Di Giancarlo Fiorito
Da circa 130 anni gli economisti hanno immaginato di rappresentare la produzione di beni e servizi con una funzione Y = f(x1, x2, …, xn) che mettesse in relazione i fattori di produzione (xi) o input, con il prodotto Y o output. Va anche detto che la rappresentazione del processo produttivo è stata pesantemente limitata, poiché delle funzioni molto semplici e con due soli input hanno significato molta rigidità e poco realismo della rappresentazione stessa1. Ma la matematica serviva a mettere chiarezza nei dibattiti, come scriveva Wicksteed nel 1894:
Da circa 130 anni gli economisti hanno immaginato di rappresentare la produzione di beni e servizi con una funzione Y = f(x1, x2, …, xn) che mettesse in relazione i fattori di produzione (xi) o input, con il prodotto Y o output. Va anche detto che la rappresentazione del processo produttivo è stata pesantemente limitata, poiché delle funzioni molto semplici e con due soli input hanno significato molta rigidità e poco realismo della rappresentazione stessa1. Ma la matematica serviva a mettere chiarezza nei dibattiti, come scriveva Wicksteed nel 1894:
I use the mathematical form of statement, then, in the first instance,
as a safeguard against unconscious assumptions, and as a reagent that will precipitate the assumptions held in
solution in the verbiage of our ordinary disquisitions.
Figura 1 – La
funzione di produzione nel processo economico
Nel 1927 l’economista Paul Douglas chiese al matematico Charles
Cobb di trovare una funzione per mettere in relazione capitale e lavoro con la produzione
inglese nel periodo 1889–1922. Ebbe successo: empiricamente fedele alla
produzione reale - l’equazione “seguiva” i dati storici - e con due soli input
(K, L) “miscelabili” a piacere,
l’idea infondeva ottimismo. Così dal carbone estratto, ai frigoriferi
assemblati, al PIL usando le ore-uomo (L)
e una variabile che rappresenta scavatrici, macchinari, o il capitale aggregato
(K) si spiega la produzione. E si
fanno politiche…
Tra le principali criticità della teoria economica della
produzione si trova l’elasticità, una misura conveniente per quantificare le
reazioni tra input e output al variare di un elemento; un numero puro dato dal
rapporto tra due variazioni relative: η
= (∆y/∆x)•(x/y). L’elasticità risponde alla
domanda “quanto varia y se x varia dell’1%?”
Ad esempio, se aumenta l’IVA sui carburanti (per le “temute” clausole di
salvaguardia, ad esempio), cambiano i litri acquistati dagli automobilisti? Se
la quantità non diminuisce all’aumentare del prezzo indotto dall’aumento delle tasse
si dice che la domanda è inelastica.
L’elasticità si calcola con i prezzi e/o con le quantità di
input ed output e tra gli input. In quest’ultimo caso si parla di elasticità di
sostituzione (σ): quanto deve variare la quantità del fattore
xi se il prezzo pxj del fattore xj sale
dell’1% mantenendo il livello di produzione costante? Tutte le funzioni sopra,
esclusa la translog, hanno elasticità di sostituzione fissa: 1 la Cobb-Douglas,
0 la Leontief e infinita la Lineare, constante la CES. Tutte condizioni irrealistiche.
A partire dagli anni ’70 nuove funzioni più complesse e
flessibili, hanno risolto le rigidità dell’elasticità di sostituzione tra input,
consentendo di aumentarne il numero.
Tabella 1 –
Principali funzioni di produzione
Finalmente l’energia (E)
e le materie prime (M) entravano nella funzione di produzione, anche se:
When Solow and Stiglitz sought to make the
production function more realistic by adding in natural resources, they did it
in a manner that economist Georgescu-Roegen criticized as a "conjuring
trick" that failed to address the laws of thermodynamics, since their
variant allows capital and labour to be infinitely substituted for natural
resources. Neither Solow nor Stiglitz addressed his criticism, despite an
invitation to do so in the September 1997 issue of the journal Ecological Economics (Wiki.)
Storicamente, la sostituzione tra input è stata motivo di
forte disaccordo tra economisti di scuola neoclassica ed ecologisti: mentre i
primi credono nella sostituzione, i secondi, pur in misura diversa, propendono per una complementarietà. Il tema è
cruciale. Infatti, secondo la teoria neoclassica della produzione, la
dipendenza dell’economia da fonti non rinnovabili può essere risolta in due soli
modi: la sostituzione tra input e col progresso tecnologico. La prima,
rappresentata appunto da σ,
quantifica la flessibilità di un sistema economico di produrre un output dato
con diverse combinazioni di input; il progresso tecnologico si “cerca” introducendo
variabili più o meno complicate atte a cogliere l’efficienza degli input, una
sorta di “parsimonia” nell’uso di energia e materiali, ma anche di capitale e
lavoro.
Dopo il primo shock petrolifero, importanti sviluppi hanno
riguardato l’econometria sia teorica che applicata, le serie storiche degli
input, fino alle nuove formule per l’elasticità, atte a quantificare la
possibilità di modificare la composizione di K, L, E, M. Diverse formulazioni
dell’Elasticità di sostituzione (Allen, Cross-price, Morishima ecc.) appaiono in
centinaia di articoli scientifici per quantificare la flessibilità nell’uso
degli input in diversi settori e in una miriade di paesi. La domanda di fondo
rimane: gli input si cambiano a piacimento oppure esistono delle rigidità? (Aggiungerei,
indipendentemente da sindacati, Jobs Act,
ecc.)
Purtroppo per i sindacati (e molte altre persone), da molti
studi empirici spesso risulta possibile rimpiazzare uomini con macchine, ma, purtroppo
per industria e finanza, si è trovato anche che spesso vige una difficile sostituzione
tra capitale ed energia. L’energia è necessaria – complementare - al capitale: se
il prezzo dell’energia aumenta, la quantità di capitale cala e se la quantità
di capitale diminuisce cala il PIL. Così accade spesso e questo sta accadendo
dal 2008. Sembra banale, ma non è solo l’economia che ha bisogno di energia, ma
più precisamente il capitale. In ogni caso, che il processo economico, secondo
modelli ed ipotesi proprie della teoria economica sviluppata dagli economisti
neoclassici (“liberisti” si direbbe oggi), non possa fare a meno di energia a basso costo
è un’esplicita e poco (ri)conosciuta ammissione di rigidità e fragilità del
sistema economico: ci vuole energia abbondante per fare (e far funzionare) le
macchine.
A questo punto è doveroso ricordare come, nonostante la
scienza economica ammetta i suoi limiti nel rappresentare precisamente il
processo economico, spesso, dei risultati empirici “parlanti” (a meno rapida
confutazione) permeano in profondità nella politica (l’influenza dei “tecnici”),
condizionando le scelte di strategia internazionale. Basti pensare al ruolo
assunto del concetto di “produttività”, che oggi comporta la generale
convinzione della necessità di ottenere una totale flessibilità salariale.
Riprendendo un po’ la storia, credo sia importante ricordare
(e riconoscere) il merito dello sviluppo della funzione di produzione in “forme
funzionali libere” a due economisti agrari, Earl Heady e John Dillon, le cui ricerche
su nuove funzioni atte a rappresentare la produzione agricola e di bestiame, basate
sugli sviluppi in serie di Taylor includevano sia la Translog che la Lineare
Generalizzata così denominate rispettivamente da Christensen,
Jorgenson e Lau e Diewert oltre dieci anni dopo2.
Usando i dati EU-KLEMS abbiamo stimato una funzione di tipo translog per Francia, Germania, Italia,
Giappone, UK e USA sul periodo 1970-2005 per il settore manifatturiero. Dai
risultati emerge una generale complementarietà tra E e K, come si vede dal
Grafico 1. Un’elasticità di sostituzione negativa infatti significa complementarietà
tra i fattori di produzione.
Grafico 1 –
Elasticità di sostituzione capitale-energia in alcuni paesi (1970-2005)
I risultati sono tanto più “allarmanti” considerando che i
dati si fermano al 2005, prima del balzo del petrolio del 2008, cui è seguita
una crisi economica mondiale che dura tuttora: una prova empirica del “bisogno”
di energia a buon mercato dell’attuale sistema economico. Un sistema economico
che sembra dematerializzarsi, divenire agile, pulito, leggero e – insomma –
sostenibile, ma che, guardando alla produzione in senso stretto, senza energia
“si ferma” un po’ come le nostre automobili. E’ una rivincita dell’eretico
Georgescu-Roegen, il pessimista, che sottolineava insistentemente come fosse la
termodinamica a condizionare il processo economico. E le inefficienze dei
motori a scoppio, delle ruote di gomma su un asfalto rugoso per muovere persone
e cose avessero un costo (sempre meno) nascosto che l’EROEI ci insegna a
contabilizzare (vedi Pardi).
Grafico 2 – La
produzione con input complementari
Quando l’economia ha sviluppato un modello della produzione
che includesse energia e materiali ha trovato che erano necessari. E’ una
conferma, credo importante, del bisogno di cambiare la struttura produttiva,
disincentivando le produzioni energivore, investendo in infrastrutture ferroviarie
e ciclabili, tassando il carbonio e riorientando l’agricoltura verso una
produzione di prossimità, organica e di stagione.
L’alternativa semplicemente non c’è, o meglio è
rappresentata dalla crescita (e collasso) del debito che impedisce, comunque,
la crescita ed il benessere delle persone, come spiega bene Gail Tverberg.
- Questo contributo è una sintesi divulgativa dell’articolo Capital-energy substitution in manufacturing for seven OECD countries: learning about potential effects of climate policy and peak oil pubblicato sulla rivista Energy Efficiency.
1 Per una storia delle prime funzioni di produzione vedi Humphrey.
2 Vedi Heady E. e Dillon, J. Agricultural Production Functions, Iowa University Press, 1962 e Modeling and measuring natural resource substitution, Edited by Ernst R. Berndt and Barry C. Field, MIT Press, 1980.
Wicksteed, P. H. (1894). An essay on the co-ordination of the laws of distribution. London: Macmillan & Co.