ciò non impedisce che vi siano dei vincitori e poiché sono proprio questi che assurgono al potere vi sono ben poche possibilità che fermino la macchina.
Ma quel che è più importante, è che in questo modo ci avvicina al terzo limite.
3 – Il “Limite della catastrofe ecologica”. Sappiamo, o dovremmo sapere, che qualunque attività umana modifica l’ecosistema da cui preleva le risorse necessarie e scarica i rifiuti risultanti. Entro certi limiti, l’ecosistema si adatta, mantenendo comunque una sua funzionalità.
Oltre questo limite, l’ecosistema collassa in un sistema quasi privo di vita, completamente incapace di sostenere qualsivoglia attività umana. L’esempio classico è quello della messa a coltura di territori vergini che può portare allo sviluppo di agro-ecosistemi molto complessi e vitali, così come a lande desolate a seconda dell’intensità con cui si sfruttano i suoli, l’acqua e la biodiversità.
Anche l’esistenza di questo limite viene esplicitamente negata, o perlomeno ridotta ad una possibilità del tutto teorica, dalla scuola economica corrente in base al presupposto che lo sviluppo economico sia in grado di produrre anche i mezzi per riparare i danni che produce. Il fatto che un’infinità di attività e di economie siano già collassate assieme agli ecosistemi di cui vivevano non sembra interessare i grandi guru del denaro.
Ma ciò che qui ci interessa è il ruolo chiave rivestito dalla tecnologia. L’effetto principale del progresso tecnico è infatti quello di rendere più efficienti i processi produttivi.
L’intera élite mondiale ed anche buona parte della risicata nicchia ambientalista conta proprio sull'aumento dell’efficienza produttiva per togliere dal fuoco le castagne dell’umanità senza che nessuno si faccia troppo male.
Ma se i processi produttivi diventano più efficienti, i costi di produzione diminuiscono, la curva dei costi marginali si sposta verso il basso ed il punto di equilibrio verso destra. Eventualmente fino a coincidere con il punto di rottura che scatena la catastrofe. Oltre, ovviamente, non ci sono più attività economiche di sorta.
Parlando di economia globale, non sappiamo esattamente dove questo “punto” si trovi, anzi potremmo addirittura averlo già superato. Non possiamo saperlo, ma possiamo essere certi che c’è.
In altre parole, l’aumento di efficienza produttiva e commerciale portano benefici a chi se ne serve, ma a costo di avvicinare progressivamente il sistema alla soglia di collasso. Finché vi sono ampi margini di manovra, rappresentati da risorse e possibilità di smaltimento prive di forti controindicazioni, i vantaggi superano certamente gli svantaggi.
Non per nulla in ogni società che è collassata i successi del passato hanno indotto la gente a tenersi stretto il suo progresso. Esattamente come fa la scimmia con la sua pagnotta.
D'altronde, per la scimmia fare diversamente significherebbe rimanere a pancia vuota. Per una società umana mollare la presa significherebbe avviare volontariamente il proprio declino politico ed economico. Cioè restare a pancia vuota, essere invasi o, perlomeno, rischiare parecchio. Ma continuare ad alzare la posta ha sempre avuto il risultato di rimandare la resa dei conti finché non sopraggiunge il cacciatore, nelle vesti di una raffica di catastrofi tanto più devastanti, quanto più a lungo è stato possibile rimandare.
Sono pochissimi e parziali gli esempi storici di società che sono state capaci di fermarsi ad un livello a cui era ancora possibile stabilizzare il sistema per periodi relativamente lunghi.
Dunque il rilancio economico ed ancor più il progresso tecnologico da cui ci attendiamo salvezza sono esattamente quelle cose che hanno già condannato a morte molti di noi e forse l’umanità intera, se non la Biosfera.
Dovremmo allora considerare “cattiva” la tecnologia? Sarebbe come se un gatto considerasse cattivi i propri artigli perché gli hanno permesso di catturare tutti i topi del quartiere. Non ha senso. Tra l’altro, avremo bisogno di tutto quel che abbiamo per scendere la parte destra del “Picco di Seneca”.
Il fatto è semplicemente che abbiamo elaborato una forma di evoluzione troppo efficiente e questo ci ha permesso di distruggere una buona fetta del Pianeta. Per chi ne ha assaporato i frutti, è stato bello non sentire più la fame, poter guarire da tante malattie, andare in vacanza ed in pensione, viaggiare in automobile o in aereo, eccetera. Niente di strano che più sentiamo sfuggirci tutto ciò, più forte stringiamo le dita. E chi è vissuto sperando di realizzare lo stesso sogno, ucciderà e morirà prima di rinunciarvi. La tecnologia ci ha spacciati non già perché sia cattiva, bensì perché funziona troppo bene!
Ci sarebbero, o ci sarebbero stati, a mio avviso almeno due modi per sfuggire alla trappola. Man mano che la tecnologia riduceva i costi di produzione, si sarebbero dovuti imporre limiti crescenti alla disponibilità delle risorse e/o al diritto di acquistare determinati beni o servizi. Gli strumenti per ottenere questo erano molti: dalla tassazione al razionamento, ma in ogni caso una cosa simile avrebbe significato semplicemente la fine dell’economia di mercato.
Una mostruosità che solo a dirla scatena derisione e scandalo, ma che accadrà comunque in un futuro non lontano e senza bisogno di riesumare ideologie che hanno già ampiamente fallito. Basterà che una risorsa insostituibile raggiunga costi di estrazione, raffinazione e trasporto eccessivi per il mercato. Per fare un esempio fra i tanti possibili, che faremo quando il petrolio avrà dei costi di “produzione” di 150 $ al barile? A quel prezzo non potrà essere venduto, ma neppure se ne potrà fare a meno. Dunque, semplicemente, l’industria petrolifera sarà in qualche modo nazionalizzata o militarizzata e continuerà a lavorare come potrà, consegnando i suoi prodotti ai servizi essenziali (oltre che ad una ristretta cerchia di oligarchi).
In conclusione, è possibile che nel nostro futuro si verifichi un repentino collasso delle attività economiche. Molti lo temono, ma personalmente credo più probabile che ad una serie di crisi parziali si risponderà con una progressiva militarizzazione dell’economia e della società. Perlomeno in quei paesi che al momento avranno i mezzi e la capacità per poterlo fare. Non sarà piacevole, ma potrebbe andare anche peggio.
il mondo va a petrolio e i prezzi sono tenuti bassi artificiamente con bolle finanziarie. Queste scoppieranno solo quando non potranno più gonfiare alcunchè, ossia quando il petrolio sarà troppo poco. Solo dopo sarà militarizzato. Tutto comincerà con una grande crisi finanziaria che azzererà stipendi, risparmi e classe media, riportando la società al medioevo con pochi ricchi oligarchi e molti poveri. Allora l'energia sarà solo per usi militari e alimentari. Speriamo succeda presto, prima possibile, perchè la calotta polare nord si è formata con la CO2 a 350 ppm, quella sud a 450 ppm e ora siamo quasi a 410 ppm, difatti si sono già cominciate a squagliare entrambe. Il mondo in cui siamo vissuti e che conosciamo non è più sostenibile e volenti o meno il cambiamento arriverà.
RispondiEliminaCaro Jacopo, ho letto due volte il tuo pezzo, dentro di me sento che hai ragione, eppure la prima parte del ragionamento non mi convince, in particolare quando parli dell'aumento dei costi marginali. Se fai 200 pizze anziché 100 normalmente il costo di produzione di ciascuna pizza diminuirà anziché crescere, sia perché potrai ottenere uno sconto dai fornitori delle materie prime in ragione del maggior volume di acquisto, sia perché potrai ottimizzare i tempi di lavoro (cosa che spesso va a braccetto con lo sfruttamento, ma questa è un'altra storia). Se Elon Musk può vendere la sua Tesla Model 3 a 35.000 $ anziché a 70.000 $ è perché la sua gigafactory gli permetterà di abbassare in modo drastico i costi di produzione a causa delle ben note economie di scala. Certo, ci sono le esternalità, ma fintanto che produci un bene senza dover fare significativi aggiornamenti tecnologici, il problema lo hai quando le vendite calano, non quando crescono. Insomma alla fine sono convinto che andrà come dici tu, ma le curve di Daly dovrebbero secondo me essere riviste. Comunque grazie per le riflessioni sempre stimolanti.
RispondiEliminaCredo che il ragionamento di Jacopo valga su scale enormi. Per assurdo, se il pizzaiolo si ingrandisce al punto da acquistare metà della produzione mondiale di farina, comincerebbe a pagare molto caro ogni ulteriore acquisto della metà rimanente! Il fatto è che il pizzaiolo si trova ancora ad un punto della scala molto ottimale; intuisco che i problemi cominciano a porsi a livello di scala delle multinazionali, il che fa molto senso se osservi obiettivamente la realtà.
EliminaSulle pizze hai perfettamente ragione.
EliminaL'esempio delle pizze è ovviamente banalizzato al massimo. Il punto chiave è che i ritorni decrescenti funzionano. Si può quindi discutere quando e con quali condizioni si raggiunge il punto di incrocio, ma da qualche parte quel punto c'è per forza. E aumentare l'efficienza (per esempio tramite economie di scala) sposta quel punto verso la soglia della catastrofe. Non necessariamente la raggiunge, ma la avvicina, fragilizzando il sistema.
Eliminatrovo sempre una visione un po' catastrofista che non considera gli antidoti dovuti nella società (-: Quello che sta succedendo, a parer mio, è che il petrolio incomincia a essere inutile per lo sviluppo delle società future un esempio lo trovate qui dove sarebbero totalmente inadatti; cioè le soluzioni sono sempre nel futuro (-:.
RispondiEliminaConcordo che vi siano pericoli di restrizione libertaria, ma concludere che vi sarà nessun confronto tra classi agiate e classi disagiate dove le disagiate saranno totalmente supine alle agiate dove sarà sufficiente uno stato poliziesco a contenere la protesta sarebbe eludere l'esperienza marxista e cristiana le quali si stanno attualizzando ai contesti moderni, lo possiamo comprovare con lo scontro sull'asilo ai migranti su tutti i quotidiani.
La tua riflessione è sempre molto interessate, anche se l'efficienza produttiva come assoluto che divora è inefficiente perché non sa rigenerare. Ammetto che è una riflessione che spesso capita di leggere, ma il fatto stesso che siamo in grado di esplicitarla pone le basi per il pensiero del ciclo e come spesso dibattete su queste pagine di una somma algebrica = +1 (-:-)
Le basi che pone il pensiero nelle sue contra posizioni è che va trovata una via di uscita e questa è una scelta politica nella quale la scimmia ha sbagliato pizzeria ((-:
La ricerca di un nuovo “straordinario”
RispondiEliminaPenso che si possa uscire da questa impasse reimpostando tutto.
Penso che il senso della vita umana sia la ricerca di "straordinario", di qualcosa che superi la piattezza della vita quotidiana. La storia dell’uomo non è altro che la ricerca dello “straordinario”: finora lo "straordinario" si è ottenuto con la crescita per quanto riguarda il soddisfacimento dei bisogni fondamentali di alimentazione, salute e altri ancora. Ma dopo quell’età assiale rappresentata dagli anni settanta del XX secolo, anni in cui furono pubblicati “The Entropy Law and the Economic Process”, la principale opera di Nicholas Georgescu-Roegen e “I limiti dello sviluppo” di un gruppo di scienziati del MIT di Boston, questi bisogni si potranno soddisfare adeguatamente solamente con la decrescita.
Nel lavoro che sotto vi propongo sono esposte in modo più ampio le mie proposte sul tema della ricerca di un nuovo “straordinario”.
http://www.decrescita.com/news/il-futuro-straordinario/
Cordiali saluti
Armando
Ricordiamo che le primavere arabe sono state scatenate nel 2010 dagli incendi estivi nei campi di grano in russia/ucraina...
RispondiEliminaIo sono ottimista, la tecnologia spinge talmente in basso la curva dei "costi" che "l'incrocio" delle due rette è abbastanza lontano, attenzione non dico che "non s'incontreranno" ma che sia lontano, abbastanza da uscire da questo maleficio o comunque chi è stato più furbo o rimane con delle riserve o con abbastanza tecnologia, potrà sopravvivere mentre il resto soccombe! Non credo nella "militarizzazione" ma semmai nella grande guerra dato che il divario di Paesi "che sopravvivono" e quelli "che soccombono" aumenta di giorno in giorno.Del resto è il motivo delle guerre e specialmente della 1 e 2 Guerra mondiale, solo che la terza sarà una ecatombe!!!
RispondiEliminahttp://www.greenme.it/mangiare/altri-alimenti/19958-carne-laboratorio
EliminaSembrerebbe una buona notizia.
La nostra civilta' possiede risorse (scientifiche ed umane) che ci possono riservare sorprese sia positive che negative.
Non è facile scegliere se essere ottimisti o catastrofisti.
Io sono ottimista più che altro per carattere.
Articolo interessante e istruttivo (anche perchè ha l'onestà intellettuale di inserire tra le cause degli attuali squilibri ambientali e sociali la crescita demografica umana incontrollata), la cui tesi di fondo può forse essere riassunta nella considerazione ("mutatis mutandis" già espressa nel vecchio best-seller dell'ingegnere-saggista R.Vacca 'Medioevo prossimo venturo') che superati determinati limiti di grandezza e di complessità ogni "sistema" tende a diventare caotico e quindi sempre più fragile. Una semplice osservazione finale: la Tecnologia, QUALORA SAGGIAMENTE INDIRIZZATA, ritengo che possa/debba costituire non un'avversaria ma un'alleata nel quadro dell' ormai necessaria elaborazione/messa in pratica di strategie di adattamento ai mutamenti climatici e di riduzione dei danni ambientali e sociali derivanti dagli attuali squilibri...
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