Guest post di Antonio Turiel pubblicato su The oil crash il 4 Ottobre 2011.
Traduzione dallo spagnolo a cura di Massimiliano Rupalti
Cari lettori,
Le ultime due settimane hanno visto un'inusuale attività nella blogosfera e nei domini dedicati al Picco del Petrolio su tutta la rete. La ragione è la recente pubblicazione di un articolo di Daniel Yergin sul Wall Street Journal contro le tesi principali del picco del petrolio: "There Will Be Oil" (Ci sarà petrolio); così, a mo' di comandamento della Legge di Dio. Alcuni quotidiani economici spagnoli hanno fatto eco all'articolo. Persino un'autorità riconosciuta (il presidente del IHS CERA, sì, quel IHS CERA che linko nella colonna di destra sotto la voce “La visione opposta”) ha messo in dubbio il crescente pessimismo sul futuro delle risorse petrolifere. Eccone qui un esempio tradotto dal titolo originale: "Habrá petróleo". Così di forza e di grazia; gli manca solo che si aggiunga: “se non è per le ragioni è per i coglioni”, scusate il francese.
A seguito dell'articolo sono spuntate come funghi decine, se non centinaia, di repliche. Ce ne sono di specialisti come quella del geologo Jean Laherrère (che si prende la briga di smontare una ad una tutte le affermazioni della supposta abbondanza petrolifera), quella del fisico Kjel Aleklett, presidente di Aspo International (che esamina gli errori di logica dell'articolo di Yergin) o quella dell'analista Gail Tverberg (che mette in evidenza alcune contraddizioni del discorso del patron di IHS CERA , come la sua evocazione dell'efficienza contro l'evidenza storica ). A seconda degli interessi e le competenze dei commentatori, la discussione viene centrata su come Yergin faccia un uso interessato della storia per qualificare i "peakoilers" come allarmisti, agli aspetti tecnici dell'interpretazione economica del fenomeno del Picco del Petrolio, l'influenza dei tempi di scoperta di nuovo petrolio o l'errore ricorrente di spiegare quanto grandi siano le riserve mentre ciò che è in discussione è la produzione. In pochi, rendendosi conto dell'assurdità di dare tanto risalto ad un mero articolo che, in realtà, non è altro che pubblicità al suo ultimo libro, fanno questa riflessione: Chi ha paura di Daniel Yergin? Per come la vedo, chi ha colto nel segno è Kurt Cobb, che col titolo del suo post dice tutto: "Ignorare Daniel Yergin". Peccato che scrivendolo fallisce automaticamente l'obbiettivo del titolo.
Vedere tutto questo polverone mi ha fatto ricordare l'incidente di qualche mese fa, nel Novembre scorso, quando alcuni hackers rubarono centinaia di migliaia di e-mail dai servers dell'Università della East Anglia e poi filtrarono a propria convenienza alcuni messaggi nei quali, prendendo fischi per fiaschi, si potrebbe arrivare ad intuire un malcostume scientifico e da questo si pretendeva far vedere come tutta la scienza del clima, sviluppata in tutti i centri di ricerca di tutto il mondo, in realtà era malfatta o, peggio ancora, rispondeva agli interessi particolari di un malvagio gruppo di scienziati con l'ansia di imporre un programma di repressione e disperazione. Sapete già del famoso Climategate, così come lo ha battezzato la stampa (cosa sarebbe stato dei redattori di giornali senza Nixon...). Il fatto è che centinaia di scienziati erano pronti a respingere le accuse, ragionando scientificamente sul perché i propri calcoli erano fatti bene. Però, data la complessità dei propri argomenti, anziché dissipare i dubbi li hanno aumentati nel pubblico dei non addetti ai lavori, che di base li vedeva sulla difensiva. Questa strategia è sostanzialmente sbagliata; come ha spiegato bene un commentatore, la reazione degli scienziati è stata l'equivalente di chi reagisce di fronte a qualcuno che ti dà del bastardo mostrandogli che non lo sei. E' evidente che faccia la figura del babbeo; peggio ancora, come risultato della tua attitudine pedante, l'opinione pubblica può aumentare le proprie simpatie per chi offende. E' che la battaglia non era scientifica, ma di pubbliche relazioni dirette a manipolare l'opinione pubblica, qualcosa che i fabbricanti di dubbi conoscono a menadito e dove gli specialisti perdono sempre. E questo è anche il caso dell'articolo (e del libro) di Yergin.
Vediamo il caso. Quali sono i fatti nuovi? Nessuno. Yergin sbobina i suoi soliti argomenti, gli stessi di sempre. Come sempre, fa un discorso molto ben serrato in cui ogni parola è misurata al millimetro, tentando di dire le cose senza mentire. Comincia parlando della produzione di petrolio, accettando malvolentieri che Hubbert ebbe la fortuna di azzeccare la data del Picco del Petrolio degli Stati Uniti che però comunque ha commesso, secondo l'opinione di Yergin, un grandissimo errore, visto che quest'anno la produzione di petrolio è del 350% maggiore a quella che nel 1972 veniva stimata per il periodo attuale. Come se la cosa importante fosse accertare esattamente ed in ogni momento la cifra di una produzione sempre minore; come se il modello elaborato da Hubbert fosse l'ultima parola nella descrizione della produzione e le conseguenze qualitative (declino irreversibile della produzione) fossero annullate dall'errore quantitativo (quanto si sta producendo esattamente) e, naturalmente, saltando come un torero il fatto che Hubbert parlava di petrolio greggio, mentre nell'attuale produzione degli Stati Uniti c'è una gran quantità di biocombustibili e paccottiglia varia.
Da questo arriva a dire che Hubbert ha sottostimato la quantità di petrolio che si potrebbe recuperare (è vero; ha sottostimato anche l'aumento del consumo e i due effetti praticamente si compensano), che la quantità di risorse recuperabile è una variabile economica, dipende dal prezzo (il che è vero, anche se il sig. Yergin trascura il fatto che l'economia non può permettersi qualsiasi prezzo e che il prezzo massimo è in realtà più basso di quello che la gente pensa, perché altrimenti l'economia si ammala), che il miglioramento dell'estrazione e la tecnologia ci possono permettere di raschiare ulteriormente i giacimenti (senza tenere conto questa tecnologia si usa già estensivamente e contribuisce solo marginalmente ad aumentare la produzione), ecc, ecc. In mezzo, fa un glossario della figura storica di Hubbert, associandolo al movimento di tendenza totalitaria conosciuto come Tecnocrazia, il che è un modo sottile per sconfessare Hubbert come se egli avesse un programma occulto per sostenere quello che sostiene; peggio ancora non parlando di altri che di Hubbert (poco gli importa dei vari Kenneh Deffeyes, Colin Campbell, Jean Laherrère, Kjell Aleklett e tutti coloro che sono seguiti) diffonde implicitamente l'accusa di avere un programma occulto a qualsiasi sostenitore del Picco del Petrolio, declassato quindi alla categoria di teoria, per non dire setta. Poco importa se dei più di 30 paesi produttori di petrolio che ci sono al mondo, solo due non hanno ancora raggiunto (che si sappia) il proprio Picco interno (Arabia Saudita e Kuwait): secondo Yergin, il Picco del petrolio è una teoria, se il prezzo è abbastanza alto estrarremo il petrolio da qualsiasi luogo, e il gioco è fatto.
Il titolo in sé è già un alibi. Ci sarà petrolio, dice. Sicuramente ci sarà: altra cosa sarà recuperarlo ed al ritmo che serve. Quando si notasse che la produzione diminuisce, si potrà sempre dire: “Chiaro, è perché non si é investito abbastanza” oppure: “E' che la società è diventata più efficiente e non ha più bisogno di tanto”, come se la crisi economica fosse un fatto scollegato. E il bello è che il titolo non è neppure originale (cosa che nessuno pare aver notato).
Come dicevo, non c'è niente di nuovo negli argomenti: notate questo articolo del 2005 del Washington Post. Le idee centrali sono le stesse: semplicemente c'è più elaborazione man mano che passa il tempo. Cos'è cambiato, allora, che giustifichi l'uscita di questo articolo? A mio modo di vedere, sostanzialmente l'acutizzarsi della crisi, che fa sì che si dia più risalto al Picco del Petrolio. La gente comincia a vedere che c'è qualcosa che non funziona, si sente presa in giro dal potere tradizionale e comincia a considerare il Picco del Petrolio come una possibilità concreta. Pertanto c'è la necessità di contrattaccare. Perché conviene non dimenticare chi è Daniel Yergin. Daniel Yergin è semplicemente un uomo delle pubbliche relazioni dell'industria petrolifera, un fabbricatore di dubbio con la missione di minare la credibilità di coloro che possono mettere a rischio gli affari dei loro padroni. Ricordatevi questo acronimo: FUD. Significa “Fear, Uncertanty, Doubt”, ossia “Paura, Incertezza, Dubbio”. Perché non siamo di fronte ad un dibattito scientifico, basato su un confronto aperto e onesto di fatti contrastanti in cui entrambe le parti cercano solo di capire meglio, senza imporre il proprio punto di vista. No. Il Sig. Yergin, e questo conviene metterlo in risalto, non è uno scienziato: la sua formazione è giuridica e giornalistica. Presiede l'IHS Cambrige Energy Research Associates (CERA), che è un think-tank finanziato dall'industria petrolifera, la cui funzione è quella di diffondere le tesi e le previsioni più confacenti ai loro capi. E niente altro.
Le informazioni del IHS CERA sono famose per la mancanza di rigore scientifico, la mancanza dei modelli di previsione usati, opacità rispetto alle fonti dei dati, ecc. Nonostante il fatto di non avere meriti accademici sufficienti per essere presi come riferimento, a causa dei loro legami con l'industria, IHS CERA e per estensione Daniel Yergin, se ne sono spesso usciti per diffondere le loro teorie in quotidiani generalisti di prestigio; e quando lo hai già fatto abbastanza non hai più bisogno di giustificarti poiché vieni chiamato perché sei una eminente personalità, semplicemente perché sei già conosciuto e il fatto di essere stato pubblicato da un eminente giornale, fa di te un'eminenza, a prescindere dai tuoi meriti accademici. E così a questo signore, che sa scrivere bene pianificando i suoi scritti come una delicata opera di ingegneria per non dire bugie inducendo però all'errore, si pone non come pari, ma sopra i veri esperti: geologi, fisici, economisti...Tutto molto tipico dei tempi corrotti in cui viviamo. E funziona bene: la settimana scorsa, in una discussione su facebook, un noto broker del settore energetico blandiva le tesi di Yergin, descritte come “quelle del maggior esperto a livello mondiale” ed un recente lettore di questo blog, vedendo gli argomenti, riconobbe letteralmente che aveva cominciato a credere che il Picco del Petrolio fosse una questione seria, ma dopo quegli argomenti non sapeva più cosa pensare. La D di FUD; seminare il dubbio. Inoltre, Hubbert abbracciò per un periodo una corrente filosofica che proponeva una tecnocrazia. La F di FUD: paura. Per di più le riserve crescono sempre, è questione di prezzo, e la tecnologia ci permetterà di colmare il divario prima che arrivino - quando necessario, entro un paio di secoli – le tecnologie che la rimpiazzeranno. La U di FUD: incertezza. Tutto ciò è combinato in modo letale per spingere all'inazione. “Tranquilli, piccoli, il problema è complesso, ma la gente che ne sa se ne sta occupando, tornate ai vostri lavori e soprattutto consumate, consumate, maledetti”.
Il Sig. Yergin è un creatore di FUD; questo è il suo incarico e la sua missione. L'industria petrolifera si è impaurita vedendo come dopo la crisi degli anni 70 i governi occidentali (soprattutto in Europa) puntarono sulla razionalizzazione e la maggior efficienza, e doveva contrattaccare. L'obbiettivo del IHS CERA è pertanto combattere i nemici dei propri padroni, i quali erano generalmente associati agli ambientalisti ed agli ecologisti, i quali vengono squalificati sin dagli anni 70 identificandoli come nemici del progresso ottenendo così che la società li ignori. Tuttavia, quello che non era previsto è che geologi della stessa industria, fisici, chimici, matematici ed anche alcuni economisti, cominciarono a mettere in dubbio, ognuno dal proprio ambito scientifico, la validità di questi approcci. Pertanto è diventato necessario creare un'entità diversa, di carattere pseudo scientifico, ma che ovviamente non può discutere alla pari, poiché non ha argomenti. Non importa: FUD. Non si tratta di vincere la battaglia, solo di non perderla, di provocare dubbio per generare inazione perché le cose restino come sono.
Cosa possiamo fare con Yergin (e con quelli che sono come lui su scala minore, ce ne sono alcuni simili)? Evidentemente non cadere nella trappola di andare a dibattiti con tempi definiti dove ciò che si ricerca è lo spettacolo e dove un ragionamento complesso non è compreso dal pubblico, e dove un semplice dato opprimente può essere controbilanciato da un altro di segno contrario, anche se falso. Se necessario, è possibile evidenziare che IHS CERA non è un riferimento affidabile in nulla, che le sue previsioni sono un disastro e non a 40 anni come quelle di Hubbert, ma di anno in anno. C'è la rete che ci fornisce un buon glossario degli scivoloni di Yergin (fino al 2008): "Il triste registro di Daniel Yergin e della Cambridge Energy Research Associates", dal quale ho estratto il molto significativo grafico seguente:
Io credo, tuttavia, che la cosa migliore sia non farci caso. Perché in realtà Daniel Yergin è un morto vivente. In questa epoca le industrie petrolifere stanno cominciando a riconoscere che c'è un problema col petrolio e che ci possa essere una crollo delle forniture; l'ultima, Shell, che per voce del suo Amministratore delegato ha riconosciuto che servirebbe mettere in produzione l'equivalente di 4 Arabie Saudite – circa 40 milioni di barili al giorno, poco meno della metà della produzione mondiale attuale – da qui al 2020 solamente per compensare il crollo di produzione dei giacimenti attualmente in produzione (il che, sicuramente, non potrà essere coperto completamente, vale a dire che la Shell sta riconoscendo implicitamente che ci sarà una caduta significativa della fornitura di petrolio nei prossimi anni). Pertanto non ha più senso avere delinquenti come Yergin a seminare dubbi e confusione, cercando di convincere l'opinione pubblica che avrà sempre il petrolio che desidera e che gli allarmisti rompono le scatole dal 1880 in Pennsylvania, ma si sbagliano sempre. Giustamente, ciò che interessa ora alle compagnie petrolifere è non essere percepite come ulteriori truffatrici, come si vedono oggigiorno nelle banche o nelle agenzie di rating; per questo stanno cominciando ad ammettere la verità, per far sì che un domani che mancasse il petrolio non le si possa accusare di accaparrarselo per aumentare i propri benefici. E anche se l'inerzia è grande ed i cambiamenti non avvengono dalla sera alla mattina, è evidente che ad un certo momento i patron dell'industria petrolifera capiranno che Yergin più che aiutarli li danneggia. Così, che senso ha combattere Yergin? E' in piedi ma è già morto. Personalmente non credo che tornerò a parlare di lui; i lettori hanno insistito molto sulla sua traduzione su Espansiòn, e per quello e per questa unica occasione, ho voluto chiarire la mia posizione. Complessivamente gli argomenti di Yergin non cambieranno, perché non ci sono fatti nuovi, solo la semina continua di dubbio e di zizzania. Una ulteriore distrazione che ci allontana dal cammino da percorrere verso la necessaria Transizione.