giovedì 25 luglio 2013

Ted Patzek sull'agricoltura industriale

Da “Lifeitself”. Traduzione di MR

Di Ted Patzek

Come ho sostenuto in alcuni post precedenti (1, 2, e 3), l'agricoltura industriale è il progetto più vasto al mondo come impatto sulla Terra, più vasto di qualsiasi altra attività umana. Bisogna tenere a mente che in confronto agli impatti ambientali globali dell'agricoltura industriale, l'esplosione del pozzo di Macondo (Deepwater Horizon) è un gioco da ragazzi. Lo so perché sono co-autore di un libro su questo tema. Per esempio, nella foresta amazzonica, gli incendi del sottobosco appiccati dagli esseri umani colpiscono 3 milioni di chilometri quadrati, un'area pari all'India. Cercate sul sito della NASA un riassunto di questa catastrofe globale.


I ricercatori hanno mappato per la prima volta l'estensione e la frequenza degli incendi del sottobosco attraverso un'area di studio (in verde) che copre 1.2 milioni di miglia quadrate (3 milioni di chilometri quadrati) nel sud della foresta amazzonica. Gli incendi erano ampiamente diffusi lungo i confini della foresta durante il periodo dello studio, dal 1999 al 2000. Gli incendi ricorrenti, tuttavia, sono concentrati in aree privilegiate dalla confluenza di condizioni climatiche adatte alla combustione e a fonti di accensione da parte degli esseri umani (che bruciavano la foresta per le piantagioni di soia o canna da zucchero). Immagine: Osservatorio della Terra della NASA.

Da un punto di vista ecologico, l'agricoltura industriale crea ecosistemi aperti e permanentemente immaturi, molti dei quali vengo resettati dagli esseri umani ogni anno. Siccome l'agricoltura di solito partorisce la creatura, per lo più ecosistemi nudi, la stessa è soggetta ad un enorme tasso di erosione del suolo. Il suolo quindi diventa un'altra risorsa fossile esauribile. In un post precedente, vi ho raccontato che l'agricoltura industriale non è sostenibile, perché viene continuamente sussidiata con risorse fossili esauribili, compresa l'acqua fossile. Se volete verificare cosa stiamo facendo con l'acqua, basta rimanere in Australia.

Parlando di combustibili fossili, l'umanità estrae un miglio cubo (quattro chilometri cubi) di petrolio fossile all'anno e 150 chilometri cubi di acqua all'anno. Gran parte di quest'acqua è insostituibile su scala temporale umana e può essere considerata un'altra risorsa fossile. Gran parte dell'acqua di falda viene estratta per l'agricoltura.

Quindi, quanto è grande l'agricoltura industriale? E' difficile quantificare gli impatti dell'agricoltura sulla Terra, ma un'analisi dei dati FAOSTAT può illuminarne alcuni aspetti. Ecco quindi cosa ho fatto: ho considerato le colture più diffuse al mondo per agrocombustibili e alimentazione del bestiame: mais, soia, canna da zucchero e olio di palma (semi di colza in Europa). Ho tenuto conto di tutti i paesi in America, Asia. Africa, Europa e Oceania. Separatamente, ho considerato il grano e il riso. La linea di fondo è mostrata nelle tre figure sotto.

Per coltivare colture per gli agrocombustibili, gli esseri umani hanno strappato alle foreste tropicali e alle savane più produttive della Terra (praterie e steppe) un'area pari al subcontinente indiano. Il danno permanente alla salute del pianeta è stato sconcertante e gli esseri umani pagheranno caro per questa follia con le loro vite e la loro salute. Le due colture principali, grano e riso, ora coprono un'area equivalente a quella della Repubblica Democratica del Congo. Vi prego di ricordare che queste sono solo le aree agricole. Ora pensate alle strade di accesso, agli insediamenti di esseri umani (che lavorano la terra, spostano le cose e portano i fertilizzanti), gli impianti di stoccaggio e lavorazione, il trasporto dai tropici alle latitudini moderate e così via.

L'area complessiva delle principali colture per agrocombustibili come mais, canna da zucchero, soia ed olio di palma (ed anche colza) è quasi triplicata negli ultimi 50 anni ed ora supera l'area dell'India. L'area totale del grano e del riso è quasi raddoppiata fino a raggiungere l'area della Repubblica Democratica del Congo. Le colture per agrocombustibili prosperano negli Stati Uniti e ai tropici ed hanno avuto un'enorme impatto negativo sulla salute dell'ambiente del pianeta. 


Un'area equivalente al subcontinente indiano è stata strappata alle foreste e alle savane della Terra principalmente per colture per agricombustibili. Pensate che massacrare l'ecosistema più produttivo del pianeta sia una cosa buona per la sua (e nostra) salute?

L'area del grano e del riso ora è uguale all'area totale di uno dei paesi più grandi dell'Africa, la Repubblica Democratica del Congo, che non è né democratica né una repubblica. 

Con questo quarto capitolo concludo, per il momento, la mia analisi delle influenze multiple e complesse dell'industria degli agrocombustibili sullo stato del pianeta. Spero che da ora capiate che gli agrocombustibili sono una ricetta sicura perché l'umanità si suicidi più rapidamente è più completamente. 


L'agricoltura non si ferma ai margini delle terre emerse. Ecco una ampia fioritura di alghe su una spiaggia di Qingdao, in Cina (6 luglio 2013). Un fattore centrale è il grande apporto di nutrienti dagli scarichi agricoli e dalle acque reflue, ma anche i nutrienti iniettati per l'allevamento di alghe contribuiscono a loro volta. Questa marea verde, diffusa su oltre 7.500 miglia quadrate, è ritenuta essere il doppio dell'esplosione che nel 2008 ha minacciato gli eventi di vela durante le Olimpiadi di Pechino.

Concludendo, per favore guidate di meno, usate meno di tutto, tormentate i vostri “rappresentanti” per avere un sistema di trasporto elettrico e cominciate a comprare localmente. Ben presto dovrete usare metropolitana leggera, treno elettrico e comprare cibo locale. E, per favore, non fate finta che non vi abbia detto per l'ennesima volta di cominciare a comportarvi come cittadini responsabili di un pianeta vivente e di smettere di essere dei robot consumatori in stile Pacman. 


P.S.

Ecco le aree globali delle colture incluse nella mia analisi. La fonte di tutti i dati è la FAOSTAT, ho scritto programmi MATLAB che leggono i dati per tutti i paesi sul pianeta ed ho analizzato le colture che ho preso in considerazione. 

La più vasta coltura del pianeta è di gran lunga il mais, seguita da riso, soia e grano. Le aree della canna da zucchero e delle piantagioni di olio di palma sono molto più piccole, ma a loro volta sono in rapida crescita. 

Negli ultimi 50 anni, l'area totale adibita a coltura del mais è raddoppiata fino a raggiungere le dimensioni dell'Iran.

Negli ultimi 50 anni, l'area delle risaie è aumentata del 30% ed ha quasi raggiunto l'area dell'Iran.


Negli ultimi 50 anni, l'area totale della coltura di soia è aumentata di 5 volte fino a raggiungere l'area del Venezuela.

Durante gli ultimi 50 anni, l'area totale della coltura di grano è quasi raddoppiata fino a raggiungere l'area del Venezuela. Il balzo del 1991 segue la caduta dell'Unione Sovietica e gli sbalzi della produzione di grano in Ucraina e Russia.

Negli ultimi 50 anni, l'area totale di coltura della canna da zucchero è raddoppiata raggiungendo quasi l'area della Polonia.

Negli ultimi 50 anni, l'area totale di coltura delle piantagioni per l'olio di palma è cresciuto di 6 volte, raggiungendo quasi l'area della Polonia.



mercoledì 24 luglio 2013

Un mare di gas naturale?

Da “The Oil Crash" del 29 dicembre 2010. Traduzione di MR


 Di Antonio Turiel

Cari lettori,

in questi giorni molti lettori mi hanno consultato su una notizia apparsa recentemente nel quotidiano El País, dice quanto segue:


Le nuove scoperte fanno impennare le riserve e cambiano le regole del mercato 

Leggendo la notizia si ha l'impressione siano avvenute delle scoperte del tutto inaspettate di grandissime sacche di gas in determinate formazioni non convenzionali (vale a dire, che non hanno la stessa geologia dei giacimenti sfruttati fino ad ora o convenzionali) che fino ad ora erano inaccessibili e che ora sono stati aperti grazie a nuove tecniche, cambiando così completamente il panorama: gli Stati Uniti passano dall'essere importatori a esportatori di gas, ci sono molte buone prospettive in Europa (per cui la Russia perde il suo peso nel Vecchio Continente), altri paesi come l'Argentina riuscirebbero a risolvere i loro problemi di dipendenza dell'estero... Insomma, una rivoluzione molto positiva.

La notizia ha tre implicazioni principali:

  1. La produzione di gas aumenta enormemente, per cui si allontana il fantasma della scarsità di gas (il redattore de El País parla addirittura di quattro decenni).
  2. Il prezzo del gas si manterrà stabile durante questo periodo.
  3. Anche se la notizia non lo commenta, l'aumento di gas è un aspetto chiave per compensare l'ormai conclamato declino della produzione di petrolio convenzionale, visto che una buona parte del petrolio non convenzionale futuro deve provenire dalla conversione da gas a liquidi.

In realtà, nulla è buono come sembra, come abbiamo già detto su questo blog, soprattutto in alcune parti di un post di luglio, “Il picco del gas” e in alcuni commenti sparsi di altri post. Il gas non convenzionale proviene fondamentalmente da tre tipi di terreno: shale (o scisti), letti di carbone e sabbie bituminose. Secondo l'ultimo World Energy Outlook dell'Agenzia internazionale per l'Energia (International Energy Agency – IEA), le sabbie bituminose hanno un potenziale limitato, il metano del letto di carbone è, principalmente, una grande risorsa cinese e in misura minore degli Stati Uniti e l'opzione più alla portata di Stati Uniti ed Europa, mentre quella che spiega l'attuale abbondanza in Nord America è il gas da ardesia. Tuttavia, c'è una moltitudine di ma, in replica alle implicazioni citate sopra:

  1. Non è evidente che si stia producendo una tale abbondanza di gas negli Stati Uniti, visto che le cifre sono un po' contraffatte, come denuncia Dave Cohen. Tenendo conto che le curve di produzione di gas decadono più rapidamente di quanto modellizzato (esponenziale anziché iperbolico), in alcuni casi smettendo di essere sfruttabile economicamente solo in un paio d'anni, alcuni geologi affermano che le riserve sono gonfiate. Di fatto, le compagnie che sfruttano queste riserve hanno tutti gli incentivi per gonfiare le proprie riserve perché così il loro valore in borsa aumenta, con la speranza che vengano comprate dalle compagnie più grandi. La stessa IEA ha moderato il suo ottimismo sulla produzione di gas non convenzionale che del 2009 occupava un posto centrale, mentre nel 2010 si riconosce che la sua abbondanza comincerà a declinare dopo il 2011. 
  2. Il gas si vende a piedi (metri) cubi o per unità termiche equivalenti britanniche BTU (grosso modo, 1.000 piedi cubi di gas naturale equivalgono a un milione di BTU, MBTU). Al giorno d'oggi, il prezzo minimo per MTBU perché sia redditizio sfruttare il gas di shale è di 8$, mentre attualmente se ne stanno pagando circa 4. Pertanto, il prezzo del gas dovrebbe salire, e di molto, per poter sfruttare questa fonte su scala apprezzabile. A maggior abbondanza, dati i costi ambientali enormi dello sfruttamento delle ardesie (di cui abbiamo discusso nel “picco del gas") è possibile che il gas di shale non sia una fonte netta di energia, ma una perdita, per cui a lungo termine si dovrà vedere che non è economico sfruttare questo gas. 
  3. L'abbondanza di gas naturale, che se non si producono nuovi progressi tecnici ha tutta l'aria di durare pochi anni, non si potrà nemmeno usare per trasformarlo su grande scala in succedaneo del petrolio per mancanza di infrastruttura di liquefazione, che richiede un grande capitale e tempo per il suo sviluppo. 


Se ci pensate, la maggioranza dei link di questo post sono vecchi di molti mesi e potrei persino darvi dei link ad articoli di due o tre anni fa, seguendo la discussione su The Oil Drum sul tema. E' un tema che si discute attivamente, che lo scorso anno ha avuto un grande miglioramento grazie al WEO del 2009... Ed ora El País annuncia la buona nuova. Perché? Forse mancano gli investitori o il credere nei miracoli...


Saluti.
AMT

domenica 21 luglio 2013

Desertec: la zattera e il transatlantico

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Il transatlantico "Great Eastern". Varato nel 1858 era di gran lunga la nave più grande mai costruita e tale rimase per almeno mezzo secolo. Ma era anche troppo grande per essere funzionale e fu un disastro commerciale. L'ambizioso progetto “Desertec”, l'idea di alimentare l'Europa con energia rinnovabile dal Nord Africa, potrebbe avere lo stesso destino (fonte dell'immagine).



Ho seguito la storia di “Desertec” a lungo; l'idea ambiziosa di costruire impianti solari su larga scala in Nord Africa per produrre energia da spedire in Europa.

Desertec mi ha sempre lasciato perplesso. Con i suoi impianti enormi e un costo di circa 400 miliardi di dollari, mi ha sempre fatto pensare che fosse come passare da una zattera ad un transatlantico senza aver mai costruito nulla in mezzo. In breve, l'equivalente moderno dello sfortunato transatlantico “Great Eastern”, costruito a metà del diciannovesimo secolo e troppo grande per i suoi tempi. Così, non sono stato sorpreso nel leggere, recentemente, che il progetto ha dei problemi (leggete anche qui).

Non che l'idea di base del progetto Desertec sia sbagliata. Il Nord Africa riceve un sacco di luce solare ed ha ampi spazi liberi che potrebbero essere usati con profitto per raccogliere questa energia per produrre elettricità. Ma ciò non è stato sufficiente per far funzionare economicamente il progetto. Il primo problema è stato il collasso dei prezzi dei pannelli fotovoltaici. Questo ha reso obsoleta l'idea originale del progetto che avrebbe dovuto poggiare sull'uso del solare a concentrazione. In pratica, con prezzi così bassi, aveva senso costruire impianti fotovoltaici direttamente in Europa. Anche con una radiazione solare inferiore, si sarebbero evitati i costi enormi dell'infrastruttura necessaria per portare l'elettricità dal Nord Africa.

Oltre a questo, il progetto Desertec ha sofferto del fatto di essere stato concepito con una specie di “mentalità Apollo”; l'idea che, se potevamo andare sulla Luna, allora potevamo fare tutto (ammesso che volessimo spendere abbastanza soldi). Ma il successo dell'Apollo non è mai stato ripetuto, anche se il fantasma del razzo Saturno è stato evocato molte volte per altri scopi, dall'economia basata sull'idrogeno alla fusione. Questo tipo di enormi sforzi con un recupero dell'investimento a lungo termine erano possibili negli anni 60, ma oggi non più. Con così poche risorse rimaste, viene data la priorità a progetti che promettono ritorni rapidi. E di certo Desertec non è uno di questi. Non abbiamo più quei soldi.

Ci sarebbe solo un modo per salvare il Desertec: costruire prima una macchina del tempo e quindi costruire gli impianti negli anni 60 (o, forse, ai tempi del “Great Eastern”).


sabato 20 luglio 2013

Il punto di non ritorno del negazionismo sul cambiamento climatico



Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR



di Ugo Bardi

In un precedente post, ho evidenziato come la posizione dei negazionisti climatici stesse diventando sempre più insostenibile. Ora, il discorso del Presidente Obama sembra avere mosso le acque non poco.


O almeno così sembra leggendo un articolo rivelatore di Chris Ladd, commentatore repubblicano sul Washington Times. Questo articolo deve essere letto ed assaporato – davvero sbalorditivo per il modo in cui dichiara chiaramente come la strategia di comunicazione del GOP (Grand Old Party – il partito repubblicano) gli si stia ritorcendo contro. Peter Sinclair ha già fatto un commento su questo pezzo; ne riproduco qui qualche estratto (il grassetto è mio):

..... ci dobbiamo rendere conto che la nostra strategia di negazione cieca si sta rivelando un suicidio politico

Dobbiamo smettere di spingere su “scienziati” pazzi che attuano tattiche prese in prestito dall'industria del tabacco per “smascherare” la ricerca credibile sul cambiamento climatico. 

A livello politico, i Repubblicani non devono confondere il cambiamento climatico con altri problemi di scienza contro credenze. Su questo problema l'opinione pubblica alla fine si muoverà nella direzione dei fatti riconosciuti a prescindere da quanta distorsione generiamo

Il cambiamento climatico.... sta diventando sufficientemente visibile al profano medio da condizionare i suoi progetti per le vacanze. Non possiamo più nuotare contro la corrente di questa marea scientifica ancora a lungo.

Quando l'opinione pubblica si allinea alla scienza ufficiale, la nostra posizione negazionista ci costerà l'opportunità di partecipare alla formazione delle politiche. Ci stiamo posizionando per un collasso politico catastrofico e improvviso che potrebbe diffondersi oltre questo singolo problema

...i conservatori non possono partecipare alla formazione di queste alternative se il partito fa in modo di essere definito politicamente da un branco di pazzi ridicoli. La negazione categorica del cambiamento climatico potrebbe essere la più grande minaccia del futuro a lungo termine del movimento conservatore. Per il Partito Repubblicano negli Stati Uniti, il negazionismo è un fiume che si sta prosciugando rapidamente.

Ora, il dibattito politico è un sistema complesso e, come tale, è soggetto a rapide “transizioni di fase” nelle quali i problemi ignorati fino ad un certo punto diventano improvvisamente importanti e centrali. Questo potrebbe essere la conseguenza di un solo evento eccezionale, come l'attacco del 9/11, o come conseguenza di un corpus di prove gradualmente crescente, come potrebbe accadere col cambiamento climatico.

Stiamo assistendo al punto di non ritorno del dibattito sul clima? Non possiamo ancora dirlo, ma è da notare che l'articolo del signor Ladd non ha ancora attirato su di sé (finora) il solito flusso di commenti dei negazionisti rabbiosi. Così, potremmo trovarci di fronte a grandi cambiamenti, in effetti.


venerdì 19 luglio 2013

La mela senza il baco



Agli architetti, spetta la responsabilità di aver fatto non pochi danni a questo povero pianeta, coprendo di cemento una frazione non trascurabile delle terre emerse (e, incidentalmente, principalmente delle terre migliori).

Lo tsunami di cemento armato che si è abbattuto su di noi continua a imperversare anche se, per fortuna, sembra mostrare qualche vago accenno di esaurimento. Perlomeno, alcuni architetti hanno capito che non è quello il modo di costruire gli edifici.

Fra questi architetti illuminati, c'è Anna Conti, fiorentina, che ha pubblicato recentemente il libro "La Mela senza il Baco." E' una visione originale e a tutto campo dei problemi che abbiamo: architettura, economia, rifiuti, energia e persino religione. Il libro risulta particolarmente efficace quando Anna Conti si occupa del suo campo specifico, quello dell'architettura. Sentite cosa scrive a proposito del cemento armato:

Concepito come un surrogato a basso costo della pietra o dell'argilla il cemento armato è un nn materiale che non si ricicla se non eventualmente per produrre altro orrore di cemento armato, desertificatore del territorio come dell'animo umano. E' uno dei segni macroscopici generalizzati della costruzione destinata a durare poco; il cemento armato ha bisogno di manutenzione già dopo dieci anni e nello stesso tempo è stato, e purtroppo è, uno degli strumenti di inquinamento e distruzione che ha divorato milioni di ettari di terreno anche delle zone più "pregiate" del pianeta, facendo vittime su vittime a ogni scossa di terremoto. Contro ogni logica, inclusa quella economica, stiamo perpetrando un suicidio estetico e ambientale.

Ce ne vorrebbero tanti di architetti così; purtroppo il danno è stato ormai fatto. Anche se lo tsunami di cemento si ritirerà, si lascerà dietro un paesaggio devastato, proprio come succede con gli tsunami oceanici.


giovedì 18 luglio 2013

La vera minaccia alla vita sulla Terra

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Se i livelli di popolazione continuano ad aumentare al ritmo attuale, i nostri nipoti vedranno la Terra immersa in una crisi ambientale senza precedenti, sostiene lo scienziato computazionale Stephen Emmott in questo estratto dal suo libro 10 Miliardi


Di Stephen Emmott

Si prevede che la popolazione globale superi i 10 miliardi in questo secolo. Foto: Getty

La Terra è la casa di milioni di specie. Solo una la domina. Noi. La nostra intelligenza, la nostra inventiva e le nostre attività, hanno modificato quasi ogni anfratto del pianeta. Di fatto, abbiamo un profondo impatto su di esso. Infatti, la nostra intelligenza, la nostra inventiva e le nostre attività ora sono i motori di ogni problema globale che fronteggiamo. E ognuno di questi problemi sta accelerando mentre continuiamo a crescere verso una popolazione globale di 10 miliardi. Di fatto, credo che possiamo giustamente chiamare la situazione in cui troviamo ora un'emergenza – un'emergenza planetaria senza precedenti. Noi umani siamo emersi come specie circa 200.000 anni fa. Per i tempi geologici, ciò è davvero incredibilmente recente.

Solo 10.000 anni fa, c'erano un milione di noi. Nel 1800, solo poco più di 200 anni fa, eravamo 1 miliardo. Nel 1960, 50 anni fa, eravamo 3 miliardi. Ora siamo più di 7 miliardi. Nel 2050, i vostri figli, o i figli dei vostri figli, vivranno su un pianeta con almeno 9 miliardi di altre persone. A un certo punto verso la fine del secolo, ci saranno almeno 10 miliardi di esseri umani. Probabilmente di più. Siamo giunti dove ci troviamo ora attraverso diverse civiltà – e società – che hanno “dato forma” agli eventi, tra le più importanti la rivoluzione agricola, la rivoluzione scientifica, la rivoluzione industriale e – in Occidente – la rivoluzione dell'assistenza sanitaria pubblica. Nel 1980, c'erano 4 miliardi di noi sul pianeta. Solo 10 anni dopo, eravamo 5 miliardi. Da questo punto si sono cominciate a vedere le conseguenze della nostra crescita. Non ultima fra queste era sull'acqua. Il nostro fabbisogno d'acqua – non solo l'acqua che bevevamo, ma l'acqua di cui avevamo bisogno per la produzione di cibo e per fare tutte le cose che stavamo consumando – stava andando alle stelle. Ma all'acqua stava cominciando ad accadere qualcosa. Nel 1984, i giornalisti hanno scritto dall'Etiopia di una carestia di proporzioni bibliche causata da siccità diffuse. Siccità inusuale, e alluvioni inusuali, stavano aumentando ovunque: Australia, Asia, USA, Europa. L'acqua, una risorsa vitale che pensavamo fosse abbondante, ora era improvvisamente qualcosa che era potenzialmente scarsa.

Nel 2000 c'erano 6 miliardi di noi. Stava diventando chiaro alla comunità scientifica mondiale che l'accumulo di CO2, metano ed altri gas serra nell'atmosfera – risultanti dall'incremento dell'agricoltura, dell'uso di territorio e della produzione, della trasformazione e del trasporto di tutto ciò che stavamo consumando – stava cambiando il clima. E che, di conseguenza, avevamo fra le mani un problema serio. Il 1998 era stato l'anno più caldo mai registrato. I dieci anni più caldi mai registrati sono stati dopo il 1998. Sentiamo il termine “clima” ogni giorno, quindi vale la pena pensare a cosa intendiamo veramente con esso. Ovviamente, “clima” non equivale a tempo meteorologico, Il clima è uno dei sistemi di supporto vitali della Terra, che determina se noi esseri umani possiamo o no vivere su questo pianeta. E' generato da quattro componenti: l'atmosfera (l'aria che respiriamo), l'idrosfera (l'acqua del pianeta), la criosfera (le calotte glaciali e i ghiacciai), la biosfera (le piante e gli animali del pianeta). Ormai, le nostre attività hanno iniziato a modificare ognuna di queste componenti.

Le nostre emissioni di CO2 modificano la nostra atmosfera. Il nostro usa d'acqua in aumento ha iniziato a modificare l'idrosfera. Le temperature atmosferiche e della superficie marina in aumento hanno iniziato a modificare la criosfera, in particolare nell'inaspettata contrazione delle calotte glaciali dell'Artico e della Groenlandia, Il nostro uso di territorio in aumento, per l'agricoltura, le città, le strade, l'estrazione mineraria – così come l'inquinamento che stiamo creando – ha iniziato a modificare la nostra biosfera. O, per metterla in un altro modo: abbiamo iniziato a cambiare il nostro clima. Ora siamo più di 7 miliardi sulla terra. Mentre il nostro numero continua a crescere, continuiamo ad aumentare la necessità di molta più acqua, molto più cibo, molto più territorio, molto più trasporto e molta più energia. Di conseguenza, stiamo accelerando il ritmo al quale cambiamo il clima. Infatti, le nostre attività non sono solo completamente interconnesse, ma ora interagiscono anche col complesso sistema nel quale viviamo: la Terra. E' importante capire come tutto questo sia connesso.

Prendiamo un aspetto importante, per quanto poco conosciuto, dell'aumento dell'uso di acqua: “l'acqua nascosta”. L'acqua nascosta è l'acqua usata per produrre le cose che consumiamo ma delle quale non pensiamo possano contenere acqua. Tali cose comprendono pollo, manzo, cotone, automobili, cioccolato e telefoni cellulari. Per esempio: ci vogliono circa 3000 litri d'acqua per produrre un hamburger. Nel 2012, sono stati consumati circa 5 miliardi di hamburger solo nel Regno Unito. Sono 15 trilioni di litri di acqua, in hamburger. Solo nel Regno Unito. Qualcosa come 14 miliardi di hamburger sono stati consumati negli Stati Uniti nel 2012. Sono circa 42 trilioni di litri d'acqua. Per produrre hamburger negli Stati uniti. In un anno. Per produrre un pollo ci voglio circa 9.000 litri d'acqua. Nel solo Regno Unito abbiamo consumato circa un miliardo di polli nel 2012. Per produrre un chilogrammo di cioccolato ci vogliono circa 27.000 litri d'acqua. Sono circa 2.700 litri d'acqua ogni barra di cioccolato. Questo di sicuro dovrebbe essere qualcosa su cui pensare quando si sta rannicchiati sul proprio divano in pigiama a mangiarlo.

Ma ho cattive notizie per i pigiami. Perché temo che servano 9.000 litri d'acqua per produrre i vostri pigiami di cotone. E servono 100 litri d'acqua per produrre una tazza di caffè. E questo prima che dell'acqua venga realmente aggiunta al vostro caffè. Probabilmente abbiamo bevuto circa 20 miliardi di tazze di caffè lo scorso anno nel Regno Unito. E – ironia delle ironie – servono qualcosa come 4 litri d'acqua per produrre una bottiglia di plastica da un litro. Lo scorso anno, nel solo Regno Unito, abbiamo comprato, bevuto e buttato via 9 miliardi di bottiglie d'acqua di plastica. Fa 36 miliardi di litri d'acqua, usata in modo del tutto inutile. Acqua sprecata per produrre bottiglie; per l'acqua. E servono circa 72.000 d'acqua per produrre uno dei 'chip' che fanno funzionare tipicamente il vostro portatile, il navigatore satellitare, l'iPad e la vostra auto. Erano più di due miliardi i chip di questo tipo prodotti nel 2012. Sono almeno 145 trilioni di litri d'acqua. In chip a semiconduttori. In breve, stiamo consumando acqua, come consumiamo cibo, a un ritmo che è del tutto insostenibile.

La richiesta di terreno per il cibo sta raddoppierà – come minimo – nel 2050 e triplicherà per la fine di questo secolo. Ciò significa che la pressione per radere al suolo molte delle foreste pluviali che rimangono per l'uso umano si intensificherà ad ogni decennio, perché questo è pressoché l'unico terreno disponibile rimasto per espandere l'agricoltura su scala. A meno che la Siberia non si scongeli prima che finiamo di deforestare. Nel 2050, è probabile che 1 miliardo di ettari di terreno saranno deforestati per soddisfare la domanda di cibo in aumento da parte di una popolazione in aumento. E' un'area più grande degli Stati Uniti. E ad accompagnare questo ci saranno 3 gigatonnellate all'anno di ulteriori emissioni di CO2. Se la Siberia si scongela prima che finiamo di deforestare, ne risulterebbe una grande quantità di nuovo terreno disponibile per l'agricoltura, così come l'apertura di una fonte molto ricca di minerali, metalli, petrolio e gas. Nel processo, questo cambierebbe in modo quasi del tutto certo le geopolitiche globali. La Siberia, liberandosi dai ghiacci, trasformerebbe la Russia in una notevole forza economica e politica in questo secolo, per via delle sue risorse minerali, agricole ed energetiche appena scoperte. Ciò sarebbe accompagnato inevitabilmente dal fatto che ampi depositi di metano – attualmente intrappolati sotto il Permafrost siberiano della tundra – vengano liberati, accelerando ulteriormente il problema climatico.

La foresta amazzonica brucia senza fiamma dopo essere stata abbattuta per il pascolo di bestiame in Brasile. Foto: Michael Nichols/Getty Images

Nel frattempo, altri 3 miliardi di persone avranno bisogno di un posto in cui vivere. Nel 2050, il 70% di noi vivrà nelle città. Questo secolo vedrà la rapida espansione delle città, così come la nascita di città completamente nuove che non esistono ancora. Vale la pena di menzionare il fatto che delle 19 città brasiliane che hanno raddoppiato la loro popolazione nei decenni passati, 10 sono in Amazzonia. Tutte queste useranno più territorio.

Attualmente non abbiamo nessun mezzo conosciuto per riuscire a sfamare 10 miliardi di noi al ritmo di consumo attuale e con l'attuale sistema industriale. Infatti, solo per sfamare noi stessi nei prossimi 40 anni avremo bisogno di produrre più cibo di tutta la produzione agricola degli ultimi 10.000 anni messa insieme. Tuttavia, la produttività alimentare è sulla via del declino, probabilmente in modo netto, durante i prossimi decenni a causa di: cambiamento climatico, degrado e desertificazione del suolo – entrambi i quali stanno aumentando rapidamente in molte parti del mondo – e stress idrico. Per la fine del secolo, vaste aree del pianeta non avranno più acqua utilizzabile.

Allo stesso tempo, il settore delle spedizioni e quello aereo sono proiettate a continuare ad espandersi rapidamente ogni anno, anno dopo anno, intorno al pianeta, trasportando più di noi e più delle cose che vogliamo consumare. Questo ci causerà enormi problemi in termini di emissioni di CO2, più carbonio nero, e più inquinamento da estrazione e lavorazione di tutta questa roba. Ma pensate a questo. Nel trasportare noi stessi e le nostre cose per tutto il pianeta, noi stiamo creando anche una rete molto efficiente per la diffusione di malattie potenzialmente catastrofiche. C'è stata una pandemia globale solo 95 anni fa – la Spagnola, che ora si stima abbia ucciso fino a 100 milioni di persone. E questo prima che una delle nostre innovazioni più discutibili – le linee aeree low cost – fossero inventate. La combinazione di milioni di persone che viaggiano in tutto il mondo ogni giorno e di altri milioni di persone che vivono in prossimità estrema a maiali e pollame – spesso nella stessa stanza, rendendo più probabile il salto di specie dei virus – significa che stiamo aumentando, significativamente, la probabilità di una nuova pandemia globale. Quindi non c'è da stupirsi che gli epidemiologi siano sempre più d'accordo sul fatto che una nuova pandemia ora sia una questione di “quando” e non di “se”.

Per soddisfare la domanda attesa, dovremo almeno triplicare – come minimo – la produzione di energia per la fine del secolo. Per soddisfare tale domanda, dovremo costruire, approssimativamente, qualcosa come: 1.800 delle dighe più grandi del mondo, o 23.000 centrali nucleari, 14 milioni di pale eoliche, 36 miliardi di pannelli solari o continuare prevalentemente con le riserve petrolio, carbone e gas – e costruire le 36.000 nuove centrali di cui significa che avremo bisogno. Le nostre riserve di petrolio, carbone e gas da sole valgono trilioni di dollari. I Governi e le grandi aziende di petrolio, carbone e gas – alcune delle più influenti multinazionali della Terra – decideranno davvero di lasciare i soldi sottoterra, mentre la domanda di energia aumenta senza sosta? Ne dubito.

Nel frattempo, il problema climatico emergente si trova su una scala completamente diversa. Il problema è che potremmo essere diretti verso un certo numero di “punti di non ritorno” nel sistema climatico globale. C'è l'obbiettivo globale politicamente condiviso - guidato dal Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – di limitare l'aumento della temperatura media globale a +2°C. Il fondamento logico di questo obbiettivo è che un aumento al di sopra dei 2°C porta a rischi significativi di cambiamento climatico catastrofico che porterebbero quasi certamente a “punti di non ritorno” planetari, causati da eventi come la fusione della piattaforma di ghiaccio della Groenlandia, il rilascio dei depositi di metano ghiacciato dalla tundra artica, o il degrado dell'Amazzonia. Di fatto, i primi due stanno già avvenendo ora, al di sotto della soglia dei +2°C.

Quanto al terzo, non stiamo aspettando il cambiamento climatico per farlo; los tiamo già facendo adesso attraverso la deforestazione. E le ricerche recenti mostrano che sembra certo che stiamo andando verso un aumento maggiore dei +2°C, un aumento molto maggiore. Ora è molto probabile che vedremo un aumento futuro della media globale di +4°C e non possiamo escludere i +6°C. Ciò sarà assolutamente catastrofico. Porterà ad un cambiamento climatico fuori controllo, capace di portare il pianeta in uno stato del tuto diverso, rapidamente. La Terra diventerà un buco infernale. Nei decenni lungo il tragitto, saremo testimoni di estremi senza precedenti in eventi atmosferici, incendi, alluvioni, ondate di calore, perdita di raccolti e foreste, stress idrico e aumento del livello del mare catastrofico. Ampie parti dell'Africa diventeranno aree permanentemente sinistrate. L'Amazzonia potrebbe essere trasformata in una savana o persino in un deserto. E l'intero sistema agricolo avrà di fronte una minaccia senza precedenti.

I paesi più “fortunati”, come il Regno Unito, gli Stati Uniti e gran parte dell'Europa, potrebbero apparire come molto simili a paesi militarizzati, con pesanti controlli in difesa dei confini progettati per evitare l'ingresso di milioni di persone, persone che si stanno muovendo perché il loro paese non è più abitabile, o ha acqua insufficiente per il cibo o sta vivendo dei conflitti per le risorse sempre più scarse. Queste persone saranno “migranti climatici”. Il termine “migranti climatici” è un termine al quale ci dovremo abituare sempre di più. Infatti, chiunque pensi che l'emergente stato globale delle cose non abbia un grande potenziale per il conflitto civile e internazionale illude sé stesso. Non è una coincidenza che quasi ogni conferenza scientifica alla quale vado sul cambiamento climatico ora abbia un nuovo tipo di partecipante: i militari. In ogni modo la guardiamo, un pianeta di 10 miliardi si presenta come un incubo. Quali sono, quindi, le nostre opzioni?
La sola soluzione che ci rimane è quella di cambiare comportamento, radicalmente e globalmente, ad ogni livello. In breve, abbiamo urgentemente bisogno di consumare meno. Molto meno. Radicalmente di meno. E dobbiamo conservare di più. Molto di più. Per ottenere un tale cambiamento radicale nel comportamento, avremmo bisogno anche di un'azione governativa radicale. Ma per quanto riguarda questo tipo di cambiamento, attualmente i politici sono parte del problema, non parte della soluzione, perché le decisioni che devono essere prese per attuare un significativo cambiamento di comportamento rendono inevitabilmente i politici molto impopolari e loro ne sono del tutto consapevoli.

Quindi, ciò per cui hanno invece optato i politici è una diplomazia fallimentare. Per esempio: il UNFCCC (UN Framework Convention on Climate Change), il cui lavoro è stato per 20 anni la stabilizzazione dei gas serra nell'atmosfera: fallito. Il UNCCD (UN Convention to Combat Desertification), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di fermare il degrado dei terreni e la desertificazione: fallito. Il CBD (Convention on Biological Diversity), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di ridurre il ritmo di perdita della biodiversità: fallito. Questi sono solo tre esempi di iniziative globali fallite. L'elenco e tristemente lunga. E il modo in cui i governi giustificano questo livello di inazione è sfruttando l'opinione pubblica e l'incertezza scientifica. Viene usata come scusa per dire “dobbiamo aspettare che la scienza provi che il cambiamento climatico stia avvenendo”. Questo ora è al di là di ogni dubbio. Quindi ora si dice “dobbiamo aspettare che gli scienziati siano in grado di dirci quali saranno gli impatti e i costi”. E, “dobbiamo spettare che l'opinione pubblica sia pronta all'azione”. Ma i modelli climatici non saranno mai scevri da incertezze. E per quanto riguarda l'opinione pubblica, i politici si sentono notevolmente liberi di ignorarla quando fa loro comodo – guerre, bonus alle banche e riforme sanitarie, per fare solo qualche esempio. Ciò che i politici ed i governi dicono sui loro impegni per affrontare il cambiamento climatico è completamente diverso da quello che stanno facendo riguardo ed esso.

E che dire degli affari? Nel 2008, un gruppo di economisti e scienziati molto rispettati guidati da Pavan Sukhdev, allora un economista anziano della Deutsche Bank, ha condotto un'autorevole analisi economica del valore della biodiversità. La loro conclusione? Il costo delle attività commerciali delle 3.000 multinazionali più grandi del mondo in perdite o danni alla natura ed all'ambiente ora è di 2,2 trilioni di dollari all'anno. E in aumento. Questi costi dovranno essere pagati in futuro. Dai vostri figlie e dai vostri nipoti. Per citare Sukhdev: “Le regole del commercio devono essere urgentemente cambiate, così le multinazionali competono sulla base dell'innovazione, della conservazione delle risorse e la soddisfazione delle richieste delle diverse parti in causa, piuttosto che sulla base di chi è più efficace nell'influenzare le regole governative, evitando tasse e ottenendo sussidi per attività dannose per massimizzare il ritorno per gli azionisti”. Penso che ciò accadrà. No. E per quanto riguarda noi?

Confesso che lo trovavo divertente, ma ora sono stanco di leggere nei settimanali delle celebrità che dicono: “Ho rinunciato alla mia 4x4 ed ora ho una Prius. Non sto facendo la mia parte per l'ambiente”? No, non la stanno facendo. Ma non è colpa loro. Il fatto è che loro – noi – non siamo bene informati. E questo fa parte del problema. Non riceviamo l'informazione di cui abbiamo bisogno. La scala e la natura del problema non ci viene semplicemente comunicata. E quando veniamo consigliati di fare qualcosa, questo scalfisce appena il problema. Ecco alcuni dei cambiamenti che ci sono stati richiesti di recente da parte di celebrità che amano pronunciarsi su questo tipo di cose, e da parte dei governi, persone che dovrebbero conoscere meglio piuttosto che presentare questo tipo di sciocchezze come 'soluzioni': scollega il tuo caricabatteria del cellulare; fai pipì nella doccia (il mio preferito); compra un'auto elettrica (no, non fatelo); usate una carta igienica a due veli piuttosto che a tre. Tutti questi sono gesti simbolici che dimenticano il fatto fondamentale che la scala e la natura dei problemi che affrontiamo sono immense, senza precedenti e probabilmente irrisolvibili.

I cambiamenti nel comportamento che ci vengono richiesti sono così fondamentali che nessuno vuole metterli in pratica. Quali sono? Noi dobbiamo consumare meno. Molto meno. Meno cibo, meno energia, meno cose. E qui vale la pena di sottolineare che “noi” si riferisce alla gente che vive in occidente e nel nord del globo. Attualmente ci sono 3 miliardi di persone nel mondo che hanno urgentemente bisogno di consumare di più: più acqua, più cibo, più energia. Dire “non fate figli” è del tutto ridicolo. Contraddice ogni pezzo di informazione codificata geneticamente che abbiamo dentro ed uno degli impulsi più importanti (e divertenti) che abbiamo. Detto questo, la peggior cosa che possiamo continuare a fare – globalmente – è quella di avere figli al ritmo attuale. Se l'attuale ritmo globale di riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di esseri umani. Secondo le Nazioni unite, la popolazione dello Zambia è prevista in aumento del 941% per la fine del secolo.

La popolazione della Nigeria in crescita del 349%, fono a 730 milioni di persone.
L'Afghanistan del 242%.
La Repubblica democratica del Congo del 213%.
Il Gambia del 242%.
Il Guatemala del 369%.
L'Iraq del 344%.
Il Kenya del 284%.
La Liberia del 300%.
Il Malawi del 741%.
Il Mali del 408%.
Il Niger del 766%.
La Somalia del 663%.
L'Uganda del 396%.
Lo Yemen del 299%.

Persino la popolazione degli Stati Uniti è prevista in crescita del 54% per il 2100, da 315 milioni nel 2012 a 478 milioni. Voglio solo sottolineare che se l'attuale ritmo globale di riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di persone, ce ne saranno 28 miliardi.

Dove ci porta questo? Guardiamola in questo modo. Se domani scoprissimo che ci fosse un asteroide in rotta di collisione con la Terra e – visto che la fisica è una scienza piuttosto semplice – fossimo in grado di calcolare che colpirebbe la Terra il 3 giugno del 2072 e sapessimo che il suo impatto spazzerebbe via il 70% della vita sulla Terra, i governi di tutto il mondo schiererebbero l'intero pianeta in un'azione senza precedenti. Ogni scienziato, ingegnere, università e impresa verrebbe reclutata: metà per trovare un modo per fermarlo, l'altra metà per trovare un modo per far sopravvivere la nostra specie e ricostruire se la prima opzione non avesse successo. Noi ci troviamo quasi precisamente in quella situazione ora, eccetto il fatto che non c'è una data precisa e che non c'è un asteroide. Il problema siamo noi. Perché non facciamo di più per la situazione in cui ci troviamo – data la dimensione del problema e l'urgenza necessaria – semplicemente non riesco a capirlo. Spendiamo 8 miliardi di euro al Cern per scoprire prove della particella chiamata Bosone di Higgs, che alla fine potrebbe o meno spiegare la massa e fornire un parziale successo per il modello standard della fisica della particelle. E i fisici del Cern sono desiderosi di dirci che questo è il più grande e più importante esperimento sulla terra. Non lo è. Il più grande e più importante esperimento sulla Terra è quello che stiamo conducendo, proprio adesso sulla Terra stessa. Solo un idiota negherebbe che c'è un limite al numero di persone che la Terra può sostenere. La domanda é, sono 7 miliardi (la nostra popolazione attuale), 10 miliardi o 28 miliardi? Penso che abbiamo già superato quel limite. Di gran lunga.

La scienza è essenzialmente scetticismo organizzato. Io passo la mia vita cercare di provare che il mio lavoro sia sbagliato o a cercare spiegazioni alternative ai miei risultati. E' chiamata condizione popperiana della falsificabilità. Spero di sbagliarmi. Ma la scienza va in una direzione che dice che non mi sto sbagliando. Possiamo a ragione chiamare la situazione un'emergenza senza precedenti. Abbiamo urgentemente bisogno di fare – e intendo fare realmente – qualcosa di radicale per evitare la catastrofe globale. Ma non credo che lo faremo. Penso che siamo fottuti. Ho chiesto ad alcuni dei più razionali e brillanti scienziati che conosca – uno scienziato che lavora in questo campo, uno giovane e uno del mio laboratorio – se ci fosse stata una sola cosa che doveva fare per la situazione che abbiamo di fronte, quale sarebbe stata? La loro replica? “Insegnare a mio figlio come usare una pistola”

Questo è un estratto adattato da Dieci Miliardi di Stephen Emmott (Penguin, £6.99)

martedì 16 luglio 2013

Un futuro incerto (VIII): l'alba

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Dopo la guerra con la Francia, la Svizzera aveva dispiegato una parte importante dei suoi effettivi alla frontiera occidentale, convinta che se ci fosse una minaccia, sarebbe venuta dal lato francese. La prosperità degli ultimi anni avevano portato la Svizzera, fra le altre cose, ad una certa inconsapevolezza su quale fosse la situazione al di là dei propri confini. Certo era che nei territori della vecchia Germania la gente delle diverse nazioni che ora occupavano il suo territorio avevano avuto due anni consecutivi di carestia. Quando già nel mese di aprile i termometri di alcune zone della Germania segnavano più di 30 gradi Centigradi e si anticipava una nuovo anno di raccolti mediocri, il popolo tedesco perse la pazienza. I diversi Lander crearono un grande esercito unito e si lanciarono con decisione alla conquista della Svizzera.

La qualità delle armi e la preparazione militare dell'esercito tedesco erano molto basse, ma ciò che gli dava forza era il suo numero schiacciante: un esercito di più di 100.000 uomini disperati, che avevano perso tutto o erano sul punto di perdere tutto. I piccoli reparti svizzeri alla frontiera non poterono far fronte ad una tale marea umana e furono letteralmente spazzati via. I tedeschi, con una maggioranza di truppe a piedi, avanzavano ad una velocità inusitata, radendo al suolo ogni cosa al loro passaggio. Avvertito da un messaggero venuto direttamente dal Ministero, Gianni si vide obbligato a scappare da Zurigo nella notte, accompagnato da Margueritte. Questa fuga fece infuriare un Gianni ormai stanco di fuggire. Ciò che gli invasori non sapevano è che stavolta era preparato.

Nelle periferie di Zurigo, vicino al suo primo impianto che ora era stato ampliato, Gianni aveva diversi capannoni vigilati da uomini di sua fiducia – persone buone che aveva salvato dalla rovina e alle quali aveva dato vitto e alloggio, gente preparata e con conoscenze tecniche e militari di base. In quei capannoni conservavano una dozzina di carri armati, con una corazza impenetrabile anche da proiettili di grande calibro, ma straordinariamente leggeri grazie agli strati laminati di fibra di carbonio. I blindati trasportavano al loro interno centinaia di proiettili di grande calibro e di pallottole per mitragliatrice, leggeri ed inseribili, fatti a loro volta in fibra di carbonio e spinti da esplosivi a base di idrogeno e metanolo. Data la leggerezza e la manovrabilità dei blindati, la loro eccellente corazza e la terribile potenza di fuoco che erano capaci di sviluppare, quei dodici blindati furono in grado di fare strage di tedeschi. La battaglia fra gli invasori e quella piccola forza blindata durò soltanto un paio d'ore e fini per diventare un esercizio di tiro al piattello. Quella notte, fra invasore ed invasi, ci furono più di 10.000 morti in territorio svizzero. I generali che comandavano l'esercito tedesco, vedendo che nemmeno sacrificando i suoi uomini migliori erano in grado di avvicinarsi ai blindati, decise di sciogliere l'esercito e di ritirarsi nel proprio territorio. Almeno 5.000 altri tedeschi furono fatti prigionieri nella loro fuga disordinata, anche se pochi di loro sarebbero arrivati vivi al carcere.

Dopo l'attacco folgorante dei tedeschi, centinaia di chilometri quadrati del nord della Svizzera erano diventati poco più che case crollate e coltivazioni perdute, falciate e schiacciate dal passaggio di quella truppa abbruttita. La gente che abitava in quella terra ora insudiciata, coloro che avevano potuto fuggire e rimanere in vita, ormai non potevano più riceverne pane e sostentamento almeno fino al raccolto seguente. E a ricostruire le case, le fattorie, i pagliai... ci sarebbero voluti mesi e molte famiglie di contadini non potevano nemmeno permetterselo. Zurigo si era liberata dalla barbarie per via dell'azione rapida di Gianni. Man mano che i blindati espellevano i tedeschi verso il loro paese, il paesaggio di desolazione che avevano lasciato diventava sempre più evidente per Gianni, che contemplava tutto ciò dall'alto di una collina a nord di Zurigo. Fortunatamente, pensò, Margueritte era in salvo, lontano, nelle retroguardie. Ma probabilmente altre Margueritte non avevano avuto la sua stessa fortuna quella sera nella quale, a tradimento, i tedeschi li avevano assaliti. Sentì un rabbia profonda, un odio alimentato dal risentimento di decenni in cui era stato umiliato da gente che considerava abbruttita ed inferiore. Ma stavolta no. Questa volta Gianni non era disposto a permettere che un tale affronto venisse cancellato così facilmente. Prese il suo la ricetrasmittente ed ordinò al comandante della sua flottiglia personale di blindati che inseguisse i tedeschi fino a Berlino se fosse stato necessario e che li annientasse.

I blindati, molto più veloci e potenti dell'esercito tedesco, fecero strage fra le truppe che si ritiravano, spaventate, fuggendo dall'orrore che si estendeva alle loro spalle. Lo stesso Gianni vide, attraverso le telecamere poste nel blindato del comandante, che i suoi blindati stavano scatenando una carneficina inimmaginabile. No, non poteva cadere nella stessa brutalità. Odiava quegli uomini che avevano messo in pericolo ciò che più amava al mondo: la sua università, la sua casa, il suo paese d'adozione, Margueritte... ma nonostante questo non poteva massacrarli come se fossero insetti. Ordinò ai suoi blindati di fermarsi e di dispiegarsi  in formazione occupando un'area di sicurezza in territorio tedesco.

Le settimane successive furono frenetiche per Gianni. Le sue fabbriche producevano blindati e dozzine, con tutte le loro munizioni ed esplosivi. Con il beneplacito del Governo Svizzero creò un protettorato in Germania, una zona cuscinetto, e tutto il resto della frontiera Svizzera fu militarizzata e vigilata dai nuovi blindati SPEG. In tutte le frontiere svizzere i controlli si fecero molti più serrati, limitando l'accesso agli svizzeri e alle persone con residenza o familiari nel paese elvetico. Oltre allo sforzo bellico e produttivo, Gianni fece generose offerte per la ricostruzione delle zone devastate, fino al punto che in quelle settimane spese metà della sua fortuna e col suo esempio ottenne che anche il Governo mettesse la sua parte.

Gianni odiava in modo viscerale ed irrazionale quella truppa di pezzenti che stavano per rovinare la sua opera, ma il suo cervello di scienziato lo spingeva a cercare di lasciare da parte i suoi pregiudizi e capire il perché. Centomila persone non si mettono d'accordo semplicemente perché sono malvagi; naturalmente c'era un motivo che aveva portato tanta gente ad agire in modo tanto brutale e concertato. Gianni fece visita al protettorato tedesco e parlò con decine di prigionieri e capì perfettamente cos'era successo. Mentre la Svizzera prosperava, la gente in Germania soffriva sempre di più. L'invasione era il mero prodotto della fame e la fuga da condizioni di vita sempre più miserabili. Niente di più semplice, niente di più prosaico.

Evidentemente il problema doveva essere generalizzato nel continente e probabilmente in tutto il mondo. Se Gianni voleva che il paradiso svizzero continuasse ad estendersi, non poteva abbandonare quelle migliaia di milioni di persone alla loro morte. La Svizzera non poteva chiudersi nella sua bolla, esibendo impudicamente la sua prosperità mentre il resto dell'Umanità soccombeva. Come sanno gli ecologi che studiano la dinamica delle popolazioni, nessuna barriera è sufficientemente forte da fermare la pressione di una popolazione sufficientemente grande e i blindati di Gianni potevano risultare efficaci per mettere in fuga più di un esercito o un'orda di sbandati di 100.000 persone, ma avrebbero finito per soccombere di fronte ad un attacco di un milione o due di persone, o più. C'era gente abbastanza in Europa da inondare letteralmente la Svizzera col proprio sangue e anche di più nella vicina Africa. E se la necessità continuava a spingere, alla fine sarebbero passati. E non solo quello. Un giorno sarebbero potute arrivare minacce da terre più lontane, alcune delle quali conservavano ancora alcune testate nucleari. Fortunatamente per il mondo, la maggior parte delle testate che conservavano le potenze nucleari erano state smantellate per sfruttare il combustibile nelle centrali nucleari quando l'uranio cominciò a scarseggiare negli anni 10, ma anche così un paio di ogive bastavano a mettere un piccolo paese come la Svizzera in ginocchio. Non c'era altra soluzione: doveva estendere la tecnologia all'Europa e al resto del mondo.

Dopo due settimane di discussione con il Ministero e molteplici contatti diplomatici, la Svizzera convocò una conferenza paneuropea a Berna per discutere i termini della condivisione della tecnologia SPEG, come passo preliminare alla sua estensione a tutto il mondo. All'incontro parteciparono osservatori di tutti i continenti, anche se alcuni di loro non riuscirono ad arrivare in tempo, data la precarietà dei mezzi di trasporto di quegli anni, questo nonostante il fatto che l'annuncio della conferenza fu fatto un mese prima della sua celebrazione. Dopo il discorso inaugurale del Primo Ministro svizzero, l'anfitrione dell'evento, la conferenza centrale fu quella di Gianni Palermo che spiegava le caratteristiche generali della tecnologia (i suoi requisiti, ma senza scendere nei dettagli di funzionamento) e abbozzava il suo potenziale su scala europea e globale. In realtà, Gianni proiettava numeri molto più modesti di quelli che offriva il vero potenziale della tecnologia SPEG, ma anche così si produsse un mormorio di soddisfazione fra i delegati – probabilmente non speravano di ottenere tanto. Gianni non si sentiva a suo agio nel partecipare a quel forum, anche se sapeva di doverlo fare. Nella sua testa aveva immaginato ciò che si aspettava di trovare a quella conferenza; vedeva sé stesso, umile professore universitario, che doveva parlare di fronte a decine di diplomatici con decenni di esperienza, una compostezza opprimente ed una notevole superbia, gente che ti fa sentire piccolo solo guardandoti dall'alto in basso. Ma invece di orgoglio e prepotenza con fine tatto diplomatico, Gianni si ritrovò a parlare ad una truppa di famelici, emaciati e pezzenti. Durante i pasti frugali delle cinque sessioni dell'evento, le loro distinte signorie divoravano il pane e la zuppa come se fossero prelibatezze. Dopo l'esposizione iniziale di Gianni, i delegati nazionali descrissero la situazione di ogni paese, spiegando le loro sfide a problemi più grandi, tutti diversi – desertificazione, mancanza d'acqua, inondazioni, bassa produttività agricola, tormente, epidemia – e tutti molto simili: con una fonte di energia affidabile, tutti quei problemi avrebbero potuto essere tenuti a distanza.

Dopo una breve giornata di lavoro coi delegati, durante l'ultima giornata dedicata alle conclusioni, Gianni espose un piano di espansione per i paesi europei con un tempo di realizzazione di circa cinque anni e per le prime esperienze pilota fuori dall'Europa; ma dedicò più della metà della presentazione a spiegare anche i limiti. Descrisse con molta precisione i problemi che si sarebbero presentati, a seconda della regione, se si fosse tentato di aggirare il limite di sostenibilità di ogni territorio, dando da intendere chiaramente che SPEG era l'ultima opportunità per l'Umanità e che se stavolta l'avidità e la sfrontatezza umana non fossero state tenute a bada, gli esseri umani sarebbero scomparsi inesorabilmente dal pianeta. Stabilì una quantità massima di energia per ogni territorio, che doveva essere destinata in primo luogo ad un'agricoltura sostenibile e alla produzione di acqua potabile a seconda della capacità del territorio, in secondo luogo a mantenere un livello sanitario corretto e degno e in terzo luogo all'educazione, nella quale i programmi di studio dovevano essere rivisti ed approvati dall'autorità accademica svizzera e nei quali andava data priorità alla formazione nel campo della sostenibilità e del rispetto dell'equilibrio naturale. Soltanto dopo aver adempiuto a queste tre necessità, a seconda del proprio livello di popolazione massima di carico rivedibile per ogni territorio, si sarebbe potuta usare tutta l'energia rimanente per altri usi, fino alla quota massima stabilita per il territorio.

La gestione della proprietà della tecnologia SPEG rimaneva in mano svizzera, che si impegnava a non negarla a nessun paese che aderisse ai suoi principi. La Svizzera diventava così il garante del benessere dell'Umanità e il paese più importante del mondo. Per la relativa sorpresa di Gianni, non ci furono proteste, non ci fu retorica contorta per cercare di arraffare più privilegi per gli uni a scapito degli altri. Fra i delegati c'era solo stanchezza e disperazione. I rappresentanti dei paesi europei e dei paesi pilota votarono ordinati e unanimemente l'accettazione incondizionata delle norme che erano state decise in quella conferenza. La conferenza si chiuse con tutti i delegati in piedi ad intonare l'Inno alla Gioia di Beethoven, che insieme alla bandiera svizzera diventavano il simbolo della nuova Europa e del nuovo mondo.

Cinque anni dopo il continente era irriconoscibile. Dopo grandi sforzi, alla fine la fame era finita e la vita prosperava di nuovo. La vita era ancora dura, ma sopportabile, in molti territori la cui capacità di carico si era ridotta, nonostante la tecnologia SPEG, a causa dell'inclemenza del Cambiamento Climatico. E la situazione era cangiante, per cui, almeno in Europa, non si poteva dar la battaglia per vinta. Nel Ministero Internazionale della Sostenibilità svizzero si lavorava intensamente rivedendo i programmi di installazione nazionale e fissando criteri standard per stabilire le quote energetiche e di uso di materie prime per ogni territorio. Fortunatamente al Ministero cominciavano ad arrivare le prime promozioni universitarie formate da Gianni, con molte idee nuove e progetti per il futuro.

Gianni aveva già compiuto settant'anni. Era seduto sulla panchina del suo giardino di fianco ad una giovane Margueritte nel pieno dello splendore dei suoi diciannove anni. Entrambi guardavano il giardino, dilettandosi del volo delle farfalle, contemplando una nuova primavera, fra le poche a meritare quel nome, trasformava il triste inverno in uno spettacolo di colore e vita.

- Un giorno dovrai porti di fronte a tutto questo, Margueritte – disse alla fine Gianni – Il resto del mondo sta ancora soffrendo. Il Ministero ha studiato nuovi progetti di espansione per l'Africa, l'America, l'Asia e l'Oceania, ma ci sono innumerevoli difficoltà. Siccità, tormente, il livello del mare che sale, quello delle falde acquifere che si abbassa... Il mondo è molto più grande dell'Europa e se è ancora difficile stabilizzare questo continente, al di fuori di esso la sfida è ciclopica. Ma è un nostro dovere: dobbiamo liberare l'Uomo dai suoi pesi. Non possiamo riposare finché un solo uomo soffre.

Margueritte sorrise e il suo volto si illuminò.

- Mi hai insegnato bene, so quello che devo fare e lo farò. Quando finirò gli studi all'Università mi prenderò in carico l'installazione internazionale e nel frattempo farò uno stage al Ministero della Sostenibilità – Margueritte prese la mano di Gianni e guardandolo coi suoi grandi occhi a mandorla gli disse in francese – Ormai puoi riposare, papà, proseguirò io il tuo lavoro.

Era la prima volta che Margueritte lo chiamava papà, anche se legalmente erano più di dieci anni che era suo padre. Forse perché parlavano quasi sempre in tedesco. Per dire quelle parole Margueritte aveva avuto bisogno di tornare alla lingua materna. Lui le diede un bacio sulla fronte e cominciò a piangere, e lei lo abbracciò.

- Non c'è mai stato un uomo migliore di te, papà.

- Non è vero Margueritte, ho fatto cose terribili.

- Tutti hanno fatto cose terribili in quegli anni, ho letto i libri di Storia. Ma tu hai saputo trovare la strada ed hai fatto più bene che male.

Dopo quel giorno, Margueritte unì i suoi studi all'Università, dove studiava fisica ed ingegneria, con la gestione degli impianti SPEG e il suo stage al Ministero per aiutare nella pianificazione sostenibile dei territori. Gianni a poco a poco gli cedette il passo e alla fine si incontravano soltanto per la gestione di uno spazio sostenibile comune: il giardino.

La Primavere successiva, prima dell'arrivo dei rigori dell'estate, Gianni fece un viaggio nostalgico a Roma. Non era più un uomo perseguitato, ma famoso e riconosciuto, anche se lui evitava di apparire in atti e omaggi pubblici. Col suo aspetto discreto, agli albori di una rispettabile anzianità, riusciva a non venire importunato e passare inosservato la maggior parte delle volte. Per arrivare in Lazio, il nuovo paese di cui Roma era la capitale, dovette attraversare mezza dozzina di paesi che solo venti anni prima non esistevano. I treni di quell'epoca andavano a velocità ridotte per ottimizzare l'efficienza energetica e, fra quello e i passaggi di frontiera, il viaggio per arrivare in Lazio durava più di un giorno. Ma Gianni non aveva più fretta: non aveva motivo di correre, visto che nessuno lo inseguiva. Al contrario, le guardie doganali lo salutavano con rispetto vedendo il suo passaporto svizzero e, vedendoci il suo nome sopra, si mettevano sull'attenti e molte volte gli allungavano ferventemente la mano. Uno lo abbracciò, addirittura. Fu proprio la guardia del passo di Serravalle, quel passo maledetto dove venti anni prima un gruppo di sbarbatelli, coltello alla mano, cercarono di prendere lui e Davide Rosi.

Il treno proseguiva nel suo lento tremolio. Il Piemonte e la liguria erano riuscite a conservare la propria rete ferroviaria in buone condizioni, ma in Toscana si notava l'abbandono di molti anni. Il Governo della Toscana, mettendo in pratica le direttive del Ministero svizzero della Sostenibilità, aveva completato la Fase tre di Rigenerazione Sostenibile del Territorio e stava dedicando i suoi sforzi alla strutturazione efficiente del territorio: Gianni vide molte macchina di fabbricazione svizzera che lavoravano per ripristinare a e fare manutenzione alla strada. Guardando quelle colline, Gianni non poté evitare un brivido, ricordando la sua città natale rasa al suolo dalle bombe incendiarie francesi. Ma ora la Francia non esisteva più e Parigi tornava lentamente ad essere quello che non avrebbe mai dovuto smettere di essere: un centro europeo della cultura e della scienza.

Poco dopo essere entrato in Lazio, Gianni ricordò un campo di riconobbe abbandonato. Le macchine lavoravano al suo smantellamento, un imperativo per la necessità di riutilizzare i materiali, ma anche dal punto di vista morale. Forse in quel campo erano morti Enrico Pozzi e tanti altri suoi compagni. E cos'era successo agli esiliati? Angelo santi ed alcuni altri naufraghi erano giunti a Zurigo, ma cosa era stato fatto di tutti gli altri? O avevano seguito altre destinazioni niente affatto promettenti? Gianni non poté evitare di pensare a davide Rosi ed alla sua triste fine, caduto da molto più in alto di tutti gli altri. Come sempre, la consolazione di aver aiutato Colette e i suoi figli era l'unico rimedio al grande dolore che gli provocava il solo evocarlo.

Gianni alla fine scese dal treno a Roma. Non c'erano ricevimenti ufficiali, nessuno sapeva che sarebbe arrivato quel giorno, anche se lo aspettavano per la settimana seguente (volevano dargli la Gran Croce d'Oro al merito Civile del Lazio, anche se Gianni dubitava che potessero trovare oro per una croce tanto grande). Si diresse direttamente ad un modesto hotel, molto diverso da quello che il Ministero della Sostenibilità laziale gli aveva riservato per la settimana successiva. Si registrò coi suoi nuovi documenti di identità laziali che il Governo di quel paese gli aveva fatto arrivare “a riconoscimento dei lavori prestati per la sua patria di origine”, ignorando il fatto che, stricto sensu, egli era laziale di nascita. Il proprietario dell'hotel non sapeva chi fosse Gianni Palermo, ma sapeva che i documenti erano in ordine e che l'ospite era economicamente solvente, visto che pagava in anticipo i quattro giorni di soggiorno.

Dopo essersi registrato all'hotel, Gianni se ne andò a passeggio per le strade di Roma, un po' senza sapere dove stesse andando o meglio senza rendersi conto di dove andava. Arrivò quasi senza pensarci nelle vicinanze di quello che era stato il suo laboratorio di ricerca, allo stesso colle da dove fu testimone del suo saccheggio e del suo incendio. Erano passati vent'anni e nessuno aveva recuperato quello spazio. Si intuivano le rovine sotto gli arbusti e i cespugli che davano un tocco di verde, anche se malinconico, all'insieme. Un grande cartello, leggermente sbiadito a causa della pioggia, annunciava la ricostruzione imminente del centro “con il contributi del Fondo Svizzero di Sostenibilità Europea”, anche se a giudicare dalla data – tre anni prima – erano stati più zelanti nel mettere il cartello che non a cominciare i lavori. Alcune cose non cambiano di luogo anche se cambiamo di paese, pensò Gianni.

Ovunque vide le devastazioni della guerra contro i francesi, che nonostante il tempo trascorso – e della poca resistenza degli italiani – erano ancora molto evidenti. Vide soltanto alcuni edifici ricostruiti nei quartieri più signorili, in alcuni casi con fondi svizzeri. Prese nota, per riportarlo al Ministero della Sostenibilità Internazionale, una volta di ritorno a casa. Sicuramente era molto difficile superare molte abitudini  negative dell'epoca precedente.

Passeggiando e quasi senza volere giunse al suo vecchio quartiere, nella sua vecchia strada, alla sua vecchia casa. La zona non aveva subito più degrado di lui da quei venti anni che erano passati da quando l'aveva abbandonata, zaino in spalla. Senza sapere bene perché, entrò dalla porta della sua vecchia casa e salì fino all'appartamento dove abitava. Era un appartamento relativamente modesto. Il suo stipendio da professore universitario, dopo i tagli ripetuti, non era da tutti, e lui, senza familiari a carico, aveva preferito spendere i soldi in viaggi. Pensava a questo guardando la vecchia porta di colore verde opaco. Era uguale a venti anni prima e non era stata ridipinta. Cosa era stato di tutte le sue cose, di tutto quello che lasciò con la sua fuga? Senza riuscire a reprimere l'impulso, bussò alla porta.

Gli aprì una bambina di circa otto anni. Per un momento a Gianni parve di vedere Margueritte dieci anni prima. Dall'interno si sentì una voce femminile, senza dubbio era la madre: “Chi è?”

- E' un signore molto distinto – disse la bambina – Sembra uno scienziato.

FINE


Antonio Turiel
Luglio 2013