domenica 5 luglio 2015

Anche se tutti vivessero in un 'ecovillaggio', il mondo sarebbe comunque nei guai

Da “The conversation”. Traduzione di MR (via Skeptical Science)

Siamo abituati a sentire che se tutti vivessero allo stesso modo dei nord americani o degli australiani ci servirebbero quattro o cinque pianeti Terra per sostenerci. Questo tipo di analisi è conosciuta come “impronta ecologica” e mostra che persino le cosiddette nazione europee “verdi”, coi loro approcci progressisti all'energia rinnovabile, all'efficienza energetica e al trasporto pubblico, richiederebbero più di tre pianeti. Come possiamo vivere secondo i mezzi del nostro pianeta? Se scaviamo seriamente in questa domanda diviene chiaro che quasi tutta la letteratura ambientale sottostima grossolanamente ciò che serve perché la nostra civiltà diventi sostenibile.

Solo le persone coraggiose dovrebbero continuare a leggere.

L'analisi della “impronta ecologica”

Per analizzare la domanda di come sarebbe “vivere di un pianeta”, rivolgiamoci a quello che probabilmente è il sistema di misurazione più di rilievo per il calcolo ambientale – l'analisi dell'impronta ecologica. Questo è stata sviluppato da Mathis Wackernagel e William Rees, poi all'Università della Columbia Britannica, ed ora è istituzionalizzato dal corpo scientifico, il Global Footprint Network, di cui Wackernagel è presidente. Questo metodo di calcolo ambientale cerca di misurare la quantità di terra produttiva e di acqua che una data popolazione ha a disposizione e poi valuta la domanda che la popolazione impone su quegli ecosistemi. Una società sostenibile è una che opera entro la capacità di carico degli ecosistemi da cui dipende.

Mentre questo modo di calcolare non è scevro da critiche – non è certo una scienza esatta – la cosa preoccupante è che molti dei suoi critici in realtà affermano che questo sottostimi l'impatto ambientale dell'umanità. Persino Wackernagel, co-creatore del concetto, è convinto che i numeri siano sottostimati. Secondo i dati più recenti del Global Footprint Network, l'umanità nel suo complesso è attualmente in overshoot (superamento), richiedendo una volta e mezzo la biocapacità del pianeta Terra. Man mano che la popolazione globale continua nella sua tendenza verso gli 11 miliardi di persone e mentre il feticcio della crescita continua a plasmare l'economia globale, la portate dell'overshoot aumenterà soltanto. Per ogni anno in cui questo stato di peggioramento dell'overshoot ecologico persiste, i fondamenti della nostra esistenza e di quella di altre specie, sono minacciati.

L'impronta di un ecovillaggio

Come ho osservato, i contorni fondamentali del degrado ambientale sono relativamente ben conosciuti. Quello che è molto meno conosciuto, tuttavia, è che anche gli ecovillaggi più di successo e che durano da più tempo del mondo devono ancora raggiungere una impronta ecologica “fair share” (giusta quota). Prendete l'Ecovillaggio di Findhorn in Scozia, per esempio, probabilmente l'ecovillaggio più famoso del mondo. Un ecovillaggio può essere ampiamente inteso come una “comunità intenzionale” che si forma con l'obbiettivo esplicito di vivere in modo più leggero sul pianeta. Fra le altre cose, la comunità di Findhorn ha adottato una dieta quasi esclusivamente vegetariana, produce energia rinnovabile e costruisce molte delle proprie case in fango e materiali riciclati.



Ecovillaggio di Findhorn in Scozia. Irenicrhonda/Flickr, CC BY-NC-ND

E' stata intrapresa un'analisi dell'impronta ecologica di questa comunità. E' stato scoperto che anche gli sforzi più impegnati di questo ecovillaggio lasciano ugualmente la comunità di Findhorn consumare risorse e produrre rifiuti ben al di là di quello che potrebbe essere sostenuto se tutti vivessero in questo modo. (Parte del problema è che la comunità tende a volare tanto spesso quanto un normale occidentale, aumentando la loro impronta altrimenti piccola). Messa diversamente, sulla base dei miei calcoli, se tutto il mondo diventasse come uno dei nostri ecovillaggi più famosi, ci servirebbe ancora una volta e mezzo la biocapacità del pianeta Terra.

Soffermatevi su questo per un momento.

Non condivido questa conclusione per provocare disperazione, anche se ammetto che comunica la dimensione del nostro dilemma ambientale con disarmante chiarezza. Né la condivido per criticare gli sforzi nobili e necessari del movimento degli ecovillaggi, che sta chiaramente facendo molto di più degli altri per spingere le frontiere della pratica ambientale. Piuttosto, la condivido nella speranza di scuotere e svegliare il movimento ambientalista e l'opinione pubblica generale. Con gli occhi aperti, cominciamo dal riconoscere che armeggiare ai margini del capitalismo consumista è totalmente inadeguato. In un mondo pieno di sette miliardi di persone in aumento, una impronta ecologica “fair share” significa ridurre ad una piccola frazione di quelle che sono oggi. Un tale cambiamento fondamentale ai nostri stili di vita è incompatibile con una società orientata alla crescita. Alcuni potrebbero trovare questa posizione troppo “radicale” da digerire, ma sosterrei che questa posizione è meramente plasmata da un'onesta panoramica delle prove.

Come sarebbe lo stile di vita da “un pianeta”?

Anche dopo cinque o sei decenni di movimento ambientalista moderno, sembra che non abbiamo ancora un esempio di come prosperare entro la capacità di carico sostenibile del pianeta. Ciononostante, Proprio come i problemi fondamentali possono essere sufficientemente compresi, la natura di una risposta appropriata è a sua volta sufficientemente chiara, anche se la verità a volte è dura. Dobbiamo rapidamente transitare a sistemi di energia rinnovabile, riconoscendo che la fattibilità e l'accessibilità di questa transizione richiederà che consumiamo significativamente meno energia di quella alla quale siamo abituati nelle nazioni sviluppate. Meno energia significa meno produzione e meno consumo.

Dobbiamo coltivare biologicamente e localmente il nostro cibo e mangiare considerevolmente meno (o niente) carne. Dobbiamo andare più spesso in bicicletta e volare di meno, rammendare i nostri vestiti, ridurre radicalmente i nostri flussi di rifiuti e “riqualificare le periferie” creativamente per trasformare le nostre case e comunità in luoghi di produzione sostenibile, non di consumo insostenibile. Per fare questo, dobbiamo sfidare noi stessi ad andare oltre il movimento degli ecovillaggi ed analizzare una tonalità di verde della sostenibilità ancora più profonda. Fra le altre cose, questo significa vivere vite frugali, moderazione e sufficienza materiale. Pensiero impopolare, bisogna dirlo, dobbiamo anche avere meno figli, altrimenti la nostra specie crescerà verso una catastrofe. Ma l'azione personale non è sufficiente. Dobbiamo ristrutturare le nostre società per sostenere e promuovere questi stili di vita “più semplici”. Una tecnologia adeguata ci deve anche assistere nella transizione verso lo stile di vita di un solo pianeta. Alcuni contestano che la tecnologia ci permetterà di continuare a vivere allo stesso modo riducendo allo stesso tempo fortemente la nostra impronta.

Tuttavia, la portata della “dematerializzazione” richiesta per rendere i nostri stili di vita sostenibili è semplicemente troppo ampia. Così come migliorare l'efficienza, dobbiamo anche vivere in modo più semplice in senso materiale e ri-immaginare la buona vita al di là della cultura dei consumi. Innanzitutto, ciò che serve per vivere in di un pianeta è che le nazioni più ricche, compresa l'Australia, inizino un processo di “decrescita” di contrazione economica pianificata. Non sostengo che sia probabile o che io ho un progetto dettagliato di come questa debba accadere. Sostengo solo che, sulla base dell'analisi dell'impronta ecologica, la decrescita è il quadro di riferimento più logico per capire le implicazioni radicali di sostenibilità. La discesa dal consumismo e dalla crescita può essere prosperosa? Possiamo trasformare le nostre crisi sovrapposte in opportunità?

Sono queste le domande che definiscono il nostro tempo.