mercoledì 27 giugno 2012

Riprendiamoci la nostra terra

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Lorenza Zambon, attrice e giardiniera, ci racconta la storia di una coppia che ha deciso di demolire alcune loro proprietà e riportare l'area a suolo fertile. Pochi metri quadri guadagnati, circa un trilione ancora da recuperare.



Non è facile determinare l'area del mondo ricoperta da costruzioni umane, cioè da strade, case, parcheggi, edifici, centri commerciali e tutto il resto. Ma è stato fatto molto lavoro in tempi recenti e le stime cominciano a convergere su valori ragionevoli. I risultati per quanto riguarda la percentuale di area coperta con strutture permanenti variano da circa lo 0.5% (Schneider et al., 2009) a circa il 3% (Global Rural-Urban Mapping Project, 2004). Tradotto in aree, questi valori corrispondono ad un minimo di 700.000 chilometri quadrati e ad un massimo di circa tre milioni di chilometri quadrati. Per visualizzare queste aree, pensate che la prima corrisponde approssimativamente alla Francia (550.000 chilometri quadrati) e la seconda all'India (3,2 chilometri quadrati).

A parte quale dei due risultati dovremmo considerare come più affidabile, i dati mostrano chiaramente che gli edifici si trovano prevalentemente in aree fertili e pianeggianti. Lì, la percentuale coperta da strutture è molto più alta della media mondiale. Per esempio, i recenti dati per l'Europa indicano che, nel Gennaio 2012, gli Stati europei più urbanizzati sarebbero l'Olanda e il Belgio con, rispettivamente, il 13,2% ed il 9,8% della superficie. Come vedete sotto (da Schneider et al.), l'urbanizzazione in Europa è, in effetti, concentrata sulle pianure fertili. Apparentemente, ci siamo impegnati nell'impresa di distruggere la terra che supporta la nostra stessa esistenza fisica.



Non abbiamo dati che ci raccontino quanto velocemente questo pavimentare la terra sia avvenuto fino ad ora ma, se è proporzionale alla produzione di cemento, la crescita è stata spettacolare (dati del USGS).


E' impressionante il fatto che la curva non mostri segno di cedimento. Forse ci sarà un picco negli anni a venire, ma il cemento è una forma di “inquinamento persistente”. Ridurne la produzione – o persino fermarla completamente – non trasformerà la terra pavimentata in terra fertile. Ma noi non possiamo mangiare cemento. Potremo mai riavere la nostra terra?

Ripristinare la fertilità della terra coperta col cemento è un compito enorme, ma non impossibile. Per questo,  Lorenza Zambon, attrice e giardiniera, ci racconta la storia di una coppia di Torino che ha deciso di dare ai propri figli un fazzoletto di terreno fertile come regalo. Lo hanno ottenuto demolendo alcuni garage in cemento che avevano ereditato.  

E' stato un bel po' di lavoro; hanno dovuto tagliare il cemento e farlo a pezzi e portare via i calcinacci. Poi, per ristabilire la fertilità del suolo ci sono voluti camion e camion di terra, humus ed altro. La Zambon non ci dice quanto sia durata quest'impresa né quanto sia costata, ma è stata sicuramente lenta, difficile e costosa. E' stata anche un'idea sovversiva: nella visione generalmente accettata, pavimentare il terreno significa “svilupparlo” e significa fare soldi. Quindi, distruggere la proprietà per ristabilire il suolo fertile è qualcosa che nessuno sano di mente normalmente fa. 

Ma qualcuno lo ha fatto. Il risultato finale è stato un fazzoletto di suolo fertile dove crescono erba e fiori. Solo poche decine di metri quadri, non molto in confronto ai trilioni che rimangono da recuperare. Ma è un primo passo!

Questo post è stato ispirato da un discorso fatto da Lorenza Zambon a Firenze il 24 Marzo 2012. Se volete ascoltare Lorenza parlare su questo tema, potete trovare una delle sue presentazioni qui





10 commenti:

  1. ...Già..E se questo primo, timido arretramento del mercato immobiliare italico ,complice anche l' IMU, fosse in realtà una vera inversione di rotta del rapporto fra redditi ed immobili?... (Fra l'altro leggevo recentemente che la manutenzione delle strade è ai minimi storici, e la carenza di manutenzione potrebbe contribuire al deprezzamento dei molti immobili non strettammente urbani ,un pò come la rust per Simmons al trasporto e quindi all'economia basata sugli idrocarburi ).Personalmente, avessi sufficienti sostanze a disposizione, mi piacerebbe, anche in un futuro non vicino, conprare e soprattutto implementare un castagneto...Mi sembra più vicino alla mia idea di natura produttiva che non deve sostentare troppe braccia...

    RispondiElimina
  2. ripristinare un terreno non e' cosa semplice . nell'articolo si dice che e' stata riportata terra con i camion . dove l'hanno presa? per ripristinare un terreno ne hanno distrutto un altro?
    per ripristinare un terreno costruito bisogna abbattere tutto , applicare un lieve strato di terra e seminare piante pioniere che col tempo (anni) ripristinano un suolo duraturo. la natura ha tempi lunghissimi , ma per fortuna alla lunga vince sempre.

    RispondiElimina
  3. La curva mostrata potrebbe improvvisamente trasformarsi in quella del dirupo di Seneca.Improvvisamente vuol dire anni, non decenni.
    Non dimentichiamoci che per ogni metro cubo di cemento gettato e consolidato si nasconde una bella secchiata di petrolio equivalente.
    Chiedo a Ugo se esiste una misura meno approssimativa della proporzione petrolio-cemento.
    Credo proprio che lasceremo un bel po'di reperti ai futuri archeologi.
    Bisognerebbe però avvertirli che alcuni ruderi sono molto più infidi delle tombe egizie, con tutte le loro maledizioni.
    Chernobil e Bhopal sono pronti per loro e nel nostro piccolo anche Taranto.

    Marco Sclarandis

    RispondiElimina
  4. Col picco petrolifero e la conseguente crisi dei trasporti, ripristinare un terreno fertile da uno cementato sarà un'impresa difficile, molto difficile, direi meglio impossibile. A meno di non prendere il terreno dai vicini, con le buone o con le cattive.
    Purtroppo il paradigma è ancora quello di "piani casa" per aumentare la "crescita", aumento di cubature, silenzio assenzo dei comuni alle richieste di concessioni edilizie, e via dicendo!

    RispondiElimina
  5. Rinaturalizzare è costoso e impattante perchè il tempo di recupero dei costi energetici inglobati nella precedente costruzione (di costruzione e gestione) è già di per sé lungo (da 80 anni e oltre), figurarsi se a questi si aggiungono quelli della demolizione e conferimento rifiuti, trasporto di terreno fertile, fertilizzanti, insediamento di piante e finalmente uso del terreno stesso come fonte di sostentamento (magari fatto tutto con il fossile e derivati).
    L'idea è teoricamente BELLA, porta un insegnamento valido, da riproporre, ma praticamente è sfortunata e poco convincente. A meno che non si tratti di una forma di compensazione a fronte di altri impatti, da valutare attentamente nel bilancio ambientale. Quello che vedo io è l'avanzare del bosco a causa del fatto che l'antropo non ha più risorse sufficienti per fare manutenzioni (di edifici, altre infrastrutture e di aree dismesse). Le cose abbandonate saranno coperte dal verde colono. Ma senza essere necessariamente aree per il nostro sostentamento.

    RispondiElimina
  6. mio padre 20 anni fa ricopri con terreno di scavo un orto dalla terra così finissima che si zappava con le mani e produceva ogni ben di Dio senza concimi, fertilissimo come lo sono gli orti curati da generazioni di contadini con lo stallatico delle loro bestie. Il risultato è stato che poco dopo mio padre ci ha lasciato e per far uscire qualcosa da quella terra argillosa e impermeabile devo sudare le sette camicie e far uso di abbondante concime organico, con discreta spesa. Non penso che far ritornare fertile un terreno degradato sia così facile. Anche in questo caso si può ringraziare l'enorme potenza del petrolio che ha permesso di asportare terreno di scavo da costruzioni edili e portarlo in un orto che è stato curato per centinaia di anni in modo naturale con la forza delle sole braccia, cosa che non era possibile quando non c'erano a disposizioni scavatrici e camion per trasporto terra. Come dice un vecchio detto: da loro il potere e si rovineranno con le loro stesse mani.

    RispondiElimina
  7. Avendo energia e pazienza a disposizione, direi che si potrebe rifertilizzare un terreno non fertile ( come quello argilloso da scavo) in modo che possa essere un supporto stabile (quindi senza bisogno di concimazioni chimiche, ma restituendolgi quanto preso con la coltivazione, sotto forma di letame) in 50-100 anni.

    Non prima, purtroppo.

    RispondiElimina
  8. come scrive Tauro, il paradigma non cambia. Nella Lombardia delle ecCIELLEnze, si parla poco purtroppo dei deliranti progetti per centinaia di km di nuove autostrade.
    Pedemontana, purtroppo in costruzione, sta distruggendo gli ultimi lembi di verde nell'iper cementato nord della regione.
    Le nuove devastazioni verranno progettate con project financing, un modo elegante per dire che si finanzieranno cementificando (ops, volevo scrivere "valorizzando e riqualificando") tutto quello che c'è attorno, specie in prossimità degli svincoli.
    Il senso di rabbia e impotenza di fronte a questa follia distruttrice è forte. La maggioranza della gente (a parte i casi nimby) è favorevole a nuove strade e indifferente agli orrori cementizi.
    Non ci resta che sperare in un inasprimento della crisi, putroppo. Non è bello scriverlo ma solo la mancanza di soldi riesce a bloccare certi scempi.

    L.

    RispondiElimina
  9. e per le fondamenta come si fa? si lasciano li'?

    OT: di queste superfici cementate in che percentuale queste sono tetti o coperture? Di queste quante sono rivolte con la falda a sud o piani? c'e' qualche dato a riguardo?

    Davide

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Per le fondamenta, boh.... bisognerebbe sentire direttamente Lorenza Zambon. Di sicuro è possibile "rinaturalizzare" dei terreni cementati, ma è un lavoraccio

      A proposito delle percentuali di aree coperte, no, non ci sono questi dati. Si sa solo che sono aree interdette alla fotosintesi dall'interpretazione dei dati satellitari.

      Elimina