domenica 1 giugno 2014

Maledetti allarmisti!

DaClimateChangeNationalForum”. Traduzione di MR

Di Kerry Emanuel 

L'Associazione Americana per il Progresso della Scienza (American Association for the Advancement of Science – AAA) ha appena pubblicato una dichiarazione sul rischio climatico della quale sono co-autore. Questa dichiarazione ha diversi scopi, uno dei quali è di evidenziare l'importanza del rischio sociale nell'estremo basso della probabilità di distribuzione del cambiamento climatico. Vorrei sfruttare questa occasione per spiegare perché pensiamo che sia necessario parlare di "rischio di coda" e i blocchi che gli scienziati affrontano nel farlo.

Il rischio di coda è un concetto col quale tutti hanno familiarità in qualche modo. Per fare un esempio piuttosto ovvio, supponiamo che una bambina di 8 anni si trovi su una strada affollata che deve attraversare per prendere il suo scuolabus. Insicura sul da farsi, chiede ad un adulto che si trova lì un consiglio. L'adulto risponde che, molto probabilmente, riuscirà ad attraversare la strada indenne.


Immagine di Will Mego via Flickr (link).

Qualsiasi altro adulto ragionevole che ascoltasse un tale consiglio lo considererebbe radicalmente incompleto. Di sicuro, nessuno incoraggerebbe la bambina ad attraversare la strada se ci fosse anche solo l'1% di possibilità che possa essere investita. La conseguenza più probabile è, in questo esempio, ampiamente irrilevante. Ma in questo caso è un inconveniente molto piccolo accompagnare la bambina fino ad un semaforo.

Nel valutare il rischio, bisogna stimare la distribuzione di probabilità dell'evento (l'auto che si scontra con la bambina), avvolgetela con una funzione di risultato (la bambina probabilmente muore se investita) e tenete conto del costo di mitigazione (5 minuti per camminare fino ad un semaforo). Nel regno del cambiamento climatico, gli scienziati del clima sono quelli che hanno l'incarico di stimare il rischio dell'evento, mentre le altre discipline (per esempio economia, ingegneria) devono essere portate ad esercitarsi nella stima della conseguenza e dei costi della mitigazione del rischio o quelli di adattamento ad esso.

Nel valutare la componente del rischio dell'evento del cambiamento climatico, abbiamo, direi, un forte obbligo professionale di stimare e descrivere l'intera probabilità di distribuzione al meglio delle nostre capacità. Ciò significa parlare non solo della distribuzione media più probabile, ma anche della probabilità più bassa di rischio di coda di fascia alta, perché la funzione di conseguenza lì è molto alta. Per esempio, ecco una stima della probabilità di distribuzione della temperatura media globale risultante da un raddoppio del CO2 in relazione ai suoi valori preindustriali, costituito da 100.000 simulazioni utilizzando un modello integrato di valutazione. (Usiamo questo come illustrazione ; non dev'essere visto come la stima più aggiornata delle probabilità di aumento della temperatura globale).


Figura da Chris Hope, Università di Cambridge.

Più o meno in accordo col più recente rapporto del IPCC, il “mezzo più probabile della distribuzione va da circa 1,5°C a circa 4,5°C, mentre c'è una probabilità di circa il 5% che gli aumenti di temperatura siano meno di circa 1,8°C e di più di circa 4.6°C. Ma, dato che le distribuzioni corrispondenti di piogge, tempeste, aumento del livello del mare, ecc., il 5% di fascia alta potrebbe essere così consequenziale, in termini di risultato, da essere a ragione definita catastrofica. E' vitalmente importante che trasmettiamo questo rischio di coda, così come le conseguenze più probabili. 

Ma ci sono pregiudizi culturali forti contro qualsiasi discussione di questo tipo di rischio di coda, almeno nel regno della scienza del clima. La paura legittima che il pubblico interpreti  qualsiasi discussione sul rischio di coda come un tentativo deliberato di spaventare le persone e spingerle ad agire, o di ottenere qualche altro obbiettivo ulteriore o nefasto, è sufficiente per far sì che quasi tutti gli scienziati si sottraggano a qualsiasi discorso sul rischio di coda e rimangano attaccati al terreno sicuro della distribuzione della probabilità media. L'accusa di “allarmismo” è piuttosto efficace nel rendere gli scienziati timorosi nel trasmettere il rischio di coda e parlare della coda della distribuzione è una ricetta sicura per essere etichettati in tal modo.

Prevedibilmente, la dichiarazione della AAAS ha evocato proprio tali risposte. Per esempio, nel suo blog sul clima (link), Judith Curry dichiara che “ …questi particolari esperti sembrano più allarmati degli esperti autori del rapporto del IPCC (be', del WG1 comunque), citando molti eventi di probabilità molto bassa come qualcosa di cui essere allarmati... Quando gli scienziati diventano allarmisti, non credo che questo aiuti l'opinione pubblica”. E questo, di Roger Pielke (Senior): “Questo rapporto della AAAS è imbarazzante per la comunità scientifica”.

Judy Curry ha ragione nel dire che il Gruppo di Lavoro 1 del IPCC (WG1) evita quasi del tutto il problema del rischio di coda (che è uno dei motivi per i quali l'AAAS si è sentita costretta a farlo) e il dottor Pielke e la Curry parlano per molti scienziati esprimendo la paura dell'imbarazzo nella discussione di eventi di bassa probabilità. Dopotutto, per loro stessa definizione, tali rischi è improbabile che siano un risultato. Se vogliamo essere ammirati dai nostri discendenti, la migliore strategia è quella di attenersi al picco della distribuzione della probabilità e, con la probabilità alta, possiamo quindi ridicolizzare qegli “allarmisti” che hanno avvertito riguardo ai rischi di coda, proprio come l'adulto che ha consigliato alla bambina di attraversare la strada, con tutta probabilità sarà in grado dopo il fatto di castigare quello che ha consigliato in modo contrario. 

Eppure, il detto che dice di dire “la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità” non si applica agli scienziati del clima? Se omettiamo la discussione sul rischio di coda, stiamo davvero dicendo tutta la verità?

Finora è stato difficile quantificare il rischio di coda oltre quello implicato da figure come quella sopra, che è il risultato di un modello integrato di valutazione fatto funzionare molte volte con molte combinazioni di parametri variati attraverso gamme plausibili. Abbiamo anche provato ad usare dati paleoclimatici e la risposta osservata del clima a grandi eruzioni vulcaniche per ridurre la distribuzione della probabilità. Un jolly nella valutazione del rischio climatico è il problema del cambiamento climatico improvviso ed irreversibile, le cui prove nelle carote di ghiaccio e nei sedimenti delle profondità marine suggeriscono che siano caratteristiche delle variazioni climatiche passate. Dobbiamo anche essere consapevoli che il grafico sopra e molti studi di valutazione del rischio usano il canonico raddoppio del CO2 come riferimento, mentre siamo attualmente avviati a triplicare il contenuto di CO2 per la fine di questo secolo. (Come misura approssimativa del cambiamento globale della temperatura in caso di triplicazione del CO2, moltiplicate i valori sull'asse orizzontale della figura per 1,5). A meno che non troviamo un modo per estrarre carbonio dall'atmosfera, i rischi climatici diventerebbero alti in modo allarmante (e non solo nelle code) nel 22° secolo, anche se fermassimo le emissioni per la fine di questo secolo. 

Non abbiamo un obbligo professionale di parlare di tutta la distribuzione della probabilità, date le dure conseguenze alle code della distribuzione? Io credo di sì, nonostante il fatto che ci esponiamo all'accusa di allarmismo e al conseguente rischio di ridurre la nostra credibilità. Si potrebbe sostenere che dovremmo stare zitti sul rischio di coda e conservare la nostra credibilità come garanzia contro la possibilità che un giorno la capacità di parlare con credibilità sarà assolutamente cruciale per evitare il disastro. Cosa ne pensate voi lettori?

- Altro su: http://climatechangenationalforum.org/tail-risk-vs-alarmism/#sthash.nHRRYjwB.dpuf