domenica 19 gennaio 2014

Cosa è successo sull'Isola di Pasqua – Un nuovo scenario (persino più spaventoso)

Da “Krulwich wonders”. Traduzione di MR

Di Robert Krulwich

Tutti quanti conosciamo la storia, o almeno penso che la conosciamo. Lasciate che ve la racconti alla vecchia maniera, poi in quella nuova. Vedete voi quale vi preoccupa di più.

Robert Krulwich/NPR

Prima versione: l'Isola di Pasqua è un piccolo lembo di terra di 63 miglia quadrate – a più di 1.000 miglia dal punto abitato più vicino nell'Oceano Pacifico. Ne 1200 DC (o giù di lì), un piccolo gruppo di Polinesiani – potrebbe essere stata una singola famiglia – si sono diretti lì, si sono insediati ed hanno cominciato a coltivare. Quando sono arrivati, il luogo era ricoperto da alberi – 16 milioni di alberi, alcuni che raggiungevano i 100 piedi di altezza. Questi coloni erano agricoltori che praticavano l'agricoltura “taglia e brucia”, quindi hanno bruciato i boschi, aperto spazi e cominciato a moltiplicarsi. Ben presto l'isola aveva troppe persone, troppo pochi alberi e quindi, in sole poche generazioni, nessun albero.

Robert Krulwich/NPR

Come racconta Jared Diamond nel suo best seller Collasso, l'Isola di Pasqua è “l'esempio più chiaro di una società che ha distrutto sé stessa sfruttando troppo le proprie risorse”. Una volta iniziato l'abbattimento di alberi, non si è fermato finché l'intera foresta non era scomparsa. Diamond chiama questo comportamento autodistruttivo “ecocidio” ed ha avvertito che il destino dell'Isola di Pasqua un giorno potrebbe essere il anche il nostro destino. Quando il capitano James Cook ha visitato il posto nel 1774, il suo equipaggio ha contato circa 700 isolani (rispetto ad una popolazione precedente di migliaia), che vivevano vite marginali, le loro canoe ridotte a frammenti rattoppati di legno galleggiante. E questa è diventata la lezione dell'Isola di Pasqua – di non osare di abusare delle piante e degli animali intorno a noi, perché se lo facciamo cadremo, tutti noi, insieme.

Robert Krulwich/NPR

E tuttavia, incomprensibilmente, quelle stesse persone sono riuscite a scolpire enormi statue – quasi un migliaio, con enormi occhi vuoti e facce scarne; qualcuna dal peso di 75 tonnellate. Le statue erano rivolte non verso l'esterno, non verso il mare, ma verso l'interno, verso l'ormai vuoto e denudato paesaggio. Quando il capitano Cook le vide, molti di questi “moai” erano stati rovesciati e giacevano a faccia in giù in segno di abietta sconfitta. Bene, questa è la storia che tutti conosciamo, la storia del collasso. Quella nuova è molto diversa.

Una storia di successo?

Proviene da due antropologi, Terry Hunt e Carl Lipo, dell'Università delle Hawaii. Essi dicono, “Piuttosto che un caso di fallimento abietto”, ciò che è accaduto alla gente dell'Isola di Pasqua “è un'improbabile storia di successo”.  Successo?Come può mai qualcuno chiamare ciò che è successo nell'Isola di Pasqua un “successo”? Be', ho dato un'occhiata al loro libro, Le statue che camminavano, e stranamente ciò che dicono ha senso, anche se dirò in anticipo che ciò che chiamano “successo” mi sembra altrettanto spaventoso – forse ancora più spaventoso.

Ecco la loro argomentazione: i professori Hunt e Lipo dicono che i cacciatori di fossili e i paleobotanici non hanno scoperto nessuna prova solida che i primi coloni Polinesiani diedero fuoco alla foresta per liberare la terra – ciò che viene chiamata “grande agricoltura preistorica”. Gli alberi sono morti, nessun dubbio. Ma al posto del fuoco, Hunt e Lipo danno la colpa ai topi.

Robert Krulwich/NPR

I topi polinesiani (Rattus exulans) erano nascosti nelle loro canoe, dicono Hunt e Lipo, e quando sono sbarcati, senza nessun nemico e con molte radici di palma da mangiare, si sono dati alla baldoria, mangiando e distruggendo albero dopo albero e moltiplicandosi ad un ritmo furioso. Come ha riportato un recensore sul Wall Street Journal:

Nelle impostazioni di laboratorio, il topo polinesiano può raddoppiare in 47 giorni. Mettetene una coppia fertile in un'isola senza predatori e cibo abbondante e l'aritmetica suggerisce il risultato... Se gli animali si fossero moltiplicati come hanno fatto alle Hawaii, calcolano gli autori, [l'Isola di Pasqua] ne avrebbe rapidamente ospitato fra i 2 e i 3 milioni. Fra i cibi preferiti del R. exulans ci sono i semi e i germogli degli alberi. Gli esseri umani hanno sicuramente abbattuto parte della foresta, ma il danno reale sarebbe venuto dai topi che impedivano la nuova crescita. 

Quando gli alberi se ne sono andati, la stessa cosa hanno fatto 20 altre specie di piante della foresta e 6 uccelli di terra e diversi uccelli di mare. Così c'è stata decisamente meno scelta di cibo, una dieta molto più ristretta, tuttavia la gente continuava a vivere sull'Isola di Pasqua e il cibo, sembra, non era il loro grande problema.

Carne di topo. Ne volete?

Per prima cosa, potevano mangiare topi. Come riporta J.B. MacKinnon nel suo nuovo libro Il mondo di una volta e quello futuro, gli archeologi hanno esaminato gli antichi cumuli di rifiuti sull'Isola di Pasqua cercando ossa di scarto ed hanno trovato “che il 60% delle ossa provenivano dai topi introdotti”. Quindi avevano trovato un sostituto di carne.

Robert Krulwich/NPR

Per di più, siccome l'isola non aveva molta acqua e il suo suolo non era ricco, gli isolani hanno preso delle pietre, le hanno spaccate e sparpagliate sui campi aperti creando una superficie irregolare. Quando soffiava il vento dal mare le pietre irregolari creavano flussi d'aria più irregolari che “rilasciavano i nutrienti minerali della pietra”, dice J.B. MacKinnon, il che ha dato ai suoli la quantità sufficiente di aumento dei nutrienti per sostenere i vegetali fondamentali. Un decimo dell'isola aveva questi “giardini” di pietre spaccate e producevano cibo sufficiente “a sostenere una densità di popolazione simile a posti come l'Oklahoma, il Colorado, la Svezia e la Nuova Zelanda di oggi”. Secondo MacKinnon, gli scienziati dicono che gli scheletri dell'Isola di Pasqua di quel tempo mostrano “meno malnutrizione degli Europei”. Quando un esploratore olandese, Jacob Roggevin, capitò da quelle parti, nel 1722, scrisse che gli isolani non chiedevano cibo. Volevano invece i cappelli europei. E, naturalmente, la gente che ha fame di solito non ha tempo ed energia per scolpire ed innalzare statue di 70 tonnellate intorno alla loro isola.

Una storia di “successo”? 

Perché questa è una storia di successo? Perché, dicono gli antropologi hawaiiani, i clan e le famiglie sull'Isola di Pasqua non sono crollate. E vero, l'isola è diventata desolata, più vuota. L'ecosistema era severamente compromesso. Tuttavia, dicono gli antropologi, gli abitanti dell'Isola di Pasqua non sono scomparsi. Si sono adattati. Non avevano legno per costruire canoe per andare a pescare al largo. Avevano meno uccelli da cacciare. Non avevano noci di cocco. Ma hanno continuato mangiando carne di topo e piccole porzioni di vegetali. Si accontentavano.

Robert Krulwich/NPR

Una domanda pignola: se tutti mangiavano abbastanza, perché la popolazione è declinata? Probabilmente, dicono i professori, a causa di malattie trasmesse sessualmente dopo l'arrivo degli europei. Bene, forse non c'è stato “ecocidio”. Ma è una buona notizia? Dovremmo celebrare? Me lo chiedo. Ciò che abbiamo qui sono due scenari che riguardano apparentemente il passato dell'Isola di Pasqua, ma che riguardano in realtà ciò che potrebbe essere il futuro del nostro pianeta. Il primo scenario – un collasso ecologico – nessuno lo vuole. Ma pensiamo un attimo a questa nuova alternativa – in cui gli esseri umani degradano il loro ambiente ma in qualche modo “se la cavano”. E' migliore?In qualche modo, penso che questa storia di “successo” sia altrettanto spaventosa. 

Il pericolo del “successo”

E se l'ecosistema del pianeta, come dice J.B. MacKinnon, “viene ridotto in rovina, anche se la sua gente resiste, adorando i propri dei e bramando oggetti di status mentre sopravvive mangiando un qualche equivalente futuristico della carne di topo e degli orti di pietre degli abitanti dell'Isola di Pasqua?”

Gli esseri umani sono una specie molto adattabile. Abbiamo visto la gente crescere abituata alle baraccopoli, adattarsi ai campi di concentramento, imparare a vivere con qualsiasi destino gli si ponga davanti. Se il nostro futuro è quello di degradare continuamente il pianeta, perdendo pianta dopo pianta, animale dopo animale, dimenticando ciò di cui una volte godevamo, adattandoci a circostanze inferiori, senza mai gridare “E' finita!” - accontentandosi sempre , questo non lo chiamerei “successo”. 

La lezione? Ricordate Tang, la bibita da colazione

Le persone non riescono a ricordare ciò che hanno visto i loro bisnonni, mangiato e amato del mondo. Sanno solo ciò che sanno. Per evitare una crisi ecologica, dobbiamo allarmarci. E allora che tutti noi agiamo. La nuova storia dell'Isola di pasqua suggerisce che gli esseri umani potrebbero non vedere mai l'allarme. E come la storia delle persone abituate a parlare della Tang, un succo d'arancia bibita completamente sintetico reso popolare dalla NASA. Se sapete che sapore ha il vero succo d'arancia, la Tang non è una gran conquista. Ma se siete stati in un viaggio di 50 anni, se avete perso la memoria del vero succo d'arancia allora, gradualmente, cominciate a pensare che la Tang sia deliziosa. Sull'Isola di Pasqua, la gente ha imparato a vivere con meno e dimenticato com'era avere di più. Forse è questo che ci accadrà. Eccola la lezione. E non è una lezione allegra. Come dice MacKinnon: “Se state aspettando che una crisi ecologica persuada gli esseri umani a cambiare le loro relazioni problematiche con la natura, potreste aspettate molto, molto a lungo”.