sabato 24 agosto 2013

Il grande “rutto” del metano Artico: una catastrofe da 60 trilioni di dollari

Un nuovo studio esamina gli impatti planetari, sociali ed economici della sempre più pericolosa fusione dell'Artico

Di Jon Queally

Da “Common Dreams”. Traduzione di MR


Il Permafrost sul lato nordorientale di Spitsbergen, alle Svalbard, un'isola nella regione artica fra la Norvegia e il Polo Nord. (Foto: Olafur Ingolfsson.)

Mettendo in guardia sul fatto che un drammatico “rutto” o “impulso” da sotto il fragile permafrost dell'Artico - causato dal continuo riscaldamento globale - potrebbe scatenare una “catastrofe climatica”, un nuovo studio dice che la continua fusione è anche una “bomba ad orologeria” economica che potrebbe costare all'economia globale 60 trilioni di dollari. Miliardi e miliardi di tonnellate di metano sono immagazzinate nel permafrost in tutte le regioni dell'Artico, ma è stato posto un interesse particolare sulle enormi riserve che stanno chiuse sotto la Piattaforma Artica della Siberia Orientale. Gli scienziati hanno ripetutamente avvertito che se questi depositi – molti congelati all'interno sotto forma di idrati di metano – venissero liberati, innescherebbero enormi retroazioni positive ed aumenterebbero drammaticamente il tasso di riscaldamento globale. Il nuovo studio conferma queste paure che si sono instaurate, ma valuta anche ai costi economici e sociali potenziali che ne seguirebbero. 

Anche se i netturbini delle multinazionali dei combustibili fossili e delle compagnie minerarie sbavano alla prospettiva di una fusione dell'Artico per poter sfruttare le riserve di risorse minerali ed energetiche precedentemente inaccessibili, i ricercatori climatici dicono che sia gli impatti planetari sia quelli economici dovrebbero essere presi in modo estremamente serio. Gli autori del rapporto dicono che i leader globali finanziari e politici continuano ad evitare gli avvertimenti degli scienziati quando si tratta dei pericoli posti della fusione dell'Artico. Come dice il rapporto di John Vidal del Guardian:

I Governi e l'industria si aspettavano che il riscaldamento diffuso della regione dell'Artico negli scorsi 20 anni perché fosse un vantaggio economico, in quanto avrebbe permesso lo sfruttamento di nuovi pozzi di gas e petrolio ed avrebbe consentito la navigazione per viaggiare più rapidamente fra Europa e Asia. Ma il rilascio di un singolo “impulso” gigante di metano dal permafrost dell'Artico che si scongela al di sotto del mare Siberiano Orientale “potrebbe portare un cartellino del prezzo complessivo di 60 trilioni di dollari”, secondo i ricercatori che hanno quantificato per la prima volta gli effetti sull'economia globale. Anche l'emissione più lenta di parti più piccole delle vaste quantità di metano rinchiuse nel permafrost artico e nelle acque al largo potrebbero innescare un cambiamento climatico catastrofico e “far impennare” le perdite economiche, dicono.

“L'impatto globale di un Artico che si scalda è una bomba economica a orologeria”, ha detto Gail Whiteman, un analista di politiche climatiche all'Università Erasmus di Rotterdam ed uno degli autori del rapporto. “L'imminente scomparsa del ghiaccio marino estivo nell'Artico avrà enormi implicazioni sia sull'accelerazione del cambiamento climatico sia sul rilascio di metano dalle acque al largo, che ora in estate sono in grado di riscaldarsi”, ha aggiunto Peter Wadhams dell'Università di Cambridge, un altro coautore. Come osserva Vidal:

Il ghiaccio marino dell'Artico, che si fonde in gran parte e si riforma ogni anno, sta declinando ad un tasso senza precedenti. Nel 2012, è crollato al di sotto dei 3,5 milioni di kmq a metà settembre, solo il 40% della sua estensione negli anni 70. Siccome il ghiaccio sta anche perdendo il suo spessore, alcuni scienziati prevedono che l'oceano Artico sia in gran parte libero dal ghiaccio estivo dal 2020. La paura crescente è che, mentre il ghiaccio si ritira, il riscaldamento del mare permetterà al permafrost in mare aperto di liberare quantità di metano sempre più grandi. Una riserva gigantesca di gas serra, sotto forma di idrati di gas sulla Piattaforma Artica della Siberia Orientale potrebbe essere rilasciata, o lentamente nel giro di 50 anni o in modo catastroficamente rapido in un quadro temporale più breve, dicono i ricercatori. 

“Un impulso massiccio di metano”, ha spiegato Wadhams, “avrà grandi implicazioni per le società e le economie globali. Gran parte di quei costi sarebbero sostenuti dai paesi in via di sviluppo sotto forma di eventi atmosferici estremi, inondazioni ed impatti sulla salute e sulla produzione agricola”. 


venerdì 23 agosto 2013

Cambiamento climatico: basta con il "politicamente corretto"

Intervista di Gabriel Levy a Kevin Anderson

Da “People and Nature”. Traduzione di MR

La realtà sul taglio delle emissioni di gas serra necessari per evitare un pericoloso riscaldamento globale viene oscurato negli scenari del governo del Regno Unito, ha detto il climatologo Kevin Anderson. Le misurazioni più importanti, del biossido di carbonio totale nell'atmosfera, vengono spinte sullo sfondo – e gli scienziati vengono spinti ad adattare i loro argomenti perché si adattino agli scenari “politicamente gradevoli” - ha detto Anderson ad una conferenza per la Campagna Contro il Cambiamento Climatico l'8 giugno a Londra.

Gli scenari del governo danno per scontato che i paesi ricchi come il Regno Unito ridurranno le emissioni entro qualche data lontana – ed effettivamente priva di significato – ha spiegato Anderson a più di 200 sindacalisti ed attivisti ambientali alla conferenza. Fra le sessioni della conferenza Anderson, vice direttore del Tyndall Centre, la principale organizzazione del Regno Unito per la ricerca sul cambiamento climatico, e professore di energia e cambiamento climatico all'Università di Manchester, ha rilasciato questa intervista a People -Nature.

Gabriel Levy (per conto di People-Nature): Potresti commentare la ricerca pubblicata di recente che mostra che la temperatura media globale è aumentata più lentamente negli anni 2000 che non negli anni 90? [1] La solita folla di negazionisti della scienza del clima sta usando questo come una nuova falsa ragione per negare il bisogno di fare qualcosa per il riscaldamento globale.

Kevin Anderson: Su un periodo di tempo relativamente breve – un decennio – le temperature non sono salite quanto avrebbero potuto secondo alcune stime. Il primo punto da tenere in mente è che il cambiamento climatico non riguarda un decennio. Riguarda periodi di tempo più lunghi. Non puoi dire un anno o due, o anche 10, siano il segnale che il cambiamento climatico non stia avvenendo. Devi guardare il quadro temporale più lungo e le tendenze di lungo termine non sono cambiate. E' interessante, comunque, che negli ultimi dieci anni, mentre le emissioni di biossido di carbonio (CO2) sono salite, non abbiamo visto l'accelerazione del tasso di aumento delle temperature come alcuni avevano anticipato. Potrebbero esserci diverse ragioni per questo. Una possibilità è che, mentre il mondo si riscalda gradualmente, una grande quantità di energia termica viene intrappolata negli oceani. C'è un ritardo termico nel sistema che forniscono gli oceani: questo potrebbe spiegare o meno il perché le temperature non sono salite così tanto come qualcuno pensava che avrebbero fatto.

Ma tenete a mente il contesto: la temperatura è salita e continua a salire. Se guardate i piani del Met Office, i 15 anni più caldi mai registrati si sono verificati dal 1990. Abbiamo avuto un'anomalia nel 1998 – ed avremo sempre occasioni nelle quali tali eventi atmosferici estremi avverranno, che possono o meno essere collegati al cambiamento climatico. (Aggiornamento del 4 luglio. Nuove informazioni dall'Organizzazione Mondiale Meteorologica sono riportate qui). Ciò che mi preoccupa è la direzione del dibattito pubblico. L'aumento più lento della temperatura media è il risultato del fatto che gli scienziati hanno leggermente modificato le loro stime della sensitività climatica – cioè, le loro stime di quale aumento di temperatura è più probabile se la quantità di CO2 in atmosfera viene raddoppiata. Il cambiamento non è stato in realtà così drammatico – e, naturalmente, se ci fossero ulteriori ragioni perché la gamma delle stime dovessero scendere ancora di più, questa sarebbe una notizia benvenuta.

Ma mentre c'è stata una gran discussione su questo, dov'è stata la discussione sulle emissioni totali dei gas serra, che sono il vero indicatore importante? Durante gli anni 2000, le emissioni sono state molto più alte di quanto chiunque abbia anticipato. Dalla recessione economica del 2008-2009 – un evento che potreste aver pensato che limitasse severamente la crescita delle emissioni – le emissioni globali hanno continuato ad aumentare ad un ritmo di una rapidità senza precedenti. Sono aumentate del 6% nel 2010 e del 3% nel 2011 e le informazioni preliminari indicano qualcosa di simile per il 2012. Così, mentre la sensitività climatica è diminuita un po', le emissioni stanno salendo a ritmi molto più veloci. Se pensate a questo dal punto di vista delle proiezioni della temperatura generale, del cambiamento climatico generale, l'aumento delle emissioni più alto di quanto anticipato sono più che sufficienti a controbilanciare la riduzione della sensitività climatica.

Illustrando adeguatamente questo fallimento nel considerare le emissioni, Ed Davey, il segretario all'energia del Regno Unito, ha recentemente accolto la dichiarazione della Cina secondo la quale le sue emissioni raggiungeranno il picco nel 2025 e che raggiungeranno una riduzione del 40% nell'intensità di carbonio dell'economia dal 2020. Eppure le politiche del Reno Unito stesso si basano sul fatto che la Cina raggiunga il proprio picco di emissioni nel 2017 o nel 2018, non nel 2025. Come ci comportiamo con quel divario? Ciò che facciamo ripetutamente è truccare i numeri per farli rientrare nelle norme accettabili – la nostra analisi non deve far emergere domande fondamentali e scomode. Il livello di riduzione delle emissioni necessario ad evitare un “pericoloso cambiamento climatico” è molto, molto più impegnativo di quanto chiunque – compresi molti climatologi – sia ancora pronto a tollerare. La storia delle emissioni è stata la Cenerentola del dibattito sul cambiamento climatico negli ultimi 20 anni... con un aumento in corso e senza precedenti delle emissioni che controbilancia completamente ogni piccolo cambiamento della sensitività climatica.                                                                                                                                                                        GL: Nel saggio Oltre il Cambiamento Climatico Pericoloso, tu e la tua coautrice Alice Bows sottolineate che le date del picco delle emissioni (cioè, le date fissate dai politici per la riduzione delle emissioni per raggiungere il loro livello di picco) e gli obbiettivi di riduzione a più lungo termine (cioè, gli obbiettivi fissati dai politici per la riduzione delle emissioni) oscurano la realtà e che il vero focus dovrebbe essere sul bilancio cumulativo delle emissioni (per esempio la quantità totale di CO2 nell'atmosfera). Puoi spiegare questo per i non scienziati?   

KA: La storia del cambiamento climatico è stata a lungo raccontata in termini di “dobbiamo fare grandi bilancio del carbonio. Sappiamo quanta CO2 possiamo mettere nell'atmosfera per una data temperatura – o giù di lì... c'è una certa incertezza scientifica, ma abbiamo una buona approssimazione di quale sia la forbice. Questo approccio del bilancio del carbonio è scientificamente legittimo, in netto contrasto con la riduzione delle emissioni per il 2050.
riduzioni delle emissioni da qualche punto indefinito nel futuro” - per esempio, un 80% di riduzione per il 2050. Il messaggio trasmesso è, fra molti anni da adesso dobbiamo aver ridotto le nostre emissioni di una certa quantità arbitraria. Ma se considerate la scienza del cambiamento climatico e come questa si colleghi all'aumento globale della temperatura, non è quello che accade nel 2050 che conta, ma la quantità totale di CO2 nell'atmosfera.  Questo è il

Una volta inquadrati i problemi del cambiamento climatico in termini di bilancio del carbonio, questo trasferisce il nostro focus lontano dal 2050 e verso ciò che dobbiamo fare nel 2015, 2020 e 2025. Per le nazioni più ricche, le riduzioni dopo il 2030 sono molto meno importanti nei termini dei nostri impegni sul cambiamento climatico. Quando presentiamo i nostri scenari di emissione alla comunità scientifica – con il loro focus più grande sul più breve termine – non riceviamo nessun reale disaccordo con le nostre principali conclusioni. La differenza fra la nostra analisi e quella di molti altri deriva dalla loro opportuna scelta delle ipotesi – ipotesi che li autorizzano a partorire risultati politicamente gradevoli.

GL: Per cortesia, spiegaci gli scenari per coloro ai quali non sono famigliari.

KA: Gli scenari illustrano i percorsi alternativi delle emissioni di gas serra nel futuro – con i nostri scenari collegati ad un particolare bilancio di carbonio e quindi ad un particolare cambiamento nell'evitare il livello dei +2°C, che è caratterizzato come misura del cambiamento climatico pericoloso. In altre parole, guardiamo come poter vincolare le emissioni a livelli per cui la temperatura non salirà di oltre 2°C. I nostri scenari sono centrati sull'energia e le sue emissioni associate di gas serra (principalmente CO2) e comprendono illustrazioni “e se...” dell'attività economica, della domanda di energia, delle tecnologie di fornitura energetica e dei combustibili, di come stanno crescendo le emissioni di CO2 e quando è possibile che raggiungano un livello globale di picco. Sono scenari come questi che vengono usati dai governi per aiutare a determinare quali politiche a basso tenore di carbonio considerare, sviluppare e potenzialmente attuare.

GL: Ma tu hai problemi con gli scenari…

KA: Sì. Molti, se non tutti, gli scenari proposti sono completamente irrealistici nel dare per scontato cambiamenti quasi immediati alle attuali tendenze delle emissioni. Inoltre, essi normalmente trascurano cosa sta succedendo in Cina ed India. Normalmente trascurano il fatto che le parti più povere del mondo hanno bisogno di molta più energia se vogliono sviluppare e migliorare il loro benessere. Si svilupperanno per mezzo di pale eoliche, energia nucleare o altre opzioni a basse emissioni di carbonio o si svilupperanno coi combustibili fossili? Be', per come stanno le cose, i loro governi hanno subito forti pressioni da parte delle compagnie di combustibili fossili convenzionali ed alcuni di quei paesi hanno risorse di combustibili fossili proprie. Sul breve termine essi stanno sviluppando, e continueranno a sviluppare, sistemi energetici a combustibili fossili – e i nostri scenari devono tenere conto di questo fattore.

Anche la nostra stessa infrastruttura continua ad essere costruita intorno ad una base di combustibili fossili. Questo non cambierà certamente in modo radicale nei prossimi anni – e probabilmente, anche se ci fosse una spinta forte, nemmeno ne prossimi cinque o dieci anni. Queste storie di emissioni globali sono state parecchio sottovalutate in quasi tutti gli scenari a basso tenore di carbonio – e come tali sono servite solo a rinforzare ripetutamente la visione che un futuro decarbonizzato sia solo una transizione evolutiva impegnativa piuttosto che una rivoluzione nel nostro uso e tipo di energia.

GL: Alla conferenza di oggi hai detto che negli scenari usati dal governo le ipotesi sul livello delle riduzioni delle emissioni compatibili con la crescita economica sono dettate dagli economisti. Gli scienziati devono quindi inventarsi scenari di emissioni per soddisfarli. Come avviene questo?

KA: Gli scienziati vengono spinti a lavorare entro dei vincoli irragionevoli, tanto per cominciare. Prima di tutto, dobbiamo pronunciarci all'interno del contesto – o, piuttosto, è molto difficile per noi mettere in discussione quel contesto – di un aumento di 2°C della temperatura globale. Quando facciamo la nostra analisi da noi ci si aspetta che i nostri bilanci di carbonio non rigettino la fattibilità di una aumento di 2°C – e che questo sia anche sostenibile con l'attuale paradigma della crescita economica. Ci sono molti modi in cui possiamo fare questo. Possiamo giocare con le probabilità accettabili di soddisfare i 2°C e con la scelta dei modelli. Tutto questo ci da maggiori o minori bilanci di emissione. Ma anche i più grandi bilanci a 2°C potrebbero non offrire sufficiente flessibilità da dare risultati politicamente gradevoli – almeno non con vincoli pratici ragionevoli.

Così poi allentiamo ciò che è pratico e fattibile e cominciamo ad adattare il momento in cui le emissioni raggiungeranno il picco. Prima le emissioni di CO2 raggiungono un picco, per esempio il loro livello massimo, meno ripida sarà la curva di riduzione. Per esempio, diversi analisti, pubblicando nel 2011, hanno riportato il picco delle emissioni nel passato, circa nel 2005! Questo nonostante che tutti fossero consapevoli che le emissioni stavano continuando a salire. Ciò che disturba di più è che una tale analisi astratta si affianca a raccomandazioni politiche – e la cosa che disturba ancora di più è che pochi politici hanno familiarità coi dettagli dell'analisi che informa i loro giudizi. Oggi, praticamente tutti gli scenari a basso tenore di carbonio che tendono ai +2°C ipotizzano un picco delle emissioni globali nel periodo 2010-2016. Il Comitato sul Cambiamento Climatico del Regno Unito, un comitato indipendente obbligatorio per legge messo in piedi per consigliare il governo e il parlamento, ipotizza un picco delle emissioni globali nel 2016. La Stern Review, un rapporto chiave al governo del Regno Unito sulle conseguenze economiche del cambiamento climatico pubblicato nel 2006, ipotizzava un picco nel 2015. Tuttavia, una volta che si estende il picco fino al 2020 i il 2030, le misure di mitigazione proposte in tali rapporti non possono proprio ottenere i bilanci delle emissioni necessari.

Lo stratagemma successivo è quello di pompare il tasso al quale cresceranno le emissioni, oltre la data del picco. Sappiamo che le emissioni stanno crescendo di circa il 2-4% all'anno – e probabilmente più vicino al 3-4%, a seconda di cosa succede economicamente nel mondo – ma pochi analizzano il fattore di tali tassi di crescita. La realtà è che le emissioni di carbonio stanno aumentando vertiginosamente e quindi il bilancio di carbonio rimanente per arrivare a +2°C viene consumato rapidamente. Per riassumere: coloro cui vengono commissionati questi scenari sono essenzialmente obbligati ad usare una riduzione del tasso di emissioni (dal picco delle emissioni) che viene imposto da ciò che gli economisti asseriscono sia fattibile con la crescita economica. Di conseguenza, gli scienziati vengono persuasi a sviluppare scenari sempre più bizzarri... che sono in grado di consegnare messaggi politicamente gradevoli. Tali scenari sottovalutano l'attuale tasso di crescita delle emissioni, ipotizzano picchi delle emissioni ridicolamente prematuri e traducono gli impegni “di restare al di sotto dei +2°C” in un 60-70% di possibilità di superarli.

Inoltre, quando anche questi scenari non riescono a rassicurare, viene chiamato in causa il Dottor Stranamore – sotto forma di geoingegneria. Tali tecnologie potrebbero funzionare, forse anche su una scala ragionevole. Così un giorno potrebbero essere usate. Ma, dato il livello di incertezza, la loro presenza ubiqua negli scenari di +2°C semplicemente si aggiunge alla mia preoccupazione che la codardia dell'ortodossia economica e politica stia indebitamente influenzando la scienza. In qualche misura, il gatto è stato fatto uscire dal sacco. Sempre di più, le organizzazioni ufficiali uniscono le loro voci di quelli che precedentemente sono stati respinti come allarmisti, osservando quanto le divagazioni ottimistiche di molti analisti siano sempre più ridicole. La IEA, la Price Waterhouse Coopers e diversi altri stanno dicendo esplicitamente che le tendenze delle emissioni stanno andando nella direzione completamente opposta e che ci serve qualcosa di molto più radicale per evitare di superare i 2°C. Tuttavia, mentre la scala del problema viene riconosciuta a malincuore, in pochi ancora sono preparati a sfidare il predominio degli strumenti finanziari e le proposte di mitigazione del tutto inadeguate. Così, nel 2013 siamo rimasti con un aumentato riconoscimento della natura radicale del problema – ma con la volontà di considerare solo un'attuazione frammentaria come soluzione. Chiunque osi sottolineare questo scollamento continua ad essere messo ai margini.

GL: Che differenze ci sono fra gli scenari del governo del Regno Unito e gli scenari che tu e tuoi colleghi avete pubblicato?

KA: La prima differenza è che il governo ipotizza un volume di emissioni totali associate con una possibilità del 63% di superare un aumento di +2°C della temperatura globale. Questo è palesemente in contrasto con l'impegno internazionale del Regno Unito di “restare al si sotto dei 2°C”. Dal nostro punto di vista, non è ragionevole aspettarsi che i poveri del mondo, che vivono in aree più basse nell'emisfero sud, facciano i conti con l'aumento del livello del mare, con la vulnerabilità alle tempeste e con la pletora di altri impatti su agricoltura, migrazione, ecc. Non è ragionevole aspettarsi che 30 milioni di persone – equivalenti a metà della popolazione del Regno Unito – che vivono entro un metro sul livello del mare lungo la fascia costiera del Bangladesh debbano affrontare le ripercussioni del nostro atteggiamento ambivalente verso il cambiamento climatico.


Nella nostra analisi, noi consentiamo solo un 37% di possibilità di superare i 2°C di aumento della temperatura. Non pensiamo sia possibile fare di meglio adesso. E' troppo tardi. Siamo nel 2013 ed abbiamo pompato circa 400 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio nell'atmosfera dal 2000. Tuttavia, se gli altri non sono d'accordo e possono dimostrare la fattibilità di possibilità ancora migliori dei 2°C, allora saremmo certamente felici di rivedere le nostre analisi. L'analisi del governo è basata sul fatto che le emissioni globali raggiungano un picco nel 2016 e implica un picco attorno al 2018 per le nazioni più povere. Nella nostra analisi adottiamo il 2020 come una data per il picco globale estremamente impegnativa, anche se ancora raggiungibile. E per le nazioni più povere concediamo un periodo più lungo fino al 2025. A noi questo sembra più onesto. Inoltre, non pensiamo che la deforestazione, che potrebbe valere per il 12-20% del carbonio aggiuntivo nell'atmosfera, sia responsabilità dei soli paesi che stanno deforestando ora. Noi abbiamo praticamente deforestato il Regno Unito (e in buona parte anche l'Italia, ndt.)  ed abbiamo raccolto i 'benefici' del terreno liberato per l'agricoltura, ecc.

Linea tratteggiata = le emissioni continuano ad aumentare all'attuale tasso per  molti anni.
Linea continua = viene intrapresa un'azione concertata a breve termine. Da una presentazione di Alice Bows

La conseguenza di tutto questo è che c'è una differenza significativa fra il tasso di mitigazione – cioè, il tasso al quale le emissioni verranno ridotte dopo l'anno del picco – nei nostri scenari, rispetto a quelli del governo. Gli scenari del governo ipotizzano tipicamente un 3-4% di tasso di mitigazione. Noi stimiamo una riduzione del 10% all'anno. In altre parole, avremmo bisogno di una riduzione delle emissioni del 10%, ogni anno, per dare il nostro onesto contributo ad una possibilità remota di limitare l'aumento della temperatura ai 2°C. 

GL: Cosa succede se viene mancato l'obbiettivo dei 2°C?

KA: Sento sempre di più alcuni politici e scienziati brontolare che i 2°C sono troppo impegnativi, che non possiamo farcela – anche se tali preoccupazioni vengono normalmente espressi lontano dai consessi pubblici. E posso certamente capire perché lo dicono. Quindi che ne dite un aumento di 4°C? Sembra più fattibile. Il bilancio del carbonio è maggiore, quindi il tasso di riduzione delle emissioni è molto meno impegnativo. Ma cosa significa esattamente un aumento di 4°C nella temperatura globale della superficie? Gran parte della superficie terrestre è acqua, che si scalda più lentamente. Quindi questo corrisponde a 5-6°C di aumento della temperatura media della terraferma. Quest'area della scienza è molto incerta, ma l'Hadley Centre (il centro di ricerca sul cambiamento climatico al Met Office) stima che, nei giorni più caldi, la temperatura sarebbe di 6-8°C più alta in Cina, 8-10°C in Europa e 10-12 gradi a New York. Tali aumenti senza precedenti darebbero luogo ad una serie di problemi riguardo a come le strutture invecchiate delle nostre città possano fornire addirittura servizi di sopravvivenza. 

E che dire delle persone che non hanno causato il problema, alle altitudini più basse? E' difficile essere precisi, ma l'Hadley Centre stima che, per i contadini alle latitudini più basse, a caratterizzare i loro impatti con +4°C è una riduzione del 40% di mais e riso. Questo è un mondo che dobbiamo evitare ad ogni costo. Molti scienziati suggeriscono che un aumento di 4°C è incompatibile con una società globale organizzata. E' oltre “l'adattamento”. Eppure questa revisione di un aumento di 4°C non tiene in considerazione possibili retroazioni ed altre discontinuità, che in media anticipano di rendere la situazione ancora peggiore. Così, un futuro a +4°C è qualcosa che dobbiamo evitare. E questo ci riporta ai 2°C  - sebbene con probabilità sempre più basse di raggiungere anche questo. Cosa comportano 2°C per le zone ricche del mondo, per i paesi OCSE? Significano una riduzione del 10% nelle emissioni ogni anno: una riduzione del 40% nei prossimi anni ed una riduzione del 70% entro il decennio. Tali riduzioni sono necessarie se le parti povere del mondo devono avere un piccolo bonus di emissioni per aiutare a migliorare il proprio benessere. Nonostante la coerenza dell'analisi, mi viene continuamente suggerito che tali livelli di mitigazione sono impossibili. Allo stesso tempo, vivere come comunità globale civilizzata con +4°C sembra altrettanto impossibile. In altre parole: il futuro è impossibile! Allora cosa facciamo? Dobbiamo sviluppare un'altra mentalità – e alla svelta. L'impossibilità che fronteggiamo nella mitigazione potrebbe aprirci alla concezione di futuri diversi – andando oltre il pensiero riduzionista del ventesimo secolo e verso nuovi modi di inquadrare i problemi nel ventunesimo secolo. 

GL: Hai indicato che, approssimativamente, il 20% più ricco della popolazione mondiale per reddito è responsabile del 80% delle emissioni: il 20% più ricco di questo 20% è responsabile del 80% del 80% delle emissioni e così via. E il tuo argomento è che le politiche di riduzione delle emissioni devono essere applicate a queste persone, per esempio coloro che sono responsabili delle attuali emissioni. Dico bene?

KA: Sì. Molte delle politiche attuate – lo schema di commercio delle emissioni o le proposte di carbon tax – sono universali. Non differenziano fra grandi e piccoli emettitori. Direi che ciò è inappropriato. Nel Regno Unito, per non dire niente dei paesi in via di sviluppo, molta gente fatica a pagare le proprie bollette energetiche ed hanno comunque delle emissioni ragionevolmente basse. Allora perché ci aspettiamo che persone che hanno a malapena contribuito al problema di sopportare il dolore della riduzione del loro già basso livello di emissioni? Per com'è adesso, i meccanismi favoriti dagli emettitori più ricchi sono basati principalmente sul prezzo. Meccanismi coi quali noi, i grandi emettitori ricchi, possiamo comprarci una scappatoia scappatoia. Ciò non è giusto e non funzionerà neanche. Le emissioni devono essere ridotte da coloro che sono i primi responsabili delle emissioni. 

GL: I climatologi sono sottoposti ad enormi pressioni politiche. Hai parlato del fatto che gli scenari sottoposti a pressione producono scenari irrealistici. C'è anche la pressione alla quale gli scienziati del clima sono stati sottoposti a causa delle feroci cacce alle streghe condotte dai negazionisti climatici. C'è altro che il resto di noi, i non scienziati, possano fare per sostenere gli scienziati a resistere alle pressioni?

KA. Uno dei problemi per gli scienziati – ed è una cosa alla quale gli “scettici” si sono attaccati – è che la scienza non dà certezze. Essa raramente fornisce visioni in bianco e nero del mondo. Eppure, le scuole e i media in particolare interpretano la scienza come qualcosa che ha a che fare le verità certe. Ciò equivoca quello che la scienza può offrire: essa a che fare con l'evoluzione di una comprensione migliore dei problemi che vengono presi in considerazione – e nel fare questo ci saranno normalmente delle incertezze e una gamma di risultati piuttosto che una risposta precisa ed indiscutibile. Gli “scettici”, al contrario, presentano una visione molto più categorica, che si alimenta da ciò che la gente vuol sentire e chi i media possono facilmente spacciare. Il pubblico e i media sembrano spesso lottare col concetto di scienza come processo evolutivo. Le visioni del consenso emergono ed evolvono. Ciò non significa che capire significhi saltare di palo in frasca, anche se è questo che spesso viene riportato e interpretato. Questo è un vero problema per la scienza sostenere il cambiamento climatico: si tratta di tentare di fare luce su un problema complesso e di livello sistemico, quindi le incertezze abbondano. Per sua stessa natura, la comprensione del cambiamento climatico è alla mercé dei machiavellici “scettici”. E' molto più facile essere cinicamente critici verso il cambiamento climatico di quanto lo sia fare buona scienza.

L'argomentazione per una maggiore azione, al più presto. Da una presentazione di Alice Bows

Se il pubblico capisse, ed accettasse, la natura evolutiva della scienza, e delle incertezze, sarebbe probabilmente più facile avere conversazioni  costruttive con esso, coi media e coi politici. Come scienziati dovremmo essere il più aperti possibile. Prendete l'affare “climategate”. [2] E' stato spaventoso per alcuni degli scienziati coinvolti: sono normali esseri umani che hanno dedicato la loro carriera a fornire solide basi scientifiche – eppure le loro vite sono state lacerate. E di fatto questo processo è andato avanti per molti anni precedentemente. Gli scienziati sono stati a lungo soggetti a campagne sgradevoli e minacciose – e ne parlo per esperienza personale. Ma nonostante il “climategate” sia stato molto distruttivo per le persone individualmente, sono del parere che abbia avuto un risvolto positivo. Da allora, la comunità scientifica è diventata collettivamente più aperta circa le sue analisi e le sue scoperte. Più possiamo essere aperti sul nostro lavoro, sulle nostre discussioni e disaccordi, meglio è per la società. Questo è un problema sociale, non riguarda solo la scienza. Quindi penso che sia venuto qualcosa di buono da questa storia. 

Inoltre, nonostante gli “scettici” del clima siano spesso ben finanziati ed organizzati intorno ad un ordine del giorno molto più semplice e distruttivo, non sono stati capaci di intaccare realmente la comprensione scientifica del cambiamento climatico. Gli “scettici” hanno sicuramente impaurito e influenzato alcuni politici, ritardando così ulteriormente gli sforzi di mitigazione – per cui la gente più povera che vive in comunità più vulnerabili soffrirà inevitabilmente. Tuttavia, per la scienza, le ripercussioni dei loro tentativi sono stati di fornire una comunità scientifica molto più aperta e resiliente e di dimostrare la robustezza della scienza che sostiene le preoccupazioni sul cambiamento climatico. Così, in uno strano modo, dovrebbero essere ringraziati. 

■  Trovate altro sul sito di Kevin Anderson e sul sito del Tyndall Centre.
■  Il sito della Campagna Contro il Cambiamento Climatico è qui; altro sulla conferenza del mese scorso qui.

[1] Un gruppo di climatologi guidato da Alexander Otto ha pubblicato una lettera a Nature Geoscience riportando di aver ricalcolato quanto la temperatura globale media salirà nell'anno in cui la concentrazione di biossido di carbonio raggiungerà il doppio dei suoi valori preindustriali, tenendo conto del livellamento delle temperature dell'ultimo decennio. La loro stima migliore è di 1,3 gradi più alta di adesso, in confronto dei 1,6 gradi dichiarati dalla ricerca precedente. Un articolo del New Scientist ha riportato la ricerca ed i commenti da parte degli scienziati sottolineano che il quadro generale del riscaldamento globale rimane immutato. L'articolo di Otto e soci, “Limiti di bilancio del carbonio sulla risposta climatica” è disponibile a pagamento sul sito di Nature qui; un pdf sembra essere finito anche qui.

[2] Il “Climategate” è cominciato con la pubblicazione da parte dei negazionisti della scienza del clima, poco prima del summit delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico del 2009 a Copenhagen, di email trafugate a Phil Jones, un eminente climatologo all'Università dell'East Anglia e di altri. Presentando passaggi selezionati delle email in un modo pensato deliberatamente per distorcere il loro significato, i negazionisti della scienza del clima hanno dichiarato falsamente che Jones ed altri avevano provato a nascondere i risultati di una ricerca che metteva in dubbio alcune scoperte standard della scienza del clima. Le accuse sono state ampiamente riportate nei giorni antecedenti alla conferenza, insieme ad una marea di false accuse contro Jones, che mettevano in dubbio la sua integrità. L'identità degli hacker non è stata mai accertata. Jones e i suoi colleghi sono stati sollevati da ogni accusa in un'inchiesta delle autorità universitarie. 


martedì 20 agosto 2013

Earth Overshoot Day 2013

Da “Global Footprint Network”. Traduzione di MR

In 8 mesi, l'umanità esaurisce il budget della Terra per l'intero anno. 


Il 20 agosto è l'Earth Overshoot Day (EOD) 2013, la data che marca il giorno in cui l'umanità ha esaurito il budget della natura per l'intero anno. Ora stiamo operando scoperti. Per il resto dell'anno manterremo il nostro deficit ecologico prelevando riserve di risorse locali ed accumulando biossido di carbonio nell'atmosfera.


Proprio come un estratto conto traccia gli ingressi e le uscite, il Global Footprint Network (GFN) misura la domanda dell'umanità e l'offerta di risorse naturali e di servizi ecologici. E la data fa pensare. Il GFN stima che in circa otto mesi, richiediamo più risorse rinnovabili e sequestro di CO2 di quanto il pianeta possa fornire per un anno intero.

Nel 1993, l'EOD – la data approssimativa in cui il nostro consumo di risorse di un dato anno eccede la capacità del pianeta di ricostituirle – era stato il 21 ottobre. Nel 2003, l'Overshoot Day è stato il 22 settembre. Date le attuali tendenze di consumo, una cosa è chiara: l'EOD arriva qualche giorno prima ogni anno.
L'EOD un concetto sviluppato originariamente dal partner del GFN, nonché gruppo di esperti del Regno Unito, fondazione per una nuova economia, è il segnale annuale di quando cominciamo a vivere oltre le nostre possibilità in un dato anno. Mentre è solo una stima delle tendenze di tempo e risorse, EOD è quanto più vicino la scienza possa arrivare nella misurazione del divario fra la nostra domanda di risorse e servizi ecologiche e quanto il pianeta ne possa fornire.

Il costo dell'eccesso di spesa ecologica

Durante gran parte della storia, l'umanità ha usato le risorse naturali per costruire città e strade, per fornire cibo e creare prodotti e per assorbire il nostro biossido di carbonio ad un tasso che rimaneva ben all'interno del budget della Terra. Ma a metà degli anni 70, abbiamo superato una soglia critica: il consumo umano ha cominciato a superare ciò che il pianeta può riprodurre.
Secondo i calcoli del GFN, la nostra domanda di risorse ecologiche rinnovabili e dei servizi che esse forniscono ora equivale a quella di più di 1,5 Terre. I dati ci mostrano che siamo sulla strada per aver bisogno di due pianeti molto prima di metà secolo.

Il fatto che stiamo usando, o “spendendo”, il nostro capitale naturale più rapidamente di quanto possa essere riprodotto è simile ad avere spese che superano continuamente i redditi. In termini planetari, i costi del nostro eccesso di spesa ecologica stanno diventando più evidenti oggi. Il cambiamento climatico – un risultato dei gas serra che vengono emessi più rapidamente di quanto possano venire assorbiti da foreste e oceani – è il più ovvio e probabilmente pressante risultato. Ma che ne sono altri – riduzione delle foreste, perdita di specie, collasso della pesca, prezzi dei beni più alti e disordine sociale, per nominarne solo alcuni. Le crisi economica e ambientale che stiamo vivendo sono sintomi di una catastrofe incombente. L'umanità sta semplicemente usando più di quanto il pianeta possa fornire.

Metodologia e Proiezioni

Nel 2011, l'EOD è arrivato poche settimane più tardi di quanto non abbia fatto nel 2010. Questo significa che abbiamo ridotto il superamento globale? La risposta, sfortunatamente, è no. 

L'EOD è una stima, non una data esatta. Non è possibile determinare col 100% di precisione il giorno in cui esauriamo il nostro budget ecologico. Le correzioni della data nella quale andiamo “in superamento” sono dovute alla revisione dei calcoli, non agli avanzamenti ecologici da parte dell'umanità. Secondo le ipotesi attuali, i dati del GFN ora suggeriscono che dal 2001 l'EOD ha anticipato il suo arrivo di tre giorni ogni anno. 
Visto che la metodologia del GFN cambia, le proiezioni continueranno a spostarsi. Ma ogni modello scientifico usato per contare la domanda umana dell'offerta della natura mostra una tendenza robusta: siamo ben al di là del budget e il debito sta aumentando. E' un debito ecologico e gli interessi che stiamo pagando su questo debito montante – scarsità di cibo, erosione del suolo e l'accumulo di CO2 in atmosfera – arrivano con costi umani e monetari devastanti. 


Per le richieste dei media, contattate il Senior Communications Manager Scott Mattoon o L'Associato alle Comunicazioni Haley Smith Kingsland.

Cliccate qui  per il comunicato stampa del 2013.
Cliccate qui per saperne di più sul EOD e su come è cambiato nel tempo. 


Quando la conoscenza diventa un lusso che non ci possiamo più permettere

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



di Antonio Turiel

Cari lettori,

le persone che si muovono nei circuiti di informazione e divulgazione sul picco del petrolio avranno notato che si sta verificando una defezione più o meno continua, un abbandono di alcune fonti ormai classiche da dove ottenere informazioni, abbandono he in alcuni momenti dà l'impressione di essere un inizio di sbandamento.

Di siti che parlano del picco del petrolio e delle sue conseguenze nella rete ce ne sono e ce ne sono stati molti e può essere considerato normale che alcuni siano spariti col passare degli anni. Per esempio, “Life after the Oil Crash” di Matt Savinar, che è stato uno dei primi luoghi dove mi sono informato e da dove ho preso il nome per questo blog, che dopo una crisi esistenziale del suo fondatore, l'avvocato Matt Savinar lo ha trasformato in una pagina web di divinazione e scienze occulte, già da un po' non esiste più del tutto. Si possono contare a decine i piccoli siti web che sono stati fatti partire con molto entusiasmo e con l'illusione di divulgare, ma che fosse per mancanza di notizie nuove o per mancanza di tempo per continuare la propria formazione, i loro creatori li hanno lasciati languire, praticamente senza alcuna attività per anni, o li hanno direttamente chiusi. Ma ciò che sta avvenendo ultimamente sta assumendo un aspetto diverso dal semplice abbandono per noia o esaurimento; si tratta di un vero naufragio che colpirà gravemente la continuità della divulgazione nei prossimi anni.

L'anno scorso uno dei grandi siti di divulgazione, Energy Bulletin (EB), ha cominciato a chiudere dopo circa 10 anni di attività. EB, dove in molti ci siamo fatti le ossa, era un grande calderone di notizie dove gli editori mettevano a nostra disposizione spazi collegati al picco del petrolio, alla scarsità di materie prime ed ai problemi di sostenibilità in generale. Con un buon metodo, EB raggruppava in base al tema le notizie che fossero già state pubblicate nella stampa generalista e sui siti web e i blog specializzati. E stato grazie a EB che abbiamo scoperto molti grandi autori come James Howard Kunstler, John Michael Greer, Stuart Staniford o Sharon Aystik, solo per citarne alcuni. La chiusura di EB non è stata totale, visto che è stato sostituito dal nuovo portale Resilience.org (di fatto, il vecchio link www.energybulletin.net ridirige al nuovo sito web), ma Resilience.org si occupa del problema dell'energia soltanto come uno dei tanti ed il suo focus è posto sul diffondere notizie (è anch'esso multitematico) che aiutino a migliorare la resilienza delle comunità, principalmente negli Stati Uniti.

Eppure, la notizia più impattante degli ultimi tempi è la chiusura di The Oil Drum (TOD) dopo 8 anni di navigazione. Questo sito è riuscito in poco tempo ad attrarre professionisti del settore grazie all'alto livello tecnico dei suoi contributi. Di fatto, TOD era giunto ad essere il miglior riferimento mondiale su molti temi associati all'energia, molto di più di tante società di consulenza e pubblicazioni accademiche. Tuttavia, negli ultimi mesi gli amministratori di TOD hanno sofferto per mantenere la pagina aperta: una parte importante di coloro che contribuivano hanno smesso di collaborare col sito perché ora si dedicano ai loro progetti (di divulgazione o di altro tipo) e i contributi economici sono diminuiti considerevolmente. C'è ancora una discussione aperta sul futuro di TOD e la chiusura iniziale (31 luglio) è stata posticipata di un mese. In qualsiasi caso, il progetto è colpito a morte e prima o dopo dovranno chiudere, anche se come sembra manterranno gli archivi online per futuri riferimenti.

In una situazione ancora peggiore si trova la pagina spagnola Crisis Energética. Dopo diverse crisi di liquidità e diverse migrazioni a nuovi server, l'ultimo servizio di hosting non è stato in grado di gestire correttamente un sito web della complessità di Crisis Energética, con i suoi molteplici forum. Al momento viene mantenuta parzialmente aggiornata grazie ad un sito provvisorio, http://lacrisisenergetica.wordpress.com/, ma risulta fondamentale recuperare gli archivi e i forum e non sembra fattibile fare un cosa simile in un prossimo futuro.

Testimone silente di questo naufragio progressivo della divulgazione della crisi energetica e della sostenibilità è il collettore (in spagnolo) Cenit del Petróleo.info. Un rapido sguardo vi mostrerà che molte pagine che vi sono indicizzate sono scomparse (come si evince dalla mancanza di alimentazione di contenuti via RSS).

E in realtà il problema di questo naufragio è più profondo di quanto riveli la caduta dei siti web. L'Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio e del Gas (ASPO), con molte sezioni nazionali, si trova a sua volta in una crisi più o meno dichiarata e soffre di alcune divisioni interne. La conferenza annuale, che ogni anno raggruppava i migliori specialisti su scala mondiale, quest'anno non è stata fatta. Al suo posto, ASPO ha co-sponsorizzato un evento molto più mainstream, con una maggioranza di relatori provenienti dall'industria e senza collegamenti con ASPO, il che mi fa pensare che forse qualcuno si sia fatto pubblicità cercando una sistemazione più convenzionale e socialmente accettabile della patina leggermente anarcoide che di solito circonda la divulgazione sul Picco del Petrolio.

Cosa sta succedendo? Da dove viene questo naufragio, questo svenimento? La questione è semplice: i gruppi di sensibilizzazione sul Picco del Petrolio non sono, per il solo fatto di divulgarlo, immuni al picco stesso. La società che ci ospita sta naufragando e noi con lei. Chiedete a Pedro Prieto cosa ne pensa degli ultimi decreti spagnoli che limitano, e praticamente distruggono, il settore fotovoltaico spagnolo e come questo lo stia colpendo personalmente negli impianti ai quali partecipa. E qui sta il dramma: questa crisi che non finirà mai colpisce anche noi. Coloro che sono rimasti all'interno dell'industria e dell'ambito accademico hanno potuto mantenere un livello tecnico alto, ma come contropartita hanno adottato stili di vita meno resilienti, meno capaci di far fronte all'ansia della nostra società. Da parte loro, quelli che hanno deciso di cambiare radicalmente il proprio stile di vita e adottare una semplicità radicale, sicuramente non stanno notando grandi cambiamenti, ma a volte non dispongono nemmeno di molto tempo da perdere per scrivere articoli su dei blog o a fare discorsi.

Quando eravamo ricchi ci potevamo permettere di sapere di più e meglio. Ma è arrivata l'epoca dei tagli e con essi è cominciata a diminuire l'informazione disponibile, perché ottenere informazioni è costoso (è in questo contesto di tagli che la EIA, che dipende dal Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, ha smesso di raccogliere ed analizzare dati da due anni). Quando avevamo un buon lavoro, un buon stipendio ed abbastanza tempo libero (altro lusso), si poteva fare divulgazione pro bono mettere in piedi associazioni più o meno complesse. Ora, e sarà una tendenza che andrà consolidandosi col tempo, ci si possono permettere solo piccoli siti web come The Archdruid Report, Peak Oil Blues, Causabon's book, Early Warning o questo stesso blog (The Oil Crash, in questo caso, ma non potrei certo giurare che Effetto Cassandra possa essere immune dal processo descritto, ndt.).

E in mezzo a questo marasma i difensori dell'ultima bolla, in questo caso la truffa del gas e del petrolio da scisto per mezzo e del fracking, tentano di sfruttare l'occasione: “Quando il gatto non c'è, i topi ballano”. Così, per fare un esempio fra i tanti, c'è questo articolo di Anthony Wile che assicura che il picco del petrolio è morto e la prova di ciò è proprio che chiude TOD! In realtà, il fallimento professionale di coloro che si dedicano alla divulgazione del Picco del Petrolio è la conseguenza logica del suo arrivo e non della sua perdita di validità, che se si sta diffondendo lo scoraggiamento e l'abbandono è per problemi economici, non perché si riconosca che avanzi petrolio: non ho visto in nessun divulgatore che si dedichi alla divulgazione sul picco del petrolio un tale atto di contrizione, cosa che ora i sostenitori del fracking tentano di vendere. Diranno che non siamo capaci di accettare il nostro fallimento, senza rendersi conto che noi siamo scienziati e tecnici e, al contrario di loro, riconosciamo la verità quando ci si presenta davanti, anche se questo significa cambiare radicalmente ciò che diciamo. Noi non sposiamo alcuna posizione, stiamo solo dalla parte della verità, mentre loro stanno dalla parte dei loro conti economici e la verità è del tutto accessoria.

Un modello per adattarsi alla realtà cangiante della nostra società decadente che pare stia funzionando è quella di John Michael Greer. Con una certa eccentricità (JMG è Arcidruido dell'Ordine dei Druidi Verdi del Nord America ed ha un'immagine personale in linea con la sua posizioni druidica), JMG è riuscito a mantenere un sito personale molto visitato e di altissimo livello, aggiornato settimanalmente e dedicato alla discussione delle diverse sfaccettature della mancanza di sostenibilità della società industriale, soprattutto dal punto di vista sociologico e filosofico e con non poche note con consigli pratici per mantenere un orto sostenibile. JMG, che è un vero intellettuale, vive dei soldi che incassa coi suoi libri (ne scrive almeno uno all'anno) e dei frutti del suo orto. Anche se con maggiori difficoltà, anche Sharon Aystik segue un metodo simile col suo Causabon's Book.

Esportare questo modello in Spagna (o in Italia, ndt.) non è facile per diversi motivi (per esempio, è un paese molto popolato e la disponibilità di terra propria è meno frequente) e, in generale, le persone e le associazioni (Vespera de Nada, le diverse iniziative di Transizione, ecc.) finiscono per optare per mettere più peso nella divulgazione o nel proprio adattamento. In quanto a me stesso, le mie opzioni sono limitate. Ho un lavoro da ricercatore al CSIC che mi piacerebbe mantenere (la scienza è la mia vita), ma proprio la mia linea di lavoro principale (lasciando da parte i piccoli lavori di ricerca che stiamo facendo in materia di politica energetica) ha una componente tecnologica molto forte (oceanografia satellitare ed elaborazione avanzata del segnale) che la fa trovare a maggior rischio di perire in mezzo al naufragio di oggi. Come se non bastasse, l'istituzione che mi accoglie fa acqua da tutte le parti e potrebbe scomparire in un lasso di tempo non troppo lungo. Dedico non poche energie a creare alternative sostenibili per me e per la mia squadra mentre resistiamo ai vincoli di bilancio e nel frattempo cerco di mantenere il mio lavoro di ricercatore. Nei momenti liberi esamino i piani B, C e D nel caso che tutto crolli; ho la mia famiglia... Il tempo non mi basta e se non fosse per il fatto che dedico due viaggi in treno alla settimana al blog e a volte sottraggo tempo delle già scarse ore di sonno, dovrei semplicemente interrompere i miei sforzi di divulgazione. Nemmeno io sono immune dal Picco del Petrolio: potrebbe essere che entro pochi mesi gli sforzi per mantenere me e la mia famiglia condizioneranno in modo significativo la mia capacità di divulgazione (di fatto già la condizionano, visto che non ho tanto tempo per aggiornarmi o per terminare alcune analisi chiave che progetto da mesi).

Non sapere in tempo di crisi ha un prezzo: non si potrà fare un'analisi giusta della situazione se non si sa cosa sta succedendo nella realtà. C'è molta gente interessata a diffondere una certa visione delle cause e delle soluzioni di questa crisi e che disgraziatamente ha molto più accesso ai mezzi di comunicazione dei pochi che rimangono a divulgare sui problemi delle risorse. Ma queste soluzioni interessate, naturalmente, non funzionano, perché non vanno alle cause reali dei problemi. Il fallimento consecutivo delle diverse misure con le quali tentano invano di affrontare la crisi favorirà un maggior malessere sociale e molta più instabilità, situazione dalla quale io vedo solo due derive possibili: o che emergano i salvapatria con soluzioni miracolose e che si instauri una dittatura che porrà fine a tanti cose utili ed anche necessarie, o che la massa inferocita, stanca di tante delusioni, incolpi tutti e distrugga tutto. Questo in realtà è il più grande lusso, la perdita maggiore: distruggere tutto ciò che abbiamo ora. E disgraziatamente questo lo permetteremo, se non cambiamo subito rotta.

Saluti.
AMT

lunedì 19 agosto 2013

Il presidente della Banca Mondiale: "Il riscaldamento globale cambierà il mondo nell'arco delle nostre vite"

Mercoledì 19 giugno 2013 11:39 
Di Laurie Goering

Da “Thomson Reuters Foundation”. Traduzione di MR


Un ragazzo tatuato attraversa le acque di un sobborgo alluvionato poco fuori Bangkok, il 21 novembre del 2011. REUTERS/Damir Sagolj


LONDRA (Thomson Reuters Foundation) – In meno di 20 anni, gli impatti climatici – dalle grandi città alluvionate al crollo della produzione di cibo – minacciano di ridisegnare l'economia mondiale e di peggiorare drammaticamente le vite umane, ha avvertito il presidente della Banca Mondiale mercoledì scorso.

Ma la volontà politica di agire sul cambiamento climatico, particolarmente da parte dei grandi attori come la Cina, si sta rapidamente consolidando, anche se i colloqui sul clima guidati dall'ONU vacillano, ha detto Jim Yong Kim in una discussione della Thomson Reuters a Londra.

Dopo aver visto la strage creata dell'inquinamento, l'inverno scorso, “c'è un nuovo spirito in Cina”, ha detto Kim. Il gigante asiatico, il più grande emettitore al mondo di carbonio, sta fissando “obbiettivi molto, molto aggressivi” per frenare le emissioni che cambiano il clima e si stanno indirizzando verso quello che potrebbe essere il più grande mercato nazionale del carbonio, ha detto.

Ora, “sono più seri di qualsiasi altro paese che conosca” in termini di azione sul cambiamento climatico, ha detto Kim. Questo, unito a ciò che egli ha detto essere una forte volontà politica della Casa Bianca di affrontare e a muoversi per frenare le emissioni da Nuova Dehli a New York, potrebbe aggiungersi ai cambiamenti che alla fine affronteranno”l'enorme massa del problema” - anche se non sta avvenendo abbastanza rapidamente, ha detto.

Nuova Dehli, per esempio, ora manda i suoi vecchi autobus fumosi col più pulito gas naturale – anche se non ancora abbastanza pulito. Hong Kong ha dimezzato il numero di automobili in città. E in Africa ed altre regioni, cambiamenti 'amici del clima' stanno abbassando le emissioni e ponendo le basi per sostenere la produzione di cibo.

New York City, che ha promesso di ridurre la sua impronta di carbonio del 30% per il 2030, ora si trova sulla buona strada per raggiungere questo obbiettivo nel 2017, ha detto Kim. E la Germania è prima nel mondo nel far crescere l'economia mentre riduce la sua impronta di carbonio.
“Ogni paese nel mondo si deve muovere in quella direzione”, dice Kim.

BANGKOK SOTT'ACQUA

Alcuni degli impulsi all'azione sono sono venuti dal peggioramento degli eventi atmosferici estremi che hanno portato sempre più di frequente a siccità, alluvioni, incendi e tempeste da record in tutto il mondo.

“Ho perso il conto degli eventi che di solito si verificano una volta nella vita che sono avvenuti negli ultimi due o tre anni”, ha detto Kim. Il cambiamento climatico, ha detto, gioca un ruolo in particolare nei cambiamenti nei cicli dell'acqua del pianeta, con alcune regioni che ne hanno fin troppa ed altre che ne hanno di gran lunga troppo poca.

In un rapporto sugli impatti regionali degli estremi climatici, pubblicato mercoledì dalla Banca Mondiale, gli scienziati hanno previsto che per il 2030, mentre le temperature aumentano dei 2°C previsti, il 40% dei terreni agricoli coltivati a mais in Africa potrebbero diventare inadatti alle colture. Il sud delle Filippine, nello stesso periodo, potrebbe vedere il dimezzamento delle sue riserve ittiche, dice il rapporto. L'arresto della crescita causato dalla malnutrizione “sarà dappertutto”, ha detto Kim.

Nell'Asia del Sud, è probabile che i monsoni che si spostano lascino alcune regioni sott'acqua ed altre in una siccità sempre peggiore, dice il rapporto, con le grandi città come Mumbai, Calcutta e Dacca a loro volta alle prese con cicloni sempre più intensi. Nel Sudest asiatico, Bangkok potrebbe finire sott'acqua dal 2030 o dal 2040, dice il rapporto.

“CAMBIAMENTO NELL'ARCO DELLE NOSTRE VITE”

“Sta arrivando, a meno che i leader del mondo non facciano qualcosa per fermarlo”, ha avvertito Kim. “Questo rapporto dovrebbe farci perdere il sonno su come sarà il nostro mondo nell'arco delle nostre vite”. “Il cambiamento climatico è un rischio a breve e medio termine per l'economia globale”, ha detto. “La gente pensa che riguarderà i propri nipoti. Non è così”.

La Banca Mondiale, ha detto, ora guarda agli effetti sul cambiamento climatico di tutte le sue decisioni, anche se trovare le risposte giuste non è sempre facile.

In Liberia, per esempio, la Presidente Ellen Johnson Sirleaf ha pregato la banca di aiutarla ad incrementare il misero accesso all'energia del paese, per attrarre investimenti, far partire industrie e dare lavoro agli ex soldati,  che rimangono una minaccia alla stabilità del paese, finché rimangono disoccupati.

Questa urgenza ha portato la banca a sostenere progetti di impianti a carbone in Liberia, ha ammesso Kim. “Proverò a fare qualsiasi cosa che è in mio potere per evitare l'investimento in carbone... ma non posso guardare Ellen Johnson Sirleaf negli occhi e dire. 'Deve aspettare'”, ha detto.

SPERANZE RIPOSTE SU UN TRATTATO DELL'ONU

Kim ha detto che crede i macchinosi negoziati dell'ONU sul cambiamento climatico, che puntano a costruire un nuovo trattato globale sul clima nel 2015 e che abbia effetto dal 2020, sono cruciali , ma chiaramente non sono sufficienti, che ritardare l'azione sul cambiamento climatico fino a che il nuovo trattato non abbia effetto è “una debole scusa di fronte a quello che stiamo per dare in mano ai nostri figli”.

Le aumentate preoccupazioni della Cina nei confronti del cambiamento climatico gli danno una qualche speranza riguardo al processo dell'ONU, ha detto.

“Il fatto che la Cina sia così aggressiva riguardo al proprio mercato del carbonio è un segno davvero incoraggiante ai fini di un trattato climatico globale”, ha detto. Se la Cina, gli Stati Uniti e l'Europa possono formare la base di un mercato mondiale del carbonio, allora gli investimenti a basso tenore di carbonio si impenneranno e “alla fine, alla fine avremo il meccanismo del mercato che lavora per aiutarci ad affrontare il cambiamento climatico”.

E' NECESSARIO UN MOVIMENTO DI BASE

Parte di quanto necessario per guidare l'azione politica sul cambiamento climatico, ha detto, è un vero movimento di base, qualcosa che al momento manca. L'azione sull'HIV/AIDS, ha detto, è arrivata solo dopo che gli attivisti sono andati negli istituti sanitari nazionali a tirare sangue e chiedere il cambiamento.

“Continuo a chiedermi: 'Dov'è un piano per tutto questo?' Non lo abbiamo ancora”, ha detto. “Non sembra esserci un movimento”.

Gli scienziati e gli esperti del clima, analogamente, hanno fatto il loro umile lavoro nell'aiutare le persone a capire i collegamenti fra il meteo estremo e il cambiamento climatico, fornendo loro risposte su cosa fare per fare la differenza, oltre a quelle che chiamiamo “risposte di basso profilo”, come installare pannelli solari.


“Dobbiamo mettere insieme un piano che sia all'altezza della sfida e non lo abbiamo ancora fatto, “ha detto. “Con l'aumentare degli eventi meteorologici estremi, penso che l'opinione pubblica stia cambiando e a quel punto dobbiamo avere un piano”.

venerdì 16 agosto 2013

Declino di un impero



Guest post di Alexander Ac

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Dato che la città di Detroit ha ora ufficialmente dichiarato bancarotta, vale la pena guardare il quadro allargato. E' il destino della città, un tempo grande, solo una breve pausa sulla strada della prosperità? O è piuttosto un sintomo di qualcosa di più grande e più diffuso che riguarda il futuro di una società post industriale?

Senza esagerazioni, Detroit un tempo era un simbolo del “Sogno Americano”, caratterizzata dal più alto reddito pro capite dell'intero paese, della più alta crescita della popolazione, industrializzazione, crescita della ricchezza, ecc. La popolazione ha raggiunto quasi i 2 milioni di persone.

Ora Detroit è il simbolo del “Incubo Americano”, con una popolazione in declino*, povertà e criminalità in aumento, declino del valore della proprietà, declino dei servizi pubblici, ecc. Ora la popolazione è inferiore alle 700.000 persone.

Il periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale è stato caratterizzato da una crescita esplosiva della popolazione e del consumo di energia, aumenti incredibili di produttività portati dall'energia a buon mercato, globalizzazione degli scambi, innovazione tecnologica, specialmente nei campi dei computer e della comunicazione, amento della qualità della cura della salute e, si spera, la crescita collettiva della felicità della popolazione.

Lo stesso periodo può essere anche caratterizzato da diverse tendenza fondamentali, che probabilmente spiegano molto. Guardiamo il grafico seguente:

Fig. 1: Il grafico mostra l'evoluzione del consumo di energia primaria pro capite i Btu (linea blu) e il rapporto del debito totale rispetto a PIL nominale (linea rossa in %) dal 1950 al 2011. Le linee tratteggiate verticali mostrano le soglie approssimative delle diverse fasi di crescita/declino degli Stati Uniti. (Fonte: EIA, St. Louis Fed).

Fase di espansione (1950-1979)

Questo periodo può essere caratterizzato in generale da una rapida crescita della popolazione, una rapida crescita dei consumi di energia totale pro capite (2% all'anno), di costruzione di infrastrutture e di rapporto debito/PIL relativamente stabile (0,3% all'anno). Possiamo parlare di “fase di espansione”, dalla quale gran parte della popolazione ha beneficiato in termini di aumento della qualità della vita. L'aumento della sicurezza, il migliore accesso alle cure mediche, la migliore educazione e libertà di quasi tutto erano dei dati di fatto della vita. Anche le condizioni ambientali potrebbero essere migliorate in alcune o persino in gran parte delle località. E il riscaldamento globale non era una preoccupazione seria a quel tempo.

Fase di declino lento (1979-2009)

Questa caratterizzazione dei 30 anni seguenti al picco del consumo pro capite di energia primaria potrebbe essere sorprendente ai più, ma non dovrebbe esserlo in realtà. Molte delle grandi conquiste della scienza e della tecnologia ha iniziato ad essere lentamente superate dall'esaurimento delle risorse. Questa tendenza è passata in gran parte inosservata, visto che il livello crescente di debito mascherava il prezzo reale dell'energia. Abbiamo deciso di pagare meno per la prosperità di oggi (meglio chiamarlo consumo), in cambio di più prosperità per domani, dando per scontato che i giorni felici dell'energia a buon mercato sarebbero tornati in futuro, ad un certo punto. L'ingenuità umana è sconfinata, come possiamo facilmente osservare. Ma durante la fase di crescita esponenziale l debito sul PIL (quasi il 5% all'anno) e del lento declino pro capite dell consumo di energia (0,5% all'anno), molte dell tendenze che prima erano positive sono diventate negative.  Ecco una lista di alcune di esse:

  • Crescita nella diseguaglianza di reddito fra ricchi e poveri
  • Tassi di crescita della fertilità in diminuzione
  • Crescita del settore finanziario nel computo totale del PIL
  • Delocalizzazione dei lavori ad alta intensità energetica in paesi stranieri
  • Bilanci commerciali sempre più negativi
  • Declino della qualità dell'educazione
  • Aumento dei costi dell'assistenza sanitaria
  • Declino del valore aggiunto dell'ulteriore debito
  • Aumento della dipendenza dal petrolio proveniente dai paesi del Medio Oriente
  • Invecchiamento delle infrastrutture (ciò che abbiamo costruito durante l'era del petrolio a 10 dollari al barile è difficile da mantenere o addirittura espandere nell'era del petrolio a 100 dollari al barile) 


Fase di declino rapido (2009-???)

Queste ed altre tendenze negative a lungo termine sono confluite nella crisi finanziaria del 2009-2009, che è risultata essere globale. Il rapporto debito/PIL ha raggiunto il picco negli Stati Uniti ed il suo declino ha dato inizio a ciò che possiamo chiamare fase di “declino rapido”. I Fed Funds Rate prossimi allo zero o le politiche di “alleggerimento quantitativo” non cambieranno l'evoluzione fondamentale dell'economia statunitense. Non c'è nessuna nuova “rivoluzione industriale” dietro l'angolo, a prescindere da ciò di cui vuole convincerci la propaganda sul “gas di scisto” o sul “petrolio di scisto”, ignorando peraltro la perdita di soldi e la catastrofe climatica. Abbiamo saccheggiato le risorse facili ed ora dobbiamo affrontarne le conseguenze. Se fossimo sufficientemente saggi collettivamente, il che non accade ancora, potremmo avere una piccola possibilità di evitare la Terza Guerra Mondiale negli anni e nei decenni a venire. Sfortunatamente, la storia sembra predire un risultato diversa.

* Tenente in mente che in uno scenario di declino globale le persone non hanno nessuno posto in cui migrare, a differenza del caso di un declino locale, come quello di Detroit.