venerdì 3 agosto 2012

Siamo tutti bolliti (II) - Una risposta a Guy McPherson




Questo è un guest post dedicato a dare una risposta alle considerazioni molto catastrofiste di Guy McPherson, pubblicate il 12 Luglio scorso su "Effetto Cassandra". Gli autori cercano di essere più possibilisti, ma è anche evidente che i rischi che corriamo con il "tipping point" o "punto di non ritorno" non sono trascurabil.

UNA  POSSIBILE RISPOSTA A GUY  MCPHERSON

 Di Antonio Zecca, Claudio della Volpe e Luca Chiari


TUTTI QUELLI CHE STUDIANO scientificamente il clima si sono prima o poi poste le domande a cui Guy McPherson dà una risposta netta (forse troppo netta; vedi il post "Siamo tutti bolliti" su "Effetto Cassandra"). Il riscaldamento globale causato dall' uomo ci sta portando verso un punto di non ritorno?  Se si, quanto è lontano nel tempo questo punto? Se si, c'è la possibilità di allontanarlo?

A nostra conoscenza non c'è nel mondo scientifico una risposta netta, anche se ci sono senza dubbio delle preoccupazioni. Le preoccupazioni nascono dal fatto che il fenomeno in se stesso non può essere positivo per l'umanità e dal fatto che il sistema di cui stiamo parlando è un sistema altamente complesso. Stiamo facendo progressi nella comprensione del sistema e quindi nella capacità di fare proiezioni per il comportamento futuro, ma ancora pochissimi darebbero risposte nette - in positivo o in negativo circa la possibilità di arrivare a un punto di non ritorno.


HANSEN E I TIPPING POINTS.

C' è un consenso sulla posizione proposta da James Hansen alcuni anni fa, secondo la quale il sistema climatico terrestre è vicino a passare alcuni "tipping points" (la traduzione migliore è: punti critici) oltre i quali il sistema climatico potrebbe andare in una condizione di feedback positivo. (vedi per es: wikipedia). La ricetta empirica è che saremmo ragionevolmente sicuri di non passare questi tipping points se riuscissimo a evitare un riscaldamento globale inferiore ai 2°C al di sopra del valore pre-industriale; grossolanamente 1.2 °C al di sopra delle temperature dell' ultimo decennio.

E' bene ripassare il significato di feedback positivo: abbiamo una tale condizione quando la reazione di un sistema (pensate al clima terrestre) per esempio a un riscaldamento (o raffreddamento) forzato dall' esterno porta a un incremento del riscaldamento (o raffreddamento). Tutti i sistemi naturali sono basati su feedback negativo: questo ha la proprietà di smorzare le interferenze esterne. Anche tutti i sistemi sociali (umani o animali) e politici funzionano con feedback negativi; quando si istaura un feedback positivo si può arrivare a una guerra mondiale o allo scoppio della bolla del 2008. In tutti i casi un feedback positivo è una sciagura.    

Vorremmo proporre un punto di vista alternativo rispetto a quello di Hansen: ma si tratta delle stesse cose viste con una prospettiva diversa. Il sistema climatico terrestre funziona come un insieme di loops di feedback (cerchi di retroazione, in italiano) innestati tra loro. Ne citiamo alcuni - non in ordine di importanza.

1. Il ghiaccio artico se si scioglie a causa del riscaldamento globale, lascia libera la superficie oceanica che ha una albedo molto più bassa. Cioè riflette di meno la luce solare e più calore viene assorbito.  La stessa cosa avviene per la neve stagionale e per i ghiacci continentali - dove lasciano scoperta la superficie. Questo è un feedback positivo.

2. Il metano contenuto nel permafrost, nei fondali artici può essere rilasciato in misura più o meno veloce a causa del riscaldamento. Il metano è un gas serra e quindi….   Ancora un feedback positivo.

3.  La anidride carbonica è in grande quantità disciolta negli oceani: con il riscaldamento la CO2 viene rilasciata incrementando il riscaldamento. Feedback positivo.

4.  Il riscaldamento globale produce una maggiore evaporazione e quindi una maggiore copertura nuvolosa. Le nuvole riflettono una parte della luce solare verso l' esterno e questo produce un raffreddamento: questo è un feedback negativo. Ma il vapor d' acqua è un potente gas-serra e quindi una maggiore presenza produce un ulteriore riscaldamento. E' un feedback positivo.  Nel caso delle nuvole ci sono due processi con feedback che si compensano in parte.  Per quanto ne sappiamo quello positivo prevale e quindi l' effetto complessivo è di amplificare il riscaldamento.

5.  Il West Antarctic Ice Sheet  è una enorme quantità di ghiaccio al di sopra del livello del mare. Ci sono studi scientifici che mettono in evidenza la possibilità che in un futuro più o meno lontano il WAIS si "disintegri" - cioè si "sciolga" a una velocità molte volte maggiore di quella osservata finora. Il risultato sarebbe un innalzamento del livello dei mari di alcuni metri. In uno scenario - che non possiamo scartare come demenziale o catastrofista - la disintegrazione potrebbe avvenire nel giro di uno o due decenni. Nessuno ha avuto il coraggio di dire in quale anno questo potrebbe succedere: è perché il calcolo è pieno di incognite.  Ma potrebbe esserci una forma di pudore da parte degli scienziati che hanno fatto questo conto: quando il numero fa spavento ti domandi dove hai sbagliato.

Ciascuno di questi loops di feedback è potenzialmente pericoloso. Se ciascuno agisse da solo sapremmo calcolare quanto riscaldamento addizionale ciascuno implicherebbe e quando arriveremmo a uno dei tipping point. La difficoltà che i "modelli climatici globali" stanno cercando di superare è nel fatto che tutti questi loops di feedback e i numerosi altri che non abbiamo citato, sono "innestati" tra loro.  Questo significa che l' azione di uno influenza il funzionamento e il "potere" degli altri. Tutti insieme possono portare a un aumento di temperatura notevolmente più grande di quello che abbiamo calcolato finora - trascurando la interazione.  Non solo, ma l' interazione tra i vari loops  rende molto incerto il calcolo del quando il tipping point complessivo si verificherà.

Intanto sia chiaro: è inutile pensare che qualche santo in paradiso farà in modo che le cose vadano meglio: l' interazione può solo peggiorare ciò che siamo stati in grado di calcolare finora e avvicinare la data dei tipping points.

IL SISTEMA E': CLIMA + SISTEMA ECONOMICO-SOCIALE.

Ma le domande a cui ha tentato di rispondere Guy McPherson in fondo riguardano il sistema climatico terrestre solo in maniera  marginale. La vera domanda riguarda l' umanità: quali rischi corre?
A questo punto vi invitiamo a considerare che il sistema di cui si doveva occupare McPherson e di cui dovremmo occuparci noi è il sistema composito clima più sistema economico e sociale mondiale. E' un sistema ancora più complesso dove i molti cerchi di feedback del sistema climatico si innestano ad altri cerchi di feedback del sistema economico e sociale. Un paio di esempi soltanto. E' noto che qualunque decisione presa per controllare il riscaldamento ha conseguenze sui consumi di energie fossili; conseguenze economiche e sociali.

E' meno evidente che la non-azione sulle emissioni di gas serra avrà conseguenze sulle produzioni agricole; ha già da ora conseguenze sull' innevamento. Per contrastare queste riduzioni è ovvio pensare a aumentare l' irrigazione e a sparare neve con i cannoni. Ma questi interventi richiedono energia per pompare acqua e questo produce un aumento delle emissioni di CO2:  abbiamo instaurato un cerchio di feedback positivo che porta a un ulteriore aumento del riscaldamento. Lo stesso cerchio vien instaurato ogni volta che compriamo e accendiamo un condizionatore: fa più caldo che un secolo fa [*] allora accendo il condizionatore. Questo solo atto richiede energia elettrica (e altre azioni) che viene fabbricata bruciando combustibili fossili: quindi ogni volta che accendo il condizionatore emetto altra CO2 e aumento il riscaldamento.

[*] L' asterisco serve per segnalare dove inserire la seguente frase: "siamo diventati delle mammolette"

IL TIPPING POINT COMPLESSIVO.

Per sapere dunque se e quando i molti cerchi di feedback innestati tra loro potrebbero portare al "grande tipping point complessivo" cioè all' ultimo punto di non ritorno, è quindi necessario un modello del mondo che comprenda il sistema climatico e il sistema economico-sociale umano. Evidentemente sarà un modello di grande complessità.

Per fortuna ne abbiamo già più di metà. I "Limiti dello Sviluppo" (1972 e 2003) hanno già impostato la parte economico-sociale e hanno dato una risposta chiara e affidabile sui tipping points di quel sistema. I modelli climatici recenti hanno una elevatas affidibilità e una buona credibilità per i tipping points climatici.  Si tratta "semplicemente" di accoppiare i due modelli. In altre parole di inserire riscaldamento globale e esaurimento delle risorse fossili nel modello dei "limiti dello Sviluppo".

Qualcuno ricorderà che un paio di anni fa due degli scriventi avevano proposto una borsa di studio ASPO Italia da assegnare a un laureato sotto la responsabilità di Claudio della Volpe. Era una idea per cominciare ad andare in quella direzione. Purtroppo (come succede troppo spesso in Italia) non ci sono state le risorse per incominciare quell' opera e tutto è finito prima di cominciare.

Ma voi state ancora aspettando un verdetto di tipo si/no sulle previsioni di McPherson. Avete però capito che non abbiamo oggi gli strumenti per dare una risposta "tagliata con l' accetta". Avete anche capito, mettendo accanto le pagine dei "Limiti" e quelle dell' IPCC che le prospettive sono fosche e che il mondo sta sottovalutando i rischi che ci aspettano nei prossimi pochi decenni.  Avete anche capito che se l' umanità arrivasse al "grande tipping point complessivo" dovrebbe ripartire da una popolazione di un miliardo di abitanti.

Antonio  Zecca  e   Claudio Della Volpe    sono all' Università di Trento
Luca Chiari è alla  Flinders University - Adelaide - Australia




mercoledì 1 agosto 2012

Fare pace con le nostre Chimere

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti




La statua etrusca conosciuta come “la Chimera di Arezzo”. E' un'antica rappresentazione della creatura chiamata “Chimera” che venne uccisa dall'eroe Bellerofonte. Questo post deriva da una conferenza sul mito della Chimera che ho tenuto a Firenze nel 2010. La sostanza della mia conferenza era che il mito è ancora molto rilevante oggi per noi e che possiamo sopravvivere alle sfide che stiamo affrontando solo se possiamo fare pace con le nostre Chimere. Ecco una versione scritta della conferenza in cui ho aggiunto dei sottotitoli per renderla più chiara. (nota: una versione diversa di questo articolo è stata pubblicata nel 2010 su "Effetto Cassandra")


Introduzione

Signore e signori, è un grande piacere per me essere qua oggi e, prima di tutto, vorrei presentarmi. Non sono qui in veste di archeologo o di storico, come gli illustri colleghi che mi hanno preceduto. La mia ricerca è su materie molto diverse. Quindi, vi parlo solo come un amico della Chimera. E se vi dico che sono un amico della Chimera lo sono talmente che ho scritto un intero libro sull'argomento “Il Libro della Chimera”. L'ho scritto principalmente perché non riuscivo a trovare un libro simile. Si scrive sempre il libro che si vorrebbe leggere.

Così, dopo così tanto lavoro, oggi posso raccontarvi molte cose sul mito della Chimera ma, come potreste sapere, l'arte di annoiare consiste nel dire tutto. Quindi, vorrei solo raccontarvi in che modo questo mito potrebbe ancora essere rilevante per noi dopo migliaia di anni dalla sua origine. Di fatto, potrebbe essere molto più rilevante per noi di quanto si possa pensare. Questa rilevanza ha a che fare col modo in cui comunichiamo coi nostri compagni esseri umani, come ci confrontiamo con quello che chiamiamo “ambiente”, come ci mettiamo in relazione con qualsiasi cosa non sia umana su questo pianeta. A questo proposito, abbiamo sbagliato tutto: abbiamo distrutto il nostro ambiente come se stessimo uccidendo una chimera dopo l'altra. Questa non è stata un buona idea, l'ambiente è ciò che ci fa vivere. Dobbiamo fare pace con le nostre chimere. Ma lasciate che vi spieghi cosa intendo.

Origini del mito della Chimera

Conoscete certamente la storia della Chimera: c'era questo mostro, un incrocio fra un leone, una capra ed un serpente. Sputava anche fuoco da una delle sue bocche, o forse da tutte e tre. Sembra che fosse davvero una creatura malvagia, così un eroe, Bellerofonte, fu inviato per spazzarla via. Bellerofonte fece il lavoro con l'aiuto del suo cavallo alato, Pegaso. Non dev'essere stata un'impresa tanto difficile, visto che la Chimera non poteva volare.

Questo è il mito: come vedete, può essere espresso in un paragrafo appena e questo è il modo in cui è descritto nell'Iliade: appena poche righe. In questi termini, non sembra niente di speciale, la si potrebbe di fatto condensare in una sola frase. Qualcosa come “l'eroe luminoso che uccide il mostro cattivo”. Ma c'è molto più di questo nel mito e lasciate che vi spieghi perché.

La soria della Chimera è molto antica, è uno dei miti più antichi della nostra civiltà. Quel nome, “Chimera” (o “Kimaira”), risale, probabilmente, al nono secolo prima di Cristo, circa 3.000 anni fa. E' da quel momento che cominciamo a trovare immagini e descrizioni di questa strana creatura. Ma il nocciolo della storia è molto più antico. Con nomi diversi, il mito del leone che sputa fuoco risale alle civiltà dei Babilonesi e dei Sumeri, quindi al terzo millennio prima di Cristo. Cioè, risale a circa 5.000 anni fa e probabilmente è ancora più antico. Potrebbe tranquillamente risalire ai nostri antenati del Paleolitico anche se, naturalmente, non sapremo mai quali storie si raccontavano la sera mentre stavano seduti intorno al fuoco.

La cosa curiosa è che una tale storia così vecchia sia ancora con noi e non sia cambiata nella sostanza. Durante questi 5.000 anni, imperi e civiltà sono apparsi e scomparsi, lingue e tipi di scrittura sono stati creati e, anche loro, sono scomparsi. Ma noi sappiamo ancora come è fatta una Chimera ed è possibile che i nostri discendenti lo sapranno ancora in un lontano futuro. Pensateci: fra 5.000 anni a qualcuno importerà chi fosse il presidente degli Stati uniti oggi o chi ha vinto il campionato di calcio?

Così, il mito della Chimera, proprio come molti altri miti, ha questa caratteristica di essere altamente “resiliente”, impossibile da distruggere. Cambia di nome e nei dettagli, ma persiste nei suoi fondamenti per tempi molto lunghi. Perché è così? Se alcuni concetti sopravvivono per tempi così lunghi, ci deve essere qualcosa che li fa sopravvivere, qualcosa di importante. Lasciate che approfondisca un po' questo punto.

La Capra ferrata

Ora, lasciate che vi racconti una cosa che ho imparato dal mio amico e collega Alessandro Fornari che, sfortunatamente, non è più con noi. Era un “antropologo sul campo”, uno che non stava semplicemente seduto ad una scrivania a scrivere libri. Amava passare gran parte del suo tempo a raccogliere e conservare storie popolari. Aveva un talento speciale nel convincere anziane donne contadine a raccontargli storie e a cantare per lui vecchie canzoni.

Una delle storie che ho sentito da Fornari è quella della “Capra ferrata” che proviene dagli Appennini, in Toscana. E' una storia semplice di un mostro piuttosto cattivo, ma il modo in cui la raccontava Fornari, be', era diventata una cosa speciale. Sapete, aveva imparato dalle anziane contadine un sacco di trucchi su come raccontare queste storie. Così, quando descriveva il modo in cui la Capra Ferrata appare alla porta di casa, Fornari parlava con voce roca, come ci si aspetta da ogni mostro che si rispetti. Lasciatemi provare a fare come faceva lui. Tipo, “Sono la capra ferrata, dagli occhi di fuoco e la lingua arrotata!”. Be', Fornari era molto meglio di me a raccontare questa storia, ma ho fatto del mio meglio!

La Capra Ferrata ha chiaramente a che fare col mito della Chimera. Ho parlato di questo con Fornari stesso ed era d'accordo con me. Un dettaglio è che, naturalmente, entrambe le storie fanno riferimento ad una capra come parte del mostro. Ma credetemi se vi dico che ci sono molte più similitudini che la semplice capra: la struttura della storia, l'ambientazione, i ruoli dei personaggi, ma ci torneremo fra poco. Ora, lasciatemi solo osservare un punto: come mai negli anni 50, fra le montagne toscane, anziani contadini raccontavano una storia vecchia di almeno 3.000 anni? E' possibile che la storia ci sia stata tramandata dal tempo degli Etruschi passando di padre in figlio? (o, più verosimilmente, di nonna in nipotina?).

Naturalmente, non lo sapremo mai, ma potrebbe anche essere: gli antropologi hanno scoperto che le storie raccontate della tradizione orale tendono a sopravvivere per molto tempo, secoli o più. Questo non significa che la storia della Capra Ferrata abbia 5.000 anni, naturalmente, ma mostra che alcune storie tendono ad essere raccontate in continuazione, in diverse versioni ma mantenendo alcuni tratti fondamentali. Così, negli anni 50, la storia della Chimera, o almeno una storia molto simile a quella della Chimera, veniva raccontata in Toscana in una versione orale che probabilmente non deriva dalle versioni letterarie o grafiche registrate sui libri. E' una manifestazione dell'incredibile resilienza dei tratti fondamentali del mito, qualcosa che dobbiamo cercare di spiegare.

I miti come trasmissione virale

Le storie scritte, proprio come certi vini, non invecchiano bene. Quando la storia della Chimera è stata scritta in un'età in cui la gente era diventata letterata, nei Tempi Classici, il mito è stato letteralmente fatto a pezzi. Così, Platone ci racconta della Chimera solo come una inutile assurdità. Per Virgilio è un accessorio decorativo per i suoi poemi. C'era uno scrittore Romano di nome Servius Onoratus che ha detto che la Chimera era in realtà la descrizione di un vulcano, per via del fatto che emetteva fiamme. Su questo, penso che se mai mi capitasse di incotrare Servius un giorno, nei Campi Elisi, gli direi qualcosa tipo. “Suvvia Servius, non pensi che i tuoi antenati fossero in grado di distinguere un leone da un vulcano?” Ma è così che va. Una volta scritto, un mito perde gran parte della sua consistenza, della sua logica e della sua resilienza. Diventa un mito morto, forse pieno di forza e furia, ma senza significato.

Perché è così? Ha a che fare, credo, con i limiti della mente umana. Ho letto, non molto tempo fa, che la memoria disponibile nel nostro cervello non è maggiore di poche centinaia di megabyte. Non sono sicuro di cosa significhi esattamente, ma ha senso: le nostre capacità mentali sono estremamente limitate. Guardate il mio libro sulla Chimera, contiene circa 80.000 parole. L'ho scritto, ma non potrei recitarvelo senza leggerlo. Pensate invece all'Iliade di Omero. Nella sua traduzione inglese ha circa 150.000 parole. Ma sono sicuro che Omero poteva recitarvi l'intera Iliade (e non solo l'Iliade, anche l'Odissea e probabilmente altri poemi epici). Ed Omero, molto probabilmente, non sapeva né leggere né scrivere.

Così, c'è un punto fondamentale qui. Abbiamo un sacco di libri nei nostri scaffali a casa, ma molto probabilmente non ne conosciamo nemmeno uno a memoria. Per Omero e la gente del suo tempo era l'opposto. Ora, sicuramente non direste che la gente del tempo di Omero fosse più intelligente di noi. Semplicemente aveva un modo diverso di organizzare l'informazione nei loro cervelli. Non avendo il tipo di supporto esterno che abbiamo noi sotto forma di libri, ed ora di Internet, l'informazione che avevano, doveva essere in forme che potessero essere memorizzate.

Poemi come l'Odissea e l'Iliade venivano fatti con quell'idea in mente: facile da memorizzare. Le rime, naturalmente, erano un dispositivo usato per questo scopo, ma non solo questo. La struttura stessa di questi poemi è fatta in modo tale da essere facile da assimilare. Se avete avuto il tempo di leggere l'Iliade, capirete ciò che intendo: la storia è compatta, estremamente densa, non c'è spazio per i dettagli. Confrontate l'Iliade o l'Odissea con un racconto moderno e vedrete la differenza. Pensate all'Ulisse di James Joyce. Teoricamente, Joyce voleva scrivere qualcosa come una versione moderna dell'Odissea ma, perbacco, il risultato è completamente diverso, anche se ci sono dei collegamenti, forse. E non è solo una questione di Joyce, è la struttura della narrativa moderna in generale che è cambiata. Potreste scrivere un buon numero di romanzi moderni con una singola pagina dell'Iliade.

Ora, pensate al mito della Chimera. E' stato concepito molto prima dell'esistenza della scrittura. Quindi la storia veniva raccontata in un modo facile da memorizzare e, come tale, estremamente compatto. Nell'Iliade il mito viene descritto in poche righe. Veniva lasciato al narratore il compito di dar vita a quelle poche righe col tono, l'espressione, la gestualità e, probabilmente, l'aggiunta di altri dettagli. Era proprio ciò che faceva Alessandro Fornari quando raccontava la storia della Capra ferrata nel suo modo unico. Aveva acquisito, penso, alcune della capacità degli antichi narratori!

In termini moderni, potremmo dire che un mito è una forma di comunicazione virale. E' un concetto di moda, oggigiorno, ma è una interpretazione corretta di un fenomeno comune ed anche molto antico. E' semplicemente che, quando trasmetti un messaggio, questo deve essere decodificato da chi lo riceve. Quindi, potete mandare un messaggio molto compatto che il ricevente “spacchetta” o “dezippa”. Così, il mio libro di 80.000 parole è un modo di spacchettare le poche righe della descrizione della Chimera data da Omero e da altri. Potreste dire che tutto quello che ho scritto nel mio libro era già contenuto, sebbene virtualmente, nelle poche righe scritte da Omero.

Essendo così compatto, un vero virus di comunicazione, il mito viene facilmente trasmesso. Non richiede altro supporto che la mente di una nonna contadina. E quando ha messo radici nella mente, resta lì perché è memorizzato per intero. Proprio per questo è molto difficile, quasi impossibile, distruggerlo. Viene trasmesso di generazione in generazione, sempre uguale, perché è così semplice e compatto. Penso che potremmo dire che il mito è “l'unità atomica” della comunicazione. In un certo senso, potremmo dire che un mito è un pezzo di informazione “a portata di mente”, per usare un termine inventato da Seymour Papert.

La lotta per la sopravvivenza del mito

Essere compatto, anche se importante per un mito, non può essere sufficiente per assicurarne la sopravvivenza. Come un virus biologico, per replicarsi un mito ha bisogno di avere la capacità di adattarsi a suoi ospiti; ha bisogno di essere in grado di usare il sistema riproduttivo dell'ospite. Nel caso di un mito, deve convincere l'ospite, tipicamente la mente di una nonna contadina, a raccontarlo di nuovo. Non tutti i miti riescono allo stesso modo. Forse nell'antica Grecia c'erano molti più miti e storie di quelle che conosciamo al giorno d'oggi, ma quelle che non avevano questa capacità di sopravvivenza non sono sopravvissute. Ci dev'essere stato un duro processo di selezione durante migliaia di anni. Allora, cosa rende la storia della Chimera così resiliente?

Sapete cosa fa una buona storia: ci deve essere un significato. Tipicamente, questo vuol dire che c'è una morale o un problema etico da risolvere. Ci dev'essere qualche tipo di conflitto, un problema da risolvere. Ecco cosa fa vivere una buona storia.

Ci sono molti esempi di miti che impersonificano conflitti di considerevole complessità. Mi viene in mente la storia di Antigone, forse ve la ricordate. Fu uccisa perché rifiutò di obbedire alle leggi che le proibivano di seppellire il corpo di suo fratello. E' il conflitto delle leggi umane con le leggi naturali, un mito estremamente moderno, che sarebbe molto interessante discutere, ma andiamo avanti.

Al contrario, molti miti sembrano piuttosto stupidi. Ricordate la storia di Piramo e Tisbe? Il dramma nel dramma in “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare? E' la storia di una giovane coppia e di come entrambi finiscono per uccidersi per errore. Non sembra un conflitto tanto profondo, solo un invito ad essere un tantino più prudenti! Ma se il mito è sopravvissuto, ci dev'essere una ragione. Forse è solo perché è così stupido. E infatti Shakespeare sembra pensarla proprio così nella sua rappresentazione. Ma, inoltre, potreste ricordare che anche un altro dramma, “Romeo e Giulietta” è basato esattamente sulla storia di Piramo e Tisbe! Quindi non dev'essere un mito così stupido, dopotutto.

I miti antichi sono spesso così. Possono sembrare stupidi superficialmente, ma c'è sempre uno strato di complessità sotto. Ci dev'essere un significato profondo in queste storie antiche, perché sono sopravvissute ad un processo di selezione durato migliaia di anni. E' la sopravvivenza darwiniana del più adatto trasposta alla mitologia.

Ed è lo stesso per il mito della Chimera. A prima vista, non sembra così complesso. Come ho detto prima, la potremmo comprimere in una sola frase: “eroe splendente uccide brutta bestia”. Che tipo di conflitto etico c'è in questo? Sembra la dichiarazione di intenti di un'azienda di disinfestazione. Ma le cose non sono così semplici e se quello fosse tutto ciò che c'era nel mito, non sarebbe sopravvissuto ai millenni. C'è molto, molto di più.

Il significato del mito della Chimera

Per spiegare il significato del mito della Chimera, potremmo tornare indietro alla storia della “Capra Ferrata”. La bestia, la strana creatura, è un'emanazione della natura selvaggia che, nella storia, bussa alla porta ed entra in casa. Questo è il punto fondamentale della storia: il conflitto fra civiltà e natura selvaggia, il problema da risolvere. Questo è ciò che da senso alla storia.

Il problema della relazione di spazi umani e natura selvaggia è molto antico e non lo abbiamo risolto neanche oggi. Viviamo prevalentemente in un ambiente urbano e non ci aspettiamo che dei mostri bussino alla nostra porta. Ma l'idea c'è ancora e continua a riapparire: pensate ad un film come “Avatar”. E' così ricco di riferimenti a miti antichi che pensereste che possa essere stato girato al tempo dei Sumeri. Vedete come sono dati i ruoli, c'è esattamente questo contrasto: natura selvaggia e civilizzazione. In Avatar, gli esseri umani sono la civiltà e i Pandoriani sono la natura selvaggia. Questo è ciò che rende il film affascinante, non le battaglie o i vari mostri. La storia ha un significato, c'è una tensione, un conflitto da risolvere.

Quindi, vedete quanto è moderno il mito della Chimera. Alla sua radice c'è il conflitto: civiltà contro natura selvaggia. La Chimera sono gli alberi che tagliamo per cementificare il territorio e costruire centri commerciali. E' le montagne che distruggiamo per arrivare al carbone che ci sta sotto. E' la gente che bombardiamo perché pensiamo sia pericolosa per noi. E' tutto ciò che non vogliamo vedere e che vogliamo distruggere, mentre pensiamo di essere al sicuro nelle nostre case. Ma, in realtà, non lo siamo e lo sappiamo molto bene. L'ambiente in realtà non è qualcosa che sta “fuori”, l'ambiente è tutte quelle cose che ci fanno vivere. Se distruggiamo l'ambiente, distruggiamo noi stessi.

Queste considerazioni sono tutte lì, nel mito della Chimera, una volta che lo spacchettate e vi prendete cura di qualche dettaglio che sembra essere marginale e, invece, è fondamentale. Così, nell'Iliade  ci si riferisce alla Chimera come a “Theon”, che significa “divino”. La Chimera non è un semplice mostro, è un Dio. E nessun mortale può uccidere un Dio perché gli dei sono immortali: Al massimo, è possibile uccidere un “avatar” di un Dio. E uccidere un Dio, anche solo il suo avatar, non è qualcosa che i comuni mortali possano fare con leggerezza. Porta sfortuna, non ricompense. Infatti, Bellerofonte finisce la sua vita cieco e maledetto, come punizione per quello che aveva fatto. Quindi, vedete? La storia della Chimera non è affatto semplice: Non è in bianco e nero, non è il bene contro il male. La storia è sottile e densa ed ha molti significati che possiamo ancora capire se solo passiamo un po' di tempo ad esplorarla.

Oggi non ascoltiamo più le vecchie storie raccontate dalle nonne. Ma le nostre menti non sono cambiate da quell'era ed i messaggi che ci scambiamo devo ancora essere “a portata di mente”, anche se tendiamo a pensare di essere progrediti oltre. Potrebbe benissimo essere che, con Internet, stiamo tornando indietro ad un tipo di comunicazione rapida e “virale” che era tipica della tradizione orale. Naturalmente Internet, ora, è piena di storie stupide ed inutili, ma abbiamo anche visto che c'è una selezione naturale per le storie. Le storie stupide non sopravvivono a lungo, quelle importanti sì. La storia della Chimera è qualcosa che potrebbe avere una nuova vita oggi, se impariamo come raccontarla. Film come “Avatar” potrebbero essere un modo. Così, potrebbe esserci oggi la speranza di trasmettere il significato che il mito antico ha portato con sé per millenni: se distruggiamo quello che pensiamo siano mostri, distruggiamo noi stessi. La nostra sola speranza per il futuro è di far pace con le nostre Chimere.


Questa immagine di  Ferdnand Knhopff non mostra Bellerofonte e la Chimera, ma piuttosto Edipo e la Sfinge: Ma non ha importanza, è lo stesso vecchio mito e l'idea che i protagonisti debbano far pace fra loro (Lino Polegato)



lunedì 30 luglio 2012

Picco del Petrolio: è arrivato?



Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti







La scorsa settimana ad un incontro pubblico, mi è stato chiesto diverse volte se questo famoso “picco del petrolio” è arrivato o no. La gente che ha sentito parlare di picco del petrolio sembra diventare impaziente, ma ho paura che dovremo aspettare ancora un po'. Il picco del petrolio non è ancora arrivato, almeno se lo intendiamo come un significativo declino della produzione dei combustibili liquidi. Ciò significa che le previsioni basate sul modello di Hubbert erano sbagliate? In un certo senso, sì: dovreste sapere che i modelli sono sbagliati per definizione, Alcuni, tuttavia, possono essere utili se sappiamo come usarli. Ed è il caso del modello di Hubbert: esso ci ha dato un utile avvertimento che, tuttavia, scegliamo di ignorare. Lasciate che vi spieghi questo punto per usando il riassunto di una conferenza che ho tenuto alla conferenza sul futuro dell'energia organizzata dal Club di Roma a Basilea il 16/17 ottobre 2011. Sono passati diversi mesi da quando ho tenuto quella conferenza, ma le cose non sono cambiate molto da allora.

Buon pomeriggio, signore e signori. Il mio tempo è breve oggi, quindi proverò ad andare più veloce possibile, limitandomi ad una breve discussione sui modelli che hanno portato al concetto chiamato “picco del petrolio”. Da questo potrete farvi un'idea su quanto accade oggi al mercato del petrolio e su come l'economia potrebbe esserne colpita.

Quindi, prima di tutto, cos'è il “picco del petrolio”? Il termine è stato introdotto nel 2002 da Colin Campbell per indicare i “punto di non ritorno” della produzione mondiale, che è il punto in cui viene raggiunto il massimo storico della produzione ed inizia un irreversibile declino. Ma l'idea di un Picco di produzione” del petrolio è molto più vecchia. Risale a un saggio che Marion King Hubbert ha presentato nel 1956, dove sosteneva che la produzione del pretrolio greggio negli Stati Uniti (più esattamente nei 48 stati meridionali) avrebbe seguito una curva a campana. Ecco la curva proposta da Hubbert.


Vedete che si suppone che la curva raggiunga un picco a metà strada e questo è l'elemento che ha avuto gran parte dell'attenzione oggi. La data del picco, in particolare, ha assunto un certo valore di profezia. E non c'è dubbio che Hubbert abbia colto qualcosa in modo giusto. Ecco il confronto coi dati storici.


Ora, come potete vedere, la concordanza coi dati storici di una delle curve proposte da Hubbert è molto buona. In realtà è eccellente, considerando il lasso di tempo preso in considerazione. Non è così facile fare una previsione che si rivela essere così buona dopo 14 anni! E la previsione ha continuato ad essere buona per molti anni, fino a poco tempo fa, quando la produzione ha mostrato un aumento che l'ha spostata dalla curva di Hubbert. Ma, ancora una volta, questo non sottrae nulla al fatto che Hubbert aveva chiaramente previsto che la produzione avrebbe avuto dei problemi ad un certo punto. E li ha avuti.

Quindi, passiamo al “Picco del Petrolio”, il vertice della produzione petrolifera mondiale. Nello stesso saggio del 1956 dove aveva stimato la data del picco statunitense, Hubbert ha fatto il primo studio serio su quanto a lungo sarebbero durate le riserve mondiali. E' stata un'impresa difficile, perché le riserve mondiali di petrolio non erano conosciute così bene allora, ma Hubbert ci ha provato. Vediamo quali sono stati i suoi risultati: 


Come vedete, la curva della produzione mondiale ha la stessa forma di quella della produzione statunitense ed è stato previsto che il picco arrivasse al 2000. In tempi successivi, altri autori hanno rivisto lo studio di Hubbert usando metodi simili. Per esempio, Campbell e Laherrere nel 1998 hanno previsto il picco  per circa il 2005. Più tardi ASPO (Association for the Study of Peak Oil) ha rivisto queste previsioni trovando il picco da qualche parte fra il 2005 e il 2010 (guardate, per esempio, queste previsioni per il 2007).

Come si comportano queste previsioni confrontate con i dati storici? Vediamo qualche dato di Euan Mearns, che comprende non solo il petrolio greggio, ma anche condensati e liquidi del gas naturale.


Non vediamo un picco nel 2000, e nemmeno nel 2005. Se il picco fosse stato nel 2000 o nel 2005, dovremmo già vedere un significativo declino della produzione. Quello che vediamo, invece, è un plateau che è durato per tutti i cinque anni passati, più o meno, e che ha interrotto la tendenza alla crescita che è stata la regola dal 1983. Quindi ancora niente picco, ma chiaramente “qualcosa” è accaduto nella produzione petrolifera a partire dal primo decennio del ventunesimo secolo, considerando anche il notevole aumento dei prezzi del petrolio di quel periodo. Ma cos'è successo, esattamente? Dov'è il picco? Ce lo dobbiamo aspettare presto o tarderà a lungo?

Penso che a questo punto abbiamo bisogno di un momento di pausa. Cos'è esattamente un modello e per cosa può essere usato? I modelli si presentano con un certa varietà di forme: formali, informali, complessi, semplici, aggregati, multiparametro ed altro. Ma, a prescindere dal modello usato, una cosa che può essere detta è che se pensate che possano predire il futuro, ho paura che sarete delusi pesantemente. I modelli matematici complessi possono benissimo non essere migliori della sfera di cristallo, parte integrante della scatola degli attrezzi di ogni mago che si rispetti. I modelli non sono magia. I modelli sono solo strumenti. E, proprio come per ogni strumento, bisogna sapere come usarlo, altrimenti si rischia di farsi male.

Il futuro non è una cosa semplice da studiare. Esso si dipana sempre in direzioni multiple mentre si procede. Così, si usano i modelli non per fare previsioni, ma per capire quale direzione si è presa. Senza modelli si cammina alla cieca e non si ha idea di dove si va. Coi modelli è come avere una torcia elettrica. E' probabile che non si riesca a vedere lontano nell'oscurità, ma almeno si ha un'idea di dove si cammina. I buoni modelli daranno una panoramica più vasta, quelli meno buoni saranno più limitati. Ma se si conosce quello che può fare il modello (e cosa non può fare), allora esso può sempre essere utile. 

Possiamo applicare queste considerazioni ai modelli del picco del petrolio. La versione più semplice, come abbiamo detto, è quella di Hubbert. Lo possiamo chiamare un modello di “primo ordine” in quanto ha assunto che i fattori principali che colpiscono l'estrazione del petrolio sono relativi alla geologia e che l'industria continuerà ad agire come al solito, anche quando affronta il picco. Ma ciò non è accaduto. Il mercato ha reagito con prezzi del petrolio in aumento e il sistema produttivo si è adattato con un fiume di investimenti nello sfruttamento di risorse petrolifere costose che il modello di Hubbert non aveva considerato come estraibili. In un certo senso, il futuro è stato cambiato da un fattore di “secondo ordine”: i prezzi. E quindi abbiamo preso una diversa direzione e non abbiamo avuto un picco, non ancora, almeno. 

Ma il modello di Hubbert non ha “sbagliato”, ha lavorato bene entri i propri limiti. Ci ha dato un utile avvertimento sul fatto che ci saremmo dovuti aspettare dei problemi con la produzione petrolifera durante il primo decennio del ventunesimo secolo. Abbiamo scelto di ignorare quell'avvertimento e siamo stati presi di sorpresa dal picco dei prezzi che sta causando un sacco di problemi. Il futuro sorprende sempre, specie se non si hanno buoni modelli. 

Cosa dobbiamo aspettarci adesso? Be', non ci serve un modello formale per capire che l'industria del petrolio può continuare ad estrarre fino a che i clienti sono in grado di pagare. Il problema è che, con l'esaurimento progressivo, i costi di estrazione possono solo aumentare, visto che mettiamo mano a risorse sempre più difficili, sporche e remote. Ciò continuerà a determinare prezzi alti. Così, avremo un picco del petrolio quando non saremo più in grado di pagare questi prezzi a lungo.

Se volete un modello formale che tenga in considerazione questi fattori, potreste dare uno sguardo al mio “Modello di Seneca”. Esso genera una curva di produzione come questa:


Seneca, come potreste ricordare, era un filosofo Romano che ha notato che “la rovina è più rapida del progresso”. Il modello di Seneca è di “secondo ordine”, nel senso che tiene in considerazione fattori che il semplice modello di Hubbert non considera. Vedete che, in questo modello, il picco è spianato, appare come un plateau che dura pe un po', simile a quello che abbiamo visto con la produzione petrolifera fino ad oggi. Poi, abbiamo una caduta precipitosa, cosa che ho definito il “Dirupo di Seneca”. 

E' questo il futuro? Probabile, ma ricordiamo sempre che se un modello è una torcia elettrica, non mostra che una debole impressione di un certo numero di direzioni che il futuro può intraprendere. Non prendete il modello di Seneca come una previsione. Non possiamo prevedere il futuro, possiamo solo essere preparati a qualsiasi cosa il futuro ci riserverà.

_____________________________


Sul modello di Hubbert potrebbero interessarvi questi miei post:

"No Peak Oil Yet? The limits of the Hubbert Model" 

"Mind sized Hubbert" 

"A simple interpretation of Hubbert's model of resource exploitation", 

"Il picco delle uova di pasqua: Hubbert e il coniglio pasquale"










sabato 28 luglio 2012

Suicidio

Da The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Immagine da http://imageshack.us

Di Antonio Turiel

Cari lettori,

Non avrei mai pensato di scrivere su questo argomento, ma una recente notizia di El pais mi a spinto a farlo. La notizia è questa:"La crisi miete vittime in Italia". Si dice che ogni giorno in Italia si suicidano due persone per cause imputabili alla crisi (difficoltà economiche, principalmente), tipicamente un imprenditore ed un lavoratore. Ogni giorno. E leggendo il testo si legge che possono anche esserne contenti, perché in Grecia hanno già 1.725 suicidi di questo tipo in due anni (quasi cinque al giorno) e che la Grecia ha una popolazione di quasi cinque volte inferiore rispetto all'Italia. Che accade in Spagna, il paese dove risiedo? E' difficile saperlo, visto che c'è un certo consenso nel non divulgare questo tipo di notizia per non incoraggiare questo tipo di comportamento così autodistruttivo in gente suscettibile. E, tuttavia, alcune notizie cominciano a filtrare, come ad esempio questa de El confidencial che suggerisce che molti incidenti stradali in realtà non siano tali (a parte commenta altri problemi e da un momento rivelatore: in Spagna si suicidano 9 persone al giorno, anche se non sappiamo quante di queste lo facciano per ragioni imputabili a questa crisi che non finirà mai).

In realtà, questo triste fenomeno, quello cioè del suicidio a causa della disperazione per lo svanire delle aspettative, è un'altra manifestazione della Grande Esclusione. La gente comincia ad accettare che i problemi che ha, di lavoro, personali, di integrazione sociale, ecc. sono in buona misura dovuti a sé stessi e per questo, incapaci di superare il proprio fallimento di vita, alcuni si suicidano. Specialmente vulnerabili sono quelle persone molto intransigenti con sé stesse e quelle che devono mandare avanti i famigliari e si vedono impotenti, superati dagli eventi. Ad aggravare questo problema contribuiscono i mezzi di comunicazione e l'atteggiamento politico standard, che vede la situazione attuale come qualcosa di congiunturale e che può essere risolto al posto di vederla come una transizione storica che inevitabilmente e per pura statistica, porta alla disoccupazione e alla esclusione di una certa percentuale di persone ogni anno. (La Spagna ha appena raggiunto il 24,44% di popolazione attiva disoccupata, sfortunatamente in linea con le previsioni che facevamo nel dicembre scorso).

Tutto il processo può essere anche inteso come un processo di crescita dell'entropia sociale a causa della scarsità di fonti energetiche con entropia sufficientemente bassa. La Grande Esclusione può anche essere intesa come un processo nel quale certi predatori che occupano gli strati sociali più alti fagocitino le risorse disponibili, gettando entropia intorno a sé e degradando quindi le condizioni di vita della maggioranza. Ma ci stiamo allontanando dal focus di questo post.

La chiave è che la maggioranza di queste persone che si suicidano hanno un pensiero di tipo BAU (Business As Usual) e non concepiscono che possa esistere un modello di vita diverso da quello che hanno conosciuto e col quale modellato le proprie aspettative. Di fatto, si suicidano perché considerano che le loro vite siano giunte alla fine, una volta che, in modo corretto, capiscono che non potranno mai tornare alle proprie vite di prima. 

La fine della nostra vita nel modo A non significa che non possa esserci una vita nel modo B. Ma è proprio lì che è radicata la maggiore difficoltà. Quella di vedere che può esistere un'altra vita e che questa vita possa valere la pena. O che, in realtà, questa vita B possa essere più soddisfacente e piena della vita A, senza tante complicazioni e più concentrata sulla famiglia, gli amici, la comunità... Parlare in questo modo (vita semplice, ritorno a valori tradizionali come famiglia, amici, comunità...) è già etichettato dal punto di vista BAU con il cliché dell'hippie, dell'idealista, dell'alternativo... insomma dell'infantile, e a dare questa visione hanno contribuito in modo decisivo i mezzi di comunicazione. E' abbastanza naturale, perché quando c'erano affari da fare, non si poteva consentire che una parte significativa della popolazione uscisse dal sistema; tale uscita era possibile solo per una piccola quantità di persone e solo allo scopo di mettere in risalto la sua disfunzionalità, la sua incapacità, la sua assurdità... insomma, per servire la propaganda secondo la quale la cosa migliore è starsene al calduccio del BAU.

Risulta, pertanto, molto complicato convincere quel dirigente di una grande multinazionale, ora, a più o meno 40 anni, nel guado della disoccupazione di lunga durata, che potrebbe essere un felice calzolaio. Risulta anche terribilmente difficile farlo con un muratore o con un operaio di una fabbrica, per non parlare dei tanti piccoli imprenditori rovinati e indebitati (e che hanno dilapidato anche i risparmi di famiglia).

Alla fine dei discorsi sull'Oil Crash sono solito dire che non dobbiamo consentire che il nostro vicino soffra la fame, che dobbiamo fare, ognuno di noi, uno sforzo positivo per creare comunità, per aiutarci a vicenda, perché la sofferenza vicina non ci sia estranea. Per lo stesso motivo non possiamo consentire che persone vicine cadano nel pozzo oscuro della disperazione e del suicidio. Perché questa è una guerra contro tutti, contro tutti noi, e non c'è nessuno che sia meno prezioso. Non consentiamo che le storie assurde create da un sistema che non funziona e che è agonizzante ed il suo apparato di propaganda trascinino via i nostri amici, compagni, fratelli...

Cosa posso fare io, cosa puoi fare tu, caro lettore? In primo luogo farlo capire. La gente deve sapere che quello che sta succedendo né è colpa sua né ha una soluzione, non da una prospettiva convenzionale almeno, ma questo non vuol dire che non ci sia un'uscita. Sarà un primo passo di transizione per noi stessi. Se superiamo il pessimismo e la paura del rifiuto, tanto in linea con l'individualismo così conveniente per il BAU, riusciamo ad evitare perlomeno una morte evitabile, inutile e dolorosa.

Saluti.
AMT



lunedì 23 luglio 2012

Fragilità e collasso: lentamente all'inizio, poi tutto in una volta

Da Club Orlov. Traduzione di Massimiliano Rupalti



Questo articolo è basato sugli appunti di una delle presentazioni tenute alla conferenza 'Age of Limits'.











Di Dmitri Orlov; 5 Giugno 2012


Ho previsto il collasso per oltre cinque anni. La mia previsione è che gli Stati Uniti collasseranno finanziariamente, economicamente e politicamente in un prevedibile futuro... e questo non è ancora accaduto. Così, inevitabilmente, mi viene fatta la stessa domanda in continuazione: “quando”? E, inevitabilmente, rispondo che non faccio previsioni sulla tempistica. Questo lascia chi mi ha rivolto la domanda insoddisfatto e così penso che dovrei provare a spiegare il perché non faccio previsioni sulla tempistica. Proverò anche a spiegare come si può arrivare a fare certe previsioni, capendo bene e pienamente che il risultato è altamente soggettivo.

Vedete, predire che qualcosa sta per accadere è un po' più facile di predire quando accadrà. Supponete di avere un vecchio ponte: il cemento è spaccato, alcuni pezzi non ci sono più e ci sono ferri arrugginiti che si intravedono. Un ispettore lo dichiara 'strutturalmente a rischio'. Questo ponte cadrà di sicuro a un certo punto, ma in quale data? Questo è qualcosa che nessuno può dirvi. Se insistete per una risposta potreste sentirvi rispondere così: se non cade entro un anno, allora potrebbe rimanere in piedi per altri due. E se ci rimane così a lungo, allora può rimanerci un altro decennio. Ma se rimane in piedi per un intero decennio, allora probabilmente cadrà entro un anno o due, perché, dato il suo tasso di deterioramento, a quel punto non si saprebbe proprio cosa lo tenga ancora su.

Vedete, le stime di tempo sono inevitabilmente soggettive e, se volete, delle impressioni, ma ci sono cose oggettive alle quali fare attenzione: quanto è rimasto della struttura (dato che grandi pezzi di cemento continuano a staccarsi e a cadere nel fiume sottostante) e il tasso al quale si sta deteriorando (misurabile in pezzi di cemento al mese). Molta gente ha problemi a valutare tali rischi. Ci sono due problemi: il primo è che la gente pensa spesso che sarebbe capace di valutare il rischio in modo più preciso se avesse più dati. Non gli passa per la testa che l'informazione che sta cercando non è disponibile semplicemente perché non esiste. E quindi incorpora più dati, sperando che siano rilevanti, rendendo le stime ancora meno precise.

Il secondo problema è che la gente presume di giocare un gioco di possibilità e che sia un gioco onesto: quello che Nassim Nicholas Taleb chiama “errore ludico”. Se guidate su un ponte strutturalmente a rischio tutti i giorni, si potrebbe dire che stiate giocando d'azzardo con la vostra vita. Ma state esattamente giocando d'azzardo? Giocare d'azzardo normalmente implica un gioco di possibilità: i dadi, tirare la monetina, anche se qualcuno è fraudolento. I giochi onesti formano un sottoinsieme piccolo e insignificante di tutti i giochi possibili e possono essere giocati solo in circostanze artificiose, semplificate e controllate, usando un apparato appositamente progettato che funzioni perfettamente. Supponete che qualcuno vi dica che ha appena tirato per 10 volte una monetina ottenendo sempre testa: qual è la probabilità che il prossimo lancio dia ancora testa? Se pensate 50%, allora state scartando la probabilità molto alta che il gioco sia truccato. E questo fa di voi dei babbei.

I giochi fatti direttamente contro la natura non sono mai puliti. Potreste dire che la natura bara sempre: proprio mentre state per vincere il jackpot, il casinò viene colpito da un asteroide. Potreste pensare che tali eventi improbabili non sono significativi, ma risulta che lo sono: il cigno nero di Taleb domina il mondo. In realtà, la natura non bara così tanto perché se ne frega delle vostre regole. Ma queste regole sono tutto ciò a cui ti puoi aggrappare: il ponte è sano se corrisponde all'immagine nella testa del suo progettista. La corrispondenza è quasi perfetta quando è nuovo, ma mentre invecchia ha luogo una notevole divergenza: appaiono delle crepe e la struttura deperisce. A un certo punto più o meno arbitrario viene dichiarato pericolante. Ma nessuno ha in mente il suo collasso perché, vedete, non è stato progettato per crollare: E' stato progettato per restare in piedi. L'informazione su quando collasserà non esiste. C'è un trucco, tuttavia: potete osservare il tasso di divergenza; quando passa da lineare ad esponenziale (cioè, comincia a raddoppiare), allora il collasso non è lontano e potreste anche essere in grado di fissare un limite massimo su quanto tempo possa impiegare a sopraggiungere. Se il numero di pezzi di cemento che si staccano dal vostro ponte continua a raddoppiare, potete calcolare il momento in cui ogni ultimo pezzo del ponte sarà nel fiume e quello è il vostro limite massimo.

Eppure la vostra previsione sarà soggettiva (o, se preferite, basata sulla vostra fortuna come persona he fa previsioni), perché state ancora soltanto giocando con le probabilità. Se misurate che il deterioramento sul vostro ponte è lineare (diciamo che cade un pezzo di cemento ogni mese) allora ne estrapolate che esso rimarrà lineare. Se è esponenziale (2x pezzi di cemento rispetto al mese precedente) allora ne estrapolate che rimarrà esponenziale e, se siete fortunati, così accadrà. Ma le probabilità che esso rimanga in un modo o nell'altro sono strettamente nella vostra testa: non sono prevedibili ma soggettive. Chiamarle “aleatorie” o “caotiche” non aggiunge molto: l'informazione che state cercando semplicemente non esiste.

Per riassumere: è possibile prevedere che qualcosa accadrà con precisione sconcertante. Per esempio, tutti gli imperi alla fine collassano, senza eccezioni. Quindi gli Stati Uniti collasseranno. E qui ho finito. Ma non è possibile prevedere quando qualcosa accadrà, a causa del problema dell'informazione mancante: abbiamo un modello mentale su come qualcosa continuerà ad esistere, non di come inaspettatamente cessi di esistere. Tuttavia, osservando il tasso di deterioramento, o le divergenze dal nostro modello mentale, a volte possiamo dire che la data è vicina. Il primo tipo di previsione – che qualcosa collasserà – è estremamente utile, perché vi dice come evitare di mettere a rischio ciò che non potete permettervi di perdere. Ma ci sono situazioni in cui non avete scelta. Per esempio, se foste nati in un impero sull'orlo del collasso. Ed è qui che il secondo tipo di previsione – che qualcosa collasserà molto presto – risulta molto utile, perché vi dice che è tempo di tirar via la vostra pancetta dal fuoco.

Permettetemi di sottolineare ancora una volta: il processo di giungere a tali previsioni è soggettivo. Lo potete ragionare oppure lo potreste basare su un certo formicolio dietro il collo. Tuttavia, la gente ama teorizzare: alcuni dichiarano che gli eventi in questione sono aleatori, o caotici, e quindi continuano nel formulare modelli matematici di aleatorietà e caos. Ma la tempistica su eventi “improbabili” su larga scala non è aleatoria o caotica, è sconosciuta. Con eventi regolari su scala ridotta, gli statistici possono barare facendo la media fra di essi. Questo è utile se state vendendo delle assicurazioni – contro eventi che potete prevedere. Naturalmente, un evento su larga scala può ancora cancellarvi mettendo il vostro riassicuratore/sottoscrittore fuori mercato. C'è l'assicurazione sugli incendi, quella sulle alluvioni (non più tanto adesso; negli Stati Uniti ora viene sottoscritta direttamente da chi paga le tasse), ma non c'è assicurazione sul collasso, perché non c'è modo di stimare oggettivamente il rischio.

Inserendo la citazione preferita da tutti di Yogi Berra: “Fare previsioni è difficile, specialmente se riguardano il futuro”. Be', mi permetto di dissentire: fare previsioni sul passato è altrettanto difficile. L'URSS è collassata inaspettatamente nel 1991, cogliendo di sorpresa gli “esperti”. La causa profonda del collasso rimane avvolta nel mistero e così la ragione della sua tempistica esatta. Esperti del Cremlino si sono orientati a scommettere su  spostamenti di minor conto all'interno del Politburo, economisti esperti erano completamente convinti della superiorità del capitalismo di libero mercato sull'economia pianificata socialista, gli esperti di strategia militare potevano dibattere sui meriti dell'Iniziativa Strategica di Difesa (non ce n'era nessuna), ma erano tutti completamente ciechi quando l'intera Unione Sovietica si è piegata su sé stessa ed è scomparsa. In modo simile, gran parte degli esperti politici negli Stati Uniti sono convinti nella loro stima delle probabilità che Obama sarà o non sarà rieletto nel novembre 2012. Quello che non possono darvi sono le probabilità che le elezioni non si terranno e che nessuno arriverà alla presidenza. Notate, queste probabilità non sono zero e possiamo stare sicuri che un tale giorno arriverà. Semplicemente non sappiamo quando.

Gli esperti possono fare previsioni soltanto all'interno delle proprie aree di specializzazione. Sono per costituzione incapaci di prevedere quando la loro area di specializzazione subirà un fallimento spontaneo dell'esistenza. Non essendo un esperto in nessuna di queste discipline, sapevo che l'URSS avrebbe collassato più o meno un anno prima che lo facesse. Come lo sapevo? Guardando con cura e rendendomi conto che le cose non possono continuare a lungo nella stessa direzione. Sto facendo la stessa cosa con gli USA ora. Così, guardiamo insieme.

* * *

Il governo federale statunitense sta attualmente spendendo 300 milioni di dollari al mese. Per far questo, “prende in prestito” circa 100 milioni di dollari al mese. Il termine “prendere in prestito” è fra virgolette perché gran parte di quel nuovo debito è creato dal Tesoro e comprato dalla Federal Reserve, così, in essenza, il governo scrive solo un assegno di 100 milioni di dollari a sé stesso ogni mese. Se questo continuasse per sempre, allora il dollaro americano diventerebbe senza valore, quindi è in atto una pressione per portare le banche centrali straniere ad assumersi loro stesse una parte di questo debito. Lo possono fare, naturalmente, ma, vedendo che il dollaro americano è sulla strada per diventare senza valore, hanno ridotto le loro partecipazioni del Tesoro americano piuttosto che aumentarle. Nessuno può dire quanto a lungo possa durare il dispiegamento di questo scenario, quindi ciò che si cerca in una situazione simile sono i segni della disperazione.

Di recente c'è stata attività a raffica intorno alla Cina: Il Segretario di Stato Hillary Clinton e il Segretario del Tesoro Timothy Geitner, entrambi con un ampio seguito, sono andati in Cina per una visita di alto livello, durante la quale la copertura delle notizie negli Stati Uniti è stata dominata da servizi su un attivista cinese cieco che era trattenuto agli arresti domiciliari, dai quali è fuggito rifugiandosi all'ambasciata americana e al quale alla fine è stato consentito di lasciare il paese e venire negli Stati Uniti. Difficilmente qualcuno in Cina sa chi sia questa persona e la reazione ufficiale cinese alle richieste per il suo rilascio erano del tipo “certo, chi se ne frega” (anche il fatto che Hillary abbia rinunciato a truccarsi è stato considerato degno di nota).

Perché una tale cortina fumogena? Che cosa stavano nascondendo? Bene, un paio di problemi interessanti. Primo, esce fuori che la Cina ora può monetizzare il debito statunitense direttamente. Giusto, la capacità di stampare moneta statunitense ora è distribuita fra Stati Uniti e Cina. C'è una linea privata speciale fra Pechino ed il Tesoro americano e la Cina può comprare il Titoli del Tesoro americano senza passare da nessun meccanismo di mercato o rendere il prezzo pubblico. Secondo, ora la Cina può comprare direttamente le banche americane. Ai bei tempi, i tentativi da parte di forze straniere di usare i Titoli del Tesoro americani per comprare azioni nelle imprese negli Stati uniti era considerato come un atto di guerra. Oggigiorno, pare, non tanto. Fondamentalmente, Hillary e Timmy sono andati in Cina ed hanno detto: “prendetevi il nostro sistema finanziario, per favore!” Quello che hanno ottenuto è l'equivalente finanziario di una pompa di morfina sottocutanea: qualcosa che viene fornito ai malati terminali di cancro per la terapia del dolore continuativa. Ma se si secca prima che il paziente muoia? Sarebbe doloroso, no?

Gli Stati Uniti stanno sanguinando di soldi in altri modi: i singoli ricchi si stanno spostando all'estero e rinunciano alla cittadinanza americana in numero sempre maggiore, come i topi che abbandonano la nave che affonda. Un esempio di alto profilo è Eduardo Saverin, uno dei fondatori di Facebook, che ha rinunciato alla propria cittadinanza americana prima del ridicolo fiasco che è stato il lancio di Facebook in borsa. Il congresso è occupato a redarre leggi che fermino questo tipo di cose, o almeno di renderle un enorme spreco dal punto di vista fiscale. C'è anche una provvigione nel procedimento di ritiro del passaporto se la IRS decide che il titolare deve più di 50.000 dollari. Qualcuno dovrebbe fare qualcosa! Non è possibile rinunciare alla propria cittadinanza e comprare voti al Congresso allo stesso tempo? Dovrebbe... In ogni caso, possiamo stare certi che quello che ora è solo un rigagnolo si trasformerà in un'alluvione. Questo è ciò che ho visto in Russia dopo il collasso del Soviet: la ex elite del Soviet ha perduto ogni fiducia nel sistema, ha provato ad accaparrarsene un pezzo ed è scappata via con quello. Questo modello continua anche ai giorni nostri: una volta che qualcosa collassa tende a rimanere collassata per lungo tempo.

E perché non dovreste voler scappare come topi se vi è capitato di essere uno dei tanti milionari temporanei che hanno fatto fortuna nell'economia degli Stati Uniti e non la volete perdere? Il sistema finanziario americano è andato e da ora è chiaro che non sarà ripristinato. Caso in questione: Jon Corzine, ex Senatore, ex Governatore del New Jersey, ex capo della MF Global, ha fatto qualche scommessa, poi si è precipitato sul suo conto corrente per coprire le perdite. E' in galera? No, è ancora a piede libero e non ha nulla da temere. Inoltre, si trova in alto nella lista dei donatori della campagna di Obama. JP Morgan ha appena riportato una perdita negli scambi di 2 miliardi di dollari (in realtà di più, tipo 8 milioni di dollari). Si sta facendo niente per questo? Naturalmente no! La JP Morgan ha una lunga e orgogliosa storia di cattiva gestione dei rischi, che fossero dovuti all'uso di modelli matematici assurdi (Valore a Rischio) o che fossero dovuti all'avere dei trader dal nickname tipo “la Balena” (the Whale) che decidono spontaneamente di essere Dio e di rovinarsi enormemente. Siccome tutto questo è stato fatto coi fondi bloccati dei contribuenti (come altre grandi banche americane, JP Morgan dipende dal sostegno vitale del governo) ci sono state delle discussioni sul fatto che la Balena potesse coprire, o scommettere, o  giocare d'azzardo (coi soldi pubblici). Ma nessuno conosce più la differenza ormai e potete star sicuri, nessun altro andrà in galera per queste operazioni.

E questo ci porta al sistema politico. I politici sono anche soltanto vagamente interessati a riformare il sistema finanziario? No, ne sono troppo spaventati. La legislazione di riforma finanziaria, così com'è, è stata abbozzata dalle compagnie finanziarie stesse e dai loro lobbisti. I politici avrebbero paura di avvicinarvisi, per timore di mettere a rischio i loro contributi per la campagna elettorale. Finché i fondi per le elezioni scorrono nei loro scrigni e finché nessuno dei loro amici banchieri va mai in galera, rimarranno indifferenti alla finanza. Ciò che li rende sempre più paranoici è la loro sicurezza fisica. Entrambi i partiti hanno ripetutamente esibito un atteggiamento bipartisan  indecoroso, quando è capitato di far passare leggi che compromettono le libertà civili, che aumentano il controllo sociale e la sorveglianza e che tolgono diritti ai loro cittadini. Il bilancio per la sicurezza nazionale del 2013 promette di superare il trilione di dollari. Ancora una volta, il parallelo con l'URSS pre e post collasso colpisce: anche lì il sistema politico non era riformabile, svuotato e usato per vantaggi personali, come un servizio personale per gente ricca e potente. Criminali come Boris Berezovsky sono stati in corsa per una carica pubblica solo per avere l'immunità dalla prosecuzione che ne derivava. Questo schema continua ancora oggi, specialmente in Ucraina: perdi un'elezione e vai in galera. Vieni rieletto e usi i votanti che non hanno votato per te come tirassegno. Una volta che un sistema politico collassa, ognuno nega strenuamente che gli sia avvenuto, ma poi tende a rimanere collassato per lungo tempo.

Ciò che tende a cambiare piuttosto improvvisamente è il commercio. Se avete abbastanza imbrogli politici, un alto livello di corruzione e stato di diritto che va nel dimenticatoio, la vita quotidiana va avanti come prima, per un po', finché all'improvviso non più. A San Pietroburgo, in Russia, la differenza fra le estati del 1989 e quella del 1990 è stata impressionante, perché dall'estate del 1990 il commercio si è arenato. C'erano scaffali vuoti nei negozi, molti dei quali erano chiusi. La gente rifiutava di accettare soldi come pagamento. Le importazioni si sono prosciugate e il solo modo per procurarsi cose ambite come lo shampoo era da qualcuno che aveva viaggiato all'estero, in cambio di gioielli o altri oggetti di valore. E questo è avvenuto nonostante il fatto che l'URSS avesse un piano di affari generale migliore: “Vendi petrolio e gas, compra tutto il resto”. Mentre il piano degli Stati Uniti è ridotto a: “Stampa soldi, usali per comprare tutto il resto” (gran parte degli oggetti di consumo, più di ¾ del petrolio usato per spostarli e tutto il resto).

Il petrolio importato, naturalmente, è il tallone d'Achille del commercio americano. L'economia americana è stata costruita intorno al principio che i costi di trasporto non contano. Ogni cosa percorre lunghe distanze sempre, prevalentemente su gomma, alimentate da benzina o diesel: la gente va al lavoro, guida per andare a fare spesa, accompagna i propri figli da e per diverse attività; i beni vengono spostati in magazzini coi camion e il prodotto finale di tutte queste attività – la mondezza – viene a sua volta trasportata in camion per lunghe distanze. Tutti questi costi di trasporto non sono più trascurabili. Piuttosto, stanno rapidamente diventando una grande limitazione dell'attività economica. Lo schema ricorrente degli anni scorsi è un picco del prezzo del petrolio seguito da un altro giro di recessione. Potreste pensare che questo schema possa continuare all'infinito, ma stareste semplicemente estrapolando. Molto più importante, c'è ragione di pensare che quello schema arrivi a una fine piuttosto improvvisa.

* * *

E' una proprietà generale delle cose che le stesse si custuiscano lentamente e collassino in fretta. Esempi di questo tipo abbondano (edifici, ponti, dighe, imperi militari, economie, supernove...) I controesempi – cose che appaiono improvvisamente e poi decadono lentamente – sono difficili da trovare (mi vengono in mente funghi e cetrioli, ma questi sono manifestazioni di un processo associato di crescita lenta e collasso repentino, quello che avviene normalmente proprio dopo il primo gelo). Qualche tempo fa, mi è venuto in mente che la curva a campana simmetrica comunemente usata per modellizzare l'esaurimento globale di petrolio, conosciuta come curva di Hubbert della teoria del picco del petrolio, dovrebbe in realtà essere asimmetrica, come quasi tutto il resto, ma mi mancava la matematica per spiegare questo punto.

Alla fine il Prof. Ugo Bardi mi è venuto in aiuto con un modello meravigliosamente semplice e chiaro, che ha chiamato Effetto Seneca. Diversamente da altri modelli come quello originale de “I Limiti dello Sviluppo”, che, anche se riabilitato, è troppo complicato da afferrare per molta gente ad una prima lettura. L'Effetto Seneca è la semplicità in persona. Questo modello inizialmente comprende due elementi: una risorsa di base ed un'economia. Il tasso di sviluppo della risorsa di base è proporzionale sia alla dimensione della risorsa di base, sia alla dimensione dell'economia. Allo stesso modo, l'economia declina nel tempo a un tasso proporzionale alla sua dimensione. Impostate le condizioni iniziali, fate partire la simulazione ed ottenete una curva a campana simmetrica. Ora aggiungete un terzo elemento, che può essere chiamato con vari nomi, “burocrazia”, “inquinamento” o “sovraccarico”: tutti i requisiti imprescindibili o gli inevitabili effetti collaterali dell'avere un'economia. Questo elemento non contribuisce al tasso al quale viene sviluppata la risorsa di base. Anch'essa declina a un tasso proporzionale alla sua dimensione. Dirottate qualche frazione del flusso di risorsa a questo elemento, avviate il modello e ne risulta una curva asimmetrica: sale lentamente e scende rapidamente, il Dirupo di Seneca. Più grande è la frazione dirottata, più la curva è asimmetrica:


C'è un problema con questo modello: noi non sappiamo realmente quali elementi dell'economia siano produttivi (nel senso che contribuiscono al tasso al quale la risorsa di base viene convertita in capitale) e quali siano non produttivi e quindi appartengono al contenitore burocrazia/inquinamento/sovraccarico. Quando guardiamo il mondo, vediamo le due cose sommate insieme e non possiamo vederle separatamente. Con questo dettaglio nascosto alla vista, il collasso diventa difficile da vedere: la gente potrebbe morire di fame, ma ci sono anche un sacco di grassi burocrati che si spartiscono, arrostiscono e mangiano a vicenda le loro grosse chiappe, e questo mantiene la media un po' più a lungo. Ma si può ancora ribattere a parte basandosi sul fatto che certe cose semplicemente smettono di accadere. La progressione dalla quale premunirsi è: le cose diventano più grandi, quindi all'improvviso si fermano. 

Un problema associato è che la frazione di risorse che finiscono nella burocrazia/inquinamento/sovraccarico normalmente cominciano essendo ragionevoli (un quarto o un terzo più o meno) ma più l'economia si avvicina al collasso, più alta diventa questa frazione. Possiamo osservare questo nell'economia americana: sempre più risorse sono state allocate in salvataggi, progetti pasticciati di “stimolo economico” e sicurezza nazionale; sempre più inquinamento (e costi associati) dall'estrazione petrolifera offshore e dallo sviluppo di risorse energetiche marginali e sporche come il petrolio da scisti è le sabbie bituminose. Mentre la parte produttiva dell'economia comincia a fallire, i burocrati aumentano la disperazione ma, essendo burocrati, tutto ciò che possono fare è aumentare all'infinito il fardello burocratico, accelerando la scivolata verso il basso. Gran parte delle persone hanno sentito parlare della glasnost e della perestroika di Gorbaciov, ma ma c'è stata un terza iniziativa, l'accelerazione (uskorenie): il tentativo disperato di portare la moribonda economia sovietica a funzionare meglio. Invece, il risultato è stato che l'ha portata allo shock.

Sempre più grandi, poi all'improvviso si fermano. Diamo un'occhiata all'esempio della vendita al dettaglio negli Stati Uniti. C'era una volta l'industria locale, che vendeva prodotti in piccoli negozi. Nel corso di pochi decenni, l'industria si è spostata in altri paesi, prevalentemente in Cina e i piccoli negozi sono stati messi fuori mercato dai grandi magazzini, poi dai centri commerciali, il cui culmine è Walmart, che praticano il “taglia e brucia al dettaglio”. Siccome la maggior parte di quello che vendono è importato, svuotano l'economia locale di denaro e questa è costretta a chiudere, lasciando la devastazione al loro passaggio. Walmart ora si sta espandendo in Cina, essendosi finalmente reso conto che non funziona vendere cose in un paese che non produce cose, una volta che quel paese ha finito i soldi. In paesi in cui il dettaglio non esiste più l'ultima spiaggia è il ricorso agli acquisti su Internet, grazie a UPS e FedEx. E una volta che i servizi di UPS e FedEx saranno inaccessibili a causa dell'aumento dei prezzi dell'energia o indisponibili a causa del mancato mantenimento di strade e ponti, l'accesso locale ai beni di importazione sarà perduto. 

Similitudini col servizio bancario americano. C'erano una volta piccole banche di quartiere che attingevano ai risparmi della gente, per poi prestare a singoli individui o a imprese, aiutando l'economia locale a crescere. Nel corso di pochi decenni, queste piccole banche di quartiere sono state rimpiazzate da poche, enormi megabanche, le quali, dopo il 2008, sono diventate di fatto di proprietà del governo. Una volta che le megabanche chiudono le loro succursali locali, l'accesso locale ai soldi è perduto.

Similitudini con le spedizioni globali. C'erano una volta molte piccole navi, chiamate carrette del mare, che venivano caricate e scaricate da scaricatori di porto nei porti locali, usando paranchi e reti da carico. Poi le spedizioni via mare sono state 'containerizzate' e per spostare i cargo serviva un porto per container. Poi le navi container sono diventate incredibilmente enormi, Poi, quando i prezzi del petrolio sono aumentati, sono dovuti ricorrere al “vapore lento”, tirando via i pistoni dai motori ed andando più lenti dei velieri di un tempo. Al posto del commercio 'punto a punto', queste gigantesche navi container possono operare solo all'interno di reti 'centro e raggi', con i 'raggi' forniti da qualche treno meno efficiente energeticamente e da camion a lunga distanza molto meno efficienti energeticamente. Queste navi sono ora al limite del 'vapore lento'. Il prossimo passo è, ovviamente, 'niente vapore'. 


Similitudini con la medicina. C'erano una volta i medici condotti – dottori generici che rispondevano alle chiamate delle famiglie ed avevano un ambulatorio di quartiere. Alla fine sono stati rimpiazzati da mega-ospedali e giganteschi centri medici con personale specializzato che, nel tempo sono diventati inaccessibili alla popolazione comune. Gli Stati Uniti stanno attualmente spendendo il 17% del PIL in cure mediche, molti dei mega-ospedali saranno costretti a chiudere. La popolazione, per un po', avrà accesso al dottore virtuale ed alle medicine ordinate via Internet e, in caso di malattia grave o emergenza, l'evacuazione medica rimarrà un'opzione per coloro che se la potranno ancora permettere. 

Lo stato delle infrastrutture delle comunicazioni negli Stati uniti sono un caso particolarmente interessante. Gli Stati Uniti sono attualmente indietro rispetto a gran parte delle nazioni sviluppate nell'accesso a Internet. Molta gente nelle zone rurali degli Stati uniti deve affidarsi ai cellulari per l'accesso a internet, il che mette gli Stati Uniti al livello di Cambogia, Vietnam, Indonesia e Filippine. Tuttavia, il servizio dei cellulari è molto più costoso negli Stati Uniti che in uno qualsiasi di quei paesi. Dato che molti prodotti e servizi sono ora disponibili quasi solo su Internet e che Internet richiede una costante fornitura di elettricità, lo stato della rete elettrica negli Stati Uniti costituisce un caso ancora più interessante. E' una rete pesantemente sovraccarica di vecchie linee di trasmissione e centrali di trasformazione, alcune delle quali risalgono agli anni 50. 

Ci sono oltre 100 centrali nucleari, che stanno diventando vecchie e pericolose, ma le vite di servizio sono state artificialmente allungate attraverso l'estensione delle licenze. Non ci sono piani e non ci sono soldi per smantellarle e per sequestrare i rifiuti ad alta radioattività in una località sotterranea geologicamente stabile. Se privati sia di elettricità di rete, sia dal diesel per un lungo periodo di tempo, questi impianti andrebbero in fusione à la Fukushima Daiichi. Vale la pena di accennare che i disastri nucleari, tipo Chernobyl, sono un ingrediente potente nel precipitare i collassi politici. Siccome ciò che impedisce ad una tale serie di disastri di avvenire è la rete elettrica, seguita dal diesel, esaminiamole a loro volta. 


Per quanto riguarda la rete elettrica, l'incidenza di grandi interruzioni di potenza è stata  recentemente vista raddoppiare ogni anno. Sì, stiamo commettendo l'errore indotto di estrapolare questa tendenza nel futuro ma, data la posta in gioco, non dovremmo farlo? Perlomeno, vorremmo sentire una ragione valida per cui non dovremmo. L'incidenza delle grandi interruzioni di potenza può solo raddoppiare un gran numero di volte prima che sia tempo di tirar fuori le pasticche di ioduro di potassio e prima che i prezzi delle parrucche salgano alle stelle. 

Al contrario, naturalmente, i generatori diesel possono essere mantenuti accesi continuamente per i 15-20 anni che serviranno per chiudere, liberare dal combustibile e decommissionare tutte i reattori nucleari e svuotare le vasche di stoccaggio dei rifiuti nucleari. I paesi a cui manca una rete elettrica affidabile tendono ad affidarsi ai generatori diesel. Attualmente c'è molta pressione sulle forniture di diesel (link aggiunto dal Traduttore), specialmente da quando il Giappone ha messo tutta la sua capacità di generazione nucleare fuori rete, a seguito del disastro di Fukushima Daiichi, con prezzi alti del diesel e carenze a macchia di leopardo in molti paesi. Osservando l'aumentata incidenza delle interruzioni di potenza e i picchi dei prezzi, molte aziende negli Stati Uniti hanno installato generatori d'emergenza diesel e si ritrovano a farli andare anche quando la potenza di rete è disponibile, quando la richiesta in tal senso parte dalle aziende elettriche.

Non molto, negli Stati Uniti, continua a funzionare una volta che la rete elettrica sia inattiva. All'inizio di quest'anno, una parte centrale di Boston dove lavoravo in quel momento (Back Bay) si è oscurata a causa dell'incendio di un trasformatore. Per quasi un'intera settimana ogni attività economica dell'area è stata chiusa. Senza corrente, non c'è riscaldamento o acqua calda, non c'è acqua corrente o, più spaventoso, non c'è depurazione delle acque reflue, non c'è aria condizionata (il che è fatale, a causa dei colpi di calore, in posti come Atlanta, in Georgia, che hanno spesso un'umidità del 100% accoppiata a temperature estive al di sopra di quella corporea). I sistemi di sicurezza e i sistemi di punti vendita smettono di funzionare. I cellulari e i computer portatili non possono essere ricaricati. I tunnel autostradali e della metro si allagano e i ponti levatoi non si aprono per far passare il traffico navale – come ad esempio le chiatte cariche di diesel. Possiamo essere sicuri che il diesel continuerà ad essere fornito a tutti gli impianti nucleari attivi anche se tutto il resto crolla?

Questo è il momento, durante le mie conferenze, nel quale qualcuno si alza e dice: “Tutto questo è distruzione e tenebre, non è vero?” Al quale dico, “Per lei, forse, se lei non ha alcun altro piano che aspettare che tutto si aggiusti magicamente da sé”. Vedete, costruire qualcosa che funziona richede molto tempo e sforzo. Le cose smettono di funzionare in fretta, ma rimpiazzarle richiede tempo e farlo richiede pratica (con questo intendo  dire imparare dai propri numerosi errori). Se aspettate fino a quell'ultimo momento in cui, in uno spasmo di orrore, penserete fra voi “oh merda, Dmitry aveva ragione!” allora sì, distruzione e tenebre saranno i vostri affascinanti nuovi commilitoni. Ma se avviate il vostro collasso prima e lo attraversate velocemente, allora le vostre chance di sopravvivere è molto probabile che siano sostanzialmente superiori a zero.  

Così, per favore, non chiedetemi “quando?” - pensateci da soli. Vi ho dato gli strumenti di cui avete bisogno per giungere alle vostre conclusioni, basandovi su di essi potreste essere in grado di far partire il vostro collasso ed attraversarlo velocemente. 















sabato 21 luglio 2012

Michael Mann: continua l'assassinio mediatico


 Michael Mann, scienziato del clima, è stato preso come obbiettivo di un'indegna campagna mediatica di discredito per il suo lavoro sulle ricostruzioni paleoclimatiche. La campagna continua ancora oggi e diventa sempre più violenta e diffamatoria.


Continua l'assassinio mediatico di Michael Mann, scienziato "scomodo" per il suo lavoro sul cambiamento climatico. Una volta ci raccontavano che queste cose le faceva la "Pravda", al tempo della vecchia Unione Sovietica. Ma ora vediamo che qui da noi in Occidente queste cose le fanno anche meglio e sicuramente in modo anche più pesante.

L'articolo che vedete qui sotto è preso dal "National Review" di pochi giorni fa. Non ve lo sto a tradurre, anche perché farlo mi causerebbe probabilmente una crisi di disgusto. Ma, anche se non masticate troppo l'inglese potete capire senza problemi che il tema dell'articolo è l'accostamento di Michael Mann a Jerry Sandusky, uno che violentava i bambini. L''unico elemento che lega i due il fatto che Sandusky faceva l'allenatore di football alla stessa università di Mann. Questo basta per definire Michael Mann come "Il Jerry Sandusky della scienza del clima". 

Mi posso solo immaginare come ci si deve sentire al posto di Michael Mann. Va bene che lui ha annunciato un'azione legale contro questi XXXX di YYYY. Magari riuscirà a farli ritrattare, però essere accostato pubblicamente a uno stupratore di bambini è veramente una cosa pesantissima.

Su una nota un tantino più positiva, va anche detto che questa gentaglia sembra essere veramente a corto di argomenti se non trovano di meglio che ridursi a queste cose. Sembra che ci sia ancora chi gli da retta, ma se continuano così, rimarranno in pochi - si spera.

A proposito di Mann, vi può anche interessare questa sua apparizione su TED, con sottotitoli in italiano preparati da Massimiliano Rupalti

________________________________________

Football and Hockey
By Mark Steyn
July 15, 2012 6:22 P.M.

In the wake of Louis Freeh’s report on Penn State’s complicity in serial rape, Rand Simberg writes of Unhappy Valley’s other scandal:

I’m referring to another cover up and whitewash that occurred there two years ago, before we learned how rotten and corrupt the culture at the university was. But now that we know how bad it was, perhaps it’s time that we revisit the Michael Mann affair, particularly given how much we’ve also learned about his and others’ hockey-stick deceptions since. Mann could be said to be the Jerry Sandusky of climate science, except that instead of molesting children, he has molested and tortured data in the service of politicized science that could have dire economic consequences for the nation and planet. 

Not sure I’d have extended that metaphor all the way into the locker-room showers with quite the zeal Mr Simberg does, but he has a point. Michael Mann was the man behind the fraudulent climate-change “hockey-stick” graph, the very ringmaster of the tree-ring circus. And, when the East Anglia emails came out, Penn State felt obliged to “investigate” Professor Mann. Graham Spanier, the Penn State president forced to resign over Sandusky, was the same cove who investigated Mann. And, as with Sandusky and Paterno, the college declined to find one of its star names guilty of any wrongdoing. If an institution is prepared to cover up systemic statutory rape of minors, what won’t it cover up? Whether or not he’s “the Jerry Sandusky of climate change”, he remains the Michael Mann of climate change, in part because his “investigation” by a deeply corrupt administration was a joke.

venerdì 20 luglio 2012

Abbiamo combustibili fossili a sufficienza per finire tutti fritti


Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti




George Monbiot ha detto in un recente articolo che “ci eravamo sbagliati sul picco del petrolio. Ce n'è abbastanza per friggerci tutti” Egli sbaglia sul picco del petrolio, ma ha ragione nella sua conclusione. Ci sono abbastanza combustibili fossili da farci fritti se saremo così stupidi da bruciarli tutti. 


Il picco del petrolio ci salverà dal riscaldamento globale? Può essere che il declino della produzione di petrolio causato dalla scarsità sarà più efficace dei (deboli) tentativi fatti dai governi per ridurre l'emissione di gas serra?

Questo punto è stato brevemente dibattuto quest'anno alla conferenza dell'Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio (ASPO) a Vienna. E' una controversia tipica delle conferenze di ASPO: alcune persone sembrano così centrate sul petrolio che i modelli climatici dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) sono tutti sbagliati perché non tengono conto dei dati ASPO. L'ultima manifestazione di questa particolare distorsione della realtà viene da George Monbiot che ha deciso che il picco del petrolio non arriverà così presto, dopo tutto, ed ha così concluso ”ci eravamo sbagliati sul picco del petrolio. Ce n'è abbastanza per friggerci tutti“.

Ora, possiamo dire che Monbiot sbaglia. Prima di tutto perché da troppo credito ad un recente studio sulla produzione di petrolio (persino interpretandola male – se leggete con attenzione, i dati dello studio non sono così ottimistici. Guardate qui e qui per una valutazione critica).

Ma il vero sbaglio fatto da Monbiot è di aver dato troppa enfasi all'importanza del picco del petrolio per il cambiamento climatico. Finora, i capricci della produzione di petrolio non hanno influenzato troppo la tendenza delle emissioni di gas serra. Oggi, anche se la produzione di petrolio greggio è stata stazionaria per diversi anni, le emissioni di anidride carbonica continuano ad aumentare.

Questo è quanto ci dobbiamo aspettare: il petrolio è solo una delle fonti di CO2 extra in atmosfera e i costi in aumento dell'estrazione stanno spingendo l'industria ad usare combustibili più sporchi. In altre parole, stiamo assistendo ad una tendenza verso combustibili che rilasciano più CO2 in relazione alla stessa quantità di energia generata. In questo senso, sabbie bituminose, petrolio pesante, petrolio da scisti e simili sono più sporchi del petrolio. Il carbone è ancora peggiore ed è anche la fonte di energia che cresce più rapidamente nel mondo. Per non dire nulla delle emissioni di metano da fracking, (il metano è un gas serra molto più potente dell'anidride carbonica).

Quindi perché dovremmo aspettarci che il picco del petrolio faccia la differenza? Paradossalmente, se il picco del petrolio arrivasse domani, potremmo vedere le emissioni di CO2 crescere ancora di più, poiché questo causerebbe un uso più massiccio di carbone, sabbie bituminose e altre fonti sporche. E' vero che, alla fine, il rendimento energetico in declino (EROEI) dei combustibili fossili causerà un declino generalizzato delle emissioni di gas serra, ma non dovremmo aspettarci che questo avvenga molto presto e non sarebbe l'immediata conseguenza del picco del petrolio.

Se continuiamo con le attuali tendenze di produzione di combustibili fossili, rischiamo di rendere irreversibile il cambiamento climatico, specialmente se superiamo il “tipping point”, il punto di non ritorno, che potremmo aver già superato. Se il picco del petrolio doveva avere un effetto sul clima (forse), sarebbe dovuto arrivare almeno 20 anni fa, quando le concentrazioni di CO2 erano ancora intorno alle 350 ppm, limite riconosciuto come massimo per evitare un cambiamento climatico irreversibile. Ora che ci troviamo a 400 ppm, il picco del petrolio non è sufficiente per fermare il riscaldamento globale.

Quindi, alla fine, George Monbiot sbaglia sul picco del petrolio, ma ha ragione nella sua conclusione. Dobbiamo solo modificare il titolo in “Picco del petrolio o non picco del petrolio, ci sono abbastanza combustibili fossili per friggerci tutti”.