mercoledì 13 marzo 2013

Davvero viviamo in tempi oscuri

Come parte di una piccola serie dedicata al ruolo del carbone nella storia d'Italia, ecco un post pubblicato nel 2007 sul sito di ASPO-Italia. Un post più recente sullo stesso argomento, lo trovate a questo link su "Effetto Cassandra"



Davvero viviamo in tempi oscuri
Molti anni fa, negli anni trenta, Bertolt Brecht scrisse un poema intitolato "A quelli che verranno" che cominciava con le parole "Davvero viviamo in tempi oscuri".

Per noi, quelli che sono venuti parecchi decenni dopo, i tempi oscuri di Brecht ci appaiono lontani in un certo senso, e in un certo senso fin troppo vicini. Torture, guerra, morte, devastazione, follia; è la sensazione di qualcosa che ci sta divorando dall'interno, come gli alieni dei film di fantascienza; oppure di qualcosa ce ci invade inesorabilmente come la nebbia del nulla del film "La storia infinita". Viviamo anche noi in tempi oscuri, forse addirittura più oscuri di quelli di Bertolt Brecht.

Il legame fra i nostri tempi e quelli degli anni trenta potrebbe essere assai più concreto di quanto non appaia dai vari sintomi esteriori. E' un legame che coinvolge le basi stesse della nostra civiltà, allora come oggi dipendente da oscure sostanze estratte dal cuore della terra. Il petrolio ai nostri tempi, il carbone ai tempi di Brecht.

Non molto tempo fa, ho scoperto quanto simile fosse la storia del carbone a quella del petrolio studiando l'andamento della produzione del carbone inglese. Quello che avevo scoperto leggendo le statistiche della "coal authority" erano i veri motivi della seconda guerra mondiale, cosa che ho descritto in un articolo sulla ASPO newsletter. Tutto mi è ritornato in mente con una piccola epifania di comprensione in questi giorni leggendo un vecchio libro trovato fra le carte di una zia, l "Almanacco della Donna Italiana" del 1941. E' una specie di messaggio in bottiglia arrivato da quei tempi ormai lontani che, tuttavia, sono uno specchio perfetto dei nostri.

Da questo almanacco, sembra che la vita di 66 anni fa non fosse molto diversa da quella di oggi. Ci sono articoli su cosa fare quando ci sono i muratori in casa, come allevare i figli; si parla di arte, di letteratura e di moda. Eppure, nel 1941, la guerra era diventata qualcosa che non si poteva più ignorare. Era una cosa che cominciava a mordere nella vita di tutti i giorni, specialmente dopo la dichiarazone di guerra all'Inghilterra e il disastro che era stato l'attacco alla Grecia nell'Ottobre 1940. Troviamo a pagina 203, dopo un articolo sulla pittura contemporanea e prima di uno sulla vendita a rate e su "come essere belle", un articolo intitolato "Anno XVIII." Qui, Ridolfo Mazzucconi, prolifico autore di testi patriottici del ventennio, spiega alle donne italiane le ragioni e l'andamento della guerra.

A distanza di quasi settanta anni dall'inizio della guerra, ci rimane ancora oggi misterioso come avvenne che l'11 Giugno 1940 l'Italia si risolse a dichiarare guerra a una nazione tradizionalmente alleata, l'Inghilterra, che in quel momento non minacciava minimamente l'Italia. In qualche modo, la cosa doveva avere una sua logica al di là della follia momentanea di un dittatore. Quello che leggiamo spesso nei libri di storia è che gli Italiani erano ancora offesi con gli alleati per come erano state spartite le spoglie della prima guerra mondiale nel 1919 a Versailles. Spiegazione che va indietro a vent'anni prima ed è un po' curiosa e inverosimile. Si può veramente fare una guerra per un litigio di vent'anni prima? Ancora più curioso è che Mazzucconi non nomina niente del genere; anzi menziona la "bella fratellanza" dell'Italia con l'Inghilterra degli anni 15-18.

Questo della "bella fratellanza" non è un concetto sbagliato. Inghilterra e Italia erano state veramente "sorelle" da quando l'Inghilterra aveva aiutato l'unificazione italiana al tempo di Garibaldi. Un po' era stato perché agli inglesi faceva comodo un contrappeso mediterraneo all'impero austro-ungarico, ma anche per una genuina simpatia per gli italiani e la rivoluzione italiana di quel tempo.

I rapporti stretti e amichevoli fra Inghilterra e Italia risalivano a ben prima. Risalivano all'inizio del secolo diciannovesimo, a quando l'Inghilterra aveva reso possibile la rivoluzione industriale italiana con le sue forniture di carbone. Erano state le carboniere inglesi a trasformare l'Italia da un insieme di staterelli agricoli a una nazione industriale. In un certo senso, nell'800 l'Italia era stata una colonia inglese, ma anche molto più di una colonia. Per gli Inglesi facoltosi, il viaggio in Italia da farsi in gioventù era diventato parte integrante della loro cultura; un viaggio alle origini della civiltà occidentale, della quale l'Italia manteneva ancora le vestigia. Lo si faceva ancora nel '900 e ci ricordiamo del bel libro di Forster "Camera con Vista" che descrive la vita degli Inglesi a Firenze nei primi anni del secolo. Qualche traccia di quelle abitudini rimane ancora ai nostri giorni.

Ma negli anni trenta del ventesimo secolo, le cose erano cambiate. Qualcosa si era rotto nel rapporto fra Italia e Inghilterra, fino ad allora idillico. Nel 1935, l'Italia invadeva l'Etiopia, sconvolgendo tutti gli equilibri locali e mondiali. Quale ventata di follia ha portato l'Italia a cercarsi un impero in un paese poverissimo che non aveva niente di utile per gli Italiani? Perché andarsi a mettere in diretto contrasto con l'Inghilterra, che era alleata dell'Etiopia? Comunque fosse, era il primo passo della strada che quattro anni dopo avrebbe portato a una follia ben peggiore: la dichiarazione di guerra all'inghilterra.

Forse era soltanto follia, o forse c'era un metodo in quella follia. E un certo metodo, c'era. Lo si trova descritto in poche righe del testo di Mazzucconi. Ecco l'epifania di cui parlavo (p. 205 dell' "Almanacco"):

(L'inghilterra ordinò) con provvedimento repentino la sospensione dell'inoltro di carbone tedesco a noi diretto via Rotterdam. In compenso, si offrì di sostituire la Germania nelle forniture di carbone: ma il servizio era subordinato a condizioni tali che accettarli sarebbe stato aggiogarsi al carro dell'interesse politico britannico e pregiudicare nel modo più grave la nostra preparazione bellica. Il governo fascista rispose con la dovuta bruscheria; e il carbone tedesco che non poteva più venire per mare trovò più comoda e breve la strada del Brennero.

Questa faccenda del carbone fu una salutare crisi chiarificatrice dell'orizzonte politico. Il 9 e il 10 Marzo
(1940), Ribbetrop era a Roma e la visita diede luogo a un affermazione netta e precisa. L'asse era intatto, l'alleanza fra Italia e Germania continuava. Qualche giorno dopo, il 18, Mussolini e Hitler si incontravano per la prima volta al Brennero e allora anche i ciechi furono obbligati a vedere e i corti di mente a capire.

Queste poche righe descrivono tutto il dramma dell'entrata in guerra dell'Italia contro l'Inghilterra. Teniamo conto che l'Italia dell'epoca, come quella di oggi, non aveva carbone e che, a quel tempo, il carbone era altrettanto, e forse più, vitale di quanto lo è oggi il petrolio. Senza carbone, gli Italiani non potevano sopravvivere e lo dovevano avere o dall'Inghilterra o dalla Germania; gli unici due produttori in grado di fornirglielo. E con l'Inghilterra e la Germania in guerra fra loro, l'Italia doveva fare una scelta.

Ma questi pochi giorni del 1940, dove si decise la sorte dell'Italia, furono solo il punto culminante di una storia del carbone che era cominciata molto prima. Abbiamo detto che l'industria italiana era stata creata dal carbone inglese. Che cosa era successo che aveva rotto il legame fra Italia e Inghilterra? Che cosa aveva reso l'offerta inglese di carbone nel 1940 "inaccettabile"?

A quell'epoca, si poteva pensare che fosse la perfidia degli albionici la ragione per la quale non ci volevano fornire il carbone e, invero, Mazzucconi è autore di un testo del 1935 intitolato "La Perfida Albione". Oggi, invece, abbiamo uno strumento intellettuale che ci permette di riconoscere che cosa era successo. Un concetto semplice: il picco del carbone. La produzione inglese aveva "piccato", ovvero raggiunto il suo limite produttivo, nei primi anni 20.

Il picco ci è più noto per il petrolio, dopo che Marion King Hubbert negli anni 50 aveva previsto quello del petrolio negli Stati Uniti. Ma la teoria di Hubbert vale altrettanto bene per il carbone, come pure per tutte le risorse minerali. Il picco è il risultato della conbinazione di fattori economici e geologici; via via che si estrae una risorsa questa diventa più cara da estrarre. A lungo termine, il sistema economico del paese estrattore non riesce più a continuare a espandere l'estrazione, che comincia a declinare, Ecco qui il picco del carbone inglese (da ASPO).Il massimo produttivo del carbone inglese fu nel 1913, a quel tempo in Italia se ne importarono quasi 10 milioni di tonnellate. Dopo quella data, le importazioni di carbone inglese scesero intorno intorno alle sei milioni di tonnellate negli anni venti, per poi precipitare negli anni trenta. Allo stesso tempo, le importazioni italiane di carbone dalla Germania aumentavano (da Walter H. Voskuil Economic Geography, Vol. 18, No. 3. (Jul., 1942), pp. 247-258.).

A parte la "appropriata bruscheria" del governo fascista che Mazzucconi ci descrive, gli eventi del 1940 non fecero che sancire la situazione di fatto. L'Inghilterra semplicemente non poteva rifornire l'Italia di carbone; né allo stesso prezzo né alle stesse condizioni della Germania che non aveva ancora raggiunto il suo picco di produzione. La scelta di Mussolini fu basata molto di più sul carbone che sull'ideologia. In un certo senso era una scelta logica, anche se di una logica perversa.

Ma, al tempo di Ridolfo Mazzucconi il concetto di picco di produzione non esisteva. La caduta delle importazioni in Italia fu attribuita alla perfidia inglese, proprio come, più tardi, la grande crisi del petrolio degli anni settanta fu attribuita alla perfidia degli sceicchi. Per Mazzucconi la guerra era il risultato di una "lotta rivoluzionaria" dei popoli dell'Asse contro "il basso istinto di conservazione" delle grandi potenze, la Francia e l'Inghilterra. Sempre secondo Mazzucconi, lo scopo della guerra è, alla fin dei conti far si che "il color verdolino chiaro col quale vengono segnati per convenzione cartografica i territori italiani" prenda il posto di "molto viola francese e di troppo arancione britannico"-

Oggi, ci è facile prendere in giro Mazzucconi, la sua perfida albione e il suo verdolino italiano che rimpiazzava il viola francese e l'arancione britannico. Lui, come tutti a quell'epoca vedeva il futuro oscuramente, come in uno specchio. Il suo futuro per noi è passato e la gioia insensata con cui Mazzucconi ci racconta di come le città inglesi erano "successivamente e razionalmente" sottoposte ad "azioni distruttive di apocalittica intensità" ci appare per quello che era; totale follia. Si immaginava Mazzucconi o qualcuno in Italia che quelle azioni distruttive di apocalittica intensità sarebbero ritornate al mittente e con gli interessi? Eppure, il nostro futuro ci è altrettanto ignoto di quello che per Mazzucconi era il futuro nel 1940. Non solo altrettanto ignoto, ma altrettanto e, forse più, inquietante; specialmente riguardo alle "azioni distruttive di apocalittica intensità"

"Davvero, viviamo in tempi oscuri" diceva Bertolt Brecht. Oggi, l'oscuro potere del carbone di allora è stato rimpiazzato dall'oscuro potere del petrolio. Brecht, il futuro l'aveva visto bene; come sarà il nostro?

Veramente io vivo in tempi oscuri!
La parola sincera è follia. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
non ha ancora saputo
l’atroce notizia.

Che tempi sono questi, quando
un discorso sugli alberi è quasi un delitto,
perché evita di parlare delle troppe stragi?
E l’uomo che attraversa tranquillo la strada
potrà mai essere raggiunto dagli amici
che vivono nel pericolo?

È vero: io mi guadagno da vivere.
Ma, credetemi, è solo un caso. Niente
di quello che faccio mi autorizza a sfamarmi.
Mi risparmiano per caso. (Basta che il vento giri
e sono perduto.)

“Mangia e bevi” mi dicono “e sii contento di esistere”.
Ma come posso mangiare e bere, quando
quel che mangio lo strappo a chi ha fame
e il mio bicchiere d’acqua manca a chi ha più sete di me?
Eppure mangio e bevo




/

(da A quelli che verranno di Bertolt Brecht, 1938)

martedì 12 marzo 2013

Il picco del carbone in Gran Bretagna


Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Questo è un testo che ho pubblicato nel 2007 nel n° 73 della newsletter di ASPO. Ho pensato che fosse appropriato riprodurlo qui perché in un post recente ho menzionato la questione della politica italiana e delle importazioni di carbone dalla Gran Bretagna prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. E' un soggetto che avevo già toccato in questo vecchio studio. Quindi, eccolo, in generale ancora valido dopo diversi anni.


L'ANTENATO DEL PICCO DEL PETROLIO: IL PICCO DELLA PRODUZIONE BRITANNICA DI CARBONE NEGLI ANNI 20.
di Ugo Bardi - ASPO Newsletter n. 73


Figura 1. Produzione del carbone britannico dal 1815 al 2004. I dati dal 1815 al 1860 provengono da Cook e Stevenson, 1996. I dati dal 1860 al 1946 provengono da Kirby, 1977. I dati dal 1947 ai giorni nostri sono dell'Autorità Britannica per il Carbone (accesso del 2006). I dati della produzione sono misurati con una funzione Gaussiana che approssima la curva di Hubbert. 


Ci troviamo a pochi anni dal picco del petrolio, il momento in cui la produzione mondiale di petrolio inizierà un declino irreversibile. Cosa dovremmo aspettarci al picco e dopo? La storia non è una guida diretta, visto che non ci sono casi nel passato di una importante merce globale, come il petrolio, che abbia raggiunto il proprio picco.

Tuttavia, ci sono stati picchi regionali che hanno avuto effetti globali. Il caso più conosciuto è quello della produzione statunitense di petrolio che ha raggiunto il picco nel 1970 e che ha portato la prima grande crisi petrolifera negli anni seguenti. Ma quello non è stato il primo caso di una grande risorsa che ha raggiunto il picco per poi declinare. C'è stato un altro grande picco circa mezzo secolo prima: il Picco del Carbone in Gran Bretagna negli anni 20.

Il passato geologico ha lasciato alla Gran Bretagna una dote in carbone senza eguali in altre regioni europee. Lo sfruttamento è iniziato nel Medio evo e, già all'inizio del 18° secolo, l'industria del carbone ha cominciato una crescita esponenziale. Il carbone ha alimentato la rivoluzione industriale britannica ed era anche collegato al potere politico, permettendo alla Gran Bretagna di costruire il primo, e al momento unico, vero impero mondiale della storia.

L'importanza del carbone e difficile da sovrastimare. Durante il periodo di espansione dell'industria, un minatore britannico poteva produrre 250 tonnellate di carbone all'anno (Kirby 1977). Anche tenendo conto che circa il 20% doveva essere usato per estrarre più carbone, la produttività di un minatore di carbone, in termini energetici, era di cento volte più grande di quella di un lavoratore agricolo. Al culmine del proprio impero, la Gran Bretagna impegava più di un milione di minatori (Kirby 1977). Era la superpotenza del tempo, sfidata soltanto da altri stati produttori di carbone. Nella Prima Guerra Mondiale, il carbone britannico ha combattuto contro quello tedesco: ha vinto quello britannico.

Ma il carbone non poteva durare per sempre, anche per la ben dotata Gran Bretagna. Già a metà del 19° secolo, William Stanley Jevons aveva previsto, nel suo "La Questione del Carbone" (1856), che l'esaurimento avrebbe reso un giorno il carbone britannico troppo costoso per l'industria britannica. Jevons non espresse esplicitamente il concetto di "Picco del Carbone" ma, in senso qualitativo, la sua analisi era simile a quella di Marion King Hubbert per la produzione di petrolio negli Stati Uniti (Hubbert, 1956). E Jevons aveva ragione: il picco del carbone britannico è arrivato nel 1913, con 287 milioni di tonnellate. L'industria del carbone britannico ha lottato per mantenere la produzione ma non è riuscita più a raggiungere quel livello. Lo sforzo nell'industria è anche mostrato dai due scioperi generali dei minatori del 1921 e del 1926 che hanno causato un temporaneo crollo della produzione. La tendenza alla diminuzione è divenuta evidente negli anni 30 e non poteva essere fermata. La produzione britannica ha seguito una classica curva a campana in buon accordo col modello di Hubbert, con una distribuzione che da un picco nel 1923, solo 10 anni dopo il massimo effettivo. Oggi, la produzione di carbone in Gran Bretagna è meno di un decimo di quanto fosse al suo picco.

Il picco del carbone britannico è stato un punto di svolta nella storia. Mai prima di allora una grande regione produttrice di energia aveva iniziato a declinare. Ci sono analogie impressionanti fra il Picco del carbone britannico nel 1923 e il Picco del Petrolio americano del 1970. In entrambi i casi questi paesi stavano producendo al picco circa il 20% del totale mondiale. In entrambi i casi, le conseguenze mondiali sono state importanti. Prima del picco, la Gran Bretagna esportava circa il 25% della propria produzione interna e questa quantità era cresciuta esponenzialmente con la produzione. Dopo il picco, le esportazioni hanno iniziato a declinare causando una scarsità di carbone nel mercato mondiale. Nel caso degli Stati Uniti, le esportazioni di petrolio non erano importanti prima del picco. Ma, dopo il picco, le importazioni di petrolio statunitensi sono salite rapidamente, portando a loro volta ad una scarsità nel mercato mondiale.

Le scarsità di petrolio negli anni 70 hanno fatto salire i picchi dei prezzi causando la Grande Crisi Petrolifera. Un picco simile ha avuto luogo negli anni 20 per il carbone  (Governo Australiano, 2006) anche se è stato meno pronunciato. Molto probabilmente, il picco del carbone è stato meno brusco perché il controllo dei prezzi messo in atto durante la guerra è stato solo leggermente allentato negli anni 20. I prezzi del carbone si sono mantenuti alti negli anni 20, ma sono crollati col crollo del mercato nel 1929.

Molte regioni dell'Europa dipendevano dal carbone britannico, quindi la mancanza di carbone si è sentita ovunque. Diversi eventi che hanno seguito il picco del carbone britannico possono essere ricondotti alla riduzione della disponibilità di energia: il declino dell'Impero Britannico, la Grande Depressione degli anni 30, così come il sollevamento generale dell'Europa negli anni 20 e 30. I giornali italiani degli anni 20 e 30 sono pieni di insulti contro la Gran Bretagna perché non mandava il carbone all'Italia, carbone che gli italiani si sentivano in diritto di avere. Ciò riflette il tipo di atteggiamento che i paesi occidentali hanno adottato contro i produttori di petrolio del Medio Oriente negli anni 70. Ma, se il carbone britannico era in diminuzione negli anni 30, il carbone tedesco era ancora in aumento, il suo picco sarebbe arrivato solo negli anni 40. La Germania non ha mai prodotto tanta antracite, cioè la qualità migliore, quanto la Gran Bretagna, ma negli anni 30 aveva il vantaggio di poter ancora aumentare la produzione, mentre quello della Gran Bretagna stava declinando.

Negli anni 30, l'Italia ha abbandonato il suo tradizionale alleato, la Gran Bretagna, per la Germania, perché solo la Germania poteva fornire il carbone di cui aveva bisogno l'industria italiana ad un prezzo che gli italiani si potevano permettere. Solo più tardi si sarebbero resi conto che il prezzo del carbone tedesco sarebbe stato molto più alto di quanto sembrasse. Nel 1950, dopo il disastro della Seconda Guerra Mondiale, i problemi causati dal picco del carbone britannico sono stati risolti, per un po', passando al petrolio. Analogamente, dopo il trambusto della crisi petrolifera degli anni 70, i problemi causati dal picco del petrolio statunitense sono stati risolti, per un po', passando ad altre regioni produttive. In entrambi i casi, né il pubblico, né i politici, né gli economisti hanno visto le relazioni fra gli eventi politici ed economici del tempo, che erano legati al picco di petrolio e carbone.

Negli anni 30, sono stati scritti interi libri sul carbone (Neuman 1934), ma l'esaurimento mondiale difficilmente veniva citato. Nel 1977, Kirby ha scritto più di 200 pagine sulla storia dell'industria britannica del carbone durante il periodo del picco senza mai menzionare la questione dell'esaurimento. Apparentemente, non si riusciva ad afferrare il perché, mentre c'era ancora carbone da estrarre, la produzione declinava. Non capivano che non è la disponibilità fisica quella che conta, ma il costo di estrazione che aumenta col progressivo esaurimento. Era un concetto che Jevons aveva già capito circa un secolo prima, ma che non era sopravvissuto nell'economia dominante. Il caso del picco del petrolio statunitense è stato simile; il picco è stato generalmente ignorato dagli economisti, anche se Marion King Hubbert lo aveva previsto correttamente. Tutto ciò che è avvenuto dopo è stato attribuito a cause politiche. Entrambi i picchi sono stati dimenticati presto.

Oggi, è la produzione globale di petrolio che sta giungendo al picco. E' una cose che vediamo tutti, ma non è politicamente corretto dirlo. Il picco è un evento momentaneo, ma  accenna ad una realtà che gran parte della gente preferisce ignorare: il fatto che le risorse minerali sono finite. Possiamo ignorare anche il picco globale, proprio come gran parte della gente ha ignorato il picco del carbone britannico degli anni 20 e il picco del petrolio americano del 1970. Tuttavia, non saremo in grado di ignorarne gli effetti.

Bibliografia

Governo Australiano, Ministero del Tesoro, accesso del 2006
www.treasury.gov.au/documents/1042/HTML/docshell.asp?URL=02_Resource_commodities.asp

Autorità per il Carbone, accesso del 2006 www.coalminingreports.co.uk

Cook, C e Stevenson, J. 1996. The Longman Handbook of Modern British History, 1714-1995. Longman Terza edizione. Londra e New York: DOE 1993, DOE/EIA-0572 rapporto.

Hubbert, M.K. (1956). Energia nucleare e i combustibili fossili. Presentato prima dell'Incontro di Primavera del Southern District, Istituto Americano del Petrolio, Plaza Hotel, San Antonio, Texas, 7-8-9 marzo 1956

Kirby, M. W., 1977 The British Coalmining Industry, 1870-1946, The Macmillan Press Ltd, Londra e Birmingham.

Neuman A.M. 1934 Economic Organization of the British Coal Industry; Routledge ed..


domenica 10 marzo 2013

Il problema con la scienza del clima

Al punto in cui siamo arrivati, il problema della scienza del clima non è più tanto studiare l'atmosfera terrestre, ma studiare i meccanismi che rendono così difficile alla maggior parte degli esseri umani di capire la scienza del clima. La scienza del clima è veramente un campo interdisciplinare!

Qui di seguito, un filmato che illustra di un tentativo interessante in questo senso. Gli autori, Joe Brewer e Laszlo Karafiath, hanno usato il concetto di "meme" e hanno cercato di raccogliere tutte le forme ("memi") che il concetto di cambiamento climatico può prendere. Hanno trovato che, al momento, non esiste nessun meme efficace che possa diffondere il concetto di cambiamento climatico oltre il circa 5% della popolazione.

Vale la pena anche di leggere il loro rapporto a
http://www.slideshare.net/lazlomemes/global-warming-is-a-virus

(sottotitoli in italiano di Max Rupalti)


mercoledì 6 marzo 2013

Perché l'Italia?


Di Ugo Bardi
Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Un ritratto del mio trisnonno Ferdinando Bardi (1822-?). Ha combattuto con Garibaldi nella guerra per l'unificazione italiana del 1860 ed è stato premiato con le medaglie che vedete in questo dipinto. Spero solo che il mio antenato non abbia ammazzato troppa gente per meritarsi quelle medaglie ma, a parte questo, mi sono chiesto cosa lo abbia spinto a combattere in quella guerra. E' stato forse perché era pagato? Perché era in cerca di avventura? O è stato, davvero, nel nome “dell'Italia”? E, in quel caso, cosa avrebbe pensato se avesse immaginato l'attuale situazione italiana?



In questo post, rivisito rapidamente la storia dell'unificazione italiana sulla base del concetto che tutto ciò che esiste ha una ragione di esistere e che, quindi, alcuni degli eventi politici recenti in Italia, dalla tenuta di Berlusconi all'ascesa del movimento “5 stelle” abbiano le proprie radici nella storia antica. Mi scuso per la brevità di questo testo su un tema che richiederebbe un'analisi molto più approfondita. Ma spero che possa essere preso almeno come punto di partenza per apprendere di più su questa materia.


1. Perché L'Italia?

A scuola, agli italiani viene raccontata la versione standard degli eventi che hanno portato l'Italia a diventare uno stato unificato nel 1861. Questa versione dice che gli italiani hanno combattuto duramente e con passione per l'ideale di un paese unito. Dopo alcuni tentativi falliti, alla fine, un migliaio di volontari coraggiosi hanno seguito il generale Garibaldi nella lotta contro l'arretrato e dittatoriale Regno di Napoli. Con l'aiuto di molti patrioti napoletani, l'esercito di Garibaldi ha trionfato e questo ha portato all'unificazione dell'Italia in un unico stato governato dal saggio Re del Piemonte. Poco dopo, l'esercito italiano ha trionfato anche contro gruppi di banditi che hanno provato senza successo a resistere al processo di unificazione nel Sud Italia.

Tuttavia, esiste una versione diversa degli stessi eventi che sembra stia diventando più popolare in Italia in tempi recenti (chiamiamola la versione “revisionista”). Questa dice che il prosperoso e civilizzato Regno di Napoli è stato pugnalato alla schiena da una banda di mercenari guidati da un avventuriero di nome Giuseppe Garibaldi e pagati con l'oro del re del Piemonte. Con l'astuzia e il tradimento, Garibaldi è riuscito a sopraffare la resistenza disperata dell'esercito napoletano e a spodestare il Re di Napoli dal suo legittimo trono. In seguito, molti coraggiosi combattenti per la libertà napoletani hanno cercato di ristabilire il loro legittimo re, ma sono stati sterminati senza pietà dalle truppe piemontesi.

Queste, naturalmente, sono delle descrizioni estreme di un dibattito in corso sull'unificazione dell'Italia. Ma queste visioni illustrano almeno una delle molte caratteristiche affascinanti della storia: quanto facilmente proiettiamo i nostri sentimenti moderni sulle persone e gli eventi del passato. Qui, le versioni sia ufficiale sia revisionista, vedono l'unificazione dell'Italia alla luce di sentimenti che erano probabilmente lontani dal pensiero di quelli che hanno realmente vissuto l'evento. Ma i limiti di entrambe le visioni non è tanto nel forzare quegli antichi eventi in schemi moderni, ma nella loro tendenza a vedere la storia in una prospettiva puramente italiana.

La percezione della storia, più che storia in sé, forma i pensieri e le azioni. Così, se vogliamo capire gli eventi italiani, come l'ascesa e la persistenza del Sig. Berlusconi come primo ministro e leader, dovremmo provare a capire cosa ha portato l'Italia a diventare ciò che è oggi: uno stato unificato. E' stata, per molti aspetti, una conseguenza inevitabile delle tendenze del tempo, ma non esattamente per le ragioni che ci raccontano a scuola, né per quelle che a volte possiamo leggere in termini di versione revisionista. La politica internazionale ha giocato un ruolo fondamentale nell'unificazione, come la ricerca moderna sta iniziando a mostrare (1).


2. L'onda nera del carbone

A partire dal 17° secolo, l'Europa ha iniziato ad essere travolta da un'onda nera. Era un'onda di carbone, una fonte di energia economica e abbondante mai vista prima nella storia. Col carbone, è arrivata la rivoluzione industriale e con essa la crescita economica e il potere militare. Ma l'onda nera non è arrivata dappertutto allo stesso momento. A causa di eventi geologici remoti, il carbone si trovava principalmente nel Nord Europa. Quindi la rivoluzione industriale è iniziata nel sud della Gran Bretagna e nel nord della Francia.

Avere miniere di carbone non era strettamente necessario ad una regione per industrializzarsi: la fonte nera di energia poteva sempre essere importata. Il carbone era caro da trasportare via terra, ma poteva essere trasportato facilmente sull'acqua. Così, il bisogno di trasportare carbone era una delle ragioni principali che hanno portato allo sviluppo della rete europea di canali navigabili che hanno cominciato ad essere comuni nel 19° secolo. Ma nelle zone calde e aride, c'erano grossi problemi per costruire vie d'acqua navigabili. Niente canali significava niente carbone e niente carbone significava niente rivoluzione industriale. E questo, a sua volta, significava essere lasciati indietro nel fenomenale sviluppo economico creato dalla disponibilità di carbone. Delle regioni mediterranee, solo il nord Italia e la Catalogna hanno potuto costruire dei canali navigabili. Il resto è stato escluso dalla rivoluzione industriale.

Questo squilibrio di potere economico è stato il fattore chiave che ha generato l'unificazione italiana. Il Regno del Piemonte (ufficialmente il “Regno di Sardegna”) nell'Italia nord occidentale, aveva accesso a una rete di canali e, nel 19° secolo, è diventato una potenza militare ed industriale nella penisola italiana, mentre gran parte degli altri stati, specialmente al sud, erano rimasti economie agricole. Questo squilibrio di potere non era in sé sufficiente a creare l'unificazione italiana, ma una serie di circostanze esterne lo ha reso possibile e forse inevitabile.


3. Geopolitica mediterranea nel 19° secolo.

Prima della rivoluzione industriale, il Mar Mediterraneo era stato in gran parte un lago turco e, in parte minore, un entroterra dell'Impero Spagnolo. Ma Turchia e Spagna non potevano agganciarsi alla rivoluzione industriale: non avevano né sufficiente carbone né canali navigabili. Col 19° secolo, l'ascesa delle potenze industriali europee ha creato un vuoto di potere in rapido sviluppo nell'area mediterranea. Gran Bretagna, Francia, Austria e Russia guardavano a sud con l'idea di incorporarsi un pezzo dell'Impero Turco in declino (formalmente, “Impero Ottomano”).

Napoleone dette inizio ai fuochi d'artificio con l'invasione dell'Egitto nel 1798. Quel tentativo fallì, ma era soltanto un rimandare i piani francesi. Nel 1830, la Francia invadeva l'Algeria. Gli algerini opponevano una strenua resistenza ma, senza aiuto dall'Impero Ottomano in disfacimento, non potevano che essere sopraffatti dalla superiore potenza di fuoco e dal numero degli invasori. Stavolta era chiaro che la Francia era in Nord Africa per restarci.

La caduta dell'Algeria cambiava alla base i giochi di potere nel Mediterraneo. Ora, cosa avrebbe impedito ai francesi di prendersi per sé un piccolo impero mediterraneo? Avrebbe potuto includere il Nord Africa dal Marocco all'Egitto e, perché no, anche il regno di Napoli, un'altra regione non industrializzata che avrebbe potuto opporre ben poca resistenza. Nessuna delle altre potenze mondiali era nella posizione di fermare la Francia; o perlomeno non facilmente. La Russia era troppo lontana, l'Austria era imbottigliata nell'Adriatico del nord e i britannici erano pesantemente impegnati in Medio oriente.

Non c'è voluto molto sforzo ai diplomatici britannici per vedere che c'era una soluzione per fermare l'espansione francese che non richiedeva un intervento militare diretto. Ciò che serviva era una forte Italia unificata. Come stato, l'Italia sarebbe rimasta troppo debole per sfidare le potenze mondiali, ma sarebbe stata abbastanza forte da impedire un'invasione francese e per resistere ai tentativi francesi di dominare ciò che i governi italiani avrebbero visto come la sfera di influenza del paese in Nord Africa. Così, l'interesse britannico all'unificazione italiana è diventato una forza motrice nella politica italiana.

Questo non è stato il solo fattore in gioco a metà del 19° secolo nei giochi di potere del Mediterraneo. I piani britannici erano perfettamente coerenti con quelli del Piemonte, che puntava ad espellere l'Austria dal Nord Italia e di espandersi al sud nella penisola. Anche fuori dal Piemonte, gli italiani ricordavano molto bene i tempi, un paio di secoli prima, quando il territorio italiano era stato poco più di un campo di battaglia per potenze straniere che combattevano per la supremazia. Molti in Italia capivano che solo uno stato italiano unificato poteva mettere insieme sufficiente forza militare per mantenere l'Italia indipendente dal dominio straniero.

E c'erano anche ragioni economiche. Gli italiani potevano capire senza problemi che che solo un paese unificato poteva sbarazzarsi di arcaici confini e pedaggi, costruire una infrastruttura di trasporto snella e creare una singola valuta per facilitare il commercio. Anche qui, uno stato unificato era generalmente visto come l'unico modo per l'Italia di combattere la minaccia della dominazione straniera.


4. L'unificazione dell'Italia

Gli interessi convergenti di Gran Bretagna, Piemonte e di diversi movimenti di idee in Italia hanno portato all'unificazione dell'Italia nel 1861. E' stato il risultato di una serie di campagne militari di successo ed del trionfo delle diplomazie coordinate di Piemonte e Gran Bretagna. Delle potenze mondiali che potevano opporsi all'unificazione, l'Austria è stata sconfitta e la Francia era placata con un po' di terra (Savoia e Nizza) che valeva molto meno dei guadagni ottenuti dal Piemonte. Gli altri stati italiani non sono riusciti ad opporre una resistenza significativa; sono stati pacificamente integrati nel nuovo stato o sono stati spazzati via. Questo è stato il destino del “Regno delle due Sicilie” (conosciuto anche come “Regno di Napoli”). Non era né la dittatura arretrata né la terra prospera e civilizzata descritte oggi dalle diverse visioni della storia. Semplicemente, non si era industrializzato ed era economicamente troppo debole per sopravvivere da solo.

Per alcuni anni, dopo l'unificazione, è rimasta una resistenza ostinata nelle regioni interne di quello che era stato il Regno di Napoli, ma è stata repressa senza pietà. Poi, lo stato italiano da poco creato è risultato sorprendentemente resiliente. Naturalmente, l'Italia non è mai stata sufficientemente potente da competere con le grandi potenze, ma ha giocato il ruolo che ci si aspettava nel Mar Mediterraneo. L'Italia ha fermato i tentativi francesi di espansione in Tunisia e, nel 1911, l'Italia si è presa un pezzo di terra in Nord Africa sconfiggendo l'Impero Ottomano e annettendosi la regione che oggi chiamiamo Libia. Questo ha creato uno stato cuscinetto fra le sfere di influenza della Francia e della Gran Bretagna in Nord Africa.

Per lungo tempo, l'alleanza fra Gran Bretagna e Italia è rimasta forte, Così tanto che veniva chiamata dagli italiani “Bella Fratellanza”. L'Italia è rimasta una buona cliente del carbone britannico e meta preferita per i turisti britannici e per gli espatriati. Ma le cose sarebbero cambiate con la fine della Grande Guerra.


5. Il declino del carbone (e dell'Italia)

Finché l'Italia poteva importare carbone dall'Inghilterra, la sua economia ha prosperato e l'alleanza con la Gran Bretagna è rimasta forte. Ma con la fine della Prima Guerra Mondiale, le miniere in Inghilterra hanno iniziato ad avere problemi ad aumentare la produzione e persino a mantenerla ai vecchi livelli. La Gran Bretagna stava attraversando il proprio ”picco del carbone”. In Italia questo evento è stato percepito come un tradimento e gli italiani proprio non potevano capire perché la Gran Bretagna non volesse dar loro il carbone di cui avevano bisogno. Il risultato è stata una sfiducia generalizzata che è stata trasformata in odio contro la “Perfida Albione”, come la stampa italiana ha cominciato a chiamare la Gran Bretagna negli anni '30.

Ma gli insulti contro i perfidi inglesi non potevano essere trasformati in carbone. L'Italia stava diventando come una bestia affamata chiusa in gabbia: è impazzita. Secondo il vecchio detto “gli Dei prima fanno impazzire coloro che vogliono distruggere”, negli anni '30, il governo italiano si è comportato come se il suo scopo dichiarato fosse quello di distruggere il paese. Una serie di guerre hanno portato alla bancarotta un'economia già in difficoltà e l'invasione dell'Etiopia nel 1936 è stata una campagna enormemente costosa che ha portato pochi guadagni o nessuno all'Italia, a parte il dubbio onore per il Re d'Italia di ottenere il titolo di “Imperatore d'Etiopia”. Il governo ha completato il lavoro con la Seconda Guerra Mondiale, dove un'Italia impreparata è stata completamente sconfitta e distrutta.

Dopo la fine della guerra, l'Italia è riuscita a ricostruire la propria economia basandosi sul petrolio greggio. Ma la crisi petrolifera che è iniziata negli anni 70 è stata per molti versi la ripetizione della crisi del carbone degli anni 20. Senza petrolio a buon mercato, l'industria italiana non poteva semplicemente sopravvivere e questa, probabilmente, è una delle ragioni della vena di follia che pervade la politica italiana ai giorni nostri. Fortunatamente, stavolta l'Italia non può reagire alla crisi diventando aggressiva, com'è accaduto negli anni 30.


6. Perché l'Italia nel 21° secolo?

La ragione per cui strutture politiche grandi e complesse, come gli stati nazionali, esistono , è perché danno benefici che giustificano i loro costi. Ma tutti i sistemi politici sono soggetti a ciò che Joseph Tainter chiama il “ritorno decrescente della complessità”. Con il declino delle risorse che hanno creato il sistema, la complessità cessa di essere un vantaggio e diventa un fardello. Il risultato normalmente è quella rapida diminuzione di complessità che chiamiamo “collasso”.

L'Italia come stato unificato è un sistema politico complesso che è stato creato a causa di ragioni strategiche ed economiche al tempo della sua creazione. Un governo centralizzato ha prodotto vantaggi in termini di difesa territoriale e di integrazione economica che hanno giustificato il suo costo. Ma le cose sono cambiate profondamente in entrambe le aree.

Per prima cosa, nell'era delle superpotenze l'Italia non può mantenere un potere militare autonomo. Oggi, il sistema militare italiano è completamente incorporato nella NATO. In termini di politica estera, l'Italia è parte dell'Unione Europea e possiamo dire ragionevolmente che l'Italia non ha più una politica estera indipendente.

Poi, con la crescita dell'Unione Europea  la nascita dell'Euro, il governo italiano ha perso la possibilità di una politica monetaria indipendente e con questa la propria capacità di intervenire nell'economia nazionale. Essendo poi parte del WTO (World Trada Organization), il governo italiano ha ulteriori limiti su quanto può fare in termini economici.

Ciò che è rimasto al governo centrale italiano è la capacità di esigere tasse e, infatti, gran parte dell'attuale dibattito politico in Italia è su chi dovrebbe pagare le tasse, quante, e per cosa queste tasse dovrebbero essere usate. Naturalmente, c'è un accordo generale sul fatto che le tasse dovrebbero essere usate per servizi come la polizia, le scuole, le strade, la giustizia, gli ospedali e cose del genere. Ma lo stato italiano è una struttura costosa e sbilanciata. Nonostante il declino del PIL nazionale, le tasse continuano ad aumentare ed oggi gli introiti delle tasse in Italia si mangiano quasi il 45% del PIL (negli Stati Uniti è meno del 30%) ad un costo per i cittadini italiani di circa 500 miliardi di euro (circa 650 milioni di dollari) all'anno. Ciononostante, la qualità dei servizi pubblici è percepita come in declino e agli italiani si chiede sempre più spesso di pagare per servizi che una volta erano gratuiti. A questo punto, è legittimo chiedersi se questi servizi non possano essere forniti a costi inferiori (e possibilmente con migliore qualità) dai governi regionali; senza il fardello di un sistema di stato centralizzato.

Come è normale per tutti i governi, quello italiano non sa come tagliare i costi e riformare sé stesso. Continua a chiedere sempre più soldi ai cittadini mentre sogna mega progetti incredibilmente costosi, come il ponte sullo Stretto di Messina, la TAV Torino-Lione e molti altri. Allo stesso tempo, il governo è stato incapace di impegnarsi anche in semplici gesti come la riduzione dei privilegi dei membri del parlamento. Questo non avrebbe cambiato molto nel bilancio dello stato, ma avrebbe almeno mandato un segnale agli italiani che i sacrifici sarebbero stati condivisi. Non c'è da meravigliarsi che i cittadini italiani siano arrabbiati e confusi e che reagiscano con schemi di voto, alle elezioni nazionali, che sembrano confusi agli stranieri (ed anche agli italiani). Eventi come l'ascesa del Movimento "5 Stelle" di Grillo sono il risultato di questi sentimenti e del bisogno di una redistribuzione dei sacrifici che la difficile situazione economica impone.

Vedremo il collasso dell'Italia come stato centralizzato per dare spazio ai governi regionali? Questo non sembra essere nell'orizzonte politico al momento, ma non può essere nemmeno escluso, come dimostra la diffusione della visione “revisionista” dell'unificazione italiana. Quello che possiamo dire con certezza è che la crisi economica italiana sta diventando più profonda e che ci aspettano grandi cambiamenti.

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1. Le note sul ruolo della Gran Bretagna nell'unificazione italiana sono basate principalmente sul libro di Eugenio di Rienzo “Il Regno delle due Sicilie e le Potenze Europee” -Rubbettino 2012

lunedì 4 marzo 2013

Il prezzo dell'energia solare: siamo già alla "grid parity"


Di Luis de Sousa. 25 febbraio 2013
Da “The Oil Drum” Traduzione di MR


In tutta Europa tariffe incentivanti e i sussidi per l'energia solare vengono tagliati o anche tolti. In Portogallo e Spagna queste azioni vengono giustificate con la crisi del debito o anche se questi espandono il loro deficit commerciale  degli Stati. Questo mee, il governo spagnolo ha fatto una mossa decisiva per spaventare gli investitori ed espellere gran parte delle energie rinnovabili dalla rete elettrica, in particolare il solare.

Reuters
Esclusivo: Gli investitori stranieri pensano di citare la Spagna sulla riforma energetica
14-02-2013

(Reuters) – Gli investitori stranieri in progetti di energia rinnovabile hanno assunto degli avvocato per preparare una potenziale azione legale internazionale contro il governo spagnolo sulle nuove regole che essi sostengono rompere i loro contratti.
Il Parlamento spagnolo ha approvato una legge giovedì che taglia i sussidi per le tecnologie energetiche alternative, facendo marcia indietro sulla spinta all'energia verde.
Questa misura, insieme ad altre leggi recenti compresa una tassa sulla generazione di energia che colpisce duramente in particolare gli investimenti sull'energia verde, cancellerà virtualmente i profitti per gli impianti fotovoltaici, di solare termico ed eolico, dicono i lobbisti del settore. 

Immergendosi fra i numeri quello che si scopre dietro alla politica di invesione di marcia è qualcosa di completamente diverso.

Più caro, dicono

In posti come il Lussemburgo i tagli di queste tariffe incentivanti vengono difesi in modo diverso, come ha fatto il ministro dell'economia Etienne Schneider lo scorso agosto presentando una nuova legge per l'energia rinnovabile:

Le Juedi
Il fotovoltaico è caduto in disgrazia
Sébastien Meinbach, 09-08-2012 
Sostenuto dall'analisi dei suoi servizi, il Ministro dell'Economia, Etienne Schneider, ha fatto un commento netto. Un'osservazione che tocca soprattutto tutto il settore fotovoltaico, “che è troppo caro per un debole risultato in termini di sviluppo di energie rinnovabili”. 
«In confronto, un megawatt/ora [sic] (mW/h) [sic] prodotto dall'eolico è 14 volte più economico di 1 mW/h [sic] prodotto dal fotovoltaico”, scende nei dettagli il ministro. Quindi per la stessa quantità di energia rinnovabile paghiamo 14 volte in più per il solare. Tutte le altre forme [di energia] sono a loro volta più economiche”. 

Così il Ministro dell'Economia lussemburghese ha completamente cancellato le tariffe incentivate sulle installazioni di fotovoltaico (FV) al di sopra dei 30 kWp e fortemente ridotto quelle sulle installazioni al di sotto dei 30 kWp. A parte la creatività giornalistica dei mili-watt ora, l'energia solare è davvero così cara? Questo post fornisce una risposta a questa domanda, mostrando che la vera ragione dietro a questa detrazione dell'energia solare è proprio il contrario di quanto dichiarato dal Ministro Schneider.

Investire in Energia Solare

L'investimento anticipato in un sistema FV ha tre componenti principali:

  • pannelli di celle solari, che raccolgono l'energia;

  • un inverter, che tratta la corrente continua in arrivo dai pannelli trasformandola  in una forma digeribile dalla rete elettrica;

  • e l'installazione, che comprende lavoro, incartamenti e qualsiasi altra cosa serva per avere il sistema attivato e funzionante.


La dimensione del pannello o la sua capacità, sono descritti come la quantità massima di potenza che essi possono raccogliere in situazioni di luminosità ottimali. Ciò viene misurato in Watt di picco (W/p). I prezzi dei pannelli sono quotati in €/Wp e siccome i costi sia dell'installazione sia dell'inverter sono vicini alla capacità del pannello, le aziende possono fornire un prezzo per l'insieme su una conveniente base €/Wp.

Ogni anno c'è una fiera ecologica in Lussemburgo ad ottobre, meglio conosciuta col termine lussemburghese di Oekofoire. Ci sono stato lo scorso anno ed ho passato il mio tempo agli stand delle imprese fotovoltaiche che di solito affollano l'evento. Lì, il prezzo che le imprese  chiedevano per un sistema solare era di 1,6 €/Wp. Quel prezzo comprendeva gli 0,6 €/Wp per i pannelli, gli 0,2 €/Wp per l'inverter e i rimanenti 0,8 €/Wp per l'installazione. Il fatto che l'hardware fondamentale costituisca ora solo la metà del prezzo di un sistema FV indica già che la realtà potrebbe non coincidere perfettamente coi discorsi politici. A dicembre ho avuto l'informazione che in Germania questi prezzi erano già sotto ad 1,3 €/Wp, in luoghi con con buon accesso e facilità di installazione. Ciò riflette l'implacabile declino dei prezzi sia delle celle solari sia degli inverter, le prime sono diminuite del 40% nel solo 2012.

Figura 1 – Prezzi dei sistemi FV (installazione più hardware) in Germania da gennaio 2006 a giugno 2012, che mostrano un declino lineare di 500 €/kWp/anno. Fonte:Solarwirtschaft.de.



In anni recenti li mercato solare ha subito la trasformazione imposta da ciò che viene normalmente chiamata economia di scala. Dalle piccole fabbriche in Europa, la produzione di solare FV è migrata in enormi fabbriche in Asia. E con questa trasformazione sono arrivati i soliti cicli nei grandi mercati dove la differenziazione del prodotto non è ovvia. Dalla metà del 2012, è stato detto che alcuni produttori asiatici vendono celle di circa 0,2 €/wp sotto costo, in un chiaro ciclo di distruzione dell'offerta. Ciò ha creato schiamazzi in Europa, coi produttori locali che chiedono tasse sui prodotti asiatici e gli investitori rivendicano che questa è la strada per l'elettricità che ci possiamo permettere. Anche se questa distruzione del ciclo dell'offerta fosse di fatto il motore del recente crollo dei prezzi, il ritorno dei prezzi di due, o anche di un anno fa, non è da attendersi. In primo luogo perché il mercato solare mostra una chiara similitudine col mercato dell'hardware dei computer, con un declino dei prezzi similmente mozzafiato. In entrambi i casi il prodotto finale è pura tecnologia, che può solo migliorare nel tempo, come il numero di transistor per unità di area. L'efficienza della tecnologia FV continua ad aumentare e miglioramenti come l'auto-raffreddamento devono ancora arrivare sul mercato. E in secondo luogo perché la produzione non tornerà in Europa, se è economico produrre uno smartphone o un laptop in Europa, sarà molto di meno così per una tecnologia più semplice come le celle solari.

Il prezzo base del FV – Scenario I

Allora, per venire al punto: qual è il prezzo dell'energia solare alle presenti condizioni di mercato? E' davvero così alto come dichiarano il Sig Schneider ed altri politici? Siccome con questa tecnologia gran parte dei costi si sostengono in anticipo, una ragionevole approssimazione può essere fatta. Nella sua forma più semplice, il prezzo dell'elettricità generata da un sistema solare è il rapporto fra i costi totali e la quantità totale dell'energia prodotta durante la sua vita:


P = C / E


I costi possono essere divisi in investimenti: pannelli (Ip), inverter (Ii), installazione (Il) e manutenzione. L'ultima può a sua volta essere divisa in ricambi dell'inverter, che normalmente hanno una vita inferiore dei pannelli, ed i costi annuali di altri compiti come la pulizia o la sostituzione di cavi (M). Mettendo tutto insieme in modo più formale:


C = Ip + Il + (Vp/Vi) * Ii + Vp * M


Dove Vp è la durata di vita e Vi la durata di vita dell'inverter, entrambi espressi in anni.

Per calcolare la quantità totale di energia prodotta dal sistema, per prima cosa dobbiamo sapere l'energia in uscita prevista per capacità dell'unità nel sito di installazione. Un pannello non produrrà permanentemente alla massima capacità, l'inclinazione dei raggi solari, la copertura nuvolosa e la quantità di radiazione diffusa variano durante il giorno e durante l'anno. Conoscendo alcuni indicatori climatici è possibile caslcolare con precisione la quantità di energia che un pannello può generare in un anno. Il Joint Research Centre ha creato un sistema di informazione che comprende mappe e piccole applicazioni web per fornire una stima accurata di questo valore (Ec), espresso in Wh/Wp/anno (per esempio, energia generata per capacità installata per anno – qui in Lussemburgo questa cifra è intorno ai 900 Wh/Wp/anno). Una seconda componente importante per calcolare la quantità totale di energia prodotta è il declino dell'efficienza della cella col tempo (d), che è indotta dalla stessa luce solare. Tornando alla formula:


E = sum[t=0,Vp-1][Ec * (1 - t * d)]


Sostituendo tutte queste figure coi numeri si può avere un'idea precisa del prezzo in €/kWh, le stesse unità usate per misurare il consumo alla rete e per fa pagare i consumatori. La Tavola sotto riassume tutti questi parametri e valori usati per ottenere un primo scenario del costo del FV:

Tabella 1 – Parametri e valori corrispondenti usati per costruire lo Scenario I – costi di base.

Costo d'investimento per i pannelli
Ip
0,6
/Wp
Costo d'investimento per l'inverter
Ii
0,2
/Wp
Costo d'investimento per l'installazione
Il
0,8
/Wp
Durata dell'inverter
Vi
10
anni
Costi di manutenzione
M
20
/Wp/anno
Diminuzione dell'efficienza del sistema
d
0,5
%/anno



La sola cifra qui alla quale non si era fatto riferimento prima è quella della manutenzione generale. Il sistema FV che ho installato in Portogallo ha quasi 3 anni e finora i costi di manutenzione sono stati di 0 €; se ne sta semplicemente lì e produce elettricità. So che dovrò sostituire l'inverter ad un certo punto, visto che la garanzia è valida per soli 10 anni ma, a parte questo, altri interventi di manutenzione sono difficili da prevedere in questa fase.

Giungendo finalmente al prezzo, il grafico sotto presenta i prezzi dell'energia solare come funzione della durata di vita del sistema (Vp) secondo le cifre della Tabella I in tre ipotetiche località: sud della Germania (1000 Wh/Wp/a), (1250 Wh/Wp/a) e sud del Portogallo (1500 Wh/Wp/a).

Figura 2 – Prezzi dell'energia solare come funzione della durata di vita del sistema per tre località di riferimento secondo lo Scenario I.


Nel sud della Germania, per la durata di vita di un progetto di 20 anni i costi dell'elettricità solare si trovano oggi a 0,10 €/kWh, in forte contrasto coi prezzi di rete molto più alti di 0,2 €/kWh. E' interessante anche osservare il peso di ogni percentuale nei costi complessivi:

Figura 3 – Percentuale di ogni componente del costo nello Scenario.

Considerare il finanziamento - Scenario II

Anche col recente declino dei prezzi un sistema FV è un investimento rilevante. E' ragionevole presumere che alcuni investitori potrebbero dover ricorrere a finanziamenti, quindi anche i servizi di debito dovrebbero essere inclusi nell'equazione del costo. I costi di finanziamento possono essere calcolati usando un altro orizzonte temporale (Fl) ed un tasso di interesse (Fr), applicato ad una frazione di costi anticipati (Ff). L'equazione del costo ora ha bisogno di altri elementi:
C = (Ip + Il + Ii) * (1 + Ff * Fr * Fl) + (Vp/Vi - 1) * Ii + Vp * M

Il grafico del costo come funzione della durata di vita ora è riprodotto coi costi finanziari, assumendo che l'80% dell'investimento anticipato sia finanziato per un periodo di 8 anni ad un tasso di interesse del 2%. Tutti gli altri parametri sono presi dallo Scenario I. In Lussemburgo, il finanziamento del FV può spuntare tassi di interesse fino a 1,2%, ma preferisco una cifra forse più rappresentativa del più ampio mercato europeo. 

Tabella 2 – Parametri e valori per il Finanziamento, comprendenti lo Scenario 
Orizzonte del finanziamento
Fl
8
anni
Tasso di interesse
Fi
2
%/anno
Frazione dell'investimento da finanziare in anticipo
Ff
80
%



Figura 4 – Prezzi per l'energia solare come funzione della durata di vita per tre diverse località secondo lo Scenario II.

E la composizione del costo:

Figura 5 – Percentuali dei costi di ogni componente nello Scenario II.


Queste cifre possono sembrare sorprendentemente basse, ma presentano un quadro preciso dell'attuale mercato del FV, almeno su scala domestica. Su scala industriale, pochi mesi fa un gruppo di investitori sono apparsi in Spagna offrendo elettricità alla rete ad un prezzo fissato di 0,06 €/kWh, sopprimendo qualsiasi sussidio o tariffa incentivante.

Finanzas.com
Diversi investitori interessati all'installazione di una centrale fotovoltaica a C.Real
19/09/2012 
Il Sindaco di Brazatortas, Pablo Toledano, ha valutato l'interesse che stanno mostrando vari gruppi di investitori stranieri all'installazione, in questo municipalità, di una centrale fotovoltaica di 200 0 400 megawatt. [...] 
Pablo Toledano ha detto che ci sono stati fino a 4 gruppi di investitori, che sono arrivati persino a prendere contatti coi proprietari dei terreni, coloro che hanno previsto una o varie centrali fotovoltaiche, nelle quali potrebbero investire fra i 200 e i 300 milioni di euro. [...] 
I gruppi investitori sono asiatici e centro europei e sarebbero disposti a installare le centrali fotovoltaiche con dei prezzi energetici sotto al prezzo di mercato di 6 centesimi di euro a kilowatt (ora), senza nessun incentivo per l'energia rinnovabile installata. 

Già questo mese, dettagli dell'acquisizione di un grande progetto solare nel Nuovo Messico, che ha un potenziale solare considerevolmente maggiore che in Spagna, puntano a cifre ancora minori:

Renewable Energy World
I dettagli del contratto dell'impianto Solar del Nuovo Messico puntano alla parità – e al dolore. 
James Montgomery, 01-02-2013
La First Solar ha acquisito un progetto solare di 50 megawatt (MW) in Nuovo Messico dalla divisione solare di Element Power. Il contratto è fatturato come il progetto solare più grande dello Stato. Esso solleva anche delle domande interessanti sul potere di acquisto dell'energia solare, secondo alcune informazioni insolitamente pubbliche rivelate in una compilazione del regolamento.  [...]
Infatti, una compilazione del regolamento della Commissione di regolamentazione Pubblica (Public Regulatory Commission – PRC) del Nuovo Messico è già di dominio pubblico e rivela esattamente ciò che paga El Paso Electric: 5,79 centesimi per kilowatt/ora (kWh)  [0.043 €/kWh]. E' quasi un terzo del prezzo di vendita dei progetti FV a film sottile (16.3 centesimi/kWh [0.12 €/kWh]), dice Bloomberg New Energy Finance e meno della metà dei 12,8 centesimi/kWh [0.096 €/kWh] del prezzo medio dei nuovi impianti a carbone. [...] 

La natura eccezionale dell'energia rinnovabile

Se i prezzi del solare ora sono a questi livelli, perché i governi europei apparentemente contrastano la crescita del FV connesso in rete? La risposta va indietro alle strategie di deregolamentazione e privatizzazione intraprese una decina di anni fa. Allo stesso tempo i governi stavano introducendo tariffe incentivanti e sussidi per le energie rinnovabili nei tardi anni 90 e nei primi anni 2000, stavano anche attuando un nuovo paradigma di mercato per l'elettricità, smantellando le società monopolistiche di stato, separando la produzione di energia dalla gestione della rete e generalmente privatizzando il settore. Ciò ha creato un nuovo mercato dove diverse aziende vendono elettricità a breve (mercato spot) e a lungo termine (mercato dei future), presumibilmente tutto nel miglior interesse dei consumatori. Le cose sono andate bene all'inizio, fino al punto che le rinnovabili hanno raggiunto una misura critica ed hanno semplicemente ucciso questo venerato mercato dell'elettricità. Per capire il perché bisogna comprendere due concetti essenziali dell'economia sulle energie rinnovabili.

In primo luogo viene la realtà che le tecnologie rinnovabili come vento, solare, maree o geotermia liberano da qualsiasi tipo di carburante per produrre elettricità. Un impianto a gas o diesel ha costi ogni volta che produce elettricità, l'operatore è permanentemente sul mercato per il combustibile, gestendo prezzi che possono essere piuttosto volatili. Oltre a questo, ci sono altri costi associati allo staff richiesto per mantenere l'impianto. Per contro, un impianto solare o eolico se ne sta semplicemente lì. Anche questi hanno costi di manutenzione, ma sono molto più bassi e possono essere previsti in modo piuttosto accurato all'inizio del progetto. Il risultato è che generare un kWh in più di elettricità da un pannello solare già installato costa quasi zero €/kWh. Questo è ciò che in economia è chiamato costo marginale (in questo caso la generazione di elettricità).

Il secondo aspetto importante di queste tecnologie rinnovabili è che generano elettricità, e una volta che questa viene immessa nella rete, un elettrone e uguale a qualsiasi altro. Inoltre, se ho un sistema FV sul mio tetto e il sole splende, posso essere sicuro che ogni altro vicino, o ogni altro investitore nella regione con un sistema FV, starà a sua volta generando elettricità. In economia, un mercato dove gli agenti dell'offerta non sono capaci di differenziare i loro prodotti l'uno dall'altro sono chiamati Mercati di Concorrenza Perfetta (Perfect Concurrency Markets). L'agricoltura dei cereali in Europa sono il classico esempio scolastico. Questo tipo di mercato ha una caratteristica molto importante: a lungo termine i prezzi combaciano coi costi marginali e gli agenti dell'offerta lottano per fare un profitto (questa è una delle ragioni per cui ci sono i sussidi in agricoltura).

Un mercato di concorrenza perfetta con un costo marginale di zero è qualcosa di totalmente al di fuori dello standard di studio e pratica in economia. E' al ragione per la quale i prezzi spot dell'elettricità collassano durante i giorni assolati d'estate o per la quale durante le tempeste autunnali ci possono persino essere prezzi negativi. Sono tutti sintomi di un mercato i cui prezzi si avvicinano sempre di più a zero, ma mano che aumenta il numero di sistemi ad energia rinnovabile collegati.

Clean Technica
Il solare tedesco abbassa il prezzo dell'elettricità pomeridiana, alla grande!
Zachary Shahan, 23-03-2012
Mentre i prezzi dell'elettricità aumentano nel primo mattino (dalle 4 alle 8) all'aumentare della domanda, circa dalle 8 del mattino alle 9 di sera il prezzo è abbastanza stabile.
Ora, andiamo velocemente a marzo 2012:
Vediamo ancora i prezzi aumentare dal primo mattino a circa le 8-9 del mattino, ma dopo guardiamo a quello che succede quando il sole comincia a picchiare (d i suoi 25 GW di capacità di potenza dei pannelli solari) – il prezzo crolla vertiginosamente, immergendosi anche più in profondità del prezzo dell'elettricità nel cuore della notte!

Il FV ora può guidare i prezzi dell'elettricità nel mercato a spot fino a livelli negativi di per sé e già da aprile. Ancora una volta dimostrando che ridurre i prezzi dell'elettricità per i consumatori non è esattamente ciò che motiva i governi:

Clean Technica
Le rinnovabili portano i prezzi dell'elettricità sotto 0 dollari durante alcuni pomeriggi
Nicolas Brown, 15-04-2012
Le fonti rinnovabili di energia come il solare e l'eolico hanno superato l'offerta di elettricità degli impianti di carico di base tradizionali (carbone, nucleare e un po' di gas naturale) durante le ore diurne, specialmente nel pomeriggio, in alcuni paesi degli ultimi paesi leader nelle rinnovabili. Una ragione per questo è che la domanda di elettricità tende ad aumentare durante le ore più assolate (e più calde) e gli impianti a energia solare generano più elettricità quando c'è più sole, il che avviene proprio al momento giusto. 
Non perfettamente, ma la produzione di energia dal sole tende a seguire la domanda di elettricità. Questo è particolarmente vero con le temperature più calde, visto che i condizionatori (che consumano molta elettricità) vengono alzati per compensare il caldo pomeridiano.

E ciò sta uccidendo i fornitori tradizionali di elettricità con modelli commerciali basati sull'energia dei combustibili fossili. Questi in un tale mercato non possono farcela, mercato che a pensarci bene sembra chiaramente mal concepito. I governi non hanno nulla di innato contro le energie rinnovabili, stanno semplicemente cercando di proteggere queste importanti imprese ed anche la reverenza filosofica per il mercato.

Particolarmente in Germania, lungi dall'essere il luogo più assolato o ventoso d'Europa, la discrepanza fra un mercato pienamente liberalizzato e la crescita dell'energia rinnovabile sta creando problemi di ogni genere. I gestori della rete non sono in grado o non vogliono aggiornare la rete, il voltaggio sale durante i giorni assolati, minacciando di far cadere la rete ed anche la manutenzione è un problema. In alcuni luoghi sta diventando così serio che il governo, composto da conservatori e liberali, sta pensando ad una completa nazionalizzazione della rete.

Der Spiegel
Giochi di potere: I politici richiedono la nazionalizzazione della rete elettrica
Frank Dohmen e Gerald Traufetter, 16-01-2013
Un membro del gabinetto del cancelliere tedesco Angela Merkel chiede una soluzione radicale all'espansione disperatamente necessaria delle linee ad alto voltaggio in tutto il paese, un progetto di infrastruttura cruciale che negli ultimi mesi è stato in stallo. Ilse Aigner vorrebbe vedere la parziale nazionalizzazione della rete elettrica nazionale per assicurare quelle massicce linee di potenza, richieste per trasportare l'energia verde dagli impianti eolici offshore e da altre fonti alle regioni dell'industria pesante nel sud della Germania, siano finalmente costruite.  
Il ministro per la protezione del consumatore, un membro del Christlich-Social Union (CSU), la sorella del partito conservatore della Merkel Christlich Democratische Union (CDU), sembra anche aver toccato una corda con questo richiamo. Molti esperti in affari e politica credono che la Germania sarebbe migliore con una rete elettrica nazionale che sia parzialmente o anche completamente di proprietà del governo – specialmente in tempi in cui il mercato elettrico tedesco drovà essere completamente rinnovato a causa dell'Energiewende, la politica di uscita da tutti gli impianti nucleari di Berlino entro il 2022 e di assicurazione che l'80% della fornitura elettrica del paese provenga da energia pulita entro il 2050. 

Con questi prezzi del FV in una tale impostazione di mercato, i governi possono fare ben poco per ostacolare la crescita dell'energia dal sole. Senza tariffe incentivanti gli investitori andranno semplicemente fuori rete.

Andare fuori rete - Scenario III

Con il prezzo dell'elettricità dal sole che ora è la metà di quello che i consumatori pagano alla rete, gli investitori possono facilmente contemplare uno scenario di investimento dove l'infrastruttura di accumulo può essere aggiunta al sistema, favorendo il consumo pieno dell'elettricità raccolta in loco. Calcolare i prezzi in queste condizioni è più complicato, ma si può ipotizzare uno scenario. Servono alcune assunzioni: per prima cosa la quantità di accumulo, qui presa come metà dell'energia generata durante le 24 ore al solstizio d'estate. A questo punto dell'anno il mio sistema genera l'equivalente di 5 ore a piena potenza, cioè 5 Wh/Wp/giorno, probabilmente sulla parte alta rispetto al resto d'Europa. L'assunzione è che metà di questa elettricità deve essere accumulata per essere usata più tardi nella giornata, questo equivale a 2.5 Wh/Wp. Probabilmente ancora sulla parte alta. Una batteria a 12 V 245 Ah che costa 450 € può accumulare circa 3 kWh; ancora una volta usando un buffer di sicurezza, per ogni altro hardware richiesto, mi resta un costo aggiuntivo per il sistema di accumulo (Ia) a 0.6 €/Wp. Si presume che la durata di vita della batteria (Va) sia di 10 anni ed abbia un'efficienza (Ea) del 90%. Ora la parte impegnativa è stimare la quantità di energia che viene accumulata durante l'anno (Fa), in inverno difficilmente ce ne sarà e quindi la metà nei giorni soleggiati d'estate; userò una cifra approssimativa del 30%. L'equazione del costo deve ora essere estesa per includere questi componenti di accumulo:


C = (Ip + Il + Ii + Ia) * (1 + Ff * Fr * Fl) + (Vp/Li - 1) * Ii + Vp * M + (Vp/Va - 1) * Ia


E così l'equazione del rendimento energetico:


E = sum[t=0,Vp-1][[Ec * (1 - t * d)] * [(1 - Fa) + (Fa * Ea)]]


I valori di accumulo usati per costruire questo terzo ed ultimo scenario sono riassunti nella Tabella 3, che si aggiunge ai valori della 1 e della 2.

Tabella 3 – Parametri e valori per l'accumulo, che comprendono lo Scenario III. 


Costo dei sistemi di accumulo
Ia
0,6
/Wp
Durata di vita del sistema di accumulo
Va
10
anni
Efficienza del sistema di accumulo
Ea
90
%
Frazione di energia accumulata
Fa
30
%

Figura 6 – Prezzi dell'energia solare come funzione della durata di vita del sistema per tre località di riferimento secondo lo Scenario III. 

Figura 7 – Percentuale del costo di ogni componente nello Scenario III. 

L'impatto è inevitabile

Ci sono due svantaggi essenziali con l'opzione off-grid. In primo luogo il sistema deve essere riportato su scala minore alla domanda estiva in situ, lasciando potenzialmente spazio sui tetti inutilizzato. E in secondo luogo c'è una perdita di efficienza imposta dall'accumulo, sarà sempre più efficiente immettere questa elettricità in rete e raggiungere una più ampia gamma di consumatori. Ma in sostanza, con 0.10 €/kWh o 0.12 €/kWh al di sotto del prezzo di rete, c'è una buon margine per andare off-grid con un po' di schemi di accumulo e risparmiare ancora qualche soldo. Ci sono già oggi nel mercato aziende che forniscono tali sistemi integrati – qualche pannello FV, batterie e un inverter/controllo – dichiarando prezzi al di sotto il riferimento della rete. Per le famiglie che possiedono un veicolo elettrico con il proprio sistema di accumulo, le cose vanno anche più lisce. 

Infatti, questo mercato è così paradossale, che gli investitori possono anche pensare di andare avanti senza accumulo, sprecare ulteriore elettricità generata durante i giorni estivi ed avere ancora un prezzo al di sotto di quello chiesto dagli operatori di rete. Alcuni analisti stanno progettando off-grid per crescere più rapidamente dei sistemi connessi alla rete. 

L'elettricità tedesca scivola ai mimini storici quando il solare ammortizza la domanda
Julia Mengewein, 16-01-2013
L'energia elettrica da consegnare nel 2014 per Germania e Francia è crollata mentre è previsto che l'output solare in aumento tagli la domanda di altre fonti di elettricità. [...]
L'energia elettrica tedesca per il prossimo anno ha perso 65 centesimo a 43,30 euro ($57.93) a megawatt/ora, il suo più grande declino dal 6 marzo, secondo i dati dei broker compilati da Bloomberg. L'equivalente francese ha perso 15 centesimo a 46.20 euro.
Il 18% della domanda di energia elettrica potrebbe essere sostituita dai pannelli solari non connessi alla rete tedesca, riducendo la domanda di altre fonti dal 6 al 10% dal 2020. Per Lekander, un analista che lavora a Parigi al UBS AG (UBSN), ha detto in un appunto di ricerca:
“La crescita del solare non sovvenzionato porta alla riduzione ulteriore dei prezzi all'ingrosso dell'energia”, ha detto.  

Ma questi prezzi del FV portano anche opportunità, specialmente per l'industria. Le aziende che sono in grado di spostare per concentrare i processi che consumano più energia durante la metà più soleggiata dell'anno possono avere accesso a prezzi per l'energia elettrica considerevolmente bassi ed acquisire così un vantaggio competitivo. Questo può richiedere un cambiamento rilevante nel modo in cui sono gestiti i processi industriali, ma col petrolio a 110 dollari al barile questo è un mondo che cambia. 

E qui sta il dramma che i fornitori tradizionali affronteranno in un prevedibile futuro. Potrebbero avere a che fare o con i prezzi in diminuzione o con la domanda in declino. In ogni caso gli impianti di carico di base funzioneranno al di sotto della capacità o anche messe fuori servizio durante l'estate e le stagioni ventose. Ridurre o eliminare le tariffe incentivanti è il proverbiale calcio alla lattina. E senza questi l'impatto sul mercato elettrico può essere nel tempo anche peggiore. Senza cambiamenti fondamentali al mercato, il futuro della generazione elettica da combustibili fossili e da nucleare è desolante.   

Tariffe incentivanti

I governi dovrebbero lavorare in direzione di una completa integrazione dei sitemi solari in rete, non alla loro esclusione. In primo luogo devono considerare che solo usando schemi come le tariffe incentivanti possono garantire la permanenza a lungo termine dei produttori del solare nella rete. Con costi marginali di generazione vicino a  0 €/kWh, Questi sistemi non saranno mai in grado di produrre flussi di cassa adeguati nel mercato elettrico liberalizzato. Se l'investimento in tecnologie solari connesse in rete deve continuare a provenire da investitori privato, devono essere garantiti in qualche modo dei redditi a lungo termine. Guardando le leggi in stati membri come il Lussemburgo alcuni cambiamenti vantaggiosi diventano ovvi: prima di tutto estendere le tariffe incentivate a tutta la durata di vita della tecnologia e quindi abbassare i loro valori. Usando l'esempio della Spagna, con un costo previsto di 0.06 €/kWp per sistemi industriali, lo stato può mettere una tariffa di 0.10 €/kWp per i primi 10 anni e di 0.04 €/kWp per l'ultimo decennio di produzione, preservando così anche il ruolo importante dell'anticipo di pareggio nel tempo in cui le tariffe incentivate lo svolgono.

Con tariffe incentivate appropriate in vigore, i governi possono concentrarsi sui monolitici fornitori del carico di base; essi non scompariranno, ma il loro ruolo cambierà radicalmente. Devono spostare la propria concentrazione dalla produzione all'accumulo ed al bilanciamento del carico. I governi possono forse aiutare con sussidi per avviare infrastrutture di accumulo su piccola e grande scala e, più importante, sterzare verso le tecnologie più efficaci , evitando sogni impossibili come l'idrogeno.

Infine una nota sul concetto di smart grid. Potrebbe essere un passo indispensabile per assorbire le energie rinnovabili su larga scala, fornendo informazione in tempo reale sul voltaggio della rete al quale possono essere ancorati i prezzi. Ma occorre prestare attenzione al suo impatto, le tecnologie solare ed eolica continueranno ad avere costi marginali zero in una mercato concorrenziale perfetto. Le smart grid potrebbero evitare i temuti episodi di aumento di tensione, ma non c'è garanzia che creeranno redditi rilevanti per le tecnologie rinnovabili.  

Riepilogo

Le azioni recentemente intraprese in Europa contro l'energia solare non sono un segno di fallimento ma piuttosto una conseguenza dei progressi di grande successo delle tecnologie FV. I governi cercano semplicemente di difendere i più grandi fornitori e il mercato elettrico che hanno creato nell'ultimo decennio. Con costi marginali di generazione vicini allo zero, le tecnologie come il solare FV portano devastazione nel mercato aperto una volta raggiunto un volume critico e minaccia di rubare redditi ai fornitori tradizionali di carico di base. 

Il prezzi reali dell'energia elettrica generata con Fv sono crollati senza tregua negli ultimi anni ed ora sono parificati con la generazione con gas a circa 40° del Nord Europa. Anche in paesi membri più a nord come la Germania, il costo dell'elettricità solare ora è quasi la metà di quello che i consumatori pagano alla rete. Con questi prezzi l'installazione dei pannelli solari può solo crescere, sia in rete sia off-grid, a meno che l'installazione non sia messa fuori legge. 

Le attuali strategie dei governi di tenere fuori dal mercato elettrico queste tecnologie possono al massimo ritardare il processo. E' necessario un canviamento fondamentale nel modo in cui è gestita la rete e in cui vengono stabiliti i prezzi, altrimenti la generazione elettrica e il complesso della distribuzione rimane soggetto a grandi interruzione, sia fisiche sia finanziarie. 

In grande misura la tecnologia richiesta per realizzare la Energiewende è già presente. Infatti la scalabilità e i bassi prezzi del FV possono significare che questa transizione ora sia inevitabile. Ma la crescita dell'energia solare si scontra con le strutture e i concetti di mercato tradizionali della nostra società in modo tale da rendere i risultati finali piuttosto incerti. Gli ostacoli rimasti per la Energiewende ora sono di natura sociale ed economica e questa potrebbe non essere la cosa più facile da superare. 

Ulteriori letture

Riconoscimenti
Grazie ai miei colleghi Oli O'Naggy e Daniel Koster per le molte discussioni stimolanti su questo tema.
Nota: potete trovare la versione interattiva dei grafici nel mio blog.