Di Nafeez Ahmed
I grandi settori industriali sono a rischio senza una transizione rapida ad un'economia post petrolio più resiliente
I prezzi della benzina sono continuati a salire mentre i prezzi del petrolio raggiungono nuovi picchi. Foto: Lewis Whyld/PA
Uno studio multi-disciplinare condotto dall'Università del Maryland chiede un'azione immediata dai settori di governo, privati e commerciali per ridurre la vulnerabilità all'imminente minaccia del picco del petrolio globale, che potrebbe mettere l'intera economia statunitense ed altre grandi economie industriali a rischio. Lo studio peer- review contraddice le recenti dichiarazioni dell'industria petrolifera secondo le quali i picco del petrolio è stato compensato a tempo indeterminato dal gas di scisto ed altre risorse di petrolio e gas non convenzionale. Un rapporto del World Energy Council (WEC) dello scorso mese, per esempio, dichiarava che era improbabile il picco del petrolio si realizzasse entro i prossimi 40 anni almeno. Questo è dovuto alle riserve globali che sono del 25% più alte che nel 1993. Secondo il rapporto del WEC, l'80% dell'energia globale è attualmente prodotta da petrolio, gas e carbone, una situazione che è probabile che continui nel prossimo futuro.
Il nuovo studio dell'Università del Maryland, al contrario, conduce una revisione della letteratura scientifica sulla produzione globale di petrolio e obbietta che la massa degli studi credibili e indipendenti indica indica che un “picco di produzione del petrolio convenzionale [è] probabile prima del 2030”, con un “rischio significativo” che possa avvenire “prima del 2020”. Il petrolio non convenzionale come le sabbie bituminose canadesi è “Improbabile che si espandano a sufficienza da compensare il divario” e questo vale anche per il “petrolio e il gas di scisto”.I pozzi di scisto, sostiene lo studio, “raggiungono il loro livello di produzione massimo (picco) molto prima di quelli convenzionali e sono pertanto difficili da gestire con profitto”.Anche se l'USGS (United States Geological Survey), la IEA (Energy Information Administration) e la IEA (International Energy Agency) stimano priezione secondo le quali il declino del petrolio convenzionale sarà più che compensato da giacimenti “ancora da sviluppare” o “ancora da scoprire”, altri studi scientifici trovano che queste “proiezioni sono eccessivamente ottimistiche”. Il nuovo studio è pubblicato nellla rivista Global Environmental Change (GEC) dall'eminente editore accademico Elsevier. GEC è la più influente rivista di studi geografici e ambientali del mondo. Facendo una mappatura dei settori chiave più vulnerabili all'impatto del picco del petrolio, il saggio conclude:
“Dato che ci sono prove sostanziali del fatto che il Picco del Petrolio sia imminente, la scarsità di ricerca che guardi ai potenziali impatti economici di questo fenomeno è sorprendente”.
Lo studio nota che “la scarsità di petrolio pone un rischio molto alto per le economie” e indicano le prove secondo le quali gli alti prezzi del petrolio sono stati una “causa parziale” della crisi finanziaria globale del 2008. Per concentrarsi sull'economia statunitense – la più grande consumatrice di petrolio e di prodotti a base di petrolio del mondo – lo studio ha scoperto che tutti i grandi settori industriali erano a rischio, compreso quello alimentare e dalla trasformazione del cibo, dell'agricoltura primaria, dei metalli e dalla loro lavorazione e dei trasporti:
"Siccome tali settori contribuiscono in modo sostanziale al PIL statunitense e siccome sono collegati molti altri settori, potrebbero mettere l'intera economia a rischio in caso di Picco del Petrolio o di altre interruzioni della fornitura. L'attuale sistema economico dipende fortemente da essi e la loro produzione potrebbe diventare significativamente più costosa a causa degli aumenti del prezzo del petrolio".
Il FMI (Fondo Monetario Internazionale) ha calcolato che perché l'economia globale cresca del 4% nei prossimi 4 anni, la produzione di petrolio deve aumentare del 3% all'anno. Questo sembra sempre più improbabile.
Lo scorso anno, in un saggio su Nature scritto insieme a Sir David King, l'ex capo consigliere scientifico del governo britannico ed attualmente delegato del governo per il cambiamento climatico, ha concluso che un “punto di non ritorno” nella fornitura globale di petrolio è stato raggiunto sin dal 2005, con la produzione globale convenzionale che ha toccato il tetto di circa 75 milioni di barili al giorno (Mb/g) nonostante l'aumento dei prezzi del 15% all'anno. Questo saggio ha anche notato che la produzione nei pozzi di gas di scisto può crollare dal 60 al 90% nel primo anno di operazioni. Ci sono due modi principali per adattarsi a questo rischio potenziale, secondo il nuovo studio. Uno è di diminuire la vulnerabilità dei settori critici:
“Fra gli esempi potrebbe esserci il contenimento della forte dipendenza dai fertilizzanti promuovendo le tecniche di agricoltura biologica o ridurre la distanza complessiva percorsa da persone a beni incoraggiando economie locali e decentralizzate”.
L'altra è identificare dei sostituti per i settori vulnerabili con produzioni da settori meno vulnerabili.
Il problema col secondo approccio è che “la nostra società sta raggiungendo i limiti del flusso di produzione globale possibile di molte risorse naturali”, compresi carbone, fosforo, uranio ed altri minerali. Tuttavia, i rischi mappati qui potrebbero aiutare a “progettare una tabella di marcia verso un'economia post petrolio”.
Il Dr Nafeez Ahmed è direttore esecutivo dell'Institute for Policy Research & Development e autore di Guida alla crisi della Civiltà: e come salvarla, fra gli altri libri. Seguitelo Twitter@nafeezahmed