Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR
Un post non recentissimo di Antonio Turiel, ma che rimane sempre molto valido, anche in luce del recente aggiornamento sulle risorse di uranio disponibili da parte dell'Energy Watch Group. I dati più recenti confermano la possibilità di un declino produttivo dell'uranio minerale nei prossimi anni.
di Antonio Turiel
Cari lettori,
in seguito ad un breve scambio dialettico in un forum riguardo ad una notizia pubblicata su elpais.com nel fine settimana, ho voluto rivedere qual è lo stato della produzione di uranio e di energia elettrica di origine nucleare, per chiudere alcuni fianchi di quella discussione (ampliando così un post precedente). Con questo cerco anche di fare un post tematico associato ai limiti dell'uranio, all'interno del mio piano di completare un post su ognuna delle quattro risorse energetiche non rinnovabili (petrolio, carbone, gas e uranio); il post del gas spero arriverà presto.
La prima cosa da chiarire è che qui non parlerò dei fast breeders (reattori capaci di consumare qualsiasi combustibile nucleare e rigenerarne di nuovo a partire da elementi come il torio), né di fonti alternative di uranio, come i fosfati o l'uranio marino. In quanto ai primi, come spiega Michael Dittmar nel suo rapporto del 2009, dopo 50 anni di sperimentazioni, ancora non siamo giunti al livello di fare un reattore commerciale praticabile. In quanto alle seconde, ancora non si è trovato un modo economico ed energeticamente praticabile di sfruttarle. Preferisco parlare di false soluzioni in un post a parte, per evitare di mescolare le realtà attuali dure e crude coi presunti miracoli tecnici coi quali non abbiamo ancora idea di come fare, ma che ci dovranno salvare in un futuro dalla data indefinita.
A qualche lettore potrebbe non piacere questa dissociazione, ma io la ritengo necessaria per due motivi: uno, per non rendere farraginosi i post con spiegazioni multiple, a volte chiaramente ortogonali; e due, perché data la situazione attuale, con una crisi economica strutturale in corso probabilmente per tutto il tempo di vita che rimane alla società industriale, è più che dubitabile che si investa ancora più denaro su queste false soluzioni. Detto questo, voglio registrare che questi due temi (fast breeders e fonti alternative di uranio) non sono gli ultimi arrivati, ma vecchie conoscenze nelle quali si sono già investite ingenti quantità di denaro e le loro prospettive non sono nemmeno lontanamente positive come vorrebbero vendere coloro che le propongono. Se i lettori lo chiedono, in futuro ne parleremo.
Analizziamo, quindi, qual è la situazione della produzione di uranio e di energia elettrica di origine nucleare. Come si può vedere nelle tabelle storiche di Michael Dittmar, l'estrazione (mineraria) di uranio è stata abbastanza stagnante dal 2005 con circa 45.000 tonnellate di uranio naturale, per poi riprendere l'anno scorso giungendo fino a 50.000 tonnellate (riferimento qui), grazie all'aumento considerevole della produzione del Kazakistan. Al contrario, la produzione di energia elettrica di origine nucleare, che sta diminuendo dal 2000, ha continuato in questa tendenza fino al 2009, secondo i dati dell'Associazione Nucleare Mondiale (World Nuclear Association). Non c'è da aspettarsi un cambiamento di tendenza prima del 2011 dati i tempi caratteristici di costruzione e messa in opera di nuove centrali e la mancanza di progetti in atto da qualche anno a questa parte. Ultimamente, tuttavia, si osserva una tendenza crescente a cominciare nuovi progetti di centrali, soprattutto in Cina e, in misura minore, in Giappone (Turiel scrive, ovviamente, prima dei fatti di Fukushima, l'articolo è esattamente del 14 luglio 2010, ndt).
Quando tentiamo di collegare di uranio col suo consumo nelle centrali nucleari, i problemi cominciano ad affiorare e le prospettive di futuro diventano abbastanza inquietanti. La prima questione che richiama l'attenzione è che nel mondo si sono consumate, lo scorso anno, circa 66.000 tonnellate di uranio naturale, mentre l'estrazione né ha fornite solo 50.000 (il 76%). Le altre 16.000 tonnellate provengono, come abbiamo già detto, dalle riserve secondarie, cioè dall'uranio estratto precedentemente e che si trovava stoccato agli imbocchi delle miniere in magazzini speciali o sotto forma di armi atomiche, una volta arricchito. Michael Dittmar stimava, lo scorso anno, che le riserve civili di uranio erano inferiori alle 50.000 tonnellate, per cui al ritmo di consumo attuale delle riserve secondarie, si esaurirebbero in tre anni; alcuni indizi indicano al fatto che queste riserve siano già praticamente esaurite. Così le cose, restano solo 500.000 tonnellate di riserve secondarie militari, ripartite fra la vecchia Unione Sovietica (270.000 tonnellate) e gli Stati Uniti. Il numero di 500.000 tonnellate è una stima ancora più incerta di quella delle riserve civili (pensate né le une né le altre vengono dichiarate e che il Dr. Dittmar le calcola in funzione dei ritmi storici di estrazione dell'uranio e la sua differenza con il consumo registrato nelle centrali nucleari). Queste riserve permetteranno di sopperire una differenza fra produzione e consumo di uranio come quella attuale per 30 anni; tuttavia, non è sicuro che gli Stati Uniti e i paesi della vecchia Unione Sovietica mettano realmente tutto questo stock nel libero mercato. Ragionevolmente possiamo contare come massimo sulla metà, vale a dire la fornitura che manca per i prossimi 15 anni.
E' il caso di dire che dal 1994 la Russia sta esportando uranio proveniente dallo smantellamento dei propri missili negli Stati Uniti perché venga consumato nelle centrali nucleari americane, fino al punto che al momento il 50% dell'energia elettrica di origine nucleare statunitense proviene da questa fonte. L'attuale contratto di fornitura scade nel 2013 e i russi hanno già annunciato che non hanno intenzione di rinnovarlo. Intanto, sembra che gli americani stiano mettendo una certa quantità di uranio proveniente dallo smantellamento dei propri missili sul mercato (conviene ricordare che l'estrazione di uranio negli Stati Uniti è oggigiorno del tutto marginale, di circa 1.200 tonnellate, 18 volte in meno del proprio valore massimo di 20.000 tonnellate nel 1980).
E' importante notare qui che lo spettacolare aumento della produzione di uranio naturale del Kazakistan è abbastanza sorprendente, visto che se le sue miniere erano tanto produttive, sarebbero già state in produzione quando la repubblica faceva parte dell'URSS. Rientra fra le possibilità il fatto che il Kazakistan, un paese che non è proprio un modello di trasparenza, stia “producendo” uranio naturale che ha un'origine militare e questo comporterebbe che una parte della sua produzione andrebbe a discapito di certe armi nucleari smantellate e le sue riserve potrebbero esaurirsi prima del previsto.
Nel grafico qui sopra è mostrato sotto forma di curva solida colorata l'evoluzione passata e prevista dell'estrazione di uranio, estratta (pagina 5) dal rapporto “Uranium resources and nuclear energy” (rapporto UR&NE in quella seguente), dell'Energy Watch Group, un gruppo di scienziati tedeschi che cercano di trovare soluzioni alla crisi energetica. Il rapporto è del 2006, ma per il momento le sue previsioni si stanno dimostrando abbastanza affidabili. Nel grafico si identifica un picco primario che ha avuto luogo nella parte storica del grafico (prima del 2006), verso il 1980, con una produzione di circa 70.000 tonnellate di uranio naturale. Andando all'evoluzione prevista dell'estrazione di uranio , il grafico mostra che, secondo l'affidabilità che uno attribuisce alle differenti categorie di riserve di uranio (con colori diversi; commenteremo più tardi queste categorie) il picco di produzione si può indicare tanto nel 2015 che nel 2025 che nel 2040. Nello stesso grafico viene anche rappresentata l'evoluzione passate e prevista del consumo di uranio, sotto forma di linea nera marcata che a partire dal 2006 si scompone in tre linee, a seconda dei tre scenari di riferimento della IEA: mantenimento di una capacità costante (linea orizzontale di tre tratti lunghi); scenario di riferimento, con una crescita della domanda moderata (linea continua con pendenza moderata) e scenario di politiche aggressive per combattere il cambiamento climatico (linea punteggiata con pendenza ripida).
La prima cosa che richiama l'attenzione di questo grafico è che fino al 1990 la domanda è molto al di sopra dell'estrazione. Questo fatto non è particolarmente sorprendente, visto che dall'introduzione del programma “Megatons to megawatts” si sta dirottando uranio militare russo per essere usato in centrali nucleari, diminuendo la possibilità di una proliferazione nucleare incontrollata a causa della caduta dell'URSS. Vediamo, ancora una volta, il forte impatto economico della decomposizione dell'URSS, visto che la sua disintegrazione ha fermato la folle corsa agli armamenti che aveva portato ad un'estrazione accelerata dell'uranio e, in ragione della necessità di controllare gli armamenti, ha affondato il prezzo dell'uranio e condannato alla chiusura molte miniere, persino quelle sostenibili economicamente, perdendo così infrastruttura estrattiva.
Negli ultimi anni si osserva una tendenza al recupero dell'estrazione di uranio, visto che la ricollocazione strategica della Russia ha diminuito il flusso del proprio uranio militare, come abbiamo già detto. Richiama l'attenzione, tuttavia, che nonostante l'aumento estrattivo previsto, il deficit di uranio estratto non potrà essere compensato fino a circa il 2020 nello scenario di stagnazione della domanda, fino al 2025 nel caso dello scenario di riferimento e mai nel caso delle politiche aggressive contro il cambiamento climatico. A seconda di quanto è aumentata la produzione di uranio e della quantità di uranio che gli Stati Uniti e l'ex URSS immettano nel mercato, si possono verificare problemi di scarsità di uranio in qualsiasi momento durante i prossimi 15 anni, prima del declino che, al più tardi, comincerà nel 2040, forzi questa scarsità. Il punto più preoccupante è che ci sono indizi fondati del fatto che alcune categorie di uranio raccolte nel grafico, che ora commenteremo, siano particolarmente o totalmente speculative.
Come dice il rapporto, l'abbondanza di uranio da un minerale sfruttabile deve avere una concentrazione minima perché ne compensi l'estrazione di fronte all'energia che costa estrarre l'uranio dalla roccia e l'energia che si consuma per gestire le scorie dopo averlo usato nelle centrali (calcolati, questi ultimi, secondo lo standard dell'industria di 60 anni, il che è uno scherzo se si tiene conto che sono pericolosi per centinaia di migliaia di anni, il che può portare a problemi aggravati già commentati qui). A seconda della durezza della roccia, la concentrazione minima energeticamente sostenibile si trova fra lo 0,01 e lo 0,02% di ossido di uranio in concentrazione (cioè, si devono triturare 10 tonnellate di roccia per recuperare da uno a due chili di ossido di uranio che in seguito dev'essere purificato ed arricchito). In realtà, la distribuzione dei giacimenti di uranio fa sì che la maggioranza delle riserve di uranio si trovino al margine delle concentrazioni più piccole (come mostra il grafico che segue, estratto dal UR&NE, pagina 10).
Le tre categorie di uranio di cui parlavamo prima e che conducevano a tre possibili picchi di estrazione di uranio rispondono a criteri probabilistici ed economici. Le prime due sono ciò che conosciamo come Risorse Ragionevolmente Sicure (Reasonably Assured Resources, RAR), che, come indica il nome, sono riserve delle quali si ha una certa sicurezza riguardo alla loro esistenza nel deposito geologico (normalmente perché l'estrazione delle stesse è già iniziata e si sa che c'è uranio e si ha una qualche idea di quanto ce ne sia). La differenza fra i due tipi di RAR è il costo o prezzo di estrazione: fino a 40$ per chilogrammo e fino a 130$ al chilogrammo (il secondo tipo comprende il primo, ovviamente). Il terzo tipo di riserva di uranio è quello che si conosce come Risorsa Dedotta (Inferred Resource, IR), la quale è di natura speculativa. Anche se la divisione in tipi è più dettagliata di questa versione semplificata, per gli effetti di questa esposizione, queste tre grandi categorie sono sufficienti. Essenzialmente, l'unica categoria che ha una certa affidabilità è il primo tipo di RAR, che corrisponde grosso modo al concetto di riserva provata nel caso del petrolio. Il secondo tipo di RAR include il primo e in più l'uranio il cui costo di estrazione supera i 40$. Anche se il criterio di separazione è economico e non energetico, è facile supporre che il maggior costo corrisponde alla minore concentrazione del minerale. Alla fine, una parte di questi minerali finiscono per essere non sfruttabili a causa dell'eccessivo costo energetico di estrazione. In quanto alle IR, diciamo semplicemente che ai problemi di scarsità di concentrazione si aggiunge la difficoltà di sapere se la risorsa ci sia realmente o no.
La storia dimostra che i dati sulle riserve di uranio (RAR dei due tipi e IR) di solito sono molto sovrastimate, come vedremo negli esempi che discuteremo in seguito.
Il primo grafico rappresenta la produzione accumulata di uranio in Francia durante gli anni (curva piena di colore marrone). Com'è logico, questa curva cresce sempre fino a giungere al suo massimo, dove si ferma (quando non si estrae già più uranio). Le barre colorate sovrapposte rappresentano le stime che si stavano facendo su quanto uranio ci fosse (contando quello già estratto). Teoricamente, l'atezza di queste barre dovrebbe essere costante ed uguale all'altezza massima a cui può giungere la barra marrone, ma come vediamo non è così, vediamo che al principio erano altissime. Proprio nel momento in cui la produzione è giunta al proprio zenit (massima derivata dalla curva di produzione accumulata, cioè, la pendenza massima della curava marrone che vediamo), fino al 1990, viene fatta una revisione al ribasso di quanto si potrà estrarre, spinti da ciò che nella realtà producevano le miniere. Sicuramente è stata sovrastimata la quantità estraibile sottostimando i costi di estrazione. Significativamente, poco prima del 2000 viene fatta una nuova stima e la barra rossa ora coincide con ciò che alla fine si è estratto in Francia (la Francia non produce più uranio).
Il secondo di questi grafici corrisponde alla produzione degli Stati Uniti ed il suo contenuto si interpreta allo stesso modo. Come la Francia, giungendo al proprio zenit di produzione (verso il 1980), le riserve vengono revisionate drasticamente al ribasso. Un'altra caratteristica preoccupante di queste curve è che dopo lo zenit la produzione cade rapidamente, il che si manifesta per il poco che sale la curva marrone dopo l'arrivo della pendenza massima (chi si perde in queste nozioni di calcolo differenziale può trovare le curve di produzione nel rapporto UR≠ non le metto qui per non sovraccaricare il post).
La conclusione è, pertanto, che le riserve sono probabilmente più sopravvalutate che sottovalutate e che la curva di produzione può sensibilmente decadere più rapidamente di quanto ci si aspetti. Tutto ciò rende più verosimile lo scenario di un picco dell'uranio nel 2015 che nel 2040. Solo il tempo dirà quale sia la situazione reale. Ciò che pare chiaro è che un dispiego di energia nucleare su grande scala non è praticabile, visto che anche nello scenario migliore (picco nel 2040), la mancanza di riserve secondarie rende impraticabile una grande crescita del parco di centrali nucleari. Il massimo a cui possiamo aspirare è più o meno mantenere quello che c'è e sperare che il picco dell'uranio si nel 2040 e non nel 2015.
Per concludere questo lungo post, voglio aggiungere un paio di commenti.
Nella discussione sul elpais.com, qualcuno ha citato le enormi risarve che ha la Spagna che si presume non vengano sfruttate per la cattiva coscienza politica. Nel rapporto UR&NE si danno le riserve attuali della Spagna (pagina 28): 7.400 tonnellate di RAR al di sopra dei 40$(Kg e 6.400 tonnellate delle peggiori IR. La Spagna ha prodotto 6.100 tonnellate nella sua storia ed ora non produce uranio. Probabilmente le sue riserve sono solo marginalmente sfruttabili.
Un tema ricorrente, che è uscito anche nella discussione, è stata la questione del fatto che l'uranio si ripercuote molto poco sul prezzo finale dell'energia elettrica che con esso viene generata e anche se il prezzo dell'uranio salisse molto di più, sarebbe ancora redditizio. Questo argomento sembra presumere che estrarre più uranio sia una questione di denaro. Non lo è. Alla fine il grande limite è il rendimento termodinamico o EROEI. Di fatto, il rendimento economico finisce per essere sottoposto a quello energetico e non il contrario, come abbiamo già detto diverse volte. Dall'altro lato, la presunta redditività di un uranio molto più caro sembra discutibile: nel 2007 l'uranio ha raggiunto il proprio picco dei prezzi, sulla falsariga di quello che ha fatto il petrolio nel 2008. Naturalmente il picco è stato spiegato in termini di fattori congiunturali, ma non è meno significativa la sua prossimità temporale col picco dei prezzi del petrolio e il fatto che la produzione di energia elettrica di origine nucleare continui a diminuire (non bisogna dimenticare che per estrarre uranio, soprattutto in luoghi remoti, si consumano ingenti quantità di petrolio).
E, bene, nella discussione emergono sempre i sostenitori dei fast breeders e della fusione nucleare, che risolveranno tutto. Prima che ciò avvenga, è il caso di ripetere che è da anni che si sperimenta con i fast breeders senza ottenere il prototipo commercialmente praticabile. E, rispetto alla fusione, sapete già che mancano sempre 50 anni perché giunga il primo reattore a fusione commerciale.
Saluti.
AMT
P. S. Quello con la maglietta rossa sono io. L'ho comprata da tempo, non ha nulla a che vedere con la nazionale di calcio.