Una vista della sala dei congressi della Banca Nazionale Rumena, dove il Club di Roma sta tenendo l'incontro intitolato “Il Potere della Mente”. Sullo schermo, un ritratto di Aurelio Peccei, co-fondatore del Club (foto di Ugo Bardi).
Di Ugo Bardi
L'incontro di Bucharest del Club di Roma è in pieno svolgimento mentre sto scrivendo questo post. Sì, il Club di Roma, quello che ha sponsorizzato il primo studio de “I Limiti dello Sviluppo”, nel 1972. Lo studio è stato spesso vituperato e sempre ignorato dai decisori politici ma, 40 anni dopo, sta tornando all'attenzione. I suoi scenari e le sue e previsioni cominciano ad avverarsi, dandoci una nuova visione di quello che sarà il nostro futuro.
Oltre alla nuova consapevolezza dello studio dei LDS, è l'urgenza del problema climatico che permea l'incontro di Bucharest. Una volta considerato come problema minore, meno importante dell'esaurimento delle risorse, con i dati recenti sullo scioglimento del Polo Nord tutto è cambiato riguardo al Clima. Quello che pensavamo sarebbe accaduto alla fine del secolo sta accadendo ora. Stiamo vedendo l'elefante del clima che cammina nella stanza, proprio di fronte a noi.
L'accelerazione del problema climatico richiede misure d'emergenza. Dobbiamo agire adesso, altrimenti sarà troppo tardi. La situazione è spiegata in modo chiaro da Ian Dunlop nel discorso che ha fatto durante il primo giorno dell'incontro.
Da www.clubofrome.org
Cambiamento Climatico – Serve una Gestione di Emergenza, ora
Le prove più recenti sul cambiamento climatico richiedono una radicale rivalutazione del nostro approccio.
L'Artico si è riscaldato 2 o 3 volte più rapidamente del resto del mondo. Nelle ultime settimane lo scioglimento dei ghiacci dell'Artico ha drammaticamente accelerato, riducendo l'area ed il volume a livelli mai visti prima. Circo l'80% del ghiaccio marino estivo è stato perso dal 1979 ad oggi. Con le attuali tendenze, l'Artico sarà libero dai ghiacci nell'estate del 2015 e libero dai ghiacci tutto l'anno dal 2030, eventi che non era previsto accadessero entro i prossimi cento anni. Ancora più preoccupante, la calotta di ghiaccio della Groenlandia ha visto uno scioglimento ed uno spezzettamento senza precedenti, aggiungendosi ad una tendenza che aumenterà in modo sostanziale la salita del livello del mare.
Oltre l'Artico, il mondo si trova nel quinto anni di grave crisi alimentare, in gran parte determinata dal cambiamento climatico, che diventerà molto peggiore nel momento in cui l'impatto della recente ed estrema siccità sul paniere degli Stati Uniti, farà il suo corso nella catena alimentare globale, portando ad aumenti di prezzi sostanziali. La siccità nel Mediterraneo ha contribuito a questa crisi alimentare ad ha giocato un grande ruolo nell'innescare la Primavera Araba ed i conflitti in Siria. A livello globale, l'intensificazione del tempo meteorologico estremo continua.
La scienza sta collegando in modo chiaro questi eventi al cambiamento climatico, con le emissioni di carbonio di origine umana come causa principale.
Hanno importanza queste cose? Sì. E' il più grande problema che il mondo stia affrontando ora, perché le prove indicano che il cambiamento climatico è passato ad una fase nuova e altamente pericolosa. Le calotte di ghiaccio polari sono uno dei regolatori vitali del clima globale. Se il ghiaccio scompare, l'assorbimento di molta più radiazione solare accelera il riscaldamento dell'oceano, con rischi maggiori di rilascio su larga scale di anidride carbonica e metano dallo scioglimento del Permafrost. Questo a sua volta potrebbe innescare un riscaldamento irreversibile autoalimentato. Energia, cibo e sicurezza dell'acqua sono a loro volta sul filo del rasoio sia nei paesi in via di sviluppo sia in quelli sviluppati.
Questi cambiamenti stanno avvenendo con un aumento di 0,8°C di aumento di temperatura, in relazione alle condizioni preindustriali, già avvenuto, figuriamoci con gli ulteriori 1,2°C che probabilmente risulteranno dalle nostre emissioni storiche. Lobbiettivo “ufficiale” di limitare cioè l'aumento di temperatura a non più di 2°C, è troppo alto. Le attuali politiche, proposte dai governi in tutto il mondo, sono molto peggiori e porterebbero ad un aumento di temperatura di 4°C o più. Le panacee ufficiali, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, non funzionano.
I leader politici e delle aziende parlano disinvoltamente di adattarsi ad un mondo con 4°C in più senza avere la minima idea di cosa significhi – che è un mondo con 1 miliardo di persone piuttosto che gli attuali 7 miliardi. Non è molto divertente per i 6 miliardi che se ne vanno.
Parafrasando Churchill: “L'epoca della procrastinazione, delle mezze misure, del mitigare, degli espedienti inutili e del differire sta giungendo alla fine. Ora stiamo entrando nell'epoca dove ogni azione causa conseguenze". Sappiamo come mettere costituire vere economie a basso tenore di carbonio e che allontanerebbero gli impatti peggiori del cambiamento climatico, ma abbiamo cominciato troppo tardi per un'implementazione graduale. Esse devono essere avviate con grande velocità, in emergenza, analogamente alla mobilitazione delle economie sul piede di guerra durante il periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale.
Tuttavia, non sentiamo niente del genere da parte delle istituzioni politiche, economiche e dalle ONG che dovrebbero guidare la nostra risposta. Perché?
Gli incentivi finanziari sono i principali responsabili, in particolare la cultura dei bonus che si è diffusa nel mondo anglosassone sin dai primi anni 90. Di recente alcuni hanno riconosciuto che questo potrebbe essere un problema. Il presidente di Rio Tinto ha riconosciuto che “la spirale della remunerazione dei dirigenti degli ultimi due decenni non può semplicemente continuare”, e gli amministratori delegati stanno graziosamente decidendo di rinunciare ai loro bonus annuali alla luce delle cattive performance delle aziende. Molto meritevole, ma il danno causato da questa cultura è molto più insidioso di un dibattito sulla quantità. Minaccia i fondamenti stessi della società democratica.
La mentalità dei bonus porta inevitabilmente a pensare a breve termine – pochi direttori o amministratori delegati sono preparati per fare seriamente attenzione a problemi di lungo termine come il cambiamento climatico quando le loro ricompense sono quasi interamente basate sui risultati di breve termine. Come ha spiegato Upton Sinclair: “E' difficile far capire a un uomo qualcosa se il suo stipendio dipende dal non capirla”. Questo è un errore fondamentali di governo – i direttori hanno la responsabilità fiduciaria di valutare oggettivamente i rischi critici ai quali le loro aziende sono esposte e di intraprendere azioni per assicurare che questi rischi vengano adeguatamente gestiti. Ma se riconoscono il cambiamento climatico come serio rischio, sono costretti ad agire, il che richiede un radicale reindirizzamento dell'azienda lontano dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili, con forti interessi acquisiti che vengono persi nel processo. Meglio, quini, attenersi alla negazione assoluta, indipendentemente dalle conseguenze.
Questo è quello che passa ai politici, le ONG e le burocrazie, che sono soggette ad un'immensa pressione da parte del settore delle multinazionali di non agitare la barca del “business-as-usual”. Il risultato di questo sono espedienti politici e politiche climatiche contraddittorie.
Per quanto eticamente e moralmente indifendibile possa essere, questo è ciò che il mercato deregolamentato ha deliberato e perché questo è così pericoloso per la democrazia.
Politiche avverse e miopia delle multinazionali sono incapaci di affrontare problemi che minacciano la vita come il cambiamento climatico. E' tempo che le comunità di aggirare queste barriere e richiedere una guida pronta ad intraprendere azioni urgenti, prima che il calice avvelenato che stiamo passando ai nostri nipoti diventi anche più tossico.
Ian Dunlop è un commentatore indipendente, membro del Centro per le Politiche di Sviluppo, Direttore di Australia 21 e Membro del Club di Roma. Ha presieduto l'Associazione Australiana per il Carbone del 1987 al 1988, l' Australian Greenhouse Office Experts Group on Emissions Trading dal 1998 al 2000 ed è stato amministratore delegato dell'Australian Institute of Company Directors dal 1997 al 2001.