mercoledì 24 luglio 2013

Un mare di gas naturale?

Da “The Oil Crash" del 29 dicembre 2010. Traduzione di MR


 Di Antonio Turiel

Cari lettori,

in questi giorni molti lettori mi hanno consultato su una notizia apparsa recentemente nel quotidiano El País, dice quanto segue:


Le nuove scoperte fanno impennare le riserve e cambiano le regole del mercato 

Leggendo la notizia si ha l'impressione siano avvenute delle scoperte del tutto inaspettate di grandissime sacche di gas in determinate formazioni non convenzionali (vale a dire, che non hanno la stessa geologia dei giacimenti sfruttati fino ad ora o convenzionali) che fino ad ora erano inaccessibili e che ora sono stati aperti grazie a nuove tecniche, cambiando così completamente il panorama: gli Stati Uniti passano dall'essere importatori a esportatori di gas, ci sono molte buone prospettive in Europa (per cui la Russia perde il suo peso nel Vecchio Continente), altri paesi come l'Argentina riuscirebbero a risolvere i loro problemi di dipendenza dell'estero... Insomma, una rivoluzione molto positiva.

La notizia ha tre implicazioni principali:

  1. La produzione di gas aumenta enormemente, per cui si allontana il fantasma della scarsità di gas (il redattore de El País parla addirittura di quattro decenni).
  2. Il prezzo del gas si manterrà stabile durante questo periodo.
  3. Anche se la notizia non lo commenta, l'aumento di gas è un aspetto chiave per compensare l'ormai conclamato declino della produzione di petrolio convenzionale, visto che una buona parte del petrolio non convenzionale futuro deve provenire dalla conversione da gas a liquidi.

In realtà, nulla è buono come sembra, come abbiamo già detto su questo blog, soprattutto in alcune parti di un post di luglio, “Il picco del gas” e in alcuni commenti sparsi di altri post. Il gas non convenzionale proviene fondamentalmente da tre tipi di terreno: shale (o scisti), letti di carbone e sabbie bituminose. Secondo l'ultimo World Energy Outlook dell'Agenzia internazionale per l'Energia (International Energy Agency – IEA), le sabbie bituminose hanno un potenziale limitato, il metano del letto di carbone è, principalmente, una grande risorsa cinese e in misura minore degli Stati Uniti e l'opzione più alla portata di Stati Uniti ed Europa, mentre quella che spiega l'attuale abbondanza in Nord America è il gas da ardesia. Tuttavia, c'è una moltitudine di ma, in replica alle implicazioni citate sopra:

  1. Non è evidente che si stia producendo una tale abbondanza di gas negli Stati Uniti, visto che le cifre sono un po' contraffatte, come denuncia Dave Cohen. Tenendo conto che le curve di produzione di gas decadono più rapidamente di quanto modellizzato (esponenziale anziché iperbolico), in alcuni casi smettendo di essere sfruttabile economicamente solo in un paio d'anni, alcuni geologi affermano che le riserve sono gonfiate. Di fatto, le compagnie che sfruttano queste riserve hanno tutti gli incentivi per gonfiare le proprie riserve perché così il loro valore in borsa aumenta, con la speranza che vengano comprate dalle compagnie più grandi. La stessa IEA ha moderato il suo ottimismo sulla produzione di gas non convenzionale che del 2009 occupava un posto centrale, mentre nel 2010 si riconosce che la sua abbondanza comincerà a declinare dopo il 2011. 
  2. Il gas si vende a piedi (metri) cubi o per unità termiche equivalenti britanniche BTU (grosso modo, 1.000 piedi cubi di gas naturale equivalgono a un milione di BTU, MBTU). Al giorno d'oggi, il prezzo minimo per MTBU perché sia redditizio sfruttare il gas di shale è di 8$, mentre attualmente se ne stanno pagando circa 4. Pertanto, il prezzo del gas dovrebbe salire, e di molto, per poter sfruttare questa fonte su scala apprezzabile. A maggior abbondanza, dati i costi ambientali enormi dello sfruttamento delle ardesie (di cui abbiamo discusso nel “picco del gas") è possibile che il gas di shale non sia una fonte netta di energia, ma una perdita, per cui a lungo termine si dovrà vedere che non è economico sfruttare questo gas. 
  3. L'abbondanza di gas naturale, che se non si producono nuovi progressi tecnici ha tutta l'aria di durare pochi anni, non si potrà nemmeno usare per trasformarlo su grande scala in succedaneo del petrolio per mancanza di infrastruttura di liquefazione, che richiede un grande capitale e tempo per il suo sviluppo. 


Se ci pensate, la maggioranza dei link di questo post sono vecchi di molti mesi e potrei persino darvi dei link ad articoli di due o tre anni fa, seguendo la discussione su The Oil Drum sul tema. E' un tema che si discute attivamente, che lo scorso anno ha avuto un grande miglioramento grazie al WEO del 2009... Ed ora El País annuncia la buona nuova. Perché? Forse mancano gli investitori o il credere nei miracoli...


Saluti.
AMT

domenica 21 luglio 2013

Desertec: la zattera e il transatlantico

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Il transatlantico "Great Eastern". Varato nel 1858 era di gran lunga la nave più grande mai costruita e tale rimase per almeno mezzo secolo. Ma era anche troppo grande per essere funzionale e fu un disastro commerciale. L'ambizioso progetto “Desertec”, l'idea di alimentare l'Europa con energia rinnovabile dal Nord Africa, potrebbe avere lo stesso destino (fonte dell'immagine).



Ho seguito la storia di “Desertec” a lungo; l'idea ambiziosa di costruire impianti solari su larga scala in Nord Africa per produrre energia da spedire in Europa.

Desertec mi ha sempre lasciato perplesso. Con i suoi impianti enormi e un costo di circa 400 miliardi di dollari, mi ha sempre fatto pensare che fosse come passare da una zattera ad un transatlantico senza aver mai costruito nulla in mezzo. In breve, l'equivalente moderno dello sfortunato transatlantico “Great Eastern”, costruito a metà del diciannovesimo secolo e troppo grande per i suoi tempi. Così, non sono stato sorpreso nel leggere, recentemente, che il progetto ha dei problemi (leggete anche qui).

Non che l'idea di base del progetto Desertec sia sbagliata. Il Nord Africa riceve un sacco di luce solare ed ha ampi spazi liberi che potrebbero essere usati con profitto per raccogliere questa energia per produrre elettricità. Ma ciò non è stato sufficiente per far funzionare economicamente il progetto. Il primo problema è stato il collasso dei prezzi dei pannelli fotovoltaici. Questo ha reso obsoleta l'idea originale del progetto che avrebbe dovuto poggiare sull'uso del solare a concentrazione. In pratica, con prezzi così bassi, aveva senso costruire impianti fotovoltaici direttamente in Europa. Anche con una radiazione solare inferiore, si sarebbero evitati i costi enormi dell'infrastruttura necessaria per portare l'elettricità dal Nord Africa.

Oltre a questo, il progetto Desertec ha sofferto del fatto di essere stato concepito con una specie di “mentalità Apollo”; l'idea che, se potevamo andare sulla Luna, allora potevamo fare tutto (ammesso che volessimo spendere abbastanza soldi). Ma il successo dell'Apollo non è mai stato ripetuto, anche se il fantasma del razzo Saturno è stato evocato molte volte per altri scopi, dall'economia basata sull'idrogeno alla fusione. Questo tipo di enormi sforzi con un recupero dell'investimento a lungo termine erano possibili negli anni 60, ma oggi non più. Con così poche risorse rimaste, viene data la priorità a progetti che promettono ritorni rapidi. E di certo Desertec non è uno di questi. Non abbiamo più quei soldi.

Ci sarebbe solo un modo per salvare il Desertec: costruire prima una macchina del tempo e quindi costruire gli impianti negli anni 60 (o, forse, ai tempi del “Great Eastern”).


sabato 20 luglio 2013

Il punto di non ritorno del negazionismo sul cambiamento climatico



Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR



di Ugo Bardi

In un precedente post, ho evidenziato come la posizione dei negazionisti climatici stesse diventando sempre più insostenibile. Ora, il discorso del Presidente Obama sembra avere mosso le acque non poco.


O almeno così sembra leggendo un articolo rivelatore di Chris Ladd, commentatore repubblicano sul Washington Times. Questo articolo deve essere letto ed assaporato – davvero sbalorditivo per il modo in cui dichiara chiaramente come la strategia di comunicazione del GOP (Grand Old Party – il partito repubblicano) gli si stia ritorcendo contro. Peter Sinclair ha già fatto un commento su questo pezzo; ne riproduco qui qualche estratto (il grassetto è mio):

..... ci dobbiamo rendere conto che la nostra strategia di negazione cieca si sta rivelando un suicidio politico

Dobbiamo smettere di spingere su “scienziati” pazzi che attuano tattiche prese in prestito dall'industria del tabacco per “smascherare” la ricerca credibile sul cambiamento climatico. 

A livello politico, i Repubblicani non devono confondere il cambiamento climatico con altri problemi di scienza contro credenze. Su questo problema l'opinione pubblica alla fine si muoverà nella direzione dei fatti riconosciuti a prescindere da quanta distorsione generiamo

Il cambiamento climatico.... sta diventando sufficientemente visibile al profano medio da condizionare i suoi progetti per le vacanze. Non possiamo più nuotare contro la corrente di questa marea scientifica ancora a lungo.

Quando l'opinione pubblica si allinea alla scienza ufficiale, la nostra posizione negazionista ci costerà l'opportunità di partecipare alla formazione delle politiche. Ci stiamo posizionando per un collasso politico catastrofico e improvviso che potrebbe diffondersi oltre questo singolo problema

...i conservatori non possono partecipare alla formazione di queste alternative se il partito fa in modo di essere definito politicamente da un branco di pazzi ridicoli. La negazione categorica del cambiamento climatico potrebbe essere la più grande minaccia del futuro a lungo termine del movimento conservatore. Per il Partito Repubblicano negli Stati Uniti, il negazionismo è un fiume che si sta prosciugando rapidamente.

Ora, il dibattito politico è un sistema complesso e, come tale, è soggetto a rapide “transizioni di fase” nelle quali i problemi ignorati fino ad un certo punto diventano improvvisamente importanti e centrali. Questo potrebbe essere la conseguenza di un solo evento eccezionale, come l'attacco del 9/11, o come conseguenza di un corpus di prove gradualmente crescente, come potrebbe accadere col cambiamento climatico.

Stiamo assistendo al punto di non ritorno del dibattito sul clima? Non possiamo ancora dirlo, ma è da notare che l'articolo del signor Ladd non ha ancora attirato su di sé (finora) il solito flusso di commenti dei negazionisti rabbiosi. Così, potremmo trovarci di fronte a grandi cambiamenti, in effetti.


venerdì 19 luglio 2013

La mela senza il baco



Agli architetti, spetta la responsabilità di aver fatto non pochi danni a questo povero pianeta, coprendo di cemento una frazione non trascurabile delle terre emerse (e, incidentalmente, principalmente delle terre migliori).

Lo tsunami di cemento armato che si è abbattuto su di noi continua a imperversare anche se, per fortuna, sembra mostrare qualche vago accenno di esaurimento. Perlomeno, alcuni architetti hanno capito che non è quello il modo di costruire gli edifici.

Fra questi architetti illuminati, c'è Anna Conti, fiorentina, che ha pubblicato recentemente il libro "La Mela senza il Baco." E' una visione originale e a tutto campo dei problemi che abbiamo: architettura, economia, rifiuti, energia e persino religione. Il libro risulta particolarmente efficace quando Anna Conti si occupa del suo campo specifico, quello dell'architettura. Sentite cosa scrive a proposito del cemento armato:

Concepito come un surrogato a basso costo della pietra o dell'argilla il cemento armato è un nn materiale che non si ricicla se non eventualmente per produrre altro orrore di cemento armato, desertificatore del territorio come dell'animo umano. E' uno dei segni macroscopici generalizzati della costruzione destinata a durare poco; il cemento armato ha bisogno di manutenzione già dopo dieci anni e nello stesso tempo è stato, e purtroppo è, uno degli strumenti di inquinamento e distruzione che ha divorato milioni di ettari di terreno anche delle zone più "pregiate" del pianeta, facendo vittime su vittime a ogni scossa di terremoto. Contro ogni logica, inclusa quella economica, stiamo perpetrando un suicidio estetico e ambientale.

Ce ne vorrebbero tanti di architetti così; purtroppo il danno è stato ormai fatto. Anche se lo tsunami di cemento si ritirerà, si lascerà dietro un paesaggio devastato, proprio come succede con gli tsunami oceanici.


giovedì 18 luglio 2013

La vera minaccia alla vita sulla Terra

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Se i livelli di popolazione continuano ad aumentare al ritmo attuale, i nostri nipoti vedranno la Terra immersa in una crisi ambientale senza precedenti, sostiene lo scienziato computazionale Stephen Emmott in questo estratto dal suo libro 10 Miliardi


Di Stephen Emmott

Si prevede che la popolazione globale superi i 10 miliardi in questo secolo. Foto: Getty

La Terra è la casa di milioni di specie. Solo una la domina. Noi. La nostra intelligenza, la nostra inventiva e le nostre attività, hanno modificato quasi ogni anfratto del pianeta. Di fatto, abbiamo un profondo impatto su di esso. Infatti, la nostra intelligenza, la nostra inventiva e le nostre attività ora sono i motori di ogni problema globale che fronteggiamo. E ognuno di questi problemi sta accelerando mentre continuiamo a crescere verso una popolazione globale di 10 miliardi. Di fatto, credo che possiamo giustamente chiamare la situazione in cui troviamo ora un'emergenza – un'emergenza planetaria senza precedenti. Noi umani siamo emersi come specie circa 200.000 anni fa. Per i tempi geologici, ciò è davvero incredibilmente recente.

Solo 10.000 anni fa, c'erano un milione di noi. Nel 1800, solo poco più di 200 anni fa, eravamo 1 miliardo. Nel 1960, 50 anni fa, eravamo 3 miliardi. Ora siamo più di 7 miliardi. Nel 2050, i vostri figli, o i figli dei vostri figli, vivranno su un pianeta con almeno 9 miliardi di altre persone. A un certo punto verso la fine del secolo, ci saranno almeno 10 miliardi di esseri umani. Probabilmente di più. Siamo giunti dove ci troviamo ora attraverso diverse civiltà – e società – che hanno “dato forma” agli eventi, tra le più importanti la rivoluzione agricola, la rivoluzione scientifica, la rivoluzione industriale e – in Occidente – la rivoluzione dell'assistenza sanitaria pubblica. Nel 1980, c'erano 4 miliardi di noi sul pianeta. Solo 10 anni dopo, eravamo 5 miliardi. Da questo punto si sono cominciate a vedere le conseguenze della nostra crescita. Non ultima fra queste era sull'acqua. Il nostro fabbisogno d'acqua – non solo l'acqua che bevevamo, ma l'acqua di cui avevamo bisogno per la produzione di cibo e per fare tutte le cose che stavamo consumando – stava andando alle stelle. Ma all'acqua stava cominciando ad accadere qualcosa. Nel 1984, i giornalisti hanno scritto dall'Etiopia di una carestia di proporzioni bibliche causata da siccità diffuse. Siccità inusuale, e alluvioni inusuali, stavano aumentando ovunque: Australia, Asia, USA, Europa. L'acqua, una risorsa vitale che pensavamo fosse abbondante, ora era improvvisamente qualcosa che era potenzialmente scarsa.

Nel 2000 c'erano 6 miliardi di noi. Stava diventando chiaro alla comunità scientifica mondiale che l'accumulo di CO2, metano ed altri gas serra nell'atmosfera – risultanti dall'incremento dell'agricoltura, dell'uso di territorio e della produzione, della trasformazione e del trasporto di tutto ciò che stavamo consumando – stava cambiando il clima. E che, di conseguenza, avevamo fra le mani un problema serio. Il 1998 era stato l'anno più caldo mai registrato. I dieci anni più caldi mai registrati sono stati dopo il 1998. Sentiamo il termine “clima” ogni giorno, quindi vale la pena pensare a cosa intendiamo veramente con esso. Ovviamente, “clima” non equivale a tempo meteorologico, Il clima è uno dei sistemi di supporto vitali della Terra, che determina se noi esseri umani possiamo o no vivere su questo pianeta. E' generato da quattro componenti: l'atmosfera (l'aria che respiriamo), l'idrosfera (l'acqua del pianeta), la criosfera (le calotte glaciali e i ghiacciai), la biosfera (le piante e gli animali del pianeta). Ormai, le nostre attività hanno iniziato a modificare ognuna di queste componenti.

Le nostre emissioni di CO2 modificano la nostra atmosfera. Il nostro usa d'acqua in aumento ha iniziato a modificare l'idrosfera. Le temperature atmosferiche e della superficie marina in aumento hanno iniziato a modificare la criosfera, in particolare nell'inaspettata contrazione delle calotte glaciali dell'Artico e della Groenlandia, Il nostro uso di territorio in aumento, per l'agricoltura, le città, le strade, l'estrazione mineraria – così come l'inquinamento che stiamo creando – ha iniziato a modificare la nostra biosfera. O, per metterla in un altro modo: abbiamo iniziato a cambiare il nostro clima. Ora siamo più di 7 miliardi sulla terra. Mentre il nostro numero continua a crescere, continuiamo ad aumentare la necessità di molta più acqua, molto più cibo, molto più territorio, molto più trasporto e molta più energia. Di conseguenza, stiamo accelerando il ritmo al quale cambiamo il clima. Infatti, le nostre attività non sono solo completamente interconnesse, ma ora interagiscono anche col complesso sistema nel quale viviamo: la Terra. E' importante capire come tutto questo sia connesso.

Prendiamo un aspetto importante, per quanto poco conosciuto, dell'aumento dell'uso di acqua: “l'acqua nascosta”. L'acqua nascosta è l'acqua usata per produrre le cose che consumiamo ma delle quale non pensiamo possano contenere acqua. Tali cose comprendono pollo, manzo, cotone, automobili, cioccolato e telefoni cellulari. Per esempio: ci vogliono circa 3000 litri d'acqua per produrre un hamburger. Nel 2012, sono stati consumati circa 5 miliardi di hamburger solo nel Regno Unito. Sono 15 trilioni di litri di acqua, in hamburger. Solo nel Regno Unito. Qualcosa come 14 miliardi di hamburger sono stati consumati negli Stati Uniti nel 2012. Sono circa 42 trilioni di litri d'acqua. Per produrre hamburger negli Stati uniti. In un anno. Per produrre un pollo ci voglio circa 9.000 litri d'acqua. Nel solo Regno Unito abbiamo consumato circa un miliardo di polli nel 2012. Per produrre un chilogrammo di cioccolato ci vogliono circa 27.000 litri d'acqua. Sono circa 2.700 litri d'acqua ogni barra di cioccolato. Questo di sicuro dovrebbe essere qualcosa su cui pensare quando si sta rannicchiati sul proprio divano in pigiama a mangiarlo.

Ma ho cattive notizie per i pigiami. Perché temo che servano 9.000 litri d'acqua per produrre i vostri pigiami di cotone. E servono 100 litri d'acqua per produrre una tazza di caffè. E questo prima che dell'acqua venga realmente aggiunta al vostro caffè. Probabilmente abbiamo bevuto circa 20 miliardi di tazze di caffè lo scorso anno nel Regno Unito. E – ironia delle ironie – servono qualcosa come 4 litri d'acqua per produrre una bottiglia di plastica da un litro. Lo scorso anno, nel solo Regno Unito, abbiamo comprato, bevuto e buttato via 9 miliardi di bottiglie d'acqua di plastica. Fa 36 miliardi di litri d'acqua, usata in modo del tutto inutile. Acqua sprecata per produrre bottiglie; per l'acqua. E servono circa 72.000 d'acqua per produrre uno dei 'chip' che fanno funzionare tipicamente il vostro portatile, il navigatore satellitare, l'iPad e la vostra auto. Erano più di due miliardi i chip di questo tipo prodotti nel 2012. Sono almeno 145 trilioni di litri d'acqua. In chip a semiconduttori. In breve, stiamo consumando acqua, come consumiamo cibo, a un ritmo che è del tutto insostenibile.

La richiesta di terreno per il cibo sta raddoppierà – come minimo – nel 2050 e triplicherà per la fine di questo secolo. Ciò significa che la pressione per radere al suolo molte delle foreste pluviali che rimangono per l'uso umano si intensificherà ad ogni decennio, perché questo è pressoché l'unico terreno disponibile rimasto per espandere l'agricoltura su scala. A meno che la Siberia non si scongeli prima che finiamo di deforestare. Nel 2050, è probabile che 1 miliardo di ettari di terreno saranno deforestati per soddisfare la domanda di cibo in aumento da parte di una popolazione in aumento. E' un'area più grande degli Stati Uniti. E ad accompagnare questo ci saranno 3 gigatonnellate all'anno di ulteriori emissioni di CO2. Se la Siberia si scongela prima che finiamo di deforestare, ne risulterebbe una grande quantità di nuovo terreno disponibile per l'agricoltura, così come l'apertura di una fonte molto ricca di minerali, metalli, petrolio e gas. Nel processo, questo cambierebbe in modo quasi del tutto certo le geopolitiche globali. La Siberia, liberandosi dai ghiacci, trasformerebbe la Russia in una notevole forza economica e politica in questo secolo, per via delle sue risorse minerali, agricole ed energetiche appena scoperte. Ciò sarebbe accompagnato inevitabilmente dal fatto che ampi depositi di metano – attualmente intrappolati sotto il Permafrost siberiano della tundra – vengano liberati, accelerando ulteriormente il problema climatico.

La foresta amazzonica brucia senza fiamma dopo essere stata abbattuta per il pascolo di bestiame in Brasile. Foto: Michael Nichols/Getty Images

Nel frattempo, altri 3 miliardi di persone avranno bisogno di un posto in cui vivere. Nel 2050, il 70% di noi vivrà nelle città. Questo secolo vedrà la rapida espansione delle città, così come la nascita di città completamente nuove che non esistono ancora. Vale la pena di menzionare il fatto che delle 19 città brasiliane che hanno raddoppiato la loro popolazione nei decenni passati, 10 sono in Amazzonia. Tutte queste useranno più territorio.

Attualmente non abbiamo nessun mezzo conosciuto per riuscire a sfamare 10 miliardi di noi al ritmo di consumo attuale e con l'attuale sistema industriale. Infatti, solo per sfamare noi stessi nei prossimi 40 anni avremo bisogno di produrre più cibo di tutta la produzione agricola degli ultimi 10.000 anni messa insieme. Tuttavia, la produttività alimentare è sulla via del declino, probabilmente in modo netto, durante i prossimi decenni a causa di: cambiamento climatico, degrado e desertificazione del suolo – entrambi i quali stanno aumentando rapidamente in molte parti del mondo – e stress idrico. Per la fine del secolo, vaste aree del pianeta non avranno più acqua utilizzabile.

Allo stesso tempo, il settore delle spedizioni e quello aereo sono proiettate a continuare ad espandersi rapidamente ogni anno, anno dopo anno, intorno al pianeta, trasportando più di noi e più delle cose che vogliamo consumare. Questo ci causerà enormi problemi in termini di emissioni di CO2, più carbonio nero, e più inquinamento da estrazione e lavorazione di tutta questa roba. Ma pensate a questo. Nel trasportare noi stessi e le nostre cose per tutto il pianeta, noi stiamo creando anche una rete molto efficiente per la diffusione di malattie potenzialmente catastrofiche. C'è stata una pandemia globale solo 95 anni fa – la Spagnola, che ora si stima abbia ucciso fino a 100 milioni di persone. E questo prima che una delle nostre innovazioni più discutibili – le linee aeree low cost – fossero inventate. La combinazione di milioni di persone che viaggiano in tutto il mondo ogni giorno e di altri milioni di persone che vivono in prossimità estrema a maiali e pollame – spesso nella stessa stanza, rendendo più probabile il salto di specie dei virus – significa che stiamo aumentando, significativamente, la probabilità di una nuova pandemia globale. Quindi non c'è da stupirsi che gli epidemiologi siano sempre più d'accordo sul fatto che una nuova pandemia ora sia una questione di “quando” e non di “se”.

Per soddisfare la domanda attesa, dovremo almeno triplicare – come minimo – la produzione di energia per la fine del secolo. Per soddisfare tale domanda, dovremo costruire, approssimativamente, qualcosa come: 1.800 delle dighe più grandi del mondo, o 23.000 centrali nucleari, 14 milioni di pale eoliche, 36 miliardi di pannelli solari o continuare prevalentemente con le riserve petrolio, carbone e gas – e costruire le 36.000 nuove centrali di cui significa che avremo bisogno. Le nostre riserve di petrolio, carbone e gas da sole valgono trilioni di dollari. I Governi e le grandi aziende di petrolio, carbone e gas – alcune delle più influenti multinazionali della Terra – decideranno davvero di lasciare i soldi sottoterra, mentre la domanda di energia aumenta senza sosta? Ne dubito.

Nel frattempo, il problema climatico emergente si trova su una scala completamente diversa. Il problema è che potremmo essere diretti verso un certo numero di “punti di non ritorno” nel sistema climatico globale. C'è l'obbiettivo globale politicamente condiviso - guidato dal Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – di limitare l'aumento della temperatura media globale a +2°C. Il fondamento logico di questo obbiettivo è che un aumento al di sopra dei 2°C porta a rischi significativi di cambiamento climatico catastrofico che porterebbero quasi certamente a “punti di non ritorno” planetari, causati da eventi come la fusione della piattaforma di ghiaccio della Groenlandia, il rilascio dei depositi di metano ghiacciato dalla tundra artica, o il degrado dell'Amazzonia. Di fatto, i primi due stanno già avvenendo ora, al di sotto della soglia dei +2°C.

Quanto al terzo, non stiamo aspettando il cambiamento climatico per farlo; los tiamo già facendo adesso attraverso la deforestazione. E le ricerche recenti mostrano che sembra certo che stiamo andando verso un aumento maggiore dei +2°C, un aumento molto maggiore. Ora è molto probabile che vedremo un aumento futuro della media globale di +4°C e non possiamo escludere i +6°C. Ciò sarà assolutamente catastrofico. Porterà ad un cambiamento climatico fuori controllo, capace di portare il pianeta in uno stato del tuto diverso, rapidamente. La Terra diventerà un buco infernale. Nei decenni lungo il tragitto, saremo testimoni di estremi senza precedenti in eventi atmosferici, incendi, alluvioni, ondate di calore, perdita di raccolti e foreste, stress idrico e aumento del livello del mare catastrofico. Ampie parti dell'Africa diventeranno aree permanentemente sinistrate. L'Amazzonia potrebbe essere trasformata in una savana o persino in un deserto. E l'intero sistema agricolo avrà di fronte una minaccia senza precedenti.

I paesi più “fortunati”, come il Regno Unito, gli Stati Uniti e gran parte dell'Europa, potrebbero apparire come molto simili a paesi militarizzati, con pesanti controlli in difesa dei confini progettati per evitare l'ingresso di milioni di persone, persone che si stanno muovendo perché il loro paese non è più abitabile, o ha acqua insufficiente per il cibo o sta vivendo dei conflitti per le risorse sempre più scarse. Queste persone saranno “migranti climatici”. Il termine “migranti climatici” è un termine al quale ci dovremo abituare sempre di più. Infatti, chiunque pensi che l'emergente stato globale delle cose non abbia un grande potenziale per il conflitto civile e internazionale illude sé stesso. Non è una coincidenza che quasi ogni conferenza scientifica alla quale vado sul cambiamento climatico ora abbia un nuovo tipo di partecipante: i militari. In ogni modo la guardiamo, un pianeta di 10 miliardi si presenta come un incubo. Quali sono, quindi, le nostre opzioni?
La sola soluzione che ci rimane è quella di cambiare comportamento, radicalmente e globalmente, ad ogni livello. In breve, abbiamo urgentemente bisogno di consumare meno. Molto meno. Radicalmente di meno. E dobbiamo conservare di più. Molto di più. Per ottenere un tale cambiamento radicale nel comportamento, avremmo bisogno anche di un'azione governativa radicale. Ma per quanto riguarda questo tipo di cambiamento, attualmente i politici sono parte del problema, non parte della soluzione, perché le decisioni che devono essere prese per attuare un significativo cambiamento di comportamento rendono inevitabilmente i politici molto impopolari e loro ne sono del tutto consapevoli.

Quindi, ciò per cui hanno invece optato i politici è una diplomazia fallimentare. Per esempio: il UNFCCC (UN Framework Convention on Climate Change), il cui lavoro è stato per 20 anni la stabilizzazione dei gas serra nell'atmosfera: fallito. Il UNCCD (UN Convention to Combat Desertification), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di fermare il degrado dei terreni e la desertificazione: fallito. Il CBD (Convention on Biological Diversity), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di ridurre il ritmo di perdita della biodiversità: fallito. Questi sono solo tre esempi di iniziative globali fallite. L'elenco e tristemente lunga. E il modo in cui i governi giustificano questo livello di inazione è sfruttando l'opinione pubblica e l'incertezza scientifica. Viene usata come scusa per dire “dobbiamo aspettare che la scienza provi che il cambiamento climatico stia avvenendo”. Questo ora è al di là di ogni dubbio. Quindi ora si dice “dobbiamo aspettare che gli scienziati siano in grado di dirci quali saranno gli impatti e i costi”. E, “dobbiamo spettare che l'opinione pubblica sia pronta all'azione”. Ma i modelli climatici non saranno mai scevri da incertezze. E per quanto riguarda l'opinione pubblica, i politici si sentono notevolmente liberi di ignorarla quando fa loro comodo – guerre, bonus alle banche e riforme sanitarie, per fare solo qualche esempio. Ciò che i politici ed i governi dicono sui loro impegni per affrontare il cambiamento climatico è completamente diverso da quello che stanno facendo riguardo ed esso.

E che dire degli affari? Nel 2008, un gruppo di economisti e scienziati molto rispettati guidati da Pavan Sukhdev, allora un economista anziano della Deutsche Bank, ha condotto un'autorevole analisi economica del valore della biodiversità. La loro conclusione? Il costo delle attività commerciali delle 3.000 multinazionali più grandi del mondo in perdite o danni alla natura ed all'ambiente ora è di 2,2 trilioni di dollari all'anno. E in aumento. Questi costi dovranno essere pagati in futuro. Dai vostri figlie e dai vostri nipoti. Per citare Sukhdev: “Le regole del commercio devono essere urgentemente cambiate, così le multinazionali competono sulla base dell'innovazione, della conservazione delle risorse e la soddisfazione delle richieste delle diverse parti in causa, piuttosto che sulla base di chi è più efficace nell'influenzare le regole governative, evitando tasse e ottenendo sussidi per attività dannose per massimizzare il ritorno per gli azionisti”. Penso che ciò accadrà. No. E per quanto riguarda noi?

Confesso che lo trovavo divertente, ma ora sono stanco di leggere nei settimanali delle celebrità che dicono: “Ho rinunciato alla mia 4x4 ed ora ho una Prius. Non sto facendo la mia parte per l'ambiente”? No, non la stanno facendo. Ma non è colpa loro. Il fatto è che loro – noi – non siamo bene informati. E questo fa parte del problema. Non riceviamo l'informazione di cui abbiamo bisogno. La scala e la natura del problema non ci viene semplicemente comunicata. E quando veniamo consigliati di fare qualcosa, questo scalfisce appena il problema. Ecco alcuni dei cambiamenti che ci sono stati richiesti di recente da parte di celebrità che amano pronunciarsi su questo tipo di cose, e da parte dei governi, persone che dovrebbero conoscere meglio piuttosto che presentare questo tipo di sciocchezze come 'soluzioni': scollega il tuo caricabatteria del cellulare; fai pipì nella doccia (il mio preferito); compra un'auto elettrica (no, non fatelo); usate una carta igienica a due veli piuttosto che a tre. Tutti questi sono gesti simbolici che dimenticano il fatto fondamentale che la scala e la natura dei problemi che affrontiamo sono immense, senza precedenti e probabilmente irrisolvibili.

I cambiamenti nel comportamento che ci vengono richiesti sono così fondamentali che nessuno vuole metterli in pratica. Quali sono? Noi dobbiamo consumare meno. Molto meno. Meno cibo, meno energia, meno cose. E qui vale la pena di sottolineare che “noi” si riferisce alla gente che vive in occidente e nel nord del globo. Attualmente ci sono 3 miliardi di persone nel mondo che hanno urgentemente bisogno di consumare di più: più acqua, più cibo, più energia. Dire “non fate figli” è del tutto ridicolo. Contraddice ogni pezzo di informazione codificata geneticamente che abbiamo dentro ed uno degli impulsi più importanti (e divertenti) che abbiamo. Detto questo, la peggior cosa che possiamo continuare a fare – globalmente – è quella di avere figli al ritmo attuale. Se l'attuale ritmo globale di riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di esseri umani. Secondo le Nazioni unite, la popolazione dello Zambia è prevista in aumento del 941% per la fine del secolo.

La popolazione della Nigeria in crescita del 349%, fono a 730 milioni di persone.
L'Afghanistan del 242%.
La Repubblica democratica del Congo del 213%.
Il Gambia del 242%.
Il Guatemala del 369%.
L'Iraq del 344%.
Il Kenya del 284%.
La Liberia del 300%.
Il Malawi del 741%.
Il Mali del 408%.
Il Niger del 766%.
La Somalia del 663%.
L'Uganda del 396%.
Lo Yemen del 299%.

Persino la popolazione degli Stati Uniti è prevista in crescita del 54% per il 2100, da 315 milioni nel 2012 a 478 milioni. Voglio solo sottolineare che se l'attuale ritmo globale di riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di persone, ce ne saranno 28 miliardi.

Dove ci porta questo? Guardiamola in questo modo. Se domani scoprissimo che ci fosse un asteroide in rotta di collisione con la Terra e – visto che la fisica è una scienza piuttosto semplice – fossimo in grado di calcolare che colpirebbe la Terra il 3 giugno del 2072 e sapessimo che il suo impatto spazzerebbe via il 70% della vita sulla Terra, i governi di tutto il mondo schiererebbero l'intero pianeta in un'azione senza precedenti. Ogni scienziato, ingegnere, università e impresa verrebbe reclutata: metà per trovare un modo per fermarlo, l'altra metà per trovare un modo per far sopravvivere la nostra specie e ricostruire se la prima opzione non avesse successo. Noi ci troviamo quasi precisamente in quella situazione ora, eccetto il fatto che non c'è una data precisa e che non c'è un asteroide. Il problema siamo noi. Perché non facciamo di più per la situazione in cui ci troviamo – data la dimensione del problema e l'urgenza necessaria – semplicemente non riesco a capirlo. Spendiamo 8 miliardi di euro al Cern per scoprire prove della particella chiamata Bosone di Higgs, che alla fine potrebbe o meno spiegare la massa e fornire un parziale successo per il modello standard della fisica della particelle. E i fisici del Cern sono desiderosi di dirci che questo è il più grande e più importante esperimento sulla terra. Non lo è. Il più grande e più importante esperimento sulla Terra è quello che stiamo conducendo, proprio adesso sulla Terra stessa. Solo un idiota negherebbe che c'è un limite al numero di persone che la Terra può sostenere. La domanda é, sono 7 miliardi (la nostra popolazione attuale), 10 miliardi o 28 miliardi? Penso che abbiamo già superato quel limite. Di gran lunga.

La scienza è essenzialmente scetticismo organizzato. Io passo la mia vita cercare di provare che il mio lavoro sia sbagliato o a cercare spiegazioni alternative ai miei risultati. E' chiamata condizione popperiana della falsificabilità. Spero di sbagliarmi. Ma la scienza va in una direzione che dice che non mi sto sbagliando. Possiamo a ragione chiamare la situazione un'emergenza senza precedenti. Abbiamo urgentemente bisogno di fare – e intendo fare realmente – qualcosa di radicale per evitare la catastrofe globale. Ma non credo che lo faremo. Penso che siamo fottuti. Ho chiesto ad alcuni dei più razionali e brillanti scienziati che conosca – uno scienziato che lavora in questo campo, uno giovane e uno del mio laboratorio – se ci fosse stata una sola cosa che doveva fare per la situazione che abbiamo di fronte, quale sarebbe stata? La loro replica? “Insegnare a mio figlio come usare una pistola”

Questo è un estratto adattato da Dieci Miliardi di Stephen Emmott (Penguin, £6.99)

martedì 16 luglio 2013

Un futuro incerto (VIII): l'alba

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Dopo la guerra con la Francia, la Svizzera aveva dispiegato una parte importante dei suoi effettivi alla frontiera occidentale, convinta che se ci fosse una minaccia, sarebbe venuta dal lato francese. La prosperità degli ultimi anni avevano portato la Svizzera, fra le altre cose, ad una certa inconsapevolezza su quale fosse la situazione al di là dei propri confini. Certo era che nei territori della vecchia Germania la gente delle diverse nazioni che ora occupavano il suo territorio avevano avuto due anni consecutivi di carestia. Quando già nel mese di aprile i termometri di alcune zone della Germania segnavano più di 30 gradi Centigradi e si anticipava una nuovo anno di raccolti mediocri, il popolo tedesco perse la pazienza. I diversi Lander crearono un grande esercito unito e si lanciarono con decisione alla conquista della Svizzera.

La qualità delle armi e la preparazione militare dell'esercito tedesco erano molto basse, ma ciò che gli dava forza era il suo numero schiacciante: un esercito di più di 100.000 uomini disperati, che avevano perso tutto o erano sul punto di perdere tutto. I piccoli reparti svizzeri alla frontiera non poterono far fronte ad una tale marea umana e furono letteralmente spazzati via. I tedeschi, con una maggioranza di truppe a piedi, avanzavano ad una velocità inusitata, radendo al suolo ogni cosa al loro passaggio. Avvertito da un messaggero venuto direttamente dal Ministero, Gianni si vide obbligato a scappare da Zurigo nella notte, accompagnato da Margueritte. Questa fuga fece infuriare un Gianni ormai stanco di fuggire. Ciò che gli invasori non sapevano è che stavolta era preparato.

Nelle periferie di Zurigo, vicino al suo primo impianto che ora era stato ampliato, Gianni aveva diversi capannoni vigilati da uomini di sua fiducia – persone buone che aveva salvato dalla rovina e alle quali aveva dato vitto e alloggio, gente preparata e con conoscenze tecniche e militari di base. In quei capannoni conservavano una dozzina di carri armati, con una corazza impenetrabile anche da proiettili di grande calibro, ma straordinariamente leggeri grazie agli strati laminati di fibra di carbonio. I blindati trasportavano al loro interno centinaia di proiettili di grande calibro e di pallottole per mitragliatrice, leggeri ed inseribili, fatti a loro volta in fibra di carbonio e spinti da esplosivi a base di idrogeno e metanolo. Data la leggerezza e la manovrabilità dei blindati, la loro eccellente corazza e la terribile potenza di fuoco che erano capaci di sviluppare, quei dodici blindati furono in grado di fare strage di tedeschi. La battaglia fra gli invasori e quella piccola forza blindata durò soltanto un paio d'ore e fini per diventare un esercizio di tiro al piattello. Quella notte, fra invasore ed invasi, ci furono più di 10.000 morti in territorio svizzero. I generali che comandavano l'esercito tedesco, vedendo che nemmeno sacrificando i suoi uomini migliori erano in grado di avvicinarsi ai blindati, decise di sciogliere l'esercito e di ritirarsi nel proprio territorio. Almeno 5.000 altri tedeschi furono fatti prigionieri nella loro fuga disordinata, anche se pochi di loro sarebbero arrivati vivi al carcere.

Dopo l'attacco folgorante dei tedeschi, centinaia di chilometri quadrati del nord della Svizzera erano diventati poco più che case crollate e coltivazioni perdute, falciate e schiacciate dal passaggio di quella truppa abbruttita. La gente che abitava in quella terra ora insudiciata, coloro che avevano potuto fuggire e rimanere in vita, ormai non potevano più riceverne pane e sostentamento almeno fino al raccolto seguente. E a ricostruire le case, le fattorie, i pagliai... ci sarebbero voluti mesi e molte famiglie di contadini non potevano nemmeno permetterselo. Zurigo si era liberata dalla barbarie per via dell'azione rapida di Gianni. Man mano che i blindati espellevano i tedeschi verso il loro paese, il paesaggio di desolazione che avevano lasciato diventava sempre più evidente per Gianni, che contemplava tutto ciò dall'alto di una collina a nord di Zurigo. Fortunatamente, pensò, Margueritte era in salvo, lontano, nelle retroguardie. Ma probabilmente altre Margueritte non avevano avuto la sua stessa fortuna quella sera nella quale, a tradimento, i tedeschi li avevano assaliti. Sentì un rabbia profonda, un odio alimentato dal risentimento di decenni in cui era stato umiliato da gente che considerava abbruttita ed inferiore. Ma stavolta no. Questa volta Gianni non era disposto a permettere che un tale affronto venisse cancellato così facilmente. Prese il suo la ricetrasmittente ed ordinò al comandante della sua flottiglia personale di blindati che inseguisse i tedeschi fino a Berlino se fosse stato necessario e che li annientasse.

I blindati, molto più veloci e potenti dell'esercito tedesco, fecero strage fra le truppe che si ritiravano, spaventate, fuggendo dall'orrore che si estendeva alle loro spalle. Lo stesso Gianni vide, attraverso le telecamere poste nel blindato del comandante, che i suoi blindati stavano scatenando una carneficina inimmaginabile. No, non poteva cadere nella stessa brutalità. Odiava quegli uomini che avevano messo in pericolo ciò che più amava al mondo: la sua università, la sua casa, il suo paese d'adozione, Margueritte... ma nonostante questo non poteva massacrarli come se fossero insetti. Ordinò ai suoi blindati di fermarsi e di dispiegarsi  in formazione occupando un'area di sicurezza in territorio tedesco.

Le settimane successive furono frenetiche per Gianni. Le sue fabbriche producevano blindati e dozzine, con tutte le loro munizioni ed esplosivi. Con il beneplacito del Governo Svizzero creò un protettorato in Germania, una zona cuscinetto, e tutto il resto della frontiera Svizzera fu militarizzata e vigilata dai nuovi blindati SPEG. In tutte le frontiere svizzere i controlli si fecero molti più serrati, limitando l'accesso agli svizzeri e alle persone con residenza o familiari nel paese elvetico. Oltre allo sforzo bellico e produttivo, Gianni fece generose offerte per la ricostruzione delle zone devastate, fino al punto che in quelle settimane spese metà della sua fortuna e col suo esempio ottenne che anche il Governo mettesse la sua parte.

Gianni odiava in modo viscerale ed irrazionale quella truppa di pezzenti che stavano per rovinare la sua opera, ma il suo cervello di scienziato lo spingeva a cercare di lasciare da parte i suoi pregiudizi e capire il perché. Centomila persone non si mettono d'accordo semplicemente perché sono malvagi; naturalmente c'era un motivo che aveva portato tanta gente ad agire in modo tanto brutale e concertato. Gianni fece visita al protettorato tedesco e parlò con decine di prigionieri e capì perfettamente cos'era successo. Mentre la Svizzera prosperava, la gente in Germania soffriva sempre di più. L'invasione era il mero prodotto della fame e la fuga da condizioni di vita sempre più miserabili. Niente di più semplice, niente di più prosaico.

Evidentemente il problema doveva essere generalizzato nel continente e probabilmente in tutto il mondo. Se Gianni voleva che il paradiso svizzero continuasse ad estendersi, non poteva abbandonare quelle migliaia di milioni di persone alla loro morte. La Svizzera non poteva chiudersi nella sua bolla, esibendo impudicamente la sua prosperità mentre il resto dell'Umanità soccombeva. Come sanno gli ecologi che studiano la dinamica delle popolazioni, nessuna barriera è sufficientemente forte da fermare la pressione di una popolazione sufficientemente grande e i blindati di Gianni potevano risultare efficaci per mettere in fuga più di un esercito o un'orda di sbandati di 100.000 persone, ma avrebbero finito per soccombere di fronte ad un attacco di un milione o due di persone, o più. C'era gente abbastanza in Europa da inondare letteralmente la Svizzera col proprio sangue e anche di più nella vicina Africa. E se la necessità continuava a spingere, alla fine sarebbero passati. E non solo quello. Un giorno sarebbero potute arrivare minacce da terre più lontane, alcune delle quali conservavano ancora alcune testate nucleari. Fortunatamente per il mondo, la maggior parte delle testate che conservavano le potenze nucleari erano state smantellate per sfruttare il combustibile nelle centrali nucleari quando l'uranio cominciò a scarseggiare negli anni 10, ma anche così un paio di ogive bastavano a mettere un piccolo paese come la Svizzera in ginocchio. Non c'era altra soluzione: doveva estendere la tecnologia all'Europa e al resto del mondo.

Dopo due settimane di discussione con il Ministero e molteplici contatti diplomatici, la Svizzera convocò una conferenza paneuropea a Berna per discutere i termini della condivisione della tecnologia SPEG, come passo preliminare alla sua estensione a tutto il mondo. All'incontro parteciparono osservatori di tutti i continenti, anche se alcuni di loro non riuscirono ad arrivare in tempo, data la precarietà dei mezzi di trasporto di quegli anni, questo nonostante il fatto che l'annuncio della conferenza fu fatto un mese prima della sua celebrazione. Dopo il discorso inaugurale del Primo Ministro svizzero, l'anfitrione dell'evento, la conferenza centrale fu quella di Gianni Palermo che spiegava le caratteristiche generali della tecnologia (i suoi requisiti, ma senza scendere nei dettagli di funzionamento) e abbozzava il suo potenziale su scala europea e globale. In realtà, Gianni proiettava numeri molto più modesti di quelli che offriva il vero potenziale della tecnologia SPEG, ma anche così si produsse un mormorio di soddisfazione fra i delegati – probabilmente non speravano di ottenere tanto. Gianni non si sentiva a suo agio nel partecipare a quel forum, anche se sapeva di doverlo fare. Nella sua testa aveva immaginato ciò che si aspettava di trovare a quella conferenza; vedeva sé stesso, umile professore universitario, che doveva parlare di fronte a decine di diplomatici con decenni di esperienza, una compostezza opprimente ed una notevole superbia, gente che ti fa sentire piccolo solo guardandoti dall'alto in basso. Ma invece di orgoglio e prepotenza con fine tatto diplomatico, Gianni si ritrovò a parlare ad una truppa di famelici, emaciati e pezzenti. Durante i pasti frugali delle cinque sessioni dell'evento, le loro distinte signorie divoravano il pane e la zuppa come se fossero prelibatezze. Dopo l'esposizione iniziale di Gianni, i delegati nazionali descrissero la situazione di ogni paese, spiegando le loro sfide a problemi più grandi, tutti diversi – desertificazione, mancanza d'acqua, inondazioni, bassa produttività agricola, tormente, epidemia – e tutti molto simili: con una fonte di energia affidabile, tutti quei problemi avrebbero potuto essere tenuti a distanza.

Dopo una breve giornata di lavoro coi delegati, durante l'ultima giornata dedicata alle conclusioni, Gianni espose un piano di espansione per i paesi europei con un tempo di realizzazione di circa cinque anni e per le prime esperienze pilota fuori dall'Europa; ma dedicò più della metà della presentazione a spiegare anche i limiti. Descrisse con molta precisione i problemi che si sarebbero presentati, a seconda della regione, se si fosse tentato di aggirare il limite di sostenibilità di ogni territorio, dando da intendere chiaramente che SPEG era l'ultima opportunità per l'Umanità e che se stavolta l'avidità e la sfrontatezza umana non fossero state tenute a bada, gli esseri umani sarebbero scomparsi inesorabilmente dal pianeta. Stabilì una quantità massima di energia per ogni territorio, che doveva essere destinata in primo luogo ad un'agricoltura sostenibile e alla produzione di acqua potabile a seconda della capacità del territorio, in secondo luogo a mantenere un livello sanitario corretto e degno e in terzo luogo all'educazione, nella quale i programmi di studio dovevano essere rivisti ed approvati dall'autorità accademica svizzera e nei quali andava data priorità alla formazione nel campo della sostenibilità e del rispetto dell'equilibrio naturale. Soltanto dopo aver adempiuto a queste tre necessità, a seconda del proprio livello di popolazione massima di carico rivedibile per ogni territorio, si sarebbe potuta usare tutta l'energia rimanente per altri usi, fino alla quota massima stabilita per il territorio.

La gestione della proprietà della tecnologia SPEG rimaneva in mano svizzera, che si impegnava a non negarla a nessun paese che aderisse ai suoi principi. La Svizzera diventava così il garante del benessere dell'Umanità e il paese più importante del mondo. Per la relativa sorpresa di Gianni, non ci furono proteste, non ci fu retorica contorta per cercare di arraffare più privilegi per gli uni a scapito degli altri. Fra i delegati c'era solo stanchezza e disperazione. I rappresentanti dei paesi europei e dei paesi pilota votarono ordinati e unanimemente l'accettazione incondizionata delle norme che erano state decise in quella conferenza. La conferenza si chiuse con tutti i delegati in piedi ad intonare l'Inno alla Gioia di Beethoven, che insieme alla bandiera svizzera diventavano il simbolo della nuova Europa e del nuovo mondo.

Cinque anni dopo il continente era irriconoscibile. Dopo grandi sforzi, alla fine la fame era finita e la vita prosperava di nuovo. La vita era ancora dura, ma sopportabile, in molti territori la cui capacità di carico si era ridotta, nonostante la tecnologia SPEG, a causa dell'inclemenza del Cambiamento Climatico. E la situazione era cangiante, per cui, almeno in Europa, non si poteva dar la battaglia per vinta. Nel Ministero Internazionale della Sostenibilità svizzero si lavorava intensamente rivedendo i programmi di installazione nazionale e fissando criteri standard per stabilire le quote energetiche e di uso di materie prime per ogni territorio. Fortunatamente al Ministero cominciavano ad arrivare le prime promozioni universitarie formate da Gianni, con molte idee nuove e progetti per il futuro.

Gianni aveva già compiuto settant'anni. Era seduto sulla panchina del suo giardino di fianco ad una giovane Margueritte nel pieno dello splendore dei suoi diciannove anni. Entrambi guardavano il giardino, dilettandosi del volo delle farfalle, contemplando una nuova primavera, fra le poche a meritare quel nome, trasformava il triste inverno in uno spettacolo di colore e vita.

- Un giorno dovrai porti di fronte a tutto questo, Margueritte – disse alla fine Gianni – Il resto del mondo sta ancora soffrendo. Il Ministero ha studiato nuovi progetti di espansione per l'Africa, l'America, l'Asia e l'Oceania, ma ci sono innumerevoli difficoltà. Siccità, tormente, il livello del mare che sale, quello delle falde acquifere che si abbassa... Il mondo è molto più grande dell'Europa e se è ancora difficile stabilizzare questo continente, al di fuori di esso la sfida è ciclopica. Ma è un nostro dovere: dobbiamo liberare l'Uomo dai suoi pesi. Non possiamo riposare finché un solo uomo soffre.

Margueritte sorrise e il suo volto si illuminò.

- Mi hai insegnato bene, so quello che devo fare e lo farò. Quando finirò gli studi all'Università mi prenderò in carico l'installazione internazionale e nel frattempo farò uno stage al Ministero della Sostenibilità – Margueritte prese la mano di Gianni e guardandolo coi suoi grandi occhi a mandorla gli disse in francese – Ormai puoi riposare, papà, proseguirò io il tuo lavoro.

Era la prima volta che Margueritte lo chiamava papà, anche se legalmente erano più di dieci anni che era suo padre. Forse perché parlavano quasi sempre in tedesco. Per dire quelle parole Margueritte aveva avuto bisogno di tornare alla lingua materna. Lui le diede un bacio sulla fronte e cominciò a piangere, e lei lo abbracciò.

- Non c'è mai stato un uomo migliore di te, papà.

- Non è vero Margueritte, ho fatto cose terribili.

- Tutti hanno fatto cose terribili in quegli anni, ho letto i libri di Storia. Ma tu hai saputo trovare la strada ed hai fatto più bene che male.

Dopo quel giorno, Margueritte unì i suoi studi all'Università, dove studiava fisica ed ingegneria, con la gestione degli impianti SPEG e il suo stage al Ministero per aiutare nella pianificazione sostenibile dei territori. Gianni a poco a poco gli cedette il passo e alla fine si incontravano soltanto per la gestione di uno spazio sostenibile comune: il giardino.

La Primavere successiva, prima dell'arrivo dei rigori dell'estate, Gianni fece un viaggio nostalgico a Roma. Non era più un uomo perseguitato, ma famoso e riconosciuto, anche se lui evitava di apparire in atti e omaggi pubblici. Col suo aspetto discreto, agli albori di una rispettabile anzianità, riusciva a non venire importunato e passare inosservato la maggior parte delle volte. Per arrivare in Lazio, il nuovo paese di cui Roma era la capitale, dovette attraversare mezza dozzina di paesi che solo venti anni prima non esistevano. I treni di quell'epoca andavano a velocità ridotte per ottimizzare l'efficienza energetica e, fra quello e i passaggi di frontiera, il viaggio per arrivare in Lazio durava più di un giorno. Ma Gianni non aveva più fretta: non aveva motivo di correre, visto che nessuno lo inseguiva. Al contrario, le guardie doganali lo salutavano con rispetto vedendo il suo passaporto svizzero e, vedendoci il suo nome sopra, si mettevano sull'attenti e molte volte gli allungavano ferventemente la mano. Uno lo abbracciò, addirittura. Fu proprio la guardia del passo di Serravalle, quel passo maledetto dove venti anni prima un gruppo di sbarbatelli, coltello alla mano, cercarono di prendere lui e Davide Rosi.

Il treno proseguiva nel suo lento tremolio. Il Piemonte e la liguria erano riuscite a conservare la propria rete ferroviaria in buone condizioni, ma in Toscana si notava l'abbandono di molti anni. Il Governo della Toscana, mettendo in pratica le direttive del Ministero svizzero della Sostenibilità, aveva completato la Fase tre di Rigenerazione Sostenibile del Territorio e stava dedicando i suoi sforzi alla strutturazione efficiente del territorio: Gianni vide molte macchina di fabbricazione svizzera che lavoravano per ripristinare a e fare manutenzione alla strada. Guardando quelle colline, Gianni non poté evitare un brivido, ricordando la sua città natale rasa al suolo dalle bombe incendiarie francesi. Ma ora la Francia non esisteva più e Parigi tornava lentamente ad essere quello che non avrebbe mai dovuto smettere di essere: un centro europeo della cultura e della scienza.

Poco dopo essere entrato in Lazio, Gianni ricordò un campo di riconobbe abbandonato. Le macchine lavoravano al suo smantellamento, un imperativo per la necessità di riutilizzare i materiali, ma anche dal punto di vista morale. Forse in quel campo erano morti Enrico Pozzi e tanti altri suoi compagni. E cos'era successo agli esiliati? Angelo santi ed alcuni altri naufraghi erano giunti a Zurigo, ma cosa era stato fatto di tutti gli altri? O avevano seguito altre destinazioni niente affatto promettenti? Gianni non poté evitare di pensare a davide Rosi ed alla sua triste fine, caduto da molto più in alto di tutti gli altri. Come sempre, la consolazione di aver aiutato Colette e i suoi figli era l'unico rimedio al grande dolore che gli provocava il solo evocarlo.

Gianni alla fine scese dal treno a Roma. Non c'erano ricevimenti ufficiali, nessuno sapeva che sarebbe arrivato quel giorno, anche se lo aspettavano per la settimana seguente (volevano dargli la Gran Croce d'Oro al merito Civile del Lazio, anche se Gianni dubitava che potessero trovare oro per una croce tanto grande). Si diresse direttamente ad un modesto hotel, molto diverso da quello che il Ministero della Sostenibilità laziale gli aveva riservato per la settimana successiva. Si registrò coi suoi nuovi documenti di identità laziali che il Governo di quel paese gli aveva fatto arrivare “a riconoscimento dei lavori prestati per la sua patria di origine”, ignorando il fatto che, stricto sensu, egli era laziale di nascita. Il proprietario dell'hotel non sapeva chi fosse Gianni Palermo, ma sapeva che i documenti erano in ordine e che l'ospite era economicamente solvente, visto che pagava in anticipo i quattro giorni di soggiorno.

Dopo essersi registrato all'hotel, Gianni se ne andò a passeggio per le strade di Roma, un po' senza sapere dove stesse andando o meglio senza rendersi conto di dove andava. Arrivò quasi senza pensarci nelle vicinanze di quello che era stato il suo laboratorio di ricerca, allo stesso colle da dove fu testimone del suo saccheggio e del suo incendio. Erano passati vent'anni e nessuno aveva recuperato quello spazio. Si intuivano le rovine sotto gli arbusti e i cespugli che davano un tocco di verde, anche se malinconico, all'insieme. Un grande cartello, leggermente sbiadito a causa della pioggia, annunciava la ricostruzione imminente del centro “con il contributi del Fondo Svizzero di Sostenibilità Europea”, anche se a giudicare dalla data – tre anni prima – erano stati più zelanti nel mettere il cartello che non a cominciare i lavori. Alcune cose non cambiano di luogo anche se cambiamo di paese, pensò Gianni.

Ovunque vide le devastazioni della guerra contro i francesi, che nonostante il tempo trascorso – e della poca resistenza degli italiani – erano ancora molto evidenti. Vide soltanto alcuni edifici ricostruiti nei quartieri più signorili, in alcuni casi con fondi svizzeri. Prese nota, per riportarlo al Ministero della Sostenibilità Internazionale, una volta di ritorno a casa. Sicuramente era molto difficile superare molte abitudini  negative dell'epoca precedente.

Passeggiando e quasi senza volere giunse al suo vecchio quartiere, nella sua vecchia strada, alla sua vecchia casa. La zona non aveva subito più degrado di lui da quei venti anni che erano passati da quando l'aveva abbandonata, zaino in spalla. Senza sapere bene perché, entrò dalla porta della sua vecchia casa e salì fino all'appartamento dove abitava. Era un appartamento relativamente modesto. Il suo stipendio da professore universitario, dopo i tagli ripetuti, non era da tutti, e lui, senza familiari a carico, aveva preferito spendere i soldi in viaggi. Pensava a questo guardando la vecchia porta di colore verde opaco. Era uguale a venti anni prima e non era stata ridipinta. Cosa era stato di tutte le sue cose, di tutto quello che lasciò con la sua fuga? Senza riuscire a reprimere l'impulso, bussò alla porta.

Gli aprì una bambina di circa otto anni. Per un momento a Gianni parve di vedere Margueritte dieci anni prima. Dall'interno si sentì una voce femminile, senza dubbio era la madre: “Chi è?”

- E' un signore molto distinto – disse la bambina – Sembra uno scienziato.

FINE


Antonio Turiel
Luglio 2013

Un futuro incerto (VII): la nuova Firenze

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

Subito dopo aver adottato Margueritte, Gianni cominciò il progetto del primo impianto pilota. Per la sua localizzazione scelse un piccolo appezzamento che era stato di proprietà di Strauss. Quando accettò l'eredità, quell'appezzamento gli parve un'eccentricità del vecchio professore: si trattava di mezzo ettaro, poco produttivi dal punto di vista agricolo, in una zona petrosa e vicina a Zurigo. Non era frutto di una eredità precedente, come poté verificare nelle carte di registrazione: Strauss l'aveva acquisita prima della morte di sua moglie. Ma quando Gianni cominciò a cercare un luogo idoneo per l'impianto pilota, con le magre risorse di cui disponeva, si rese conto che quell'appezzamento riuniva in sé una serie di caratteristiche estremamente idonee per la generazione con la nuova tecnologia (che battezzò SPEG, acronimo di Strauss Palermo Energy Generation). Era tanto appropriata per quello scopo, che Gianni non aveva alcun dubbio sul fatto che Strauss avesse passato mesi a cercare una posizione così idonea e, da quello che vide nel registro di proprietà, l'aveva pagata generosamente... per non metterci mai piede in vita sua.  

Ottenere i materiali per l'impianto non era facile. Le forniture scarseggiavano ed erano care. Gianni dovette fare un grosso investimento di tasca propria perché il lavori procedessero e passava continuamente da lì per supervisionare i lavori. Qualche strumento chiave lo prese in prestito dal laboratorio, con la scusa di fare misure sul campo. Tale modo di procedere si sposava talmente poco con la mentalità tedesca di Zurigo che nessuno immaginava quello che stesse facendo in quanto il suo comportamento era inconcepibile, ma, fortunatamente per Palermo, egli era mediterraneo e gli risultava del tutto concepibile agire così, anche se lo faceva non senza sospetti. Sapeva di farlo per il bene superiore per la Svizzera e per l'Umanità, ma anche così il suo margine di manovra era limitato: se se si fosse saputo che stava utilizzando materiale del laboratorio per un progetto personale lo avrebbero espulso dall'università senza pensarci su. 

La costruzione dell'impianto pilota non era, tuttavia, la sua sola preoccupazione. Adottare Margueritte fu un gesto nobile d parte sua, ma nonostante il suo carattere previdente, il professor Palermo non aveva previsto che accudire una bambina, per quanto fosse già un po' cresciuta, implicava un certo carico di lavoro addizionale. Per esempio, la bambina doveva andare a scuola. Gianni la iscrisse alla scuola che dipendeva dal liceo che dipendeva dalla sua stessa università. La sistemazione era molto conveniente perché l'educazione era di grande qualità e per i professori di quell'università l'iscrizione era praticamente gratuita. Margueritte non era mai andata a scuola e sapeva appena leggere, tanto meno in tedesco, quindi ogni sera doveva ripassare per ore i suoi compiti con Gianni, che per lei ridusse le sue ore di sevizi sociali. Margueritte aveva una mente sveglia e con l'aiuto di Gianni riuscì a raggiungere i suoi compagni di scuola nel giro di un paio di anni di scolarizzazione. Ma l'arrivo di Margueritte comportava anche tanti impegni domestici fondamentali, per esempio preparare colazione e cena in orari decenti. Gianni lavorava senza sosta in laboratorio e al montaggio dell'impianto pilota e fra queste e le ore di studio con Mergueritte non gli bastava il tempo. Poté risolvere questa cosa pagando una governante (il suo stipendio ed alcuni piccolo progetti industriali che faceva su incarico dell'università facevano sì che se lo potesse permettere; “il mio lavoro all'Università ha un buon EROEI”, pensava a volte ironicamente). Ma, più importante, avere la bambina in casa lo obbligava a condividere il proprio spazio vitale, dopo tanti anni vissuti in solitudine. Perché Margueritte occupò progressivamente una parte sempre più grande nella vita di Gianni. All'inizio la bambina era abbastanza sospettosa, anche se trattò Gianni sempre con correttezza, ma nella misura in cui prendeva confidenza col suo padre adottivo, gli faceva sempre più domande e Gianni, che aveva una vocazione pedagogica, vide in lei l'allieva perfetta da plasmare sin dall'infanzia, anche se gli servì tempo per capire che una bambina di otto anni ha i suoi tempi di apprendimento, che doveva alternare il gioco ad altre attività. La cosa che cambiò di più la vita di Gianni fu, appunto, di dover partecipare (o di provarci) ai giochi della sua nuova pupilla, impresa che gli risultava ingrata, considerandola una perdita di tempo, ma che si impose compiere e che col tempo sarebbe arrivato a gradire.  

La bambina non faceva vedere molto della propria vita precedente. A volte Gianni la vedeva piangere in qualche angolo della casa senza che potesse conoscerne il motivo. Ma Gianni, timidamente, non osava disturbarla in quei momenti. Finché un giorno, uscendo a sistemare il giardino come ogni martedì e giovedì, la incontrò che piangeva di fianco al pozzo e, commosso da quelle lacrime infantili, le chiese il perché di quel pianto. Lei gli risposa che le mancava suo padre e, soprattutto, sua madre. Gianni sentì lo stesso dolore di quel giorno in cui la raccolse dalla strada. Allora le spiegò l'origine della casa, di come il professor Strauss si era preso cura del giardino di sua moglie quando questa morì e di come Gianni si faceva carico dello stesso giardino, ora che entrambi erano morti. 

- In qualche modo – le disse Gianni – gli Strauss continuano a vivere qui perché noi curiamo il loro giardino. Essi mi hanno dato ciò di cui avevo bisogno ed io mantengo vivo il loro ricordo. Tu puoi fare la stessa cosa: mantenere vivo qui il ricordo dei tuoi genitori. C'era un fiore particolare che piaceva a tua madre?

- Le rose – disse Margueritte, asciugandosi le lacrime col palmo della mano. 

- Molto bene. Allora andremo oggi stesso a comprare delle belle rose  che pianteremo in quell'angolo laggiù.

- Credo – disse Margueritte – che stiano meglio da questo lato del pozzo. 

- Come desideri, piccola. 

Dopo quel giorno, Margueritte dedicava le sue ore al di fuori della scuola e dei compiti a casa a prendersi cura del giardino. Visto che Wilhelm Strauss si era preso cura del giardino della sua defunta sposa come colui che esegue una strategia militare, con precisione ma senza armonia, Palermo aveva seguito semplicemente un protocollo scrupoloso, assicurandosi che ogni tipo di pianta avesse le condizioni di umidità e di nutrienti adeguati e che le erbacce e gli insetti non le infestassero. Ma Margueritte introdusse il sentimento in quel giardino; più che un prodotto standardizzato e agghindato, la bambina fece del giardino una spazio armonioso ed un angolo di pace e allegria. Un giorno, tornato particolarmente stanco per aver cercato di risolvere alcuni problemi all'impianto, Gianni si sedette un po' sotto il portico di casa che dava sul giardino e rimase meravigliato nel vedere in cosa lo aveva trasformato Margueritte in pochi mesi. La bambina gli si avvicinò sorridente e cominciò a parlare dei suoi progetti per i gladioli, le sempreverdi, gli arbusti da siepe e per tante altre cose che Gianni fu incapace di sentire, ma guardava la sua pupilla bagnata dalla luce del tramonto come se vedesse un angelo nel paradiso terrestre che aveva creato in quel fazzoletto di terra. 

Gianni impiegò quindici mesi di sforzi, grandi investimenti e agitazione per terminare il primo impianto SMEG. Durante quei mesi, Gianni dubitò molte volte del fatto che fosse sensato impegnarsi in quell'impresa senza poter contare su ulteriori investimenti, ma per lui era importante mantenere sempre il controllo della tecnologia: senza controllo, gli uomini si sarebbero lanciati in una nuova folle corsa alla distruzione del mondo, e stavolta ci sarebbero riusciti. Ma fare le cose in questo modo comprometteva il patrimonio di Gianni, il che non lo preoccupava particolarmente, considerando quante volte era stato sul punto di perdere molto più di questo. Tuttavia, per la prima volta in vita sua aveva altra gente a suo carico. C'erano Colette e i suoi figli, che ancora erano troppo giovani per lavorare, in un paese nuovo che cercava ancora di trovare un suo equilibrio e che a volte entrava in guerra (per fortuna risolte in poche scaramucce) con quella che un tempo era stata la Francia. Ma quei pochi mesi di tintinnio di spade erano stati fatali per l'economia della vedova del Generale Rosi, visto che Gianni non aveva un modo sicuro di farle arrivare il denaro. E dall'altra parte c'era Margueritte. La vedeva tanto felice nella sua nuova casa e a scuola, ma soprattutto in quel frutteto in cui aveva convertito il giardino. Gianni avrebbe potuto subire tutte le umiliazioni del caso, ma non poteva permettere che quella bellissima bambina tornasse nel flusso dal quale l'aveva salvata. Quindi Gianni non poteva permettersi di sbagliare stavolta. 

E non sbagliò. L'impianto SPEG entrò finalmente in funzione, giusto prima dell'inverno di quell'anno. Alla sua inaugurazione invitò le alte cariche del Ministero dell'Educazione Superiore e della Ricerca e del Ministero dell'Industria. E al dimostrazione fu un successo. Gianni aveva paura che qualcuno pensasse che cercava di fare metter in piedi una nuova truffa come quella dei tremogeneratori di Tesla, ma si rese conto che, curiosamente, molta gente non si rendeva nemmeno conto che quello che aveva fatto in Francia era una truffa. Dopotutto, anche in Svizzera la gente era piuttosto ignorante, perlomeno negli aspetti tecnici fondamentali per il suo futuro.

La nuova fonte di energia rinnovabile aveva un rendimento eccellente e poteva essere sfruttata direttamente sia come fonte di calore, sia per produrre forza meccanica o persino, collegata ad un alternatore, per generare elettricità. Gianni spiegò che, scarseggiando materiali fondamentali come il rame (la maggior parte del rame proveniva dal riciclaggio, realizzato penosamente a mano, visto che il commercio internazionale era da tempo un vago ricordo del passato e non c'erano miniere di rame in Europa degne di essere sfruttate), non era conveniente concentrarsi nella generazione di elettricità. Inoltre, la conversione di energia meccanica in elettricità implicava perdite maggiori del 20%, alle quali si sarebbero dovute aggiungere un 20% in più per perdite di trasformazione e trasporto. Pertanto, egli consigliava di cercare di sfruttare il potenziale meccanico diretto: se anziché produrre e trasportare elettricità per il suo uso in fabbriche lontane si fossero installate fabbriche di fianco alla centrale e queste avessero preso l'energia meccanica direttamente mediante pulegge, cinghie e sistemi di trasmissione, si sarebbe potuto avere uno sfruttamento pari a quasi il 100% dell'energia generata dall'impianto PLEG. 

- E' il Secondo Principio della Termodinamica – spiegava Palermo – voi lo avrete generalmente sentito formulare come principio di aumento dell'entropia, ma si può anche intendere come una legge di pedaggio energetico. Cioè, ogni volta che c'è una trasformazione di energia di un tipo – meccanica, termica, elettrica – in un tipo diverso, si deve pagare un pedaggio e questo pedaggio è tanto più grande quanto più diversi siano fra loro i due tipi. Per esempio, collegare una cinghia a questa turbina rotante per azionare quella macchina è molto efficiente, poiché trasformo movimento meccanico in movimento meccanico. Ma se uso vapore acqueo per azionare la turbina, l'efficienza si riduce al 50% e se voglio prima generare elettricità rimane un miserabile 35%. 

Le autorità annuivano, senza in realtà capire nulla, ma erano soddisfatte da Ciò che sembrava essere la fine della scarsità energetica. 

Il primo impianto di Gianni palermo ebbe un grande successo commerciale. I ricchi volevano elettricità, le fabbriche forza meccanica e le case calore per cucinare e per il riscaldamento. La potenza dell'impianto era tale che riusciva a soddisfare gran parte di Zurigo da solo, anche se dovettero installare alcune condutture nuove a riutilizzarne di vecchie. Coi benefici del primo mese di sfruttamento, Gianni poté restituire il materiale che aveva sottratto dal laboratorio e persino fare una generosa donazione all'Università, per cui tornò a respirare sereno. 


I residui di energia del primo impianto SPEG erano talmente tanti che Gianni accoppiò uno stabilimento per la sintesi di fibra di carbonio e di grafene, con l'aiuto dei migliori specialisti della sua università. La fibra di carbonio, materiale leggero e resistente, rendeva più facile la costruzione del secondo impianto, mente il grafene permetteva di migliorare enormemente la conduttività elettrica di certi elementi chiave. Entrambi i materiali erano molto costosi energeticamente, con pochissima exergia – specialmente il grafene – ma avevano il vantaggio di poter essere sintetizzati a partire dal carbonio abbondantissimo dell'atmosfera. Se gli impianti SPEG si estendono, pensò Gianni, si potrebbe persino ottenere una riduzione dei livelli di CO2 nell'atmosfera e fermare il processo di riscaldamento globale. Tuttavia, ci sarebbero voluti decenni per arrivare a produrre una diminuzione percettibile. Dall'altro lato, la sintesi del grafene era talmente costosa, anche con le migliori tecniche disponibili, che il suo uso doveva essere ristretto ad applicazioni nelle quali dimostrasse che l'energia necessaria per la sua sintesi fosse minore del risparmio di energia dato dal suo uso, il che  non avveniva tanto di frequente. 

In un tempo record di sei mesi, il secondo impianto fu pronto a partire. Fatto in fibra di carbonio, era più leggero, efficiente e funzionale. Gianni cominciò a guadagnare molto denaro e ad essere un uomo molto popolare in Svizzera, gli cominciarono a piovere offerte per installare nuovi impianti in tutto il territorio elvetico. Gianni preparava da mesi un piano di reindustrializzazione bilanciata della Svizzera e con il gende potenziale che aveva nelle sue mani cominciò a metterlo in pratica. Il suo sistema era semplice: per prima cosa, impianti SPEG di alta capacità in fibra di carbonio  e con elementi di grafene per le unità di trasformazione elettrica più esigenti, poi, una nuova fabbrica di fibra di carbonio e grafene: E, infine, favorire l'insediamento di fabbriche adiacenti che sfruttavano l'abbondaza di energia e materiali. Un impianto in ogni città, due se questa era grande. Con questo piano in testa, Gianni cominciò l'espansione e coi sui avanzamenti guadagnava sempre più soldi. Soldi. 

- Alla fine dei conti – spiegava a Margueritte mentre tornavano a casa da scuola – i soldi sono solo monete, un simbolo, una rappresentazione delle eccedenze di energia di adesso convertiti in energia immagazzinata, ma solo virtualmente, simbolicamente. 

- Non capisco, Gianni – la bambina lo chiamava sempre per nome. 

- Guarda – e tirò fuori un franco svizzero dalla tasca – diciamo che un franco svizzero equivale, diciamo, a mille kilocalorie – e perché la bambina capisse disse – all'energia che ci da una pagnotta di pane. 
- E' vero – disse Margueritte – nella panetteria della parte bassa di Zurigo ti vendono pagnotte di pane per un franco. 

- Giusto. Quindi, ora cos'ho io in banca, un milione di franchi? Vale a dire, mille milioni di kilocalorie, un miliardo di kilocalorie. Ma non ho necessità di usare tutta questa energia, è come un milione di pagnotte di pane! - Gianni si divertiva vedendo il sorriso di Margueritte che immaginava quasta montagna di pane – Così cedo tutta questa energia ad altra gente che ne ha bisogno ora e loro in cambio mi danno tutti questi biglietti. Ogni biglietto è un valore, un impegno delle persone che me li danno, in realtà la Banca Svizzera, per cui quando io avrò bisogno di tutta questa energia che al momento mi avanza, qualcuno me la darà, grazie sempre alla mediazione della Banca Svizzera. Così abbiamo tutti ciò che vogliamo quando ci serve. Vedi che bella cosa? Ma c'è un problema in tutto questo sistema. Sai qual è?

Margueritte fece cenno di no con la testa.

- Bene, si presuppone che quando io la richieda avrò tutta l'energia che voglio. Il che è un problema se io accumulo sempre più biglietti, se la gente mi paga per tutto quello che posso dargli, perché se un giorno reclamo la mia energia tutta insieme (per esempio, perché voglio costruire un palazzo) – e Margueritte sorrise di nuovo, si immaginava, probabilmente, come una principessa in una palazzo e l'idea fece ridere anche Gianni – potremmo trovarci col fatto che non mi possono pagare o che, per pagarmi, tutta la gente dovrebbe smettere di fare ciò che stavano facendo per pagarmi... compreso smettere di mangiare!

Margueritte si portò la mano alla bocca fra il divertito e lo scandalizzato. 

- Questa sembra una barbarie, in realtà è accaduto davvero, per fortuna molto prima che tu nascessi, Margueritte, L'uomo aveva costruito un sistema molto efficiente, che creò molta ricchezza in questa parte del mondo (anche se in altre morivano di fame), ma che aveva bisogno di disporre di molta energia. Peggio ancora, il sistema aveva bisogno di sempre più energia, perché non abbiamo pensato a niente di meglio che chiedere che per lasciare l'energia che ci avanzava ce ne dovessero restituire ancora di più. E più. E più. Alla fine i nostri buoni sull'energia che qualcuno avrebbe dovuto pagare rappresentavano una quantità di molte volte maggiore dell'energia disponibile nel mondo. E se questo non fosse sufficientemente sbagliato, successe che un giorno le fonti di energia che alimentavano la nostra società cominciarono a dare sempre meno energia. 

Margueritte lo guardava stupita. 

- E per quale motivo, Gianni? Perché all'improvviso quelle fonti davano meno energia?

- Be – continuò la sua peripatetica lezione – in realtà non fu all'improvviso. In realtà c'erano stati molti segni e molti scienziati, come me, avevano avvertito molte volte di questo problema. Risulta che le fonti che sfruttavamo erano, come si dice, “non rinnovabili”: Cioè, che si usano una volta e poi non ci sono più. Erano sostanze che si possono bruciare, che si sono formate in epoche antichissime, quando la Terra era giovane: petrolio, carbone, gas uranio... quelle cose che hai studiato nei libri di Storia. Ce ne sono ancora; di fatto si producono ancora molte di quelle cose, ma i problemi cominciarono non quando finirono petrolio, carbone gas naturale e uranio (perché non si sono esauriti né si esauriranno per secoli), ma quando la loro produzione non ha potuto continuare ad aumentare e cominciò a diminuire.  

- E perché non si è potuto continuare ad aumentare la quantità di petrolio o carbone che estraevamo? Non potevano semplicemente mettere più persone a scavare, o usare macchina più grandi?

- In realtà Margueritte – e qui Gianni sorrise maliziosamente, visto che era arrivato al punto di cui voleva parlare – arrivò il momento in cui il petrolio che rimaneva era più nascosto, più disperso, più profondo... e per estrarlo si doveva spendere più energia di quella che ci dava indietro il petrolio estratto. 

- Be', questo non ha senso. Avremmo perso energia, ma abbiamo bisogno di energia visto che è questa che muove le macchine e tutta la società. 


- Infatti! - disse un Gianni Palermo esultante – e per questo in un determinato momento dovremo lasciare che i giacimenti di petrolio, gas, uranio e carbone... diano sempre meno, perché non conviene più ampliarli. 

- E' logico – disse pensierosa Margueritte. 

- E' Logico – ripeté Gianni – ma non puoi immaginare quanto ci volle a farlo capire alla gente. C'era molta gente che pensava che fosse solo questione di spendere più soldi, senza capire che i soldi non erano l'energia per aprire i pozzi o scavare le miniere, ma un buono per quell'energia. E anche quando si cominciò a vedere che l'energia era troppo cara, si fecero ancora molte follie; si sfruttarono le sabbie bituminose del Canada, il gas e il petrolio di scisto, l'uranio dai fosfati...

Margueritte aveva la faccia di chi non capiva di cosa stesse parlando. Gianni comprese che la lezione di quel giorno doveva volgere al termine. 

- Riassumendo – disse Gianni, abbassando lo sguardo e la voce – non capivamo che non ci sarebbe stata sufficiente energia per poter mantenere un sistema sempre crescente e quando mancò in Europa (altre nazioni più potenti poterono conservare la loro parte), la gente che aveva molti soldi chiese di essere pagata anche se in quel modo condannava alla rovina e alla fame i propri simili. Molta gente rimase senza lavoro, senza casa, senza cibo... senza futuro. La società impazzì e all'improvviso ci diedero la colpa di tutto, fra gli altri a noi scienziati.  

- Non è giusto – disse Margueritte, determinata – Questo non succederà di nuova, vero Gianni? - e lo guardò coi suoi occhi grandi, supplichevoli. 

- No – disse Gianni – Non se posso evitarlo. 

Se c'era qualcosa che Gianni temeva era che, in nome del progresso e della crescita economica, l'Umanità tornasse a cadere negli stessi errori e che questa volta i problemi che avrebbe causato non si sarebbero potuti risolvere. Il Governo svizzero gli chiese varie volte che gli cedesse la tecnologia, ma Gianni non gliela rivelò mai. Gli suggerirono di brevettarla, che di fatto era la cosa migliore che potesse fare per proteggere i suoi interessi commerciali. Ma Gianni sapeva troppo bene che un brevetto è una pubblicazione. Un brevetto è un documento nel quale si dimostra che hai inventato qualcosa e che proibisci  tutti di sfruttarla senza che ti paghino dei diritti ma, pubblicandola, chi avrebbe impedito realmente che la copiassero senza chiederti il permesso? Non era quella l'epoca nella quale uno potesse aspettarsi che le leggi fossero applicate, meno ancora al di fuori della Svizzera. Inoltre, il brevetto espira dopo 20 anni, dopo i quali l'invenzione diventa di dominio pubblico e tutti possono usarlo liberamente. Gianni non aveva la minima speranza che in 20 anni l'Umanità avrebbe compreso la necessità di rispettare i limiti che le impone il proprio habitat, che le impone il pianeta. Così negò mille volte di brevettare o rivelare i suoi segreti.  

L'unica possibilità che gli rimaneva perché la sua opera continuasse risiedeva nell'incontrare qualcuno di sua fiducia per trasmettergli i propri segreti. Ma rabbrividiva pensando a un nuovo Davide Rosi. Così decise di creare questa persona di fiducia, di  modellare questa persona da quando era bambina, insegnandole la verità sul mondo e la necessità di rispettarne i limiti. Decise che un giorno Margueritte avrebbe gestito gli impianti, pertanto mise ancora più impegno nella sua educazione, sia tecnica sia umanistica. Per evitare che Margueritte crescesse come una bambina viziata, la vita nella piccola casa di Strauss era giusta ma austera. Nonostante che Gianni Palermo fosse un uomo ricco in quella residenza, non aveva molti piatti, né posate d'argento, né cristalli fini, né molto cibo, né molti giochi. Niente di tutto questo sembrava interessare Margueritte, che giocava felice con altre bambine o passava ora a sistemare il giardino. Gianni osservava  con orgoglio che i ragionamenti della bambina erano sempre più riflessivi, più profondi. Aveva appena compiuto 10 anni e già era una signorina con la testa sulle spalle e i piedi per Terra. In quel periodo, Gianni smise di prestare servizi sociali. Era un uomo troppo famoso e in realtà con i suoi contributi finanziari e in natura poteva ottenere molto di più che con le proprie mani. Così, disponendo di più tempo libero, Gianni prese con scrupoloso dovere l'andare a prendere la bambina all'uscita della scuola ogni giorno e si godeva la lunga passeggiata di ritorno a casa conversando con la figlia adottiva. Grazie ai suoi generosi contributi, sosteneva sia la scuola sia la sua mensa.   

Nel giro di un altro anno, gli impianti SPEG erano già 4. Il loro apporto energetico cominciò ad avere un impatto positivo sull'agricoltura e la Svizzera si lasciò dietro gli anni di fame. Oltre alla meccanizzazione, con una compensazione minima e senza fertilizzanti né pesticidi (gianni sapeva troppo bene il danno al suolo generato dalla precedente agricoltura industriale), uno di più grandi contributi degli impianti SPEG fu quello di produrre acqua mediante condensazione e in quel modo si poté ovviare ai periodi di siccità occasionali che a quell'epoca colpivano il paese. Gli introiti di Gianni erano ormai così elevati che si poteva permettere il lusso di destinare una parte importante al finanziamento di una rete nazionale di scuole, tutte con mensa. E quello stesso anno e dopo non poche vicissitudini, ottenne che Colette ed i suoi figli si trasferissero in Svizzera, anche se la vedova del suo ex studente preferì rimanere a vivere nella parte francofona del paese. Gianni pagò personalmente la scuola al figlio minore e il liceo al figlio maggiore e un paio di volte all'anno con Margueritte andava a trovarli, anche se Colette non ricambiò mai la visita a Zurigo. 

Tre anni dopo aver cominciato con il primo impianto SPEG, la Svizzera aveva già 16 impianti, con una potenza complessiva di 50 Gigawatt ed una capacità di carico (tempo effettivo durante il quale gli impianti davano il loro potenziale massimo) del 85%. La Svizzera prosperava dopo vari decenni neri e Gianni era considerato un eroe nazionale. 

Gianni promuoveva attivamente l'insegnamento della sostenibilità, dando gli stessi corsi nelle scuole e nei licei. Anche se non aveva nessun incarico nel Governo, era molto influente ed ottenne che l'insegnamento nei licei fossero molto pratici, che si basassero sulle conoscenze applicate al mondo reale e che fossero lontane dall'accademismo, eccetto per le scienze umane, che considerava fondamentali per ottenere un corretto equilibrio emotivo e spirituale negli studenti. Lui stesso insegnava economia critica comparata nella propria Università, mostrando l'errore dei sistemi economici precedenti nell'ignorare che l'economia è un sottosistema del mondo reale, in particolare dell'ecosistema umano, e proponeva come valore fondamentale l'economia ecologica. 

Ma un giorno Gianni subì un contrattempo inaspettato. Stava tornando a casa con Margueritte e mentre la bambina andò a sistemare il giardino – quel giorno non aveva molti compiti –  e lui si mise a controllare la corrispondenza. Una delle lettere proveniva dal cantone nel quale voleva costruire il diciassettesimo impianto SPEG. Si trattava di una comunità rurale che sarebbe stata aiutata molto dalla presenza dell'impianto nel lavoro dei campi. Tuttavia, la lettera comunicava che l'assemblea cantonale riunita aveva deciso di negargli il permesso. Gianni si arrabbiò: com'era possibile che quei contadini ignoranti fermassero così un progetto fondamentale per il loro sviluppo? Gianni decise che avrebbe parlato col Ministero per cambiare la decisione dell'assemblea e se ne andò in giardino a dire a Margueritte che doveva uscire un attimo e che sarebbe rimasta da sola con la governante. La bambina notò che suo padre adottivo era furioso, lo conosceva molto bene e, con la pubertà, la sua capacità di intuizione era aumentata molto. 

- Margueritte – disse Gianni – devo uscire un attimo. Ti lascio da sola con la governante. 

- Molto bene – disse Margueritte e aggiunse – dove vai, papà?

Margueritte raramente chiamava Gianni papà. Con un po' di fastidio Gianni rispose: 

- Vado al Ministero, a sistemare un problema – e vedendo che Margueritte alzava lo sguardo, curiosa, comprese che non poteva dare una spiegazione tanto vaga. Le aveva giustamente insegnato a non accontentarsi di mezze spiegazioni e a tentare sempre di sapere la verità delle cose. Così sospirò, sapendo che le doveva una spiegazione e che gli ci sarebbe voluto un po' – Mi hanno negato il permesso in un cantone per costruire un nuovo impianto.

- E perché ti hanno negato il permesso, Papà? - disse Margueritte mentre potava le rose. 

- Perché sono degli sciocchi! - disse gianni adirato – Non sono capaci di vedere che il nuovo impainto li aiuterebbe molto.

Margueritte rimase a guardarlo per qualche secondo, pensierosa. Poi gli disse:

- Sai papà che a me piacciono molto le rose? Mi ricordano molto mia madre.

Gianni annuì. Quelle rose avevano salvato la bambina dalla malinconia. Gianni ringraziava quel giardino per avergli permesso di tenere con sé Margueritte, la sua grande promessa per il futuro.

- Ricordi che all'inizio volevo riempire tutto il giardino di rose? Compreso il pozzo?

Gianni sorrise, ricordando l'episodio. 

- Alla fine l'unica cosa che ottenni fu che morissero la metà delle rose. In più in altre parti del giardino non si poteva nemmeno entrare, da quante rose c'erano. Il fatto è che ogni rosa ha le sue spine. Non possiamo avere la bellezza senza subirne le conseguenze e a volte è meglio rimanere con meno che con più. E ora che il giardino non è tanto pieno ed ho fiori e piante diverse, le rose sono molto più evidenti, mentre prima si presentavano quasi come un'erbaccia, una piaga che ricopriva tutto. 

Margueritte esagerava, ma naturalmente Gianni capì quello che voleva dire. Dimostrando che aveva appreso bene le lezioni del suo maestro, la bambina aggiunse: 

- Sedici impianti SPEG sono sufficienti per un paese tanto bello come la Svizzera. Ora molta più gente vive di agricoltura e abbiamo le fabbriche di cui abbiamo davvero bisogno per vivere bene. Ormai la fame non c'è più e, grazie a te, padre, i bambini non devono lavorare e ricevono una buona educazione. Più impianti significa più fabbriche e fare più cose che in realtà non ci servono. E se non sappiamo fermarci alla fine più che le rose ciò che noteremo saranno le spine – disse Margueritte, tornando ai suoi lavori di giardinaggio. 
Gianni era commosso. Sua figlia adottiva aveva compreso meglio di lui cos'era la sostenibilità. Certamente doveva scomparire tutta la generazione che , non per colpa propria, era impregnata dell'idea dello sviluppismo, compresi coloro che erano più consapevoli dei problemi ambientali e delle risorse, per far sì che prosperasse una nuova generazione senza pregiudizi. 

Gianni si vergognò del modo in cui aveva parlato del cantone che gli aveva negato il permesso; loro e sua figlia gli avevano dato la lezione più importante della sua vita. Dall'altro lato, sentiva un'allegria incontenibile nel vedere che Margueritte fosse un'allieva tanto capace. Col cuore che gli palpitava forte, le diede un bacio in fronte, la ringraziò e tornò in casa, mentre essa continuò a lavorare con il sorriso sulle labbra. In casa, Gianni scrisse una lunga lettera di ringraziamento al cantone per avergli fatto capire il suo errore e lodando il loro impegno in difesa del territorio. Da quel giorno, Gianni si dedicò a fare manutenzione alle installazioni e a riparare le infrastrutture chiave, contribuendo a smantellarne delle altre, frutto degli eccessi di un altro tempo. 

Col suo nuovo benessere, la Svizzera diventò il faro della cultura e della civiltà. Lo Stato ed i cantoni stimolavano l'arte e le scienze. Il paese prosperava. Era diventato la nuova Firenze. Gianni aveva già compiuto 65 anni e Margueritte era ormai una adolescente. La vita trascorreva placida e tranquilla. 

Una notte di aprile, le truppe tedesche si presentarono alla frontiera. Volevano la tecnologia degli impianti SPEG, ma non volevano negoziare. Ancora una volta, cominciava la guerra. 

Antonio Turiel
Luglio 2013