sabato 11 ottobre 2014

Herman Daly: tre limiti alla crescita.

Di Herman Daly
Articolo pubblicato la prima volta su Center for the Advancement of the Steady State Economy.   
Traduzione e commento di Jacopo Simonetta


Sostanzialmente, quest’articolo riassume gli stessi concetti espressi in un altro, precedentemente tradotto su questo blog.    In un periodo in cui siamo quotidianamente assillati dalla necessità di rilanciare la crescita, forse non è male ricordarsi che la crescita del PIL può generare sia ricchezza che povertà, a seconda del contesto in cui si verifica.

In questo articolo vi è anche un’osservazione circa gli effetti della tecnologia che l’illustre autore discute, ma senza trarne le conclusioni.   Per questo motivo, alla fine dell’articolo mi permetterò un commento alla traduzione.

Man mano che la produzione (PIL) cresce, il suo margine utile declina perché si soddisfano prima i bisogni più importanti.   Allo stesso modo, i costi inflitti dalla crescita aumentano perché, via via che l’economia si espande all’interno dell’ecosfera, sacrifichiamo per primi i meno importanti fra i servizi ecologici (entro i limiti in cui li conosciamo).   L’aumento dei costi e la riduzione dei vantaggi connessi con la crescita è schematizzata nel diagramma seguente.


Nel diagramma possiamo distinguere tre diversi concetti di limite alla crescita.
  
1 – Il “limite della futilità” si raggiunge quando l’utilità marginale della produzione raggiunge lo zero-   Anche in assenza di costi di produzione, c’è un limite a quanto possiamo consumare e goderne.   C’è un limite a quanti beni possiamo utilizzare in un dato tempo così come ci sono limiti al nostro stomaco ed alle capacità sensoriali del nostro sistema nervoso.    In un mondo con molta povertà, ed in cui il povero osserva il ricco che apparentemente gode sempre più della sua ricchezza , il limite della futilità si pensa che sia molto lontano, non solo per i poveri, ma per tutti.   Mediante il postulato di “non sazietà” l’economia neoclassica nega formalmente il concetto di limite della futilità.   Ciò nondimeno, studi dimostrano che al di là di una soglia, la felicità auto-valutata (utilità completa) cessa di crescere con il PIL, rafforzando la rilevanza di questo limite.
  
2 – Il “Limite della catastrofe ecologica”  è rappresentato da una ripida crescita tendente alla verticale della curva dei costi marginali.   Qualche attività umana, o nuova combinazione di attività, può indurre una reazione a catena, od il superamento di un punto critico, ed il collasso della nostra nicchia ecologica.   Il principale candidato per il limite della catastrofe attualmente è il cambiamento climatico indotto dai gas-serra emessi per perseguire la crescita economica.   Dove questo limite si situa lungo l’asse orizzontale rimane incerto, ma devo rimarcare che il presumere un graduale continuo aumento della curva dei costi marginali è assolutamente ottimistico.     Data la nostra scarsa comprensione di come funziona l’ecosistema, non possiamo essere sicuri di avere correttamente sequenziato il sacrificio dei servizi ecologici dai meno ai più importanti.   Perseguendo la crescita, possiamo ignorantemente sacrificare un servizio ecosistemico vitale al posto di uno banale.    Quindi la curva dei costi marginali in realtà cresce zigzagando in modo discontinuo.   Ciò rende difficile separare il limite della catastrofe dal terzo e più importante limite: il limite economico.
  
3 - Il “ Limite economico” è definito dalla parità fra costi e benefici marginali e conseguente massimizzazione del beneficio netto.   La buona notizia con il limite economico è che dovrebbe essere il primo limite che si incontra.    Certamente arriva prima del limite di futilità e facilmente prima del limite della catastrofe anche se ciò, come già osservato, non è certo.   Al peggio, il limite della catastrofe può coincidere con il limite economico.   Perciò è molto importante stimare i rischi di catastrofe ed includerli il più possibile nella curva dei costi.   

Dal grafico risulta evidente che l’incremento di produzione e consumo si può chiamare correttamente “crescita economica” fino al limite economico.   Oltre questo punto diviene crescita anti-economica perché fa crescere i costi più rapidamente dei vantaggi rendendoci sempre più poveri, non sempre più ricchi.   Disgraziatamente pare che perseveriamo a chiamarla “crescita economica”!   Difatti non troverete il termine “Crescita anti-economica” in nessun testo di macroeconomia.   Ogni aumento del PIL è chiamato “crescita economica” anche se fa crescere i costi più rapidamente dei benefici.

Gli economisti noteranno che la logica appena utilizzata è familiare in microeconomia – La parità fra costi marginali e benefici marginali definisce la dimensione ottimale di un’unità microeconomica, sia questa un’azienda od una famiglia.   Questa logica non è tuttavia applicata in macroeconomia il cui obbiettivo è il tutto e non le sue parti.   Quando una parte si espande all'interno di un Tutto delimitato, impone dei costi alle altre Parti che devono stringersi per fargli spazio.   Viceversa, quando il Tutto stesso si espande, si pensa che non imponga costi aggiuntivi in quanto non sposta niente, espandendosi nel vuoto.   Ma il sistema macroeconomico non è il Tutto.    Anch'esso è una parte, una parte di una più grande economia della natura, l’ecosfera, e la sua crescita infligge dei costi al Tutto delimitato che devono essere presi in conto.   Ignorare questo fatto conduce molti economisti a ritenere che la crescita del PIL non possa mai essere antieconomica.
Economisti standard possono accettare questo diagramma come una rappresentazione statica, ma argomentano che in un mondo dinamico la tecnologia sposterà la curva dei benefici marginali verso l’alto e quella dei costi verso il basso, spostando l’intersezione (limite economica) sempre verso destra, cosicché la crescita continua rimane sia desiderabile che possibile.   Tuttavia i sostenitore dello slittamento delle curve macroeconomiche dovrebbero ricordare tre cose.   

Primo, la crescita fisica  della macroeconomica è comunque limitata dalla sua dislocazione di un’ecosfera delimitata e dalla natura entropica della sua produzione.  Secondo, La temporalità delle nuove tecnologie è incerta.   La tecnologia attesa potrebbe non essere inventata o divenire disponibile solo dopo che abbiamo superato il limite economico.   Dobbiamo allora sopportare una crescita antieconomica aspettando e sperando che le curve slittino?    Terzo, ricordiamoci che le curve possono slittare anche in senso contrario, spostando il limite economico verso sinistra.   Lo sviluppo tecnologico del piombo tetraetile e dei clorofluorocarbonati ha spostato la curva dei costi verso l’alto o verso il basso?   E che dire dell’energia nucleare?    

L’adozione di un’economia stazionaria ci consente di evitare di essere spinti al di là del limite economico.   Ci consente di valutare con calma la nuova tecnologia  piuttosto che lasciarla  spingere ciecamente una crescita che potrebbe essere antieconomica.   E la stazionarietà ci assicura contro il rischio di catastrofe ecologica che aumenta con la crescita e l’impazienza tecnologica.


A chiosa dell’articolo di Daly, vorrei osservare che, curiosamente, l'illustre autore non evidenzia il maggiore fra i rischi connessi con lo “slittamento” del limite economico indotto dal progresso tecnologico.   Così facendo, infatti, la tecnologia inevitabilmente avvicina il limite economico a quello di catastrofe, rendendo il superamento di questo sempre più probabile man mano che la tecnologia diviene più potente.

Catastrofi locali indotte da imprese industriali ne sono avvenute e ne stanno avvenendo molte.   Le tar sands canadesi ed il marmo apuano sono due esempi tipici in cui una tecnologia molto avanzata sta mantenendo il limite economico ben oltre il limite della catastrofe.

Catastrofi globali indotte dalla tecnologia non ne abbiamo ancora viste, ma esempi catastrofi di portata regionale in cui intere civiltà sono collassate a cause del superamento dei limiti ecologici ne abbiamo invece a bizzeffe.   Questo è un altro fra i numerosi argomenti che inducono a temere che la tecnologia possa essere in realtà proprio la causa principale delle ricorrenti tragedie che hanno caratterizzato la storia dell’umanità.    Un’ipotesi certamente discutibile, ma che la maggior parte delle persone si rifiuta anche di prendere in considerazione.   

Perfino nel caleidoscopico dell’ambientalismo, del “picchismo” ed affini la fiducia nel potere taumaturgico della tecnologia è profondissimamente radicata. 
Non potrebbe essere altrimenti.    L’uomo, come specie, si è evoluto esattamente sviluppando la capacità di produrre tecnologia.   E’ questa la principale caratteristica distintiva ed identitaria della nostra specie; chiedere ad un umano di diffidare della tecnologia è come dire ad un gatto che i suoi artigli ricurvi potrebbero condurlo in perdizione.   Oppure come diffidare un coniglio dal saltare.   Eppure, se osserviamo i processi che conducono all’estinzione delle specie troviamo che sono proprio le specie più mirabilmente adattate ad una determinata condizione ambientale le prime a scomparire quando l’ambiente cambia.

Che l’ambiente globale stia cambiando molto rapidamente ed irreversibilmente è un fatto su cui non si può che concordare, ma quando si passa a discutere sulla strategia evolutiva da adottare, non esistono due persone che la pensano esattamente allo stesso modo.   Ciò non significa che l’evoluzione non ci sarà.   

Ci sarà, anzi è già in corso, solo che non potremo pianificarla come ci piacerebbe; bensì dovremo procedere per tentativi ed errori, come abbiamo sempre fatto fin dai tempi dei nostri antenati procarioti.